martedì 22 novembre 2016

Matrimonio e libertà

con il card Caffarra a Bologna - 12/9/2013



di Carlo Caffarra

Avila (Spagna), 8 novembre 2016
La libertà del consenso, mediante il quale l’uomo e la donna costituiscono il patto coniugale, è sempre stato riconosciuta nella cultura occidentale. Già il Diritto romano recitava: consensus facit nuptias. Anche la Chiesa ha  da sempre sostenuto e difeso nel suo Diritto questa libertà [cfr. per es. DH 643].
Ciò che invece è stato spesso messo in questione è se il libero consenso costituisse un vincolo non più a disposizione del consenso dei due, oppure se, salvaguardati eventuali diritti acquisiti, il vincolo non obbligasse la libertà indissolubilmente. La domanda che lungo i secoli ha accompagnato l’uomo occidentale era: “poiché è stata la nostra libera volontà a porre il vincolo, non potrebbe la stessa libera volontà scioglierlo?”. E’ il problema dell’indissolubilità del matrimonio in relazione alla libertà dei coniugi.
La tematica è assai complessa. Procederò nel modo seguente. Nella prima parte cercherò di descrivere l’esperienza ed il concetto di libertà presenti     nella modernità occidentale. Spiegherò subito perché parto da questo. Nella seconda parte esporrò brevemente la dottrina cristiana del vincolo coniugale e le sue implicazioni filosofiche-antropologiche. Terminerò con alcune riflessioni conclusive.

  1. LA LIBERTA’ nella MODERNITA’.
L’idea e l’esperienza di libertà che viene sviluppata e vissuta nella modernità, hanno posto in maniera assolutamente nuova il rapporto matrimonio-vincolo matrimoniale e libertà. Il tempo ragionevole di una conferenza mi chiede di essere molto schematico.
Penso che l’inizio della libertà dei moderni sia stato posto o comunque espresso colla massima chiarezza da un famoso teologo spagnolo, Luis Molina [Cuenca 1536-Madrid 1600]. Egli definisce la libertà considerata nella sua più alta espressione, la scelta, come indifferenza nei confronti di ciò che posso scegliere. Fate bene attenzione a non pensare l’indifferenza di cui parliamo, come ad un’attitudine etica: “sei indifferente di fronte alla miseria del prossimo”, per esempio. Questo termine definisce la natura della libertà di scelta. << Piena manifestazione della libertà è poter scegliere indifferentemente –cioè “arbitrariamente”- tra X e Y>>[C.Vigna ( a cura di), La libertà del bene, Vita§Pensiero, Milano 2010, pag.186]. Si faccia bene attenzione, perché si tratta di una vera svolta. Per renderci conto, facciamo un breve confronto con il concetto che di libertà di scelta aveva Tommaso d’Aquino, anche in questo erede di tutta la Tradizione dei Padri della Chiesa.
Per Tommaso la radice della libertà di scelta non consiste nel fatto che essa sia originariamente indifferente nei confronti degli oggetti della scelta possibile. La libertà si radica nel fatto che la persona umana è naturalmente orientata al Bene Sommo, e non trova fra i beni finiti e limitati ciò che naturalmente cerca. La libertà di scelta manifesta l’emergenza, la superiorità della persona nei confronti di tutto il mondo creato, sopra ogni bene contingente, poiché la persona è destinata al Bene Eterno. Nessun bene la può muovere ad agire: essa si auto-determina alla scelta. Ma ciò non significa che essa sia neutrale. Vi sono oggetti ordinabili al Bene ultimo, e la persona è orientata naturalmente ad essi; vi sono oggetti non ordinabili al Bene Sommo.
La necessità del nativo orientamento verso il Bene Somo non distrugge la libertà, ma la rende   possibile. Fino al punto che nella vita eterna, nella visione immediata di Dio, necessità e libertà coincidono: i beati non possono non amare Dio che vedono; ma restano sovranamente liberi di amare Dio.
Quando la nuova idea di libertà nasce? Quando si nega qualsiasi orientamento naturale a Dio; quando si nega che la direzione della persona abbia un senso pre-ordinato. La libertà è in se stessa priva di orientamento.
A questo punto qualcuno potrebbe chiedere:  se questa è la mia libertà, perché non devo uccidere un innocente, non devo commettere un adulterio, dal momento che essere liberi significa essere indifferenti ad ogni condotta possibile? La risposta è: perché Dio lo proibisce. L’altra faccia del concetto nuovo di libertà è il concetto volontaristico della legge divina. E’ la legge a togliere l’indifferenza nativa della libertà, a vincolare le libertà. Libertà e legge sono inversamente proporzionali.
Oggi questa svolta ha trovato la sua configurazione concettuale definitiva, perché ha portato al traguardo la sua intima logica. Questo traguardo può essere descritto nel modo seguente: la separazione (dell’esercizio) della libertà dalla verità circa il bene/male della persona come tale. E’ stato il grande Pontefice S. Giovanni Paolo II nell’Enciclica Veritatis splendor a richiamare l’attenzione, soprattutto de Vescovi, su questo da lui giudicato il cuore del dramma dell’uomo moderno. Mi fermo un momento.
La legge morale    benché normalmente sia espressa in termini prescrittivi, in realtà essa dice la verità circa il bene/il male della persona. Possiamo dire: la legge morale esprime la verità della persona umana, affidata alla libertà[veritas agenda/veritas practica].
Se si nega questo rapporto intrinseco della libertà colla verità, si vive l’esperienza della libertà come un itinerario privo di meta: un vagabondaggio e non un pellegrinaggio. Si capisce allora come Sartre abbia potuto scrivere che siamo condannatiad essere liberi.
Se si nega il rapporto libertà-verità, la libertà è continuamente esposta a qualsiasi violenza. Uscire dal rapporto colla verità vuol dire uscire da se stessi, andare in esilio lontani da se stessi, alienarsi. Al potente di turno non abbiamo più alcun confine da mostrare, che non sia lecito a nessuno oltrepassare. L’esistenza nella persona di un nucleo intangibile è uno dei grandi significati del martirio.
Giunti a questo punto della nostra riflessione, provate a riprendere l’affermazione da cui siamo partiti: il consenso libero matrimoniale pone in essere un vincolo indisponibile agli sposi che l’hanno costituito. Provate ad inserirla nel contesto del concetto e dell’esperienza di libertà separata dalla  verità, che la modernità è andata configurando, e comprenderete subito che quella affermazione, dentro questo contesto, diventa semplicemente impensabile. Il principio fondamentale infatti che regola oggi l’istituto del divorzio può essere formulato nel modo seguente: siamo sposi se e fin tanto chedecidiamo liberamente di esserlo.
Questa è una delle principali manifestazioni più inequivocabile di quella tirannia del presente, dell’istante presente, che ci ha fatto perdere il passato, cioè la memoria, e ci impedisce di guardare al futuro, cioè di sperare.
Se non erro, il primo a teorizzare questo modo di pensare il rapporto della libertà con il proprio stato di vita, è stato Lutero, parlando dei voti religiosi [cfr. D.C.Schindler, The crisis of marriage as a crisis   of Meaning. On the sterelity of the modern Will,in CommunioSummer 2014, pagg.336-344].

  1. VINCOLO MATRIMONIALE E LIBERTA’ nella DOTTRINA DELLA CHIESA.
In questa seconda parte della mia riflessione vorrei presentarvi la dottrina della Chiesa su matrimonio e libertà.
Parto dalla dottrina cristiana cattolica sul vincolo coniugale, ponendomi una domanda: perché il vincolo coniugale non è a disposizione di chi con libero consenso lo ha creato? La risposta è: perché è una realtà sacramentale. I teologi dicono: è una res et sacramentum. Che cosa significa?
Per comprendere, occorre che si abbia presente una verità di fede secondo la quale, mediante e nei sacramenti è Cristo stesso che agisceI sacramenti sono azioni di Cristo. La persona umana che celebra, solitamente il sacerdote, è solo ministro di Cristo; cioè una causa strumentale. I Padri della Chiesa amavano ripetere: non Pietro, non Paolo, non Giovanni battezza, ma Cristo. Tutto questo è vero anche del matrimonio fra due battezzati, i quali sono solo ministri del sacramento. Mediante il libero consenso degli sposi, è Cristo stesso che agisce in essi. Che cosa compie?
Cristo costituisce fra i coniugi che celebrano il rito, il vincolo coniugale, in forza del quale la donna diventa sposa di quell’uomo e l’uomo diventa sposo di quella donna. La cosa importante da comprendere è che la causa principale del loro essere marito e moglie non è il loro libero consenso. La causa principale è Cristo; è Lui che li unisce come marito e moglie. Quando dunque Gesù dice: ciò che Dio ha unito l’uomo non separi, le sue parole hanno un significato reale. Dio in Gesù ha agito, e nessuno, Papa compreso, può annullare ciò che Dio ha fatto.
Ma questo non è tutto. I teologi direbbero: questa è la res, la realtà del vincolo. Ma il vincolo è anche sacramentum, cioè significa un grande Mistero. Il vincolo che Cristo ha prodotto tra i due, è il segno di un vincolo più grande, il vincolo che unisce Cristo e la Chiesa. Cosa vuol dire segno? Vuol dire che il vincolo coniugale partecipa del vincolo che unisce Cristo e la Chiesa; che il vincolo che unisce i due sposi, dimora nel vincolo che unisce Cristo e la Chiesa. È come innestato nel vincolo Cristo-Chiesa. Gesù paragona la sua unità coi discepoli alla vite e ai tralci. E’ ciò che accade nel rapporto tra i due sposi e Cristo- Chiesa.
Da questa dottrina deriva che l’indissolubilità del matrimonio non è prima di tutto un’esigenza morale che obbliga la libertà. I due si scambiano una promessa, e le persone oneste mantengono la parola data: pacta sunt servanda. Non è prima di tutto una legge divina positiva. E’ un dono di Cristo, è una grazia. Ogni grazia poi diventa un compito: è Cristo che vi ha uniti, dunque non dovete più separarvi.

Questa dottrina implica una visione della persona umana, della libertà, della sessualità. Implica un’antropologia, che ora mi propongo di esplicitare.
Tutti coloro che hanno riflettuto su queste problematiche hanno convenuto e convengono che in ogni serio amore coniugale è insito il “PER SEMPRE”. Nessun uomo può seriamente rivolgersi ad una donna e dirle: “ ti amo con tutto me stesso per mezz’ora”. Perché il “per sempre” è intrinseco alla logica dell’amore coniugale? Perché è un’esperienza di appartenenza reciproca di due persone. Ho detto persone. Questo è il punto centrale dell’antropologia implicata nella dottrina cristiana del vincolo coniugale.
Quando dico “persona” parlo di un soggetto spirituale, unito sostanzialmente ad un corpo. E’ un io che possiede se stesso in ragione della sua libertà. La persona è sul piano dell’essere ciò che è supremo: non si può essere più che persona. E quindi la persona non può mai essere usata per il raggiungimento di un fine che non sia il bene della persona, poiché non esiste qualcosa di più prezioso che la persona. Se non si intuisce il valore sommo della persona non si comprende nulla del cristianesimo.
Dato il valore sommo della persona, essa può appartenere ad un altro solo mediante il dono di sé all’altro. Questa forma di appartenenza ha una specificità che la rende unica. La persona può donare all’altro ciò che ha; può donare se stessa. La differenza è fondamentale. La prima forma è quantificabile, misurabile. Ad un povero posso donare 100 o 1000 Euro; posso, se sono medico, mettermi a disposizione della Caritas per esercitare gratuitamente la professione un giorno o tre giorni alla settimana. Ma il “SE STESSO”, il proprio io non è quantificabile: o il dono è totale o è nullo. O tutto o niente. L’io è spirito sussistente, e lo spirito non è esteso, non è un quantum che posso misurare.
Questo fatto implica che il soggetto, la persona sia libera, cioè che possegga se stessa [il dono di sé implica il possesso di sé: non si dona ciò che non si possiede], ed implica la capacità di auto-determinarsi.
La persona umana poi è anche il suo corpo, e non semplicemente ha un corpo. E’ una persona-corpo. Il dono di sé coinvolge anche il corpo, altrimenti non è totale. Il coinvolgimento consiste nel fatto che il corpo è il linguaggio della persona, ed attraverso esso la persona esprime se stessa. Ciò accade in forma eminente nella congiunzione sessuale, nella quale i due sposi diventano una sola carne. La femminilità e la mascolinità sono le due lingue attraverso le quali la persona esprime e realizza il dono di sé. La dottrina cristiana del vincolo implica dunque anche una precisa visione della sessualità umana: è il linguaggio del dono.
Mediante il corpo la persona è collocata dentro il tempo, dentro lo scorrere del tempo. In quanto il vincolo coniugale implica totalità del dono, esso deve assumere il tempo, il trascorrere del tempo. Il “PER SEMPRE” è l’assunzione del tempo nel dono. L’appartenenza dell’un all’altro, creata dal dono di sé, raccoglie per così dire nell’istante dello scambio del libero consenso tutto lo scorrere del tempo, ”fino a quando morte ci separerà”. E’ questo il significato più profondo del “PER SEMPRE”. Nel linguaggio etico si chiama FEDELTA’. E’ più che la perseveranza.
Ma come è possibile una tale elevazione della persona sul trascorrere del tempo? E’ perché la persona possiede un’identità sovratemporale, da non confondere con la somma dei molteplici stati emozionali che attraversiamo. In termini più tecnici: la nostra vera identità non è costituita dall’io empirico, ma dall’io metafisico. E’ in questo che si trova la libertà. Quando parliamo di dono di sé, parliamo del dono della propria persona in questo senso profondo.
La donazione di sé non può infine non essere eminentemente personale: da persona a persona, nell’irripetibilità propria di ciascuno.
Cerco di riassumere quanto ho detto. La dottrina cristiana sul rapporto vincolo matrimoniale-libertà implica un’antropologia. Questa può essere espressa nella seguenti proposizioni.
  • La persona umana è un soggetto spirituale –corporale, che sussiste in se stesso, ed in forza della sua libertà possiede se stesso e si autodetermina
  • La persona umana si realizza pienamente nel dono di se stessa [cfr. Conc.Vat.II, Cost.Past.Gaudium et spes,24], quale può aversi solo fra persone.
3) Il vincolo coniugale, come pensato dalla Chiesa, si radica in questa costituzione ontologica della persona umana.
4) La sessualità umana nel suo duplice linguaggio della mascolinità e femminilità è il linguaggio del dono.
5) E’ nella stessa struttura del dono di sé quale avviene nel matrimonio di essere totale, per sempre, esclusivo.
6) La libertà è la capacità di amare, cioè di donarsi.

RIFLESSIONI CONCLUSIVE

Se ora voi confrontate le tesi antropologiche suddette e la visione dell’uomo che costituisce il nostro mainstream in Occidente, non è difficile rendersi conto che tra le due esiste un contrasto radicale. Contrasto che alla fine può essere espresso nel modo seguente: l’uomo è PERSONA – l’uomo è INDIVIDUO. Non a caso il S. Padre Francesco ha parlato di una guerra mondiale contro il matrimonio.
Non abbiamo ora il tempo di mostrare come la concezione individualista renda impensabile, non solo impraticabile, la proposta cristiana del matrimonio: in se stessa e nei suoi presupposti antropologici. Solo un accenno. Se l’uomo è un individuo, strutturalmente impossibilitato a fare un passo oltre se stesso, vi può essere correlazione con un altro solo nella forma del contratto, il quale per sua natura è sempre rescindibile dalle parti contraenti. Non esiste un vincolo di carattere ontologico fra individui. Parlare di una realtà matrimoniale come il vincolo, che riguarda l’essere stesso della persona, non ha senso.
La Chiesa deve allora accontentarsi di celebrare il matrimonio di coloro che lo chiedono, sempre di meno? No.
Deve porre in atto due strategie. La prima: fare una vera pastorale del vincolo, come chiede il S. Padre Francesco in Amoris laetitia. La seconda: mettere in atto un forte processo educativo, nel quale la Chiesa svolga due compiti: uno modesto, l’altro straordinariamente grande.
Il primo consiste nel fatto che la Chiesa diventi come l’ostetrica che fa nascere l’uomo a se stesso. Fa comprendere all’uomo chi è l’uomo. Il secondo consiste nell’aiutare l’uomo a realizzarsi in modo veramente libero e liberamente vero. E questo aiuto sono i mezzi soprannaturali della salvezza, che la Chiesa ha a sua disposizione.