lunedì 14 maggio 2012

Sullo Spirito "Consolatore" - 1


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Approfondimenti del Vangelo di oggi, 14 maggio,
 lunedi della VI settimana di Pasqua.


1. Cardinale Joseph Ratzinger [Papa Benedetto XVI]
Der Gott Jesu Christi (Il Dio di Gesù Cristo)

« Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome»


A differenza delle parole “Padre” e “Figlio”, il nome dello Spirito Santo, la terza persona divina, non è l’espressione di una specificità; esso designa invece ciò che è comune a Dio. Ora proprio in questo consiste ciò che è “proprio” alla terza persona: Lei è “ciò che è in comune”, l’unità del Padre con il Figlio, l’Unità in persona. Il Padre e il Figlio sono una cosa sola nella misura in cui vanno oltre se stessi; sono una cosa sola in quella terza persona, nella fecondità del dono. Tali affermazioni non potranno mai essere altro che dei modi di avvicinarci; non possiamo riconoscere lo Spirito se non nei suoi effetti. Pertanto la Scrittura non descrive mai lo Spirito Santo in sé; parla soltanto del modo in cui egli viene verso l’uomo e in cui si distingue dagli altri spiriti...

Giuda Taddeo chiede: “Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi a non al mondo?” la risposta di Gesù sembra passare accanto alla richiesta: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.” In verità, questa è proprio la risposta esatta alla domanda del discepolo e alla nostra domanda riguardo allo Spirito. Non si può esporre lo Spirito di Dio come una merce. Solo chi lo porta in sé, lo potrà vedere. Vedere e venire, vedere e dimorare vanno di pari passo e sono inscindibili. Lo Spirito dimora nella parola di Gesù e non si ottiene la parola mediante discorsi, bensì mediante la costanza, mediante la vita.
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Ratzinger - Benedetto XVI. SPIRITO DELLA VITA - SPIRITO NELLA CARNE


SPIRITO DELLA VITA - SPIRITO NELLA CARNECon la nuova vetrata raffigurante la Pentecoste (È l'ultima grande vetrata colorata, in stile gotico, che Josef Ober-berger ha realizzato nel 1988 nella navata nord della cattedrale di San Pietro, duomo di Regensburg) , il segreto di questo giorno è divenuto visibile e presente nel nostro duomo in modo assai vivo. Tuttavia, chi guarda solo superficialmente non vi riconoscerà nulla dell'avvenimento della Pentecoste, vi troverà solo la quasi terrificante ed enigmatica maestà del Dio eterno, Creatore e Padre. Guardando invece più da presso, si riconosce che questo Dio non è solo distante, inviolabile maestà, bensì che da Egli proviene un moto, un discendere, che è un inchinarsi all'amore, per incontrarlo, un moto che crea scendendo un nuovo fermento nella comunità e unisce tutto nella sfera dell'amore celeste. Dal Padre discende il Figlio, e da questi lo Spirito Santo, che scende sugli uomini sotto f orma di lingue di fuoco. L'immagine di un gran numero di fiamme ci dice che lo Spirito si moltiplica e nello stesso tempo è sempre uno; Esso si estende, avvolge gli apostoli, si innalza e solleva ancora una volta la creazione caduta, nell'unità dell'amore di Dio che crea e che salva.
Nella dinamica di questa raffigurazione è così compreso il significato di questo giorno - il mistero dello Spirito Santo - che nessuno può riconoscere e vedere da solo. Chi diventa per così dire specialista nello Spirito Santo, chi vorrebbe isolarlo e una volta isolato studiarlo, non si troverà mai al suo cospetto; non potrà toccarlo con la propria anima. E dunque lo Spirito Santo vive solo nel circolo di quel triplice amore, che crea e insieme si fa creatura. Esso è solamente in questo grande movimento, nel farsi uno dentro l'altro e uno verso l'altro di Padre, Figlio e Spirito, nel loro trasfondersi nella Creazione - e solo attraverso ciò nói presagiamo qualcosa del mistero della sua grandezza e della sua vicinanza.
Ciò che di essenziale e fondamentale significa la vetrata della Pentecoste ci sarà chiaro se ascoltiamo attentamente le letture di oggi. Paolo si rivolge ai Corinzi, che sono alla ricerca di una religione dello spirito, anzi sono addirittura avidi di sempre nuove sensazionali rivelazioni. Ma proprio in questo modo essi non trovano lo Spirito Santo, anzi si affannano reciprocamente in gelosie e contrasti. Ora, Paolo da loro alcune semplici regole su come distinguere lo Spirito di Dio dal non-spirito dell'uomo, dal proprio spirito. La prima regola, essenziale e fondamentale, è che «nessuno può dire: "Gesù è il Signore" se non in virtù dello Spirito Santo» (1 Co 12,3). Queste parole: «Gesù è il Signore» sono la formula fondamentale della professione di fede della Chiesa. Secondo il suo uso linguistico, la parola ebraica «signore» indica la professione della divinità di Gesù Cristo. Il Credo della Chiesa è nient'altro che lo svolgimento di ciò che si dice con queste parole. In ogni loro sviluppo, il Credo della Chiesa è uno e identico. Di questa professione di fede ora Paolo ci dice che si tratta proprio della parola e dell'opera dello Spirito Santo. Il Credo è per così dire la parola che Esso ha creato, in cui troviamo la risposta al discorso di Dio; Egli abita in esso. Se vogliamo essere nello Spirito Santo, dobbiamo aderire a questo Credo. Abitando in esso, facendolo nostro, accettandolo come nostra parola, accediamo alla casa e all'opera dello Spirito Santo. Questo significa che lo Spirito è per sua natura verità e che la verità è una sola. Che quindi la verità non separa, ma unisce. La sua caratteristica è allora proprio quella di unire. È lo Spirito a darci quella verità che cerchiamo invano. Certo, molti possono conoscerla, ma di fronte alle verità fondamentali - di fronte alla domanda su chi siamo noi nel profondo, da dove veniamo, chi è Dio e come si comincia a essere veramente uomini - di fronte a queste verità fondamentali siamo ciechi. Comprendere ci è impossibile. Pertanto, o gli uomini ritirano la loro richiesta di verità e si dispongono a vivere solo nella contingenza e nell'esteriorità - ma in questo modo sprofondano in un infinito vuoto intcriore, perché il nostro essere ha sete di verità. Oppure si procurano una risposta per conto proprio, che però si ritorcerà sempre contro. Lo Spirito Santo è la verità. Qui non si tratta di quante cose si possano sapere di lui; si tratta piuttosto dell'unica e decisiva cosa che viene detta nella professione di fede della Chiesa: chi è Dio. «Gesù è il Signore.» Ciò significa: così è Dio. Questo è il suo volto. Dio si mostra in Gesù e con ciò ci concede la verità essenziale -con la conoscenza di Dio la verità su noi stessi. Penetrare questa parola che non noi abbiamo creato, la Sua parola, è la Pentecoste. Recitando il Credo ed eseguendolo nei nostri cuori con il coro, penetriamo ciò che avvenne nella prima Pentecoste: dallo scompiglio di Babele, da quelle voci che strepitano una contro l'altra, la molteplicità si fa multiforme unità, dal potere unificatore della verità cresce la comprensione. Nel Credo che ci unisce da tutti gli angoli della Terra, che fa in modo che mediante lo Spirito Santo ci si comprenda pur nella diversità delle lingue, attraverso la fede, la speranza e l'amore si forma la nuova comunità della Chiesa di Dio.
Nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato, San Giovanni conduce il medesimo pensiero in una direzione appena diversa. Egli ci dice che la Pentecoste comincia in realtà già a Pasqua con la prescrizione del Signore risorto. Il suo respiro, il suo soffio, è il respiro di Dio. Lo Spirito Santo e la sua parola, ciò che con essi ci viene dato, è il perdono. Emerge qui, ancora una volta, che lo Spirito è verità. Allora la verità consiste nell'aver bisogno del perdono. Una comunione concorde tra gli uomini può darsi in generale solo sotto la Grazia del perdono. La verità è che siamo colpevoli, che siamo peccatori e che possiamo vivere solo se Dio è perdono, solo se ci viene perdonato. Anche di fronte a questa verità siamo in parte consapevoli e in parte ciechi. Due noti psicologi hanno parlato di «incapacità di portare il lutto»2, vale a dire di incapacità di pentirsi; dell'incapacità di riconoscere che siamo noi stessi, non gli altri né le strutture sociali, a non farci vivere più giustamente. Ma possiamo riconoscere la verità della colpa - del nostro peccato - solo se ci viene concesso dal miracoloso amore di Gesù Cristo quel perdono che ha il potere di trasformare. Esso ci rigenera. E così ora, alla prima parola dello Spirito - Gesù è il Signore -, possiamo aggiungerne una seconda: «In verità vi dico», come il Credo della professione di fede in Gesù Cristo è la nuova parola attraverso la quale lo Spirito Santo da sempre rigenera la Terra; la trasformazione a cui siamo chiamati, per cui anche oggi è Pentecoste.
Possiamo riunire entrambi i pensieri, quello di Paolo e quello di Giovanni, in un'unica formula e dire: lo Spirito Santo è il soffio di Gesù Cristo. Siamo dunque presso lo Spirito Santo se viviamo, per così dire, così prossimi a Gesù da percepirne il respiro. A questo punto emerge la connessione tra creazione e redenzione: in principio il soffio divino fece l'uomo dal fango; il soffio di Gesù Cristo, di uomini infangati, ripiegati su sé stessi e incapaci di sollevarsi, fa degli apostoli, dei discepoli, degli uomini che vivono, nei quali vivono fede e amore.
Se tuttavia riflettiamo a ciò che intendiamo abitualmente con Pentecoste e Spirito Santo, dobbiamo dire che il nostro primo pensiero è un altro. Riteniamo che una fede basata sullo Spirito Santo dovrebbe sgorgare esclusivamente dal cuore, che non dovrebbe conoscere dogmi e comandi, uffici e gerarchie, burocrazia e amministrazione, ma essere bensì solo Spirito e verità. Questa è l'illusione che da sempre associamo alla Pentecoste: che lo Spirito spazzi via tutto questo e ci conduca a un religione dello spirito, pura e libera. Chi crede questo (quasi tutti) misconosce la natura umana, perché l'uomo non è affatto puro spirito. Ciò cheè notevole è l'idea che Dio ha dell'uomo - che egli è spirito nella carne e carne attraverso lo spirito; che in lui vive l'unità della creazione; che lo spirito penetra la materia e ne trae un po' della sua forza, della sua vitalità, della sua pienezza; e che viceversa lo spirito colma la materia, sì che essa sia illuminata e rischiarata dalla Grazia della conoscenza. Dove carne e spirito sono separati, la carne si riduce a mero corpo e lo spirito a freddo calcolo, mera funzionalità. Questa scissione del mondo è la grande tentazione, la grande urgenza del nostro tempo. Perché oggi abbiamo esperienza proprio di ciò, che la carne è maneggiata ormai come corpo, che si può ormai fare, produrre, fabbricare in laboratorio e che al momento giusto, quando non ha più alcun valore, viene eliminato. Tale decadimento della carne a mero corpo si mostra col venir meno del rispetto di fronte al suo inizio e alla sua fine, perché non sussiste più quell'unità. Nello stesso tempo, qui si mostra anche il degrado dello spirito che è ormai solo calcolo e azione, perché non è più parte di quell'unità che Dio gli ha prescritto. È vero, Gesù stesso dice: «Lo Spirito soffia dove vuole». E così fa Egli. Lo Spirito irromperà ancora, di nuovo e inaspettatamente, trovandosi là dove non l'avevamo programmato e dove forse non ci piace. Qualche tempo fa, in una regione del Nord molto «versata» in fatto di psicologia e sociologia, è stato spiegato perché non potrà mai più esserci un movimento di rinascita religiosa. In realtà è accaduto poco dopo. Perché lo Spirito ha potenza, e oggi e sempre porta sorprendentemente nuovi uomini sotto la luce di Gesù Cristo; oggi e sempre succede l'inaspettato, l'apparentemente impossibile. «Lo Spirito soffia dove vuole.» Il che però non vuoi dire disordine e anarchia, poiché il Signore aggiunge: «Se uno non è nato dall'acqua e dallo Spirito, non può entrare nel Regno di Dio» (Gv 3,5). Lo Spirito si trasmette attraverso l'acqua, attraverso la fonte che sgorga dal fianco ferito di Gesù, dal suo cuore aperto. Esso si trasmette attraverso la personificazione della Chiesa e dei suoi sacramenti. Sulla croce, dopo la morte, il Signore non ha lasciato la propria carne, come qualcosa che avesse esaurito il suo ufficio e che poteva putrefarsi nella tomba, ormai priva di importanza. No, egli l'ha portata con sé, l'ha trasfigurata, mostrandoci così che lamateria ha qualcosa di divino, di eterno; che può trasformarsi e che Dio vuole realizzare l'unità di tutto il creato proprio attraverso questa sua creatura, l'uomo. Con i sacramenti si dona a noi lo Spirito. Perciò Agostino ha utilizzato queste audaci parole: «Tanto uno ha in sé dello Spirito Santo, tanto egli ama la Chiesa». La Chiesa nella sua più profonda verità, che non è amministrazione o burocrazia, che pure devono esserci ma che non sono l'essenziale. La Chiesa che è la risposta del Credo, il «sì» della fede; la Chiesa che è parola di perdono. La Chiesa è culto di Dio e Grazia del sacramento, nel quale lo Spirito si partecipa a noi corporalmente e Cristo attraverso lo Spirito di nuovo si fa carne in mezzo a noi. Certo vorremmo fuggire di nuovo la carne, perché vediamo quanto fango c'è al suo posto. Ma proprio questo è il dramma dello Spirito Santo, il dramma della Chiesa e anche il nostro: lo sforzo di trarre lo Spirito dal fango. E non è rifuggendo il fango che ci facciamo Spirito, non in questo modo rendiamo la Chiesa spirituale, nuova e libera, ma solo sopportando il fango che è in noi e negli altri; sottoponendolo alla nuova forza vitale, al respiro di Gesù Cristo, nello Spirito Santo che ancora oggi trasforma il mondo.
Lo Spirito Santo, di alcuni uomini fecondi fece degli apostoli. Preghiamo dunque il Signore, che ci doni anche oggi la Grazia dello Spirito. Che tocchi il fango che è in noi e che la Chiesa si faccia vivente e venga la Pentecoste nel nostro tempo.

Amen.
Omelia del Card. J. Ratzinger nel Duomo di Regensbrurg, 14 Maggio 1989
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Ratzinger - Benedetto XVI. L'intelletto, lo spirito e l'amore.




Vale davvero la pena, nelle solennità, fermarsi un po' sul loro senso e riflettere così sul significato della propria esistenza, sulle sue irrequietezze, speranze ed angosce, o si tratta unicamente di un'abitudine borghese, del desiderio di un po' di fronzoli, di una devota trasfigurazione della vita, rifacendosi a tempi passati che si dovrebbero definitivamente abbandonare? Senza dubbio, per molti la pentecoste non è altro che il nome di un lungo fine settimana. Dal meccanismo dei giorni feriali si passa a quello del tempo libero, che può essere pericoloso per la vita, non meno febbrile ed eccitante di quello di tutti i giorni, ma offre il vantaggio del divertimento l'illusione forse della libertà, forse addirittura veri momenti di elevazione e di contentezza. Ora, sarebbe stolto guardare ironicamente al fine settimana ed alla libertà: ognuno di noi è contento dello spazio di libertà, che qui si presenta, sebbene siano molto divergenti i punti di vista sul come sfruttare nel modo migliore questo tempo. É ovvio che chi vive coscientemente non potrà accontentarsi di passare passivamente dal lavoro al tempo libero e dal tempo libero al lavoro; egli dovrà, di quando in quando, fermarsi e chiedere in che direzione si muovono la sua vita, dove sono dirette tutte le cose, gli uomini ed il mondo. Egli dovrà assumersi un po' di responsabilità per questo movimento e per la sua direzione e non potrà limitarsi a partecipare semplicemente all'offerta consumistica, che costantemente si diffonde, senza chiedersi da dove essa viene e dove va. Così, per chi vive coscientemente, il riflettere sul significato della festa non sarà certo così deplorevolmente fuori moda ed inutile come parrebbe sembrare in un primo momento. Quando sul calendario vediamo segnata la pentecoste, potremmo anzitutto ricordarci che questa festa ha in qualche modo a che fare con ciò che noi chiamiamo «spirito». Anche colui, per il quale l'aderire alla fede cristiana è divenuto difficile, sarà così sollecitato ad una qualche riflessione. Che cosa vuol dire propriamente questa parola «spirito»? Oggi incontriamo uno spirito soprattutto nel senso di calcolo, di sapere immagazzinato, che si può ottenere dai computers ed usarne, nel senso di una progettazione che ci fa parti di un gigantesco apparato, che nessuno più controlla. È un meccanismo che avanza e trasforma l'uomo stesso, come il suo futuro, in un fattore sempre più calcolabile di un ampio tutto. Quando udiamo questo e vediamo perciò venire verso di noi le prospettive del futuro, di un mondo matematizzato, nel quale saranno affogati gli ultimi resti del romanticismo, in tutte le speranze ed in tutte le attese avvertiamo allora qualcosa di sospetto. Sebbene non possiamo disconoscere le utilità, le comodità, le promesse, gli aspetti sublimi e liberanti che ci sono giunti dalla razionalizzazione del mondo, ci riesce spontaneo comprendere voci come quella di Jean Rostand: «Provo tanta paura di fronte alla scienza della natura, perché credo soltanto in essa» o di Henri Bergson che, alla vista dell'imménso sviluppo tecnico del nostro secolo, pensava che l'umanità avesse «un corpo troppo grande per la sua anima». Sorge allora il problema: la realtà «spirito» si esaurisce veramente in ciò che abbiamo poc'anzi descritto o va oltre? Esiste uno spirito solo nella forma «positiva», del computer o anche nel senso di ciò che Bergson definisce anima? Si può forse dire, addirittura, che ci veniamo a trovare dinanzi alla peculiarità di ciò che si definisce ed è spirito, dinanzi al fatto determinante e salvante, quando si giunge allo spirito immagazzinabile in computers? A questo punto, viene toccata la soglia della decisione, alla quale ci vuol invitare la pentecoste: anzitutto, una decisione si esige per passare dal fine settimana alla festa, dal semplice servirsi della macchina consumistica ad una attenta riflessione in tal senso. Ed una decisione si esige anche per superare lo spirito constatabile di una scienza della pianificazione, per giungere a qualcosa di più grande, che sicuramente è anche più nascosto. Pierre Henri Simon suggerisce che sarebbe meglio chiamare intelletto, e non spirito, tutto ciò che abbiamo sin qui descritto: lo intelletto è allora la somma delle forze recettive, logiche e pragmatiche della coscienza. Lo spirituale, nel senso vero del termine, rivela invece l'ordine dei valori al di là dei fatti, la libertà al di là delle leggi, un'esistenza che pone la giustizia al di sopra dell'interesse. Uno spirito così inteso non può più esser calcolato ed immagazzinato. Es-so ammette l'imprevedibile: è un atteggiamento «che realizza la felicità dell'ego, spezzando l'egoismo», e può essere raggiunto solo nella decisione del cuore, di tutto l'uomo. Una volta giunti però a questa soglia, non si è ancora colto il messaggio cristiano della pentecoste. Infatti, una tale decisione dello spirito contro il puro positivo può essere pronunciata anche da non cristiani ed è, di fatto, diffusa fra l'umanità. Tuttavia, abbiamo forse toccato qui il punto in cui può sorgere per l'uomo d'oggi ciò che la fede cristiana dice dello spirito creatore, che rinnova la terra. Agli occhi della maggior parte dei contemporanei, sovente persino di coloro che vogliono credere cristianamente, il messaggio pentecostale della Bibbia e di coloro che lo predicano appare come un ebbro barbugliare, come l'incomprensibile balbettio di visionari che non si sono ancora accorti che siamo entrati nella viva luce dell'era moderna, dove non c'è più posto per cose del genere. È difficile capire che, in definitiva, la realtà pentecostale si incontra nel confronto tra «positivo» e «spirituale», tra uomini che servono soltanto agli apparecchi ed uomini che, malgrado tutto, credono alla contemplazione ed all'amore, alla verità ed alla stabilità dei valori. In fondo, ci troviamo oggi dinanzi al problema di sapere se l'umanità possa esser salvata dal perfezionamento degli «apparecchi», o se abbia ancora valore l'affermazione di Pascal «che tutti i corpi e tutti gli spiriti e tutto ciò che questi possono generare non valgono tanto quanto il più piccolo impulso d'amore...» . Ma chiediamoci finalmente: qual è il vero e proprio significato cristiano della pentecoste? Che cosa si intende per lo «Spirito Santo» di cui parla quel messaggio? Gli Atti degli apostoli ce lo spiegano con un'immagine; e non ci si potrebbe forse esprimere diversamente, perché la realtà di questo Spirito si sottrae completamente alla nostra comprensione. Gli Atti raccontano che gli apostoli furono toccati da lingue di fuoco ed incominciarono, quindi, a parlare in un modo che agli uni (ai «positivi») apparve come ubriachezza, come chiacchiere insensate ed inutili, mentre gli altri, persone provenienti da tutto il mondo allora conosciuto, li udirono ciascuno parlare nella propria lingua. Lo sfondo di questo testo è costituito dalla descrizione veterotestamentaria della costruzione della torre di Babele; con l'aiuto di quel passo, gli Atti degli apostoli delineano un quadro di grande efficacia. Il racconto veterotestamentario riferisce che gli uomini, nell'arbitrarietà del loro progresso, cercarono di innalzare una torre che raggiungesse il cielo; ciò vuole dire che essi credettero, con le loro costruzioni e le loro pianificazioni, di gettare i ponti fino al cielo, di rendere accessibile il cielo con le sole loro forze, di poter trasfor-mare l'uomo in divinità. Il risultato fu la confusione delle lingue. L'umanità che cerca solamente se stessa, che cerca di ottenere la sua salvezza nella soddisfazione dell'insorgente egoismo di ognuno, cade in una radicale contrapposizione, dove nessuno più capisce il vicino. E, con la fine della comprensione, rimane insoddisfatto anche l'egoismo. Il racconto della pentecoste, che troviamo nel Nuovo Testamento, riprende questo pensiero; anche qui si è del parere che la condizione presente dell'umanità è la disunione, l'essere l'uno accanto all'altro e l'uno contro l'altro. Questo è dovuto alla divinizzazione di se stessi, per cui tutto cade in una falsa prospettiva, di modo che alla fine l'uomo non capisce più né Dio, né il mondo, né l'altro, né se stesso. Lo «Spirito Santo» crea comprensione, perché è l'amore che proviene dalla croce, dall'autorinuncia di Gesù Cristo. Non è necessario tentare qui di ripensare dettagliatamente i nessi dogmatici, che si presentano a questo proposito. Per il nostro contesto può essere sufficiente ricordare l'espressione con cui Agostino provò a riassumere il nucleo del racconto pentecostale: La storia del mondo -egli dice - è una lotta tra due diversi amori : amore di sé fino all'odio di Dio ed amore di Dio fino all'abbandono dell'io. Ma il secondo è la redenzione del mondo e dell'io. Io ritengo che sarebbe già molto se i giorni della pentecoste, al di là dello spensierato consumismo, riuscissero a richiamarci alla responsabilità, se ci facessero superare l'intelletto, il sapere pianificabile ed immagazzinabile, e ci portassero a riscoprire lo «spirito», la responsabilità della verità, dei valori della coscienza e dell'amore. Infatti, anche se per il momento non scopriamo l'aspetto propriamente cristiano, toccheremmo, per così dire, il lembo di Cristo e del suo Spirito. A lungo andare, cioè, «verità» e «amore» non possono certo esistere senza avere un luogo proprio, in uno spazio vuoto. Se questa è la misura e la speranza costanti dell'uomo, allora non sono una parte della storia mutevole, ma il punto di riferimento del movimento di essa. Allora, non si tratta di idee lontane, ma queste hanno un volto e ci chiamano. Sono allora esse stesse «amore», persona quindi. Allora lo Spirito Santo è veramente «spirito» nella pienezza di ciò che solo questa parola può significare. Probabilmente, uscendo da un mondo profondamente mutato, dobbiamo andare a tastoni verso di lui, in maniera completamente nuova. Forse a qualcuno sembrerà impossibile percorrere il cammino fino alla fine, fino alla «sobría ubriachezza» della fede pentecostale. Ma l'annuncio pressante quel terribile «sonno delle coscienze» di cui parla ancora una volta Pierre Henri Simon, dovrebbe e potrebbe riguardarci tutti: il vento impetuoso di pentecoste assale della pentecoste, che scuote tutti noi:anche oggi, proprio oggi.
Da, J. Ratzinger, Dogma e predicazione, Brescia 1974

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Ratzinger - Benedetto XVI  Lo Spirito Santo e la Chiesa nella Lumen Gentium

La Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede rimanda qui all'immagine lucana della nascita della Chiesa a Pentecoste per opera dello Spirito Santo. Non si vuol qui discutere la questione della storicità di questo racconto. Ciò che conta è l'affermazione teologica, che sta a cuore a Luca. La Congregazione per la Dottrina della Fede richiama l'attenzione sul fatto che la Chiesa ha inizio nella comunità dei 12 radunata intorno a Maria, soprattutto nella rinnovata comunità dei dodici, che non sono membri di una Chiesa locale, ma sono gli apostoli, che porteranno il vangelo ai confini della terra. Per chiarire ulteriormente si può aggiungere che essi nel loro numero di dodici sono allo stesso tempo l'antico ed il nuovo Israele, l'unico Israele di Dio, che ora - come fin dall'inizio era contenuto fondamentalmente nel concetto di popolo di Dio - si estende a tutte le nazioni e fonda in tutti i popoli l'unico popolo di Dio. Questo riferimento viene rafforzato da due ulteriori elementi: la Chiesa in questa ora della sua nascita parla già in tutte le lingue. I padri della Chiesa hanno giustamente interpretato questo racconto del miracolo delle lingue come un anticipo della Catholica - la Chiesa fin dal primo istante è orientata "kat'holon" - abbraccia tutto l'universo. A ciò fa da corrispettivo il fatto che Luca descriva la schiera degli ascoltatori come pellegrini provenienti da tutta quanta la terra, sulla base di una tavola di dodici popoli, il cui significato è quello di alludere alla onnicomprensività dell'uditorio; Luca ha arricchito questa tavola dei popoli ellenistica con un tredicesimo nome: i romani, con cui senza dubbio voleva sottolineare ancora una volta l'idea dell'Orbis.... l'inizio interiore della Chiesa nel tempo, che Luca vuol descrivere e che egli al di là di ogni rilevamento empirico riconduce alla forza dello Spirito Santo.... La realtà prima nel racconto di san Luca non è una comunità originaria gerosolimitana, ma la realtà prima è che nei dodici l'antico Israele, che è unico, diviene quello nuovo e che ora questo unico Israele di Dio per mezzo del miracolo delle lingue, ancora prima di divenire la rappresentazione di una Chiesa locale gerosolimitana, si mostra come una unità che abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi. Nei pellegrini presenti, che provengono da tutti i popoli, essa coinvolge subito anche tutti i popoli del mondo. Importante resta nondimeno che la Chiesa nei dodici viene generata dall'unico Spirito fin dall'inizio per tutti i popoli e pertanto anche sin dal primo istante è orientata ad esprimersi in tutte le culture e proprio così ad essere l'unico popolo di Dio: non una comunità locale si allarga lentamente, ma il lievito è sempre orientato all'insieme e quindi porta in sé una universalità sin dal primo istante.

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 Il Consolatore, di p. Raniero Cantalamessa


Ascoltiamo i passaggi in Giovanni 14-16 che parlano dello Spirito Santo. Leggiamo questi testi che sono inseriti fra altri discorsi sottolineando i titoli dello Spirito.


"Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché Egli dimora presso di voi e sarà in voi.....Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.....Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza...."
"Se non me ne vado non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò. E quando sarà venuto, egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio. Quanto al peccato, perché non credono in me; quanto alla giustizia, perché vado dal Padre e non mi vedrete più; quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato."

"Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sè, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l'annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l'annunzierà." (Gv 14,16-17,26; 15,26; 16,7-15).

Scopriamo l'importanza per il nostro tempo di questa rivelazione riguardante lo Spirito Santo. Concentriamo la nostra attenzione sui due titoli dello Spirito Santo più cari a Giovanni: Spirito di Verità e Paraclito, o Consolatore.

Spirito di verità. Il senso della parola "verità" in Giovanni significa sia la realtà divina che la conoscenza della realtà divina. L'interpretazione tradizionale, specialmente quella cattolica, ha inteso la "verità" soprattutto nel secondo senso, nel senso dogmatico. Lo Spirito guida la chiesa attraverso i concili, il Magistero, la tradizione.

Questo è un aspetto importante dell'azione dello Spirito di Verità - il più importante se vogliamo - ma non l'unico. C'è un aspetto più personale che dobbiamo tenere presente: lo Spirito Santo ci introduce alla vera vita di Cristo. S. Ireneo definisce lo Spirito Santo la nostra "comunione con Dio", e S. Basilio dice che "grazie allo Spirito diventiamo amici intimi di Dio". Non conosciamo più Dio per sentito dire, ma "in persona".

L'azione dello Spirito non è limitata solo ad alcuni momenti solenni della vita della chiesa. C'è anche un'azione interiore, quotidiana e continua, nel cuore di ogni credente. "Egli dimora presso di voi e sarà con voi" (Gv 14,17). Questa è l'unzione "che viene dal santo" che dona sapienza, che rimane in noi, che ci insegna ogni cosa e ci rende saldi (1Gv 2,10-27)

Questo insegnamento che lo Spirito impartisce nella profondità del cuore di ogni credente deve essere sottoposto al discernimento e al giudizio della comunità e specialmente dei suoi pastori cosicché lo "Spirito di verità" sia distinto dallo "spirito di errore" (1Gv 4,1-6). Ma il fatto che questa guida interiore e personale dello Spirito possa essere soggetta ad abusi ed inganni non giustifica il sospetto e la sua soppressione. Se i santi sono diventati tali, è stato soprattutto grazie alla sottomissione a questa guida segreta che passo dopo passo ha suggerito loro quello che era più gradito a Dio e maggiormente conforme allo Spirito di Cristo.

Il Consolatore. L'altro titolo dello Spirito usato da Giovanni è Paraclito, o Consolatore. "Un altro" Consolatore, lo definisce Gesù. Durante la sua vita terrena Gesù stesso era il Consolatore: "Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, ed io vi ristorerò" (My 11,28). Quando promette il Consolatore è quasi come se dicesse: "Andate a lui, voi tutti che siete affaticati e oppressi, ed egli vi ristorerà!".

Lo Spirito Santo svolge in noi un ruolo esattamente opposto a quello dello spirito del male. Lo Spirito santo difende i fedeli e "intercede" incessantemente per loro davanti a Dio con "gemiti inesprimibili" (Rm 8,26-28). Lo spirito del male accusa i credenti davanti a Dio "giorno e notte" (Ap 12,10). Ma il difensore è infinitamente più forte e vittorioso dell'accusatore! Con lui possiamo vincere ogni tentazione e trasformare la tentazione stessa in vittoria.

Come fa a consolarci questo "Consolatore perfetto"? Egli è in sé stesso la consolazione. Egli consola facendo risuonare nei nostri cuori le parole che Gesù disse ai suoi discepoli: "Voi avrete tribolazioni nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!" (Gv 16,33). Egli consola testimoniando al nostro spirito che siamo figli di Dio (Rm 8,16).

Sete o paura? "Nell'ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù levatosi in piedi esclamò: chi ha sete venga a me e beva" (Gv 7,37). La prima condizione per ricevere lo Spirito Santo non sono i meriti e le virtù, ma il desiderio, il bisogno, la sete.

Il problema pratico con lo Spirito Santo risiede proprio qui. Abbiamo sete dello Spirito Santo o abbiamo un'inconsapevole timore di esso? Noi avvertiamo che se lo Spirito Santo viene, non può lasciare le cose come le trova. Potrebbe anche farci fare cose "strane" che non siamo pronti ad accettare. Tutto quello che lo Spirito Santo tocca, lo Spirito Santo cambia! La nostra preghiera per ricevere lo Spirito Santo a volte assomiglia alla preghiera di Agostino prima della sua conversione.: "Donami la castità e il dominio di me, ma non subito" Siamo tentati di dire, "Vieni Spirito Santo....ma non ora, e soprattutto niente stranezze!" Non è forse Dio ordine, decoro, compostezza e equilibrio?

Se gli apostoli avessero potuto scegliere per sé stessi il modo in cui lo Spirito avrebbe dovuto manifestarsi, non avrebbero mai scelto di parlare in lingue sconosciute, di esporsi al ridicolo di fronte alla gente che diceva "Hanno bevuto troppo vino nuovo" (Atti 2,13). Quindi, domandiamo allo Spirito Santo di toglierci la paura di lui. Diciamo "Vieni, Spirito Santo!" Vieni ora, come tu desideri."

Ricevete lo Spirito Santo! La sera di Pasqua Gesù alitò sui suoi discepoli e disse: "Ricevete lo Spirito Santo," quasi pregandoli di accettare il suo dono. In questo gesto si compie la grande profezia di Ezechiele riguardo le ossa aride: "Dice il Signore Dio: Spirito, vieni dai quattro venti e soffia su questi morti, perché rivivano" (Ez 37,9).

Il figlio dell'uomo adesso non è più Ezechiele, un profeta, ma colui che è anche il Figlio di Dio. Egli grida allo Spirito, lo invoca e lo alita. Egli non lo chiama dal di fuori di sé, "dai quattro venti", ma dal suo intimo. Anche oggi egli sta davanti ai discepoli e alla chiesa e ripete il suo pressante invito: "Ricevete lo Spirito Santo!"

Volgiamo i nostri volti e le nostre anime a questo soffio di vita e lasciamo che ci ravvivi e ci rinnovi. Anche oggi, se tutta la chiesa ricevesse questo potente soffio, se lo Spirito penetrasse tutte le sue realtà, essa "si alzerebbe e camminerebbe" e sarebbe nuovamente "un grande esercito senza fine."
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 Il Consolatore, di Mons. Rino Fisichella

"Lo Sconosciuto che viene oltre il Verbo". E' con questa espressione di H. U. von Balthasar che si può creare una breve sintesi teologica intorno al tema dello Spirito Santo.



"Sconosciuto" per almeno due motivi: il primo, di ordine teologico, è determinato dal fatto che mai come in questo caso siamo posti dinanzi al mistero. Egli è Spirito di Amore e riporta alla sublimità dell'essenza stessa di Dio nella rivelazione di Gesù Cristo che nell'obbedienza si dona alla morte e viene risuscitato. Il linguaggio umano trova forte il limite delle sue parole sempre imbrigliate all'interno di quella "gabbia" –per usare l'espressione di L. Wittgenstein- che impedisce di dire ciò che costituisce l'essenza del mistero. Con ragione, quindi, i fratelli di Oriente suggeriscono che è meglio invocare lo Spirito piuttosto che parlare di lui; egli, infatti, è grazia che viene data dall'amore del Padre. Il teologo, pertanto, comprende che per una coerente intelligenza deve acquisire l'atteggiamento dello stupore e della ricezione silenziosa.
Il secondo, di ordine storico, dipende dal fatto che per lungo tempo la teologia ha dimenticato di tenere fisso lo sguardo sull'intelligenza del mistero del dono dello Spirito. Ne è scaturita una teologia debole perché priva della centralità del mistero trinitario e, quindi, frammentaria nell'esposizione dei misteri. L'emarginazione del tema dello Spirito alla sola sfera della spiritualità, ha impedito di raggiungere una coerente teologia dei ministeri e del laicato. Il recupero del posto centrale che è dovuto agli studi sullo Spirito Santo ha permesso di verificare, in questi ultimi decenni, quanto ritardo sia stato imposto alla tabella di marcia della teologia sia nel suo corrispondere alla missione ecclesiale che le appartiene sia del dare voce alla forza della profezia.

Chi è, dunque, lo Spirito Santo? "Se vuoi sapere quello che deve essere il tuo pensiero intorno allo Spirito Santo, ti è necessario ritornare agli Apostoli e ai Vangeli con i quali e nei quali hai certezza che Dio ha parlato" (Lo Spirito Santo, I, 9). Questo testo di Fausto, vescovo di Riez nella metà del V secolo (452/460?) permette al teologo di ritrovare il metodo corretto per balbettare qualche cosa sul mistero dello Spirito di Cristo. "Ritorna agli apostoli e ai vangeli". Ecco la fonte originaria della fede cristiana: la Tradizione e la Scrittura nella loro inscindibile unità e nella reciprocità piena che permette di cogliere l'unica Parola che di Dio ha rivolto all'umanità (cfr DV 9).

"Esaminiamo ora le nozioni correnti che abbiamo intorno allo Spirito Santo, sia quelle raccolte dalle Scritture, sia quelle che ci furono trasmesse dalla tradizione non scritta dei Padri… Lo Spirito Santo è chiamato Spirito di Dio, Spirito di verità che procede dal Padre, Spirito retto, Spirito che guida. Il suo nome più appropriato è Spirito Santo, perché questo nome indica l'essere più incorporale, più immateriale e più esente da composizione. Poiché il Signore alla samaritana persuasa che si dovesse adorare Dio in un luogo, insegnò che l'incorporeo non può essere chiuso da limiti, e le disse: Dio è spirito. Quindi, chi sente dire "Spirito" non può figurarsi una natura limitata, sottoposta a mutamenti e variazioni, oppure simile in tutto a cosa creata". Sono le parole di san Basilio, monaco e vescovo di Cesarea, che nel 375 scriveva il suo trattato Sullo Spirito Santo.

La Scrittura parla con preferenza dello Spirito come "ruah": "soffio", "aria", "spirito", "vento", "respiro"... tutte realtà di cui, per dirla con le parole di Gesù, "si ode il suono, ma non sai da dove viene e dove va" (Gv 3,8); si percepisce, quindi, la sua presenza e la sua forza, ma non sappiamo dire di più, perché egli è avvolto nel mistero della vita di Dio. Il concilio di Costantinopoli nel professare: "E' Signore e dà la vita", cerca di dare corpo all'insegnamento della Sacra Scrittura che pone sempre lo Spirito in relazione alla vita. Il Salmista esplicita il testo della Genesi, quando attesta: "Dalla parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro schiera" (Sl 33,6). Lo Spirito, insomma, è il soffio che esce dalla bocca di Dio e che crea ogni cosa dando vita. Il genio di Michelangelo nell'affresco della Cappella Sistina darà forma artistica a questo insegnamento. Il "digitus paternae dexterae" del Veni Creator, è ciò che dà la vita all'uomo e tutto sostiene (cfr. Sl 8,5). E' talmente vero che "se Dio richiamasse a sé il suo spirito e a sé ritraesse il suo soffio, ogni carne morirebbe all'istante e l'uomo ritornerebbe polvere" (Giobbe 34,14). In una parola, lo Spirito è la potenza e la forza di Dio, per suo mezzo tutto viene alla luce e tutto viene portato a compimento.

Lo Spirito Santo, dunque, è protagonista di tutta la storia della salvezza. Ogni qual volta Dio interviene nella storia del suo popolo per liberarlo e per mostrargli il compimento delle sue promesse, è sempre lo Spirito che lo accompagna. E' in forza della sua potenza che vengono vinte le battaglie; alla stessa stregua, è la sua forza che trasforma gli uomini permettendo loro di adempiere la missione ricevuta. E', ancora, lo Spirito che "investe Gedeone" o che "penetra in Sansone" dando loro la forza necessaria per la vittoria. E' sempre lo stesso Spirito che scende sul re, lo incorona e lo protegge perché possa regnare a nome di Dio sul suo popolo: "lo Spirito del Signore si posò sopra David da quel giorno in poi" (1 Sam 16,13).

Sarà soprattutto con i profeti che la sua azione diventerà maggiormente visibile. Il profeta è l'uomo chiamato dallo Spirito di Jhwh per far ascoltare la sua voce nelle situazioni più disparate della storia. Isaia, Geremia, Ezechiele come Amos, Osea e tutti i profeti minori anche se non esplicitamente detto per il timore di fraintendimenti, esprimono la consapevolezza di essere stati chiamati e "rapiti" alla missione profetica dallo Spirito del Signore. Per tutti, vale l'espressione di Ezechiele: "Lo Spirito del Signore venne su di me e mi disse: Parla" (Ez 11,5). Il profeta diventa possesso dello Spirito e "bocca" mediante la quale Dio fa udire la sua voce. E' interessante, in proposito, osservare che alcuni Padri della Chiesa hanno voluto parlare dello Spirito come della "bocca" di Dio. Simeone, il nuovo Teologo, vissuto nel 1022 così scrive nel suo libro di Etica: "La bocca di Dio è lo Spirito Santo e la sua Parola e il Verbo è il suo Figlio, anch'egli Dio. Ma perché lo Spirito è chiamato bocca di Dio e il Figlio Parola e Verbo? Nella stessa maniera nella quale il discorso interiore esca dalla nostra bocca e si rivela agli altri, senza che noi possiamo pronunciarlo o manifestarlo con un altro mezzo che non sia quello della bocca, lo stesso il Figlio e il Verbo di Dio, se non è espresso o rivelato dallo Spirito Santo, come da una bocca, non può essere conosciuto né inteso".

Lo Spirito Santo viene pienamente rivelato da Gesù Cristo. Quasi fosse un'armoniosa sintesi dell'intero vangelo di Luca e di Giovanni, san Gregorio Nazianzeno così scrive: "Cristo nasce e lo Spirito lo precede; è battezzato e lo Spirito lo testimonia; viene messo alla prova e quello lo riconduce in Galilea; compie i miracoli e quello lo accompagna; sale al cielo e lo Spirito gli succede" (Discorsi, xxx, 29). Su Cristo, infatti, lo Spirito riposa in pienezza e ne accompagna tutta l'esistenza. Poiché Gesù possiede in pienezza lo Spirito Santo, lo può donare in abbondanza e senza misura a quanti credono in lui (Gv 7,37-39). La nuova creazione che Gesù compie, attraverso il sacrificio della sua morte e la risurrezione, diventa evidente quando egli, alitando sui discepoli raccolti nel cenacolo, infonde in loro il suo Spirito: "alitò su di loro e disse: ricevete lo Spirito Santo" (Gv 20,22). Perché la Chiesa potesse essere forte nel suo annuncio, coerente nella sua vita e capace di portare il perdono e l'amore a tutti, l'effusione dello Spirito Santo a pentecoste segna l'inizio ufficiale della missione dei discepoli di Gesù davanti al mondo.

Lo Spirito Santo è dono del Padre e del Figlio; la sua azione è sempre pienamente trinitaria in una relazionalità che forma la pericoresi perenne del donarsi reciproco, pieno e totale delle tre persone divine. "Egli prenderà del mio e ve lo annunzierà" (Gv 16,14-15). La missione dello Spirito, dunque, è portare a intelligenza ciò che Gesù ha rivelato. La rivelazione dello Spirito non ha un suo contenuto proprio; questa può essere solo ciò che il Logos ha pronunciato avendolo udito presso il Padre. Ma l'intelligenza del mistero non è meno importante del contenuto. Ogni intelligenza è un'azione sempre nuova in cui la Chiesa vede e sperimenta la presenza del suo Signore che non l'ha mai abbandonata e che sempre la segue e accompagna nella storia, fino a quando non avrà raggiunto la verità nella sua pienezza. E' sempre l'insegnamento di Fausto da Riez che consente di recepire questa istanza: "La nostra esistenza sembra essere riferita propriamente al Padre "nel quale" come ha detto l'Apostolo, "viviamo, ci muoviamo ed esistiamo" (At 17,28); invece il nostro essere capaci di ragione, di sapienza e di giustizia è attribuito in particolare a colui che è ragione (logos), sapienza e giustizia, vale a dire al Figlio. Attraverso la Parola di Dio, poi, nella persona dello Spirito Santo sono chiaramente ascritti la nostra chiamata alla rigenerazione, il rinnovamento che ne consegue e la successiva santificazione… Forse, potreste dire: è più grande lo Spirito Santo, le cui opere sono più importanti e più nobili. Non è così… anche se le singole persone compiono qualcosa di proprio, permane nei tre il disegno di insieme" (I,10).

La Chiesa, che era già presente nel gruppo dei discepoli che per tre anni avevano seguito il Signore formando con lui una comunità, nasce in quella effusione dello Spirito che sulla croce era già stata segnata e raffigurata dallo scorrere di sangue e acqua dal costato aperto del crocifisso. Ora, nel giorno di Pentescoste, essa ha la forza di porsi nel mondo come testimone della risurrezione del Signore. E come Gesù aveva inaugurato la sua missione pubblica con la predicazione della conversione e del perdono, così anche la Chiesa ripercorrendo le stesse orme di Cristo, proclama il suo primo discorso richiamando alla conversione e alla fede nel Signore Gesù (At 2,14). La divisione di Babele frutto del peccato, viene distrutta da Pentecoste, riportando l'unità per mezzo dello Spirito. E' lo Spirito che dà forza ai discepoli di aprire le porte sbarrate del cenacolo dove si trovavano "per paura" e immette nella missione evangelizzatrice. Ciò che emerge, tuttavia, in maniera originale tanto da creare una discontinuità con la mentalità e la prassi ebraica, è che in Gesù lo Spirito viene dato a tutti. La visione profetica di Gioele che vedeva nel futuro l'espandersi dello Spirito profetico su tutti i figli e le figlie di Israele si attua e diventa visibile nella comunità dei credenti.

Come lo Spirito aveva accompagnato Gesù, così ora egli accompagna la sua Chiesa. Uno sguardo alle diverse comunità e alla loro vita interna che si struttura progressivamente, mostra la sua azione onnipresente. E' lui che rivela agli apostoli dove andare o non andare (At 16,6-10); è sempre lui che concede a ognuno i carismi necessari per costruire la comunità (1 Cor 12,7); è lo stesso Spirito che dona ai discepoli le parole necessarie per difendersi durante i processi (Lc 12.11-12), ed è lo Spirito del Risorto che permette a Stefano di dare la sua testimonianza suprema (At 7). E' lo stesso Spirito che ispira gli autori sacri a mettere per iscritto i vangeli e gli insegnamenti degli apostoli perché la Chiesa potesse avere nel futuro un riferimento costante per la sua vita; ed è sempre lo stesso Spirito che guida l'incessante trasmettersi di tutto ciò che non è stato scritto, ma che costituisce la fede di sempre e di tutti. E' lo Spirito di verità che non viene mai meno nella storia della Chiesa; questi consente a tutti i credenti di mantenersi intatti in quel "senso della fede" (LG12) che permette ai più semplici di sapere in che cosa consiste la fede e che dà certezza ai suoi Pastori uniti a Pietro di interpretare il vangelo nella verità.

Quanto mai significative, in questo senso, risuonano le parole di uno degli ultimi autori della letteratura romana del III secolo, Novaziano: "Lo Spirito costituisce nella Chiesa i profeti, istruisce i maestri, dispone le lingue, opera i prodigi e le guarigioni, compie azioni meravigliose, concede il discernimento degli spiriti, assegna i posti di comando, suggerisce i consigli, dispone e distribuisce tutti gli altri doni; e così rende perfetta e completa la Chiesa del Signore in ogni luogo e in ogni cosa... Egli rende testimonianza a Cristo negli apostoli, mostra la fede stabile nei martiri, circonda nelle vergini la mirabile castità della carità insigne, negli altri custodisce inalterati e incontaminati i precetti della dottrina del Signore, annienta gli eretici, corregge gli infedeli, smaschera i bugiardi, frena i malvagi, custodisce la Chiesa incorrotta e inviolata nella santità della perpetua verginità e della verità" (La Trinità, 26, 10-26)".

Sulla stessa lunghezza d'onda si muove s. Massimo il Confessore: "Uomini, donne, ragazzi, profondamente divisi in ciò che riguarda la razza, la nazione, la lingua, la classe sociale, il lavoro, la scienza, la dignità, i beni... tutti questi la Chiesa li ricrea nello Spirito. A tutti ugualmente essa imprime una forma divina. Tutti ricevono da essa un'unica natura impossibile a romperla, una natura che non permette più che si tenga ormai conto delle molteplici e profonde differenze che li riguardano. Di qui deriva che tutti siamo uniti in una maniera veramente cattolica. Nella Chiesa, nessuno è separato dalla comunità, tutti si fondano, per così dire, gli uni negli altri, dalla forza indivisibile della fede. Cristo è così tutto in tutti, lui che assume tutto in lui secondo la sua forza infinita e a tutti comunica la sua bontà. Egli è come un centro a cui convergono tutte le linee. Così avviene che le creature di Dio unico, non restino più estranee e nemiche le une per le altre, per mancanza di un luogo comune dove possano manifestare la loro amicizia e la loro pace" (Mystagogia, I). Come si può osservare, attraverso i doni che vengono dati possiamo ricostruire la sublimità di colui che li dona.

Tutta la vita della Chiesa si svolge, fino ai nostri giorni, nell'obbedienza allo Spirito del Signore. L'apostolo ricorda che nella preghiera "noi non sappiamo neppure cosa è conveniente chiedere… lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza e con i suoi gemiti inesprimibili ci permette di rivolgerci a Dio e chiamarlo: Padre" (Rm 8,26 ss). E' soprattutto nella liturgia che la sua opera diventa percepibile in maniera chiara, perché lì egli santifica l'intera comunità cristiana e ogni singolo credente in essa. L'eucaristia, in modo particolare, consente di vedere realizzata l'opera dello Spirito. Essa costituisce come la sintesi di tutta la vita sacramentale perché si ha la vera e reale presenza di Cristo. L'epiclesi, cioè l'invocazione sulle offerte, si conferma come il centro focale in cui riconoscere la sua azione: "Manda il tuo Spirito a santificare i doni che ti offriamo", rimane come l'espressione culminante per vedere concretizzata la missione dello Spirito Santo. Senza di lui, il pane e il vino restano tali, così come l'acqua del battesimo o il crisma della confermazione e gli olii per le unzioni; se egli non è presente, non vi è trasformazione alcuna nel patto di amore tra i coniugi né in quell'uomo disteso a terra in attesa che gli vengano imposte le mani per il sacerdozio; se egli non viene invocato, nessun peccato può essere rimesso a colui che chiede perdono. La grandezza dello Spirito Santo, in tutta l'azione liturgica, si manifesta nell'obbedienza che egli pone alle parole del ministro che lo invoca perché venga a trasformare la materia del sacramento. In qualche modo, è possibile vedere quasi una "kenosi" dello Spirito (H. U. von Balthasar), non solo perché obbedisce alle parole del ministro, ma ancora di più perché si rende visibile nella sua Chiesa anche nella forma dell'Istituzione.

La vita teologale è opera dello Spirito. Dove si crede, spera ed ama là egli opera permettendo di compiere un lento, ma progressivo cammino verso l'identificazione piena del volto che deve ricevere la nostra obbedienza della fede, la certezza della speranza e la passione dell'amore. Con ragione, s. Tommaso poteva sostenere che "omne verum a quocumque dicatur a Spiritu Sancto est" (STh , II, 109, 1 ad 1). I semi del Logos sono piantati in ognuno per l'azione del suo Spirito; la maturazione necessaria che richiede l'attesa per i tempi dello Spirito obbliga alla pazienza e al rispetto, senza intraprendere strade che potrebbero manifestare un pio desiderio umano ma non necessariamente una spinta propulsiva dello Spirito. Questo tema che apre in modo particolare al dialogo interreligioso permette di ribadire l'impegno che il teologo è tenuto ad assumere in sé in quanto soggetto ecclesiale. Lo Spirito "soffia dove vuole" è freschezza di una giovinezza perenne della Sposa che sempre e dovunque è chiamata a seguire le strade dello Spirito. Lui indica le terre e segna i ritmi dei tempi: a lui si deve guardare e lui si deve ascoltare perché possiamo essere ancora segni di una speranza che non è mai venuta meno.

"Sine tuo numine nihil est in homine, nihil est innoxium". Questa visione della fede, lontano dal rendere passiva l'azione del credente, apre alla libera obbedienza che sa fare della testimonianza cristiana il frutto più genuino di un'esistenza vissuta nell' entusiasmo, cioè mossa dallo Spirito che dà vita.