giovedì 1 dicembre 2011

Quella fiamma nel cuore

Riporto per introdurre questo post dedicato a Charles De Foucauld il bellissimo "Mattutino" di oggi 1 dicembre.
Gloria a Dio che effonde calore nel cuore dei figli di Adamo. Penetra negli atrii del cuore e li infiamma. Ed ecco colui che non è tuo fratello né parente né è stato con te e non era della tua regione, appena vi siete incontrati e innamorati, prende discendenza in te, generando bimbi che sono graziosi e cinguettano sillabe.

S'intitola Matrimonio ed è uno dei canti dei Tuareg, il popolo nomade del deserto algerino, che il beato Charles de Foucauld aveva tradotto tre giorni prima del suo martirio: infatti, il 1° dicembre del 1916 veniva assassinato nel suo romitorio di Tamanrasset («Vivi come se tu dovessi morire martire oggi», aveva annotato nel suo diario). Il testo sopra citato evoca il miracolo dell'innamoramento: due persone che un'ora prima neppure si conoscevano, che erano di origini diverse, di opinioni differenti s'incontrano e tra loro scocca la scintilla misteriosa dell'amore e da loro nascerà una nuova creatura, quel bambino che reca in sé l'unità dei suoi genitori. Anche la Bibbia confessa che tra «le cose troppo ardue» da decifrare c'è «la via dell'uomo verso una giovane donna» (Proverbi 30,19). Questa realtà diventa anche il simbolo limpido dell'amore mistico, testimoniato da fratel Charles quando nelle sue pagine cantava «il nostro Sposo», Dio. Egli lo attendeva sotto il cielo stellato, lo riconosceva nel respiro del vento del deserto, lo abbracciava nella preghiera del suo eremo sotto un sole incandescente, lo cercava di duna in duna, incontrando le carovane, lo ascoltava nell'eco dei canti tuareg. Se esiste il miracolo dell'amore umano, così mirabile e invincibile, è segno che esiste Dio perché da soli non sapremmo mai creare un prodigio simile. Un prodigio che, però, possiamo ferire o annientare con l'egoismo e il male che è «sempre accovacciato alla porta» del nostro cuore (Genesi 4,7).

* * *


Nato a Strasburgo nel 1858, Charles de Foucauld restò presto orfano. Dopo un'adolescenza agiata e una turbolenta carriera nell'esercito, sentì il fascino del mondo arabo e compì viaggi di conoscenza e di studio in Marocco. A ventotto anni egli riscoprì la fede cristiana e al tempo stesso avvertì la propria vocazione: «Non appena cominciai a credere che esistesse un Dio, capii che non potevo fare altro che vivere per lui», scriverà alcuni anni più tardi. Entrato nella trappa di Notre-Dame des Neiges, egli assunse il nome di fr. Marie-Albéric ed emise i voti monastici; ma la sua ricerca di Dio nell'abbassamento e nella sequela del Cristo povero che ha preso l'ultimo posto, lo porterà a lasciare la trappa con il consenso dei superiori e a partire per la Terra Santa e più tardi per il Sahara.
Ordinato presbitero, Charles iniziò nel deserto la sua presenza silenziosa di amore universale in mezzo alle popolazioni tuareg. Il riscatto degli schiavi e la loro evangelizzazione, la traduzione dell'Evangelo nella lingua locale, l'incontro con i musulmani - come lui interamente abbandonati in Dio - segnarono gli anni trascorsi a Béni-Abbès e a Tamanrasset. Fu in quest'ultima località, in un clima di ostilità tra francesi e arabi, che Charles de Foucauld venne ucciso, probabilmente per errore, il 1° dicembre del 1916. «Vivi come se dovessi morire martire oggi», aveva scritto alcuni anni prima nel suo diario. Parabola del chicco di grano che dà frutto solo se cade a terra e muore, Charles de Foucauld - che non ebbe compagni nel suo cammino di intimità con Cristo nella sofferenza e nella morte a se stesso - troverà dopo la sua morte numerosi discepoli che come lui abbracceranno la croce di Cristo, certi di poter così abbracciare anche colui che vi fu appeso. E' stato beatificato da Benedetto XVI il 13 novembre 2005.

TRACCE DI LETTURA

Signore mio Gesù,
voglio amare tutti coloro che tu ami.
Voglio amare con te la volontà del Padre.
Non voglio che nulla separi il mio cuore
dal tuo,
che qualcosa sia nel mio cuore
e non sia immerso nel tuo.
Tutto quel che vuoi io lo voglio.
Tutto quel che desideri io lo desidero.
Dio mio, ti do il mio cuore,
offrilo assieme al tuo a tuo Padre,
come qualcosa che è tuo
e che ti è possibile offrire,
perché esso ti appartiene
.

Charles de Foucauld, Preghiera

Abbiate profondamente scolpito nel fondo dell'anima questo principio da cui tutto scaturisce: tutti gli uomini sono davvero, autenticamente fratelli in Dio, loro Padre comune, il quale vuole che si considerino, si amino, si trattino in tutto come i fratelli più teneri.

Charles de Foucauld, dal Ritiro a Efrem

PREGHIERA

Dio di amore,
nella comunione dei santi
noi oggi facciamo memoria
di Charles de Foucauld,
tuo fedele discepolo,
che ha camminato nella povertà,
nella solitudine
e nella contemplazione:
concedi a noi
di essere pervasi
dalla carità di Gesù tuo Figlio,
e di seguirlo sempre,
in ogni situazione,
perché egli è il Signore vivente
nei secoli dei secoli.

* * *

Riporto di seguito un articolo dalla rivista "30 Giorni" n. 01/02 - 2005.

Intervista con il cardinale Walter Kasper sul cristiano che, da solo, nei primi anni del Novecento, costruiva tabernacoli per «trasportare» Gesù nel deserto algerino


di Gianni Valente


Padre Charles de Foucauld nel 1902

Padre Charles de Foucauld nel 1902

Nei primi anni del Novecento, a un francese amante della letteratura e della vita avventurosa, rinomato esploratore, capitò di vivere una delle più suggestive avventure cristiane del secolo scorso. Charles de Foucauld, il monaco che da solo costruiva tabernacoli nel deserto algerino per «trasportare» Gesù in mezzo a coloro che non lo conoscevano né lo cercavano, morto ammazzato da quegli stessi tuareg tra i quali aveva scelto di vivere, nel silenzio e nella preghiera, senza aver guadagnato tra loro nessun nuovo cristiano, sarà proclamato beato dalla Chiesa entro quest’anno.
Tra le schiere sempre più folte dei canonizzati, de Foucauld sembrerebbe a prima vista appartenere alla categoria dei santi estremi, quelli che presidiano le terre di confine dell’avventura cristiana nel mondo. Eppure, la sua storia così irripetibile costituisce un dono di respiro e di conforto.
Proprio di questo 30Giorni ha dialogato con il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Che, tra le altre cose, di Charles de Foucauld è un vecchio amico.

Entro quest’anno de Foucauld sarà dichiarato beato. Nel 1905, proprio cento anni fa, giungeva a Tamanrasset, sua meta definitiva, nel deserto algerino. So che la figura di de Foucauld le è cara e occupa un posto speciale nella sua vita di cristiano e di sacerdote. Come lo conobbe?
WALTER KASPER: All’epoca in cui ero professore di Teologia all’Università di Tubinga incontravo spesso un gruppo di sacerdoti membri e amici della comunità “Jesus Caritas”, sacerdoti che seguivano la spiritualità di Charles de Foucauld. Partecipavo di regola alle loro riunioni mensili che comprendevano vari momenti: révision de vie, lettura e meditazione della Sacra Scrittura, celebrazione e adorazione eucaristica e, infine, una cena fraterna. Affascinato dalla figura di Charles de Foucauld, mi sono anche recato in Algeria, sulla montagna dell’Hoggar, dove a suo tempo lui aveva vissuto, e lì, in una semplice capanna nella solitudine della montagna, ho fatto i miei esercizi spirituali. Mi ricordo che ogni sera un topolino con gli occhietti vispi mi faceva visita per avere un po’ del mio pane. Lì a Tamanrasset ma anche altrove, ad esempio a Nazareth o qui a Roma, mi ha sempre colpito la vita delle Piccole sorelle di Charles de Foucauld, la loro vita nella povertà evangelica fra i poveri e la loro vita di adorazione eucaristica. Per capire meglio la spiritualità di Charles de Foucauld mi sono stati di grande aiuto gli scritti di René Voillaume; alcuni aspetti di questa spiritualità sono anche entrati nel mio libro Gesù il Cristo.
In quegli anni, in cui lei partecipava agli incontri dei gruppi “Jesus Caritas”, cosa la colpiva di de Foucauld? Perché trovava interessante e attuale la sua vicenda?
KASPER: Incontravo quel gruppo di sacerdoti in una casa di suore francescane un po’ fuori di Tubinga, in una regione molto bella. Mi ha commosso l’autentica spiritualità evangelica, spiritualità di Nazareth, spiritualità del silenzio, dell’ascolto della Parola di Dio, dell’adorazione eucaristica, della semplicità della vita e dello scambio fraterno. Più tardi ho compreso l’attualità e l’esemplarità della testimonianza di Charles de Foucauld per i cristiani e il cristianesimo nel mondo di oggi. Charles de Foucauld mi sembrava interessante come modello per realizzare la missione del cristiano e della Chiesa non solo nel deserto di Tamanrasset ma anche nel deserto del mondo moderno: la missione tramite la semplice presenza cristiana, nella preghiera con Dio e nell’amicizia con gli uomini.
A giudicarlo dai risultati immediati, de Foucauld sembra un perdente. Durante la sua vita nel deserto non ci furono conversioni al cristianesimo tra i tuareg. Cosa suggerisce la riproposta della sua vicenda adesso?
Il cardinale Walter Kasper

Il cardinale Walter Kasper

KASPER: Il filosofo e teologo ebreo Martin Buber ha detto che “successo” non è uno dei nomi di Dio. Anche Gesù Cristo nella sua vita terrena non ha avuto “successo”; alla fine è morto sulla croce e i suoi discepoli, tranne Giovanni e sua madre Maria, si sono allontanati e lo hanno abbandonato. Umanamente parlando, il Venerdì santo è stato un fallimento. L’esperienza del Venerdì santo fa parte della vita di ogni santo e di ogni cristiano. Questa constatazione può essere un conforto per molti sacerdoti che soffrono per la mancanza di un successo immediato, perché nel nostro mondo occidentale, malgrado tutti gli sforzi pastorali compiuti, le chiese sono sempre più vuote la domenica e la società più scristianizzata. Molti hanno l’impressione di predicare a orecchie sorde. In tale difficile situazione, l’esempio di Charles de Foucauld può essere di grandissimo aiuto a molti sacerdoti.
In che modo si esprime questo aiuto?
KASPER: Possiamo imparare che non si tratta della nostra missione o, per così dire, della nostra impresa missionaria, di un’egemonia culturale o di un allargamento di un impero ecclesiale con strategie sofisticate e perfezionate di pedagogia, psicologia, organizzazione o qualsiasi altro metodo. Certo, noi dobbiamo fare ciò che possiamo e possiamo anche avvalerci di metodi moderni. Ma alla fine si tratta della missione di Dio tramite Gesù Cristo nello Spirito Santo. Noi siamo solo il recipiente e lo strumento tramite il quale Dio vuole essere presente; alla fine è Lui che deve toccare il cuore dell’altro; solo Lui può convertire il cuore e aprire gli occhi e le orecchie. Così, nella presenza, nella preghiera, nella vita semplice, nel servizio e nell’amicizia umana, come quella che ha vissuto Charles de Foucauld con i tuareg, il Signore stesso è presente e operante. Dobbiamo affidarci a Lui e a Lui lasciare la scelta di come, quando e dove vuole convincere gli altri e radunare il suo popolo.
Questo era ciò che de Foucauld aveva visto accadere nella propria vicenda personale.
KASPER: In una meditazione del novembre 1897 scrive: «Tutto ciò era opera tua, Signore, e tua soltanto... Tu, mio Gesù, mio salvatore, tu facevi tutto, nel mio intimo come al di fuori di me. Tu mi hai attirato alla virtù con la bellezza di un’anima nella quale la virtù mi era parsa così bella da rapire irrevocabilmente il mio cuore... Mi hai attirato alla verità con la bellezza di quella stessa anima». Certamente non possiamo fare di Charles de Foucauld l’unico modello di missione per tutte le situazioni; ci sono anche altri santi esemplari, come ad esempio Francesco Saverio, Daniele Comboni e molti altri, che rappresentano un altro tipo e un altro carisma missionario. Le situazioni missionarie sono svariate e così anche le sfide e le risposte. Nondimeno Charles de Foucauld mi sembra essere un modello per la missione non solo nel deserto fra i musulmani ma anche nel deserto moderno. È emblematico che Teresa di Lisieux sia stata proclamata patrona delle missioni, lei, una giovane suora carmelitana, che non ha mai lasciato il Carmelo e non è mai stata in un Paese di missione; eppure ella ha promesso di lasciare cadere una pioggia di rose dal cielo dopo la sua morte.
Il deserto di Tamanrasset in Algeria

Il deserto di Tamanrasset in Algeria

I richiami alla missione risuonano tutt’altro che rari. Eppure suonano spesso astratti se non addirittura logoranti.
KASPER: Anche noi cristiani siamo figli del nostro tempo; vogliamo pianificare, fare, organizzare, controllare i risultati... Charles de Foucauld ci suggerisce un approccio diverso: imitare e vivere la vita di Gesù a Nazareth. Ci si potrebbe domandare: Gesù, trent’anni di vita nascosta a Nazareth su trentatré, era forse tempo perduto questo? In realtà, proprio la realtà quotidiana, la realtà ordinaria è il vero spazio pubblico dove si manifesta il dono della vita cristiana. A questo proposito possiamo ricordare un passaggio importante della costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, al paragrafo 31, dove il Concilio parla della missione dei laici e dice che i laici sono fedeli che vivono nel secolo, cioè nelle condizioni ordinarie quali il lavoro e le altre attività giornaliere. «Lì, nelle condizioni ordinarie della loro vita quotidiana, rendono visibile Cristo col fulgore della fede, della speranza e della carità». Talvolta abbiamo l’idea sbagliata che per essere un laico impegnato nella missione si debba essere un impiegato ecclesiastico, che per quanto è possibile partecipa ai compiti del sacerdote, si fa attivamente visibile nella liturgia, eccetera. Ma la cosa più importante è vivere il Vangelo nella vita quotidiana, nella preghiera, nella carità, nella pazienza, nella sofferenza, essere fratello di tutti ed essere convinto – come dice san Paolo – che la stessa Parola di Dio, se accolta e vissuta da noi, corre e convince.
In tanti riconoscono che i cristiani sono diventati minoranza. Ma dicono che proprio per questo occorre darsi da fare, essere creativi, ravvivare la nostra azione. La convince questa impostazione?
KASPER: Mi convince sì e no. Sì, se i cristiani si risvegliano, diventando consapevoli della loro condizione, delle nuove sfide e della loro missione. Non possiamo accontentarci dello status quo e continuare come se nulla fosse. Ciò vale soprattutto per l’Europa occidentale, che vive in una profonda crisi di identità, mentre una volta era chiaramente segnata dal cristianesimo. L’Europa deve risvegliarsi dalla sua indifferenza, che è una falsa tolleranza. Ma, d’altro canto, c’è il rischio di comportarsi come propagandisti di una lobby minoritaria ovvero settaria. In questo senso, no al fanatismo militante come lo incontriamo in molte vecchie e nuove sette, che sono diventate oggi una nuova sfida ovunque nel mondo. Soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II, occorre uno stile dialogante, cioè un atteggiamento di rispetto anche verso coloro che vengono definiti lontani, che conservano magari un legame tenue, ma resistente, con la Chiesa, e un atteggiamento di rispetto verso la cultura moderna, la cui legittima autonomia è riconosciuta dallo stesso Concilio. Non vogliamo e non possiamo imporre la fede, che per sua natura non può essere imposta; vogliamo – come dice il Concilio Vaticano II nella costituzione pastorale Gaudium et spes al paragrafo 1 – condividere le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, e, tramite tale vita di condivisione, dare testimonianza della nostra fede.
Charles de Foucauld mi sembrava interessante come modello per realizzare la missione del cristiano e della Chiesa non solo nel deserto di Tamanrasset ma anche nel deserto del mondo moderno: la missione tramite la semplice presenza cristiana, nella preghiera con Dio e nell’amicizia con gli uomini
E in questo c’entra de Foucauld?
KASPER: Questo atteggiamento era tipico di Charles de Foucauld. Basti pensare alla sua amicizia con i tuareg, e soprattutto con il loro capo Musa ag Amastan. Egli non faceva nulla per convincere e fare proseliti. Il massimo che poteva fare era rendere avvicinabile Cristo stesso, portando il tabernacolo nel deserto. Ma poi non ideava strategie elaborate. Viveva semplicemente la sua vita di preghiera e lavoro. Solo dopo la sua morte ha trovato seguaci, seguaci che vivono oggi fra i più poveri condividendone le esperienze quotidiane.
Negli ultimi tempi, nelle discussioni in merito alle radici cristiane dell’Europa, anche alcuni pensatori laici hanno rimproverato la Chiesa di timidezza nel difendere e proporre verità e valori. Come giudica queste accuse? E cosa ne direbbe de Foucauld?
KASPER: L’accusa mossa spesso contro la Chiesa nel suo insieme non è certamente fondata; il Papa e molti episcopati europei si sono espressi chiaramente e vigorosamente a favore dell’identità cristiana in Europa. Ma allo stesso tempo è vero che in alcuni ambiti e circoli all’interno della Chiesa esiste una certa timidezza e debolezza nel difendere e proporre la verità e i valori cristiani. Tale atteggiamento scaturisce spesso da una fede fragile che ha perso le sue certezze, la sua determinazione, che confonde la tolleranza con l’indifferenza. Charles de Foucauld non ha declamato grandi slogan: il suo comportamento è nato da una convinzione del tutto diversa. Egli è partito da una fede solida e vissuta, che in sé stessa, anche senza grandi parole, era una testimonianza forte e coraggiosa, ma anche umile, del messaggio cristiano e dei suoi valori. Senza pretese di possesso, senza atteggiamenti di sfida. Alla fine del 1910 scrive: «Gesù basta. Là dove egli è, nulla manca. Chi si appoggia a lui è forte della sua forza invincibile». Una testimonianza così può indurre gli altri a riflettere, a porsi domande, può suscitare ammirazione e, se Dio concede la grazia, anche il desiderio di condividere questa vita secondo i valori cristiani. Difatti, la nostra difesa dell’identità cristiana dell’Europa sarà convincente solo se viviamo i valori che difendiamo. Non sono le parole, è la vita che convince. Scriveva a de Foucauld il suo maestro spirituale, padre Henri Huvelin, in una lettera del 18 luglio 1899: «Si fa del bene con quello che si è, ben più che con quello che si dice... Si fa del bene quando si è di Dio, si appartiene a Lui!». E quando questo accade, non occorre inventarsi altro. Basta «rimanere dove si è, lasciar penetrare, crescere e consolidare nell’anima le grazie di Dio, difendersi dall’agitazione».
Anche le richieste di perdono per i peccati passati sono state giudicate da alcuni come espressione di debolezza. Lei cosa dice in merito, alla luce della figura di de Foucauld?
KASPER: Charles de Foucauld aveva ragione a chiedere perdono per la sua vita sprecata prima della sua conversione. Egli ci mostra che un nuovo inizio è sempre possibile, per grazia divina. Anche noi in ogni celebrazione eucaristica iniziamo con un atto penitenziale; questo sarebbe completamente impensabile in un raduno di partito, di un’azienda o di una qualsiasi altra associazione. Così facendo, esprimiamo la nostra debolezza, il che è un atto di sincerità, ma allo stesso tempo manifestiamo la forza del messaggio cristiano della misericordia e del perdono, cioè della possibilità che Dio possa realizzare un cambiamento e dare un nuovo inizio anche a una storia umanamente senza via d’uscita e senza speranza. De Foucauld in una sua meditazione scrive: «Non c’è peccatore così grande, né criminale così incallito, al quale tu non offra ad alta voce il Paradiso, come l’hai dato al buon ladrone, al prezzo di un istante di buona volontà». Chiedere perdono non è dunque una debolezza ma una forza; è espressione di una speranza che non dimentica, non rinnega né sconfessa il passato e che allo stesso tempo non si sente incatenata al passato e può guardare al futuro. Chiedere perdono è espressione della libertà cristiana, libertà che noi conosciamo in Cristo. Chiedere perdono non è un atto politically correct, ma ha a che fare con la natura della Chiesa e con il suo messaggio.
De Foucauld con alcuni tuareg nel deserto di Tamanrasset

De Foucauld con alcuni tuareg nel deserto di Tamanrasset

I tuareg dell’Algeria cosa hanno in comune con noi uomini delle realtà urbane?
KASPER: De Foucauld porta Gesù Cristo tra «coloro che non lo cercano». Non è sbagliato dire che, sotto alcuni aspetti, la situazione dei tuareg dell’Algeria è simile a quella dei nostri contemporanei nella realtà urbana, ovvero alla nostra stessa situazione, anche se esteriormente la differenza è eclatante; da loro si tratta di povertà materiale, da noi di povertà spirituale. Il deserto è certo diverso. Ma il punto comune consiste nel fatto che né loro né noi siamo veramente “a casa” in nessun luogo; siamo in cammino, siamo nomadi. Abbiamo inoltre in comune una certa letargia. Spesso vaghiamo senza una meta precisa e una solida speranza. Siamo dunque un popolo presso cui la predicazione del Vangelo e la conversione sono difficili. In questa situazione, Charles de Foucauld ci dà una risposta profetica ma anche esigente, in fondo l’unica risposta possibile: una vita evangelica che manifesta l’alternativa profetica del Vangelo, rendendolo nuovamente interessante ed attraente. Così Charles de Foucauld è una figura luminosa, e può essere anche un valido contrappeso di fronte al pericolo di un imborghesimento e di una noiosa banalizzazione della Chiesa.
I poveri sono per de Foucauld i destinatari prediletti della promessa di Cristo. Non le sembra che la percezione della predilezione dei poveri si sia appannata?
KASPER: I poveri e i piccoli sono secondo Gesù i prediletti di Dio e i destinatari preferiti della sua evangelizzazione. Anche san Paolo ci dice che nelle comunità primitive vi erano pochi ricchi, pochi sapienti, pochi potenti e pochi nobili. Il Concilio Vaticano II ha riscoperto e ribadito questo aspetto; dopo il Concilio si è molto parlato dell’opzione preferenziale per i poveri. La teologia della liberazione si è ispirata a questo messaggio, ma a volte lo ha strumentalizzato a scopi ideologici; così facendo, è divenuta ambigua. Ciò non significa però che il messaggio non sia più valido e attuale. Al contrario. La grande maggioranza dell’umanità vive attualmente al di sotto della soglia di povertà, e questo è vero soprattutto in Africa, dove Charles de Foucauld ha vissuto, fra i poveri. Ci auguriamo allora che la sua beatificazione riproponga in un senso assolutamente non ideologico l’urgenza di affrontare la sfida della povertà, sia materiale che spirituale, e ci mostri la risposta evangelica, da lui vissuta in modo esemplare, che il mondo odierno deve dare.