venerdì 6 ottobre 2017

Secondo lo spirito evangelico

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Il discernimento richiesto da «Amoris laetitia». 
L'Osservatore Romano 

Civiltà Cattolica. Anticipiamo ampi stralci di un articolo, dedicato alle indicazioni contenute nell’esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia, che sarà pubblicato sul prossimo numero di Civiltà Cattolica.
(Juan Carlos Scannone) Il motto scelto da Bergoglio per il suo stemma episcopale, che poi ha conservato da Papa, è Miserando atque eligendo. In esso si fa riferimento non soltanto alla misericordia di Dio ma anche al fatto che egli sceglie — Bergoglio, come pure ciascuno di noi — in modo singolare, personalizzato e personalizzante.

L’amore misericordioso del Padre ama suo Figlio — nella terminologia di Romano Guardini — come «il concreto vivente» e, in Cristo, ama singolarmente ciascuno e ciascuna di noi come «concreti viventi», nella nostra propria unicità irripetibile.
Ne consegue che a un tale tipo di universalità e singolarità non corrisponde — in morale — una mera casistica univoca e astorica, e nemmeno una morale equivoca e relativista «di situazione», ma un accurato discernimento spirituale personale, come quello che propone l’esortazione apostolica Amoris laetitia: discernimento personale accompagnato da un discernimento pastorale ecclesiale che lo confermi, al fine di trovare la volontà del Padre, secondo Cristo come ultimo criterio, alla luce e attraverso la forza dello Spirito santo. Infatti, il Signore Gesù e lo Spirito sono, anche nella pratica del discernimento personale ed ecclesiale, le due mani del Padre. Nella storia ogni volta singolare e unica di quei «concreti viventi» che siamo noi esseri umani, è Cristo — come propone il Vangelo — il criterio ultimo oggettivo di discernimento, e lo Spirito il suo più intimo motore soggettivo.
Il capitolo ottavo dell’Amoris laetitia porta questo titolo: «Accompagnare, discernere e integrare la fragilità». Non è il capitolo centrale dell’esortazione, né il più importante, ma è quello che per non pochi è causa di inquietudine. Infatti, in esso si promuove il cammino del discernimento che nasce dalla misericordia davanti alla fragilità umana; e si continua a riconoscere, con il concilio Vaticano II, il valore oggettivo della coscienza soggettiva.
Francesco, già nell’Evangelii gaudium e nella Laudato si’, ci raccomandava di «avere cura della fragilità» con un atteggiamento teologale di misericordia, perché questa implica amare con la tenerezza della carità chi è fragile e chi soffre. Nell’Amoris laetitia si tratta anzitutto della fragilità delle «famiglie ferite», segno del nostro tempo. Queste domandano una risposta attualizzata della Chiesa, in quanto misericordioso «ospedale da campo», secondo il cuore di Cristo. In essa la compassione amorosa di madre deve associarsi alle esigenze della verità e della giustizia. 
D’altra parte, il capitolo ottavo, in linea con la costituzione conciliare Gaudium et spes, riconosce — secondo l’insegnamento tradizionale — la dignità della coscienza morale come ultimo criterio di moralità de facto. Pastoralmente, occorre saperla rispettare, e non pretendere di sostituirla, seppure formandola. Infatti la coscienza, pur essendo soggettiva, fa parte della realtà fattuale e dell’obiettività storica. Pertanto l’esortazione afferma che «la coscienza delle persone dev’essere meglio coinvolta nella prassi della Chiesa in alcune situazioni che non realizzano oggettivamente la nostra concezione del matrimonio» (Amoris laetitia, 303). Di qui la necessità di un discernimento sia personale sia ecclesiale.x-smal
In nessun modo si tratta di cambiare la dottrina sulla castità prematrimoniale o sull’indissolubilità del matrimonio cristiano, bensì di ricomprenderne le conseguenze, anzitutto rispetto a ciò che è stato chiamato «stato di peccato». Va riconosciuto che, sebbene tale stato si dia oggettivamente, ciò non implica in modo automatico che chi lo vive sia privato sempre della grazia di Dio. Pertanto il Papa afferma: «Un giudizio negativo su una situazione oggettiva non implica un giudizio sull’imputabilità o sulla colpevolezza della persona coinvolta» (Amoris laetitia, 302). E poco dopo dice: «A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato — che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno —, si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa» (ibidem, 305), compresi i sacramenti (cfr. nota 351).
Perciò la Chiesa può cambiare il suo mandato disciplinare di negare in quei casi l’assoluzione e la comunione, senza cambiare la sua dottrina, ma applicandola a ogni singola situazione con un discernimento personale ed ecclesiale secondo la carità «discreta». Essa riconosce che unioni di fatto, meramente civili o di divorziati risposati, possono realizzare l’ideale cristiano «almeno in modo parziale e analogo» (Amoris laetitia, 292) e «partecipano alla sua vita [della Chiesa] in modo incompiuto» (ibidem, 291). Allo stesso modo la Chiesa «non manca di valorizzare gli elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più al suo insegnamento sul matrimonio» (292), come pure «quei segni di amore che in qualche modo riflettono l’amore di Dio» (294), che in quei casi si danno.
Nell’esortazione vengono ricordati i limiti e i condizionamenti di vario tipo (biografici, psicologici, sociali, culturali) della libertà e le già accennate circostanze attenuanti. L’infinità di situazioni possibili impedisce che si possa dare «una nuova normativa generale di tipo canonico» (Amoris laetitia, 300), dato che le norme generali «nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari» (ibidem, 304). Di qui l’opzione per il discernimento pastoralmente accompagnato, capace di giungere a riconoscere che una determinata soluzione, risultato di un discernimento, «per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo» (303).
Ovviamente, non si esclude la possibilità dell’autoinganno. Perciò vengono ricordate l’esigenza dell’accompagnamento ecclesiale e la convenienza di ascoltare i maestri spirituali nei loro consigli e regole di discernimento, in primo luogo sulla necessità di una vera conversione etica e religiosa. Questa include sempre una conversione affettiva, per cercare e trovare l’autentica volontà di Dio nell’opzione per il maggior bene possibile in una determinata circostanza esistenziale e storica, vale a dire in un determinato «qui e ora», dinamicamente aperto a nuovi passi di crescita spirituale.
La Chiesa non lascia sole le persone in queste situazioni affidate alla loro coscienza, ma le accompagna da madre e maestra nella loro responsabilità cristiana libera davanti a Dio. Lo fa anzitutto formandole e informandole, e nello stesso tempo dando loro testimonianza della misericordia di Dio e restando «attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla fragilità», come «una Madre che, nel momento stesso in cui esprime chiaramente il suo insegnamento obiettivo, “non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada”» (Amoris laetitia, 308). Tutta l’esortazione del Papa insiste su questa formazione delle coscienze, sebbene né il sinodo né egli stesso propongano una «nuova normativa generale» (ibidem, 300). Ma soprattutto si tratta dell’accompagnamento pastorale dei presbiteri nella direzione spirituale e/o nella confessione: infatti l’esortazione si riferisce al «colloquio col sacerdote, in foro interno». Ciò implica che anche il sacerdote debba accompagnare il penitente che discerne, non soltanto sentendo in qualche modo simpateticamente ciò che egli sente, ma anche discernendo i sentimenti del suo stesso cuore, in atteggiamento teologale di misericordia, carità pastorale e indifferenza ignaziana davanti alla volontà di Dio.
Così crediamo che si ottenga un discernimento personale ed ecclesiale responsabile davanti al Signore e alla Chiesa, perché in tali questioni «non esistono “semplici ricette”» (ibidem, 298). Francesco riconosce che a questo riguardo «due logiche percorrono tutta la storia della Chiesa: emarginare e reintegrare», e tuttavia soltanto la seconda risponde allo spirito del Vangelo e all’infinito amore compassionevole di Dio. Di conseguenza, «sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione» (296). 
L’importanza che questo atteggiamento pastorale evangelico deve avere sempre — soprattutto nei casi più complicati — viene illustrata da due correnti della filosofia contemporanea. In primo luogo, la fenomenologia esistenziale ci insegna ad apprezzare l’atteggiamento fondamentale — o stato d’animo fondamentale — nel suo valore ontologico e di conoscenza della verità. Qualcosa di simile si potrebbe dire della virtù della misericordia come stato d’animo cristiano fondamentale.
In secondo luogo, la filosofia analitica del linguaggio ordinario chiarisce l’importanza dell’atteggiamento fondamentale che l’accompagnatore pastorale assume nei confronti di colui che discerne, nel dialogare con lui. Infatti, per questa filosofia, il momento pragmatico del linguaggio fa parte del suo contenuto semantico. Cioè, come spiega Ricœur, il modo e l’atteggiamento con cui si dice qualcosa — nel nostro caso, il linguaggio pastorale — fa parte del significato, vale a dire fa parte di ciò che si dice, ovvero del messaggio che il pastore comunica al suo interlocutore. Di qui l’importanza di una disposizione d’animo pastorale misericordiosa nell’accompagnamento e nel dialogo. 
Al contrario, quanti seguono la logica non evangelica dell’emarginazione e dell’esclusione possono anche affermare qualcosa la cui formulazione astratta è ortodossa, e tuttavia, per l’atteggiamento che assumono nel comunicarla, stanno di fatto trasmettendo — forse senza averne l’intenzione — un messaggio concretamente contrario allo spirito del Vangelo.
Perciò il Papa, con il suo linguaggio semplice ma profondo, invita i pastori a non emettere giudizi duri e a «evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni» (Amoris laetitia, 296). Nello stesso tempo Francesco ricorda ai pastori che «è meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano» (ibidem, 304).

L'Osservatore Romano