mercoledì 8 febbraio 2017

Non più traditori dell’islam





Il consiglio degli Ulema marocchini ha emesso una fatwa contro la pena di morte per chi abbandona l'islam. Re Muhammed VI vanta una discendenza diretta da Maometto, quindi le sue posizioni hanno un'influenza importante in tutto l'islam. E nel Marocco stesso non saranno più tollerati delitti commessi contro apostati.
di Silvia Scaranari











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In Marocco niente pena di morte per gli apostati. 

L’apostasia non è una questione politica, identificabile con il reato di alto tradimento, ma solo religiosa, e per questo chi abbandona l’islam non può essere punito con la pena di morte. Modificando una sua precedente pronuncia, l’Alta commissione religiosa del Marocco ha stabilito nei giorni scorsi che nel paese sarà possibile cambiare il proprio credo senza rischiare conseguenze penali.
La notizia — diffusa sul sito in rete Morocco World News — è di particolare importanza per la minoranza cristiana e si inserisce nel quadro di riforme, ispirate a una linea di apertura culturale e pluralismo religioso, volute dal sovrano Mohammed vi anche per combattere l’estremismo.

In un documento, intitolato La via degli studiosi, gli ulema superano la regola in vigore nei paesi musulmani che vede l’apostata condannato a morte e che vieta altresì di fare proseliti tra i fedeli di Maometto se si è di altre confessioni. Nel 2012, per rispondere a una questione sollevata sul tema, il comitato che si occupa della fatwa (il responso giuridico su questioni riguardanti il diritto islamico o pratiche di culto) aveva dato una risposta in linea con gli altri stati musulmani, ovvero aveva espresso un parere favorevole alla pena di morte per apostasia. Una decisione che all’epoca aveva suscitato perplessità, in un paese tradizionalmente multiculturale, aperto alle altre religioni.
Tuttavia all’adeguamento dal punto di vista religioso non era seguito un allineamento della giustizia penale, anche se in Marocco vige la pena di morte. Chi tra i marocchini voleva convertirsi doveva uscire comunque dal paese per non rischiare condanne.
Adesso gli ulema sono tornati su quella decisione, modificandola sulla base di un’interpretazione in linea con una lettura storica dei testi sacri, citando il teologo dell’viii secolo Sufyan a Thawri, e soprattutto con un islam più aperto: «L’interpretazione più accurata e coerente con la legislazione islamica — si legge nel documento — è che l’uccisione dell’apostata significava l’uccisione del traditore del gruppo, l’equivalente di tradimento nel diritto internazionale». Gli apostati in quell’epoca rappresentavano i nemici della umma (la comunità dei fedeli) proprio perché potevano rivelare segreti agli avversari. L’apostasia era dunque punibile per le conseguenze politiche che comportava. Oggi le cose sono ovviamente cambiate e un marocchino può cambiare religione senza per questo smettere di essere un buon cittadino. 
In diversi passi coranici si prevede la punizione per l’apostata, ma nella vita che deve venire, non in quella terrena. Come quando si legge: «Chiunque di voi abbandoni la propria religione e muoia nella condizione di infedele, per essi le proprie opere hanno perso di valore in questo mondo e nell’aldilà, e questi è il compagno del fuoco, cui apparterrà in eterno».
Esiste poi il precedente storico che vede Maometto, in occasione del trattato di al-Hudaybiyya, seguire la tradizione per cui a quanti avevano rinunciato all’islam veniva assicurato un sicuro ritorno nelle proprie case. Oggi, comunque, sottolinea la sentenza, tali considerazioni non possono essere più applicate ai casi tout court di conversione ad altre religioni.

L'Osservatore Romano