lunedì 28 novembre 2016

Kiko Arguello, Annunzio di Avvento 2016. Estratti.



Avvento è: ATTESA DELLA VENUTA INTERMEDIA

"Il Tempo di Avvento è un Tempo forte in cui la Chiesa ci invita a pensare alla seconda venuta di Cristo. San Bernardo di Chiaravalle dice che ci sono 3 venute: la prima è stata nella carne, nel seno della Santa Vergine Maria, è nato a Betlemme come un bambino piccolino; la seconda venuta sarà nella gloria, nelle nubi del cielo, con i santi; poi c'è una terza venuta, che chiamiamo venuta intermedia: viene il Signore nella liturgia, viene soprattutto quando si annunzia il Vangelo. Sempre viene il Signore! E oggi prepariamo questa venuta intermedia, speriamo che questo incontro sia per voi tutti un incontro con il Signore. Che cosa c'è di più importante di questo?".
Kiko Arguello, Annunzio di Avvento, Roma, Santuario del Divino Amore, 24 novembre 2016.


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Avvento è: STENDERE LE BRACCIA SULLA CROCE DEL GIORNO.
"Gesù, concedimi di amarti veramente. Che io Ti ami come Tu ami me. Che io accetti di stendere le braccia sulla croce del mio giorno, che accetti la vecchiaia, la malattia. Che io accetti gli altri così come sono. Concedimi, Signore, di amare come Tu mi ami".
Kiko Arguello, Annunzio di Avvento, Roma, Santuario del Divino Amore, 24 novembre 2016.


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CARMEN STA BENISSIMO.
"Dicono i Padri del deserto che quando vedi un giovane che sale e sale al cielo, seguendo la sua volontà, prendilo per i piedi e tiralo giù: gli farai un favore. Questo è quello che ha fatto Carmen con me, mi ha sempre tirato giù! Fino a pochi giorni prima di morire... Si era addormentata e volevamo sapere come stava, le ho chiesto: "Carmen, chi sono io?". Ha risposto: "Un idiota!". Allora ho detto: "Carmen sta benissimo!".
Kiko Arguello, Annunzio di Avvento, Roma, Santuario del Divino Amore, 24 novembre 2016.


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Il cuore indurito, ostinato in se stesso, può vanificare l’Avvento del Messia.
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Racconta il Talmud Babilonese che un giorno a Rabbì Joshua Ben-Levi – vissuto nella prima metà del III secolo, quindi quando Gerusalemme era già stata rasa al suolo e si chiamava Ælia Capitolina! – apparve il profeta Elia. Il buon rabbino non perse un attimo e gli rivolse la domanda che brucia nel cuore di ogni autentico israelita – quella che Isaia aveva ripetutamente posto alla sua splendida e paziente sentinella –: «Quando verrà il messia?». Elia rispose: «Il messia è già sulla terra, e risiede momentaneamente alle porte di Roma; se ne sta lì a curare ciechi, sordi e zoppi, come di lui dicono le antiche profezie, in attesa che giunga il momento di manifestarsi al mondo, cominciando così la sua missione pubblica». Il rabbino non perse un istante: fece fagotto e si mosse alla volta di Roma; giunto alle mura cominciò a percorrerle finché non trovò effettivamente il messia, impegnato in quell’attività che il profeta Elia gli aveva scrupolosamente descritto e dottamente illustrato: «Quando verrai?» – fu l’immediata domanda che Joshua Ben-Levi gli rivolse. «Oggi»: rispose asciutto il messia, colmando il rabbino di gioia. Joshua Ben-Levi tornò di corsa a casa sua, per potersi godere l’arrivo del messia insieme con il suo popolo. Il sole, però, tramontò, senza che il messia comparisse all’orizzonte. Il rabbino non sapeva spiegarselo: eppure il messia era proprio lì dove aveva detto Elia, lui lo aveva visto, e la sua risposta non lasciava àdito a dubbî. Come mai non era arrivato? Aveva forse trovato qualche impedimento lungo la strada? Joshua Ben-Levi continuò ad agitarsi, rimestando più e più volte le sue inquiete domande, finché non tornò ad apparirgli il profeta Elia. Al che, subito, Joshua Ben-Levi sfogò con lui la sua amarezza: «Ho trovato il messia dove mi avevi detto tu, intento a fare ciò che mi avevi profetato, eppure il messia mi ha mentito, nel rispondere alla mia domanda!». Elia rispose: «Il messia non ti ha mentito, perché sei tu che non hai capito che la sua risposta evocava le parole del salmista: “Oggi, se ascolterete la sua voce…” (Sal 95,7)». Joshua Ben-Levi ristette, gli occhî gonfî di lacrime, chiedendosi quando avrebbe rivisto il messia. E nemmeno Elia poté rispondere a quella domanda.
Cfr. Kiko Arguello, Annotazioni, n. 364

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Il card. Müller presenta il libro di Kiko: “Un cammino interiore dell’anima”

di Salvatore Cernuzio (Zenit)


Il teatro era pieno e nel foyer erano presenti persone con anche otto copie sotto il braccio. Ogni evento del Cammino Neocatecumenale, si sa, attira grandi folle e la presentazione di venerdì al Teatro Olimpico di Roma di “Annotazioni. 1988-2014”, il libro di Kiko Argüello che raccoglie quasi 30 anni di poesie, preghiere, riflessioni, pensieri, non ha fatto eccezione.
Circa 1400 le persone riunite nello storico teatro capitolino per ascoltare, sullo stesso palco che negli anni ha visto esibirsi Fo, Gaber, Proietti o Baryshnikov, l’inedito trio chiamato a presentare il volume di Cantagalli. Oltre a Kiko, che ha definito l’opera “un regalo per i catecumeni” nonostante, ha confessato, “mi vergogno a rileggerla”, anche il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, il ‘dossettiano’ (e non neocatecumenale) Graziano Delrio, che ha detto di aver tratto beneficio dallo “sguardo di misericordia” che fa da filo conduttore al volume, e il cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, che ha pronunciato una sorta di lectio magistralis sul ruolo dei laici nella Chiesa dopo il Vaticano II.
In particolare, il porporato ha tratto spunto dalla Lettera Iuvenescit Ecclesiapubblicata a giugno, sulla relazione tra doni gerarchici e carismatici per la vita e la missione della Chiesa, per ricordare che “ciò che la fede ci insegna oggettivamente deve trasformarsi in esperienza spirituale ed esistenziale personale”. In tal ottica, il Cammino Neocatecumenale – ha detto – “va inteso come introduzione spirituale al cristianesimo, come educazione permanente nella fede. Il suo carisma è frutto del Concilio Vaticano II, che mirò a un ampio rinnovamento della Chiesa in Cristo”.
Nato nel 1964 nelle periferie fisiche ed ‘esistenziali’ di Madrid, grazie all’impeto pastorale di Kiko Argüello e agli studi teologici di Carmen Hernández, il cammino si è profilato come “catecumenato per persone in cerca di Cristo e bisognose di Lui”. “Da allora – ha rammentato Müller – la piccola piantina è diventata un albero gigante. Le migliaia di comunità nate in centinaia di diocesi in tutto il mondo, attestano la fecondità spirituale del carisma dell’evangelizzazione che nutre l’attività” di questo itinerario di fede. “Un carisma che viene dallo Spirito Santo – ha sottolineato il cardinale – e che non smette mai di ricordarci la discrepanza tra la grandezza del mandato e la nostra debolezza, la nostra miseria umana”.
La stessa miseria che Argüello esprime in modo viscerale nella sue Annotazioni, dove in alcuni passaggi dice: “Pregate per me, che sono un peccatore”. Questa, secondo il cardinale, “è la chiave per comprendere la sua pietà incentrata su Cristo, in completa armonia con San Paolo” e con Papa Francesco che sempre si definisce “un peccatore bisognoso della misericordia di Dio”. Tutto “si evolve prima intorno alla conversione, poi all’essere colmati di grazia e infine all’unione dell’uomo con il Dio dell’amore trinitario, quando Dio viene a dimorare nell’uomo e l’uomo in Dio”, ha annotato il cardinale.
“Si tratta di 506 piccoli e medi aforismi, preghiere, esperienze e conoscenze, massime, ricordi e appunti, raccolti in ordine cronologico, i quali, nella profondità dell’esperienza mistica di Dio, illustrano il cammino spirituale percorso dall’autore, assieme a Carmen Hernández e a don Mario Pezzi, negli ultimi 30 anni”, ha detto Müller, precisando che esse “non offrono riflessioni sistematiche o frammentarie sui temi della fede e della teologia”, ma “sono invece la testimonianza di un cammino interiore dell’anima e degli sforzi per ottenere la fiducia in Dio, nonché l’unione con il Signore crocifisso e sofferente”.
“Proprio per questa particolare forma letteraria, non è possibile fare un riassunto di questo libro. E non avrebbe neanche senso leggerlo come un sistematico trattato teologico, tutto d’un fiato, dalla prima all’ultima pagina”. Pertanto “rimarrà deluso il lettore che pensa di trovare elementi di una biografia o di un cammino interiore”; come sarà altrettanto deluso “chi pensa di imbattersi in affermazioni adatte a essere strumentalizzate, alla maniera della psicologia del profondo, in senso positivo o negativo, a scopo di propaganda”.
Se Kiko “ha accantonato così a lungo l’idea di pubblicare le sue note, lo ha fatto per pudore e per timore che non fosse altro che una pretesa della sua vanità”. È stata infatti l’insistenza di altri a fargli cambiare idea oltre al ricordo delle parole di un vecchio prete: “Non lasciare mai di fare il bene per paura della vanità, perché questo viene dal demonio!”.
“Ma quanto bene si può fare con questo libro!”, ha affermato il prefetto dell’ex Sant’Uffizio, “quale bene? Proclamare la gloria di Dio della sua fedeltà e del suo amore”. Chi, dunque, attraversa “la notte oscura dell’anima”, come la definiva San Giovanni della Croce, può trovare ristoro in queste parole radicate negli insegnamenti dei Padri del deserto, dei mistici, del Talmud, e nelle Scritture, specie dei Salmi.
In questo senso il libro di Kiko può intendersi come un “contributo alla vita delle persone normali”, ha detto il ministro Delrio. “Bisogna metterlo sul comodino e consultarlo per non scoraggiarsi troppo”, perché nelle parole dell’autore “dentro le difficoltà c’è sempre la speranza della fede e la certezza di essere custoditi in ogni punto. Anche nei passaggi più crudi lascia la possibilità di tendere una mano”. Inoltre, “è bellissimo sentir dire: ‘Sono un disastro!’ da uno che ha dato origine ad una cosa come la vostra”, ha esclamato il ministro.
Di tutt’altro parere l’autore che, chiudendo l’incontro, ha rivelato: “La verità è che se leggo questo libro mi vergogno. Mai è stato scritto per essere pubblicato… Avevo una sofferenza costante e non potevo sfogarmi e ho messo tutto per iscritto in un quaderno”. Ora “è stato pubblicato per la mia vergogna. È il mio testamento spirituale e lo offro come regalo ai miei catecumeni prima di morire”.
Nella chiosa di Kiko non poteva mancare il ricordo di Carmen, co-iniziatrice con lui del Cammino Neocatecumenale, sua compagna di evangelizzazione per oltre 50 anni in tutto il mondo, scomparsa lo scorso luglio a 85 anni. “Una donna impressionante” ha detto Kiko, “diceva un Padre della Chiesa: ‘Se vedi un giovane che facendo la sua volontà arriva al Cielo, tiragli i piedi e portalo giù’. È quello che ha fatto Carmen con me, mi tirava giù. Mai mi ha adulato, aveva il terrore che da artista fossi un vanitoso e mi metteva in guardia dal rischio di kikianesimo. In tutto lei mostrava un amore enorme a Cristo, ai vescovi, al Papa e alla Chiesa. E questo amore lo ha trasmesso a tutto il Cammino”.