giovedì 1 dicembre 2011

Charles De Foucauld: La mia fede 1



LA MIA FEDE
Città Nuova Editrice, 1974

Questo libro, scritto con semplicità e senza alcuna pretesa da un piccolo fratello di Gesù, che fu discepolo di padre Charles de Foucauld per oltre trent'anni, vorrebbe lasciare a fratel Charles la possibilità di testimoniare la sua fede, con la forza, la spontaneità e l'amore di cui essa è imbevuta.
(Dalla presentazione di René Voillaume)

INTRODUZIONE

La vita di Charles de Foucauld è nota; e sono state pubblicate parecchie antologie dei suoi scritti spirituali e della sua corrispondenza. In questa raccolta vorrei far cogliere meglio quale sia stata, nella vita di fratel Charles, la luce folgorante che illuminò la sua marcia, lungo il duro cammino che aveva deciso di seguire.
Cammino duro, effettivamente, che egli scelse quando decise di non appartenere ad altri che a Dio, non volendo impegnarsi per il Signore meno di quanto aveva fatto per la scienza o al servizio della sua patria. Per una nobile impresa umana era capace di eroismo. Cosa fare per Dio? L'impossibile!
Una frase dell'abate Huvelin lo dipinge perfettamente: "La bellezza del fine, cui sentiva di essere stato chiamato, velerà ai suoi occhi tutto il resto, e soprattutto l'irrealizzabile".
E lui stesso scrive il 14 agosto 1901:
«Se la nostra religione è la verità, se il Vangelo è la parola di Dio, noi dobbiamo credere e praticare. Potessimo noi esistere assolutamente e solo per far questo»
.
E lui partì, solo, verso il deserto.
Questa raccolta vuole illustrare, nella prima parte, gli aspetti caratteristici della fede di Charles de Foucauld; e nella seconda, le grandi intuizioni della sua fede. Gli stupendi passi scelti dei suoi scritti contribuiranno a far cogliere direttamente l'eco della sua anima.

PARTE PRIMA: LA FEDE

IL DONO DELLA FEDE

LA FEDE VIVA E OPERANTE

IL DONO DELLA FEDE

Charles de Foucauld perse la fede assai presto, durante la sua adolescenza. A prescindere da quelle che possano esserne state le cause - molteplici, e assai simili a quelle che spingono oggi un gran numero di giovani a contestare tutto -, egli era arrivato a quello stato, ce lo dice lui stesso, in cui «la fede è completamente morta».
Scriveva il 14 agosto 1901 a Henry de Castries: «Per dodici anni, ho vissuto senza alcuna fede: nulla mi pareva sufficientemente provato. L'identica fede con cui venivano seguite religioni tanto diverse mi appariva come la condanna di ogni fede (...). Per dodici anni rimasi senza nulla negare e nulla credere, disperando ormai della verità, e non credento nemmeno in Dio, sembrandomi ogni prova oltremodo poco evidente».
Però, durante le sue esplorazioni in Marocco, aveva conosciuto alcuni ambienti profondamente credenti, ebrei e musulmani, e ne aveva riportato un senso di grande rispetto per quanto credono, certamente scosso nel suo scetticismo. Scriveva così: «L'Islam ha prodotto in me un profondo turbamento (...); la vista di quella fede, di quelle anime che vivono nella costante presenza di Dio, mi ha fatto come intravedere qualcosa di più grande e più vero degli impegni mondani».
Tanto forte è questa testimonianza nell'Islam che la fede diviene una vera sottomissione dello spirito.
Ma Charles de Foucauld continuerà per lungo tempo a cercare la fede, come di solito si ricerca l'evidenza delle prove.
Poi un giorno, all'improvviso, nella sua anima si fece piena luce e, subito, sbocciò non soltanto la fede, ma il dono di tutto se stesso a Colui in cui crede.
«Nello stesso attimo in cui incominciai a credere che c'era un Dio, compresi che non potevo far altro che vivere per Lui: la mia vocazione religiosa risale alla stessa ora della mia fede».

Come ha fatto l'acqua viva a sgorgare? Si può seguire il cammino nascosto della grazia, fino al momento in cui il dono della fede irrompe nella sua anima?
Nella lettera citata e in una meditazione scritta a Nazaret, nel novembre del 1897, Charles de Foucauld racconta come a riscoperto la fede. Da questi testi ormai noti, stralcio dei brani di una sua meditazione:
«Con la forza stessa delle cose, Tu mi hai costretto ad essere casto. E ben presto, alla fine dell'inverno del 1886, ricondotto da Te a Parigi, in seno alla mia famiglia, la castità mi divenne gioia e bisogno del cuore. (...) era necessario per preparare la mia anima alla verità (...); allora Tu le ispirasti un desiderio della virtù, di una virtù pagana, e mi permettesti di ricercarla nei libri dei filosofi pagani e non vi trovai che vuoto e disgusto (...). Fu allora che mi facesti cadere sotto gli occhi qualche pagina di un libro cristiano, e me ne facesti sentire il calore e la bellezza (...). Mi facesti intravedere che in esso avrei forse trovato, se non la verità (non pensavo che gli uomini potessero conoscerla), almeno qualche insegnamento di virtù, e mi ispirasti a cercare nei libri cristiani gli ammaestramenti di una virtù completamente pagana (...). Mi concedesti che mi familiarizzassi anche coi misteri della religione (...). Nel medesimo tempo Tu serrasti sempre più i legami che mi univano ad alcune anime meravigliose; Tu mi hai ricondotto in seno a questa famiglia, oggetto di attaccamento appassionato fin dai teneri anni della mia infanzia (...). E mi ci hai fatto ritrovare, grazie a queste stesse anime, l'ammirazione di altri tempi; e ad esse hai suggerito di accogliermi come il figliol prodigo al quale non si faceva nemmeno sentire il peso di aver abbandonato la casa del padre (...). Agli inizi di ottobre 1886, dopo sei mesi di questa vita di famiglia, io ammiravo e desideravo la virtù, ma ancora non Ti conoscevo...».

« Che cosa hai escogitato, o Dio di bontà, per farti conoscere da me? .... Quel bisogno di solitudine, di raccoglimento, di sante letture, quel bisogno di entrare nelle tue chiese - io che non credevo in Te -, quel tormento dell'anima, quell'angoscia, quella ricerca della verità, la mia preghiera d'allora: "Dio mio, se esisti, fammelo sapere!" (...). Un'anima meravigliosa Ti assecondava (la cugina Maria de Bondy), ma col suo silenzio, la sua dolcezza, la sua bontà, la sua perfezione (...). Mi avevi attratto verso la virtù tramite la bellezza di un'anima, nella quale la virtù mi era apparsa sì bella (...). Mi attirasti alla verità, attraverso la bellezza di questa medesima anima».

« Tu mi facesti allora quattro grazie. La prima fu di ispirarmi questo pensiero: poiché questa creatura è così intelligente, la religione in cui essa crede così fermamente non dovrebbe essere una follia come io penso. La seconda fu di ispirarmi quest'altro pensiero: poiché la religione non è una follia, forse la verità, che non si trova sulla terra in nessun'altra religione, né in qualche sistema filosofico, dimora in essa? La terza grazia fu di suggerirmi: poniamoci a studiare, dunque questa religione; assumiamo un professore di religione cattolica, un prete istruito, e vediamo cosa ne scappa fuori e se sarà il caso di credere a quello che dice. La quarta fu la grande grazia incomparabile di indirizzarmi, per queste lezioni di religione, a M. Huvelin. Facendomi entrare nel suo confessionale, uno degli ultimi giorni di ottobre, tra il 27 e il 30, penso, Tu, mio Dio, mi hai davvero colmato di ogni bene (... ). Io chiedevo lezioni di religione: lui mi fece mettere ginocchioni e mi fece confessare, e mi spedì a comunicarmi, seduta stante... ».

Scritta due anni dopo la sua conversione, questa meditazione descrive chiaramente il susseguirsi delle tappe e delle grazie di Dio - in questo cammino di ritorno -, ma anche le debolezze e il rischio di ritrovarsi in un vicolo chiuso. La preghiera così bella, ma anche così « strana », come lui stesso la definisce: « Dio mio, se esisti fammelo sapere », ricorda la preghiera del padre dell'epilettico: « Se ti è possibile fare qualcosa, vieni in nostro aiuto ». E Gesù risponde quelle parole: « Se ti è possibile... Tutto è possibile a colui che crede ». E l'uomo riprende tosto: « Credo: vieni in aiuto alla mia poca fede ». Per quella fede nascente e per quell'umile confessione, l'uomo ottenne la guarigione di suo figlio (Mc. 9, 22-24).

Charles de Foucauld, per parecchi mesi ancora, non riesce ad andare avanti nella sua preghiera. Si è messo a cercare la fede come si cerca una certezza razionale. «Questa religione potrebbe non essere una follia... forse è la verità (... ). Mettiamoci a studiare questa religione: assumiamo un, professore di religione, un prete istruito e vediamo cosa ne scappa fuori e se sarà il caso di credere a quello che dice».

La fede non sta in fondo ad una ricerca razionale, non è il frutto di. un’evidenza intellettuale. Se essa è, da parte di Dio, un puro dono della sua misericordia, essa è pure, da parte dell'uomo, l'irruzione della luce di Dio in una intelligenza che si è aperta, sotto l'impulso di una volontà umile. Senza questo atto di sottomissione incondizionata, l'intelligenza rimane sul piano della ricerca razionale, attendendo invano che si faccia luce.

L'abate Huvelin intuì che il momento era arrivato, e che non bisognava cedere oltre a quei desideri di ricerca intellettuale, ma che bisognava fargli compiere quell'atto di umile confessione e di umile richiesta di perdono a Dio. C'era già la fede in atto, ancor prima della luce della fede.

E Charles de Foucauld si sottomise. Si inginocchiò e si confessò. E venne la grande luce. E subito dopo l’Eucaristia, il pane della vita.

Vorrei anche notare che questo accogliere la fede nell'intelligenza, dopo un atto di assenso della volontà, costituì per Charles l'esperienza spirituale di ciò che Giovanni nel suo Vangelo chiama: « fare la verità »: « Chi fa la verità, viene alla luce » (Gv. 3, 21). Questo tratto iniziale marcherà la sua fede riscoperta, di un vigore, di un bisogno, talvolta estremo, di tradursi immediatamente in opere. Più tardi, a commento di un'altra parola di Gesù: «Venite e vedete » (Gv. 1, 39), scriverà:

« Cominciate col 'venire', seguendomi, imitandomi, mettendo in pratica i miei insegnamenti, e in seguito 'vedrete', gioirete della luce, nella stessa misura del vostro praticare... 'venite et videte'; ho potuto vedere così bene la verità di queste parole, attraverso la mia personale esperienza, che mi son sentito come spinto a scrivervi questa lettera per dirvelo »

LA FEDE VIVA E OPERANTE

Quando Gesù dice: « Se mi conosceste, conoscereste anche il Padre mio. Fin d'ora voi lo conoscete e l'avete veduto » (Gv. 14,7), Gesù parla della fede, che è conoscenza verso la luce della rivelazione, di Dio quale è; conoscenza che penetra più a fondo nell'intelligenza del mistero di Dio, e che sboccia, fin da questa terra, nella contemplazione.

E quando Gesù dice: « Chi mi segue, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita » (Gv.8,12), egli parla della fede, luce ricevuta, quale ispiratrice e guida di ogni sua azione, dall'intelligenza che si è aperta umilmente al dono di Dio.

« In questa accezione - scrive fratel Charles - la vita della fede consiste nel pensare, parlare e agire, seguendo unicamente gli insegnamenti della fede, le parole e gli esempi di Gesù, spinti unicamente da motivi soprannaturali di fede; far tacere ogni suggestione della ragione umana, dell'esperienza, per logiche che possano apparirci, per poco che esse siano in disaccordo non soltanto coi dogmi della fede cattolica, ma anche con tutto ciò che la fede ci richiede di pensare, di dire, e di fare »

La fede fu intensa nell'anima di fratel Charles, e prima di tutto fu ciò che lui stesso dice: « La fede è ciò che ci fa credere dal profondo dell'anima tutti i dogmi della religione, tutte le verità che la religione c'insegna, per conseguenza il contenuto della Sacra Scrittura, e tutti gli insegnamenti del Vangelo: in una parola, tutto ciò che ci vien proposto dalla Chiesa...».

Ma prima di mettere in luce le grandi intuizioni della sua fede, vorrei far notare che in lui la, fede fu soprattutto «la luce della vita». La sua anima semplice, di uomo poco incline agli - studi speculativi, sebbene scrupoloso osservatore, amantissimo dei particolari e della precisione, costantemente portato all'azione, riceve il dono di Dio come un principio di vita.

« Chi vive di fede - così scrive - ha l'anima piena di pensieri nuovi, di gusti nuovi, di giudizi nuovi: sono nuovi orizzonti che si aprono al suo sguardo (... ). Quasi fasciato da queste verità così nuove, di cui il mondo non si dà pena, egli comincia necessariamente a vivere una vita nuova, opposta a quella del mondo, che giudica le sue azioni pura follia. Il mondo è in una notte profonda, l'uomo di fede è nella piena luce; la strada luminosa lungo la quale egli avanza non appare agli occhi degli uomini: sembra loro che egli voglia camminare nel vuoto come un folle ».

In tal modo, la fede non l'orienta tanto verso le sublimi intelligenze del mistero - com'è accaduto ai grandi mistici della Chiesa - quanto verso le verità, principi di vita. La fede cristiana, d'altronde, non è soltanto adesione alla verità rivelata, ma incontro con Dio che si rivela, e che, per colui che crede, diventa la luce del suo cammino: « Chi mi segue - dice Gesù - non cammina nelle tenebre ». Per Charles de Foucauld questo incontro ebbe una tale importanza che subito decise di appartenere totalmente a Dio. Con uno stesso atto della sua anima, crede e si dona, in modo tale che in lui fede e amore non furono mai divisi. Già nel 1889, a meno di tre anni dalla sua conversione, l'abate Huvelin volendolo raccomandare al priore dell’abbazia di Solesmes, così lo presenta: uno «che fa della religione un atto d'amore».

Leggendo le, sue meditazioni e le sue lettere, si resta colpiti nel vedere che non vi si bada tanto a fare una raccolta obiettiva di azioni o parole del Signore, come pure dei diversi atti della vita cristiana, quanto dallo sforzo costante di ricerca di «motivi per amare».

Così, meditando sulla parola del Signore: Beati i poveri, egli scrive:

«Siamo poveri di spirito, vuoti di ogni amore, di ogni attaccamento a tutto ciò che non è Dio, radicalmente vuoti di ciò che non è Lui... nulla amando di ciò che non è LUI (...); a nulla pensando di ciò che non è Lui... nulla desiderando di ciò che non è Lui. Vuoti di noi stessi e degli altri, non ricercando né il nostro bene né quello di alcuna creatura, per nostra o per altrui utilità, ma ricercando unicamente la gloria di Dio, e ricercandola in vista di Lui solo».

Alla povertà egli finisce così per dare un senso teologale, che è sì nella linea dell'amore puro, com'è affermato da san Giovanni della Croce e da tanti altri mistici. Ma è anche, per lui. volontà di «racchiudere tutto nell'amore», a suo stesso dire.

«Tu ci dici (...) con questa raccomandazione (...) che per pregarti non è necessario dirti interiormente delle parole nell'orazione mentale, ma che basta trattenersi amorosamente ai tuoi piedi, contemplandoti, avendo ginocchioni dinanzi a te tutti i sentimenti di ammirazione, di dedizione assoluta a te, di desiderio della tua gloria e di consolazione, di carità; tutto il desiderio di vederti, insomma tutti quei sentimenti che l'amore ispira (...). L'amore consiste, come c'insegna santa Teresa, non nel parlar molto, ma nell'amar Molto».

Questa tendenza a fare di ogni pensiero, di ogni atto, un atto d'amore, e a vedere tutto nella propria vita sotto l'angolo visuale dell’amore dimostra come la fede di fratel Charles fu una fede viva e operante, tutta dedita al compimento dell'opera di Dio. Lo dice lui stesso:

« L'opera di Dio è fede; la santità è fede; la volontà di Dio, la perfezione, la gloria di Dio, ciò che esige Dio in modo perfetto è fede (... ). La fede nell'anima e la fede nelle opere, l'una e l'altra insieme formano la fede vera, la fede viva».

Questo testo mostra chiaramente che per lui, la fede vera è quella che opera secondo i piani di Dio. Credere e vivere di fede, è tutt'uno per lui, perché vivere è amare. Da ciò quel suo vigore, quella forza che ebbe la sua fede, sorretta da un amore senza misura. La sua vita sta a testimoniarlo. Tutto è segnato da questo timbro: le sue meditazioni, le decisioni, i propositi che formula, le risoluzioni, le sue veglie, le sue fatiche.

Una meditazione, scritta a commento di questa parola di Gesù: «Confida, figliola, la tua fede ti ha salvata» (Mt. 9, 22), riassume molto bene il suo pensiero sul primato della fede nella vita cristiana:

« La virtù che il Signore ricompensa, la virtù che loda, è quasi sempre la fede. Talvolta elogia l'amore, talvolta l'umiltà, ma simili esempi sono rari: è la fede che quasi sempre riceve da Lui ricompense e lodi (...). Perché (...) senza dubbio perché la fede è la virtù che, se non la più grande (la carità viene prima), è almeno la più importante, perché essa è il fondamento di tutte le altre, compresa la carità, ed anche perché è la più rara (...). Avere veramente fede, la fede che ispira tutte le azioni, la fede nel soprannaturale che spoglia il mondo della sua maschera e rivela Dio in tutte le cose; che fa scomparire ogni ostacolo, che fa sì che parole come inquietudine, pericolo, paura, non abbiano più senso; che ci fa camminare, nella vita con una calma, una pace, una gioia profonda, come fanciullo che si affida alla mano della mamma; che radica l'anima in un distacco tanto assoluto da ogni cosa sensibile, di cui essa vede chiaramente il nulla e la puerilità; che dà una tale fiducia nella preghiera, la fiducia del bambino, che chiede al proprio padre cose giuste; questa fede che ci rivela che 'tolto il fare ciò che piace a Dio, tutto è menzogna' (...), oh, quanto è rara una simile fede! (...). Dio mio, donamela! Dio mio, io credo, ma aumenta la mia fede! »".

Così, per la luce della fede, colui che di essa vive riesce a vedere tutte le cose come le vede Dio, segnate dall'assoluto di Dio e dal nulla della creatura, e, per la fede, egli opera come Dio opera, partecipe, della immutabilità e della pace di Dio, radicato in un sovrano distacco da ogni cosa.

Charles de Foucauld gode nel mettere in rilievo la confidenza filiale senza limiti - l'assenza di ogni inquietudine, di ogni paura; il coraggio, la serena audacia di chi ha la fede. Applica a se stesso l'avvertimento di Gesù: « Se avrete fede quanto un granello di senapa, niente vi sarà impossibile » (Mt. 17, 20).

La fede, partecipazione della conoscenza che Dio ha di se stesso, dà all'intelligenza che l'accoglie in sé un tale senso dell'assoluto, che essa diventa, nella volontà illuminata, una forza capace di partecipare dell'invincibile forza di Dio, donde quel bisogno di andare dritti allo scopo, di spingersi fino all'estremo limite del possibile e di più questo possibile non è visto secondo le possibilità della creatura, ma secondo le possibilità del Creatore: « la fede che trasporta le montagne... » (Mc. 11, 22-23).

Per Charles de Foucauld la fede ha sempre questa tempra, come una lama d'acciaio. Per questo, certe sue parole, legate come sono alla sua vita che fu eroica, hanno una risonanza straordinaria di forza, di fede invincibile, come queste:

« Sì, Gesù basta. Dove c'è Lui, non manca niente ».

« Gesù è il maestro dell'impossibile ».

« Una delle cose che noi dobbiamo assolutamente a Nostro Signore: il non aver mai paura di niente ».

« Per la diffusione dei Vangelo, sono pronto ad andare fino agli estremi confini della terra, e a vivere fino al giudizio universale ».

« Vivi come se dovessi morire martire oggi stesso ».