martedì 24 ottobre 2017

Soldi, vanità, orgoglio





Nell’azione del prete non ci possono e non ci devono essere “compartimenti stagni”, tali da dividere ciò che è “pastorale” da ciò che è “amministrativo”. Si tratta di impegni di tipo diverso, ma comunque «ricompresi dentro la carità pastorale». In sintesi, in quanto pastore, «tutto ciò che il prete fa e vive è pastorale, perché è rivolto alle persone, è di fatto il suo gregge, la sua famiglia, e le coinvolge in qualche modo». Lo ha sottolineato il cardinale Beniamino Stella intervenendo all’incontro per il centenario della Federazione tra le associazioni del clero in Italia (Faci), svoltosi ad Assisi martedì mattina, 24 ottobre.
Approfondendo gli «aspetti pastorali-amministrativi nella spiritualità presbiterale», il prefetto della Congregazione per il clero ha offerto alcune indicazioni su temi di grande attualità ecclesiale, a cominciare dalla riforma dei processi per le dichiarazioni di nullità dei matrimoni, introdotta da Papa Francesco con i motupropri Mitis iudex Dominus Iesus Mitis et misericors Iesus del 15 agosto. 
Oggi, ha detto il prefetto, siamo di fronte a «una riforma ecclesiale di segno diverso rispetto al passato»: una riforma che intende «rivolgersi non solo agli operatori del diritto e agli “addetti ai lavori” destinatari naturali di provvedimenti di tale genere», ma anche, e in misura importante, ai parroci e ai sacerdoti. Risaltano, infatti, «la rilevanza giuridica dell’attività pastorale dei parroci e il ruolo attivo che essi sono chiamati ad avere nell’attuazione di tale riforma». In effetti, ha fatto notare il porporato, tale riforma «ha profonde radici pastorali, pur restando una materia di natura giuridica e tecnica». Radici che nascono «dal seme di rinnovamento pastorale e di attenzione alle “periferie” di ogni tipo, da sempre portato avanti da Papa Francesco». E per la vita delle comunità, ha osservato, «forse in troppi casi, le situazioni cosiddette “irregolari” sono state considerate in passato periferie quasi irraggiungibili» e lo strumento del processo per la dichiarazione di nullità matrimoniale «un castello dalle mura altissime, dove solo pochi fortunati, o privilegiati, potevano penetrare».
Tra gli operatori coinvolti, con competenze non esclusivamente giuridico-canoniche, viene infatti «menzionato in primo luogo il parroco». In questo modo, viene colmato «il divario spesso esistito tra vita quotidiana dei fedeli e il tribunale ecclesiastico, percepito facilmente come entità “astratta” e lontana». In tal senso, il parroco svolge in primo luogo «un ministero di ascolto e di accoglienza», facendosi trovare «da chi lo cerca e prendendo di propria volontà l’iniziativa di farsi prossimo a coloro, di cui è venuto a conoscere la condizione di divorziati risposati, o a coloro che, per le ragioni più diverse, sono giunti a dubitare della validità del proprio matrimonio, pur non essendo separati o divorziati». In questa fase, al suo “fiuto” pastorale è «affidato il discernimento sulla via verso la quale indirizzare il dialogo con le persone coinvolte», cioè «la via della riconciliazione, idealmente sempre la prima da sperimentare»; oppure, in seconda battuta, quella «verso il processo di nullità matrimoniale», gettando un «ponte tra le persone e il tribunale ecclesiastico». Questo ministero di accoglienza, ha fatto notare il prefetto, è anche «un ministero di discernimento, considerato che il parroco è e rimane un pastore». 
Un altro aspetto importante per l’attività pastorale-amministrativa del sacerdote è quello della gestione dei beni. Il cardinale ha ricordato in proposito che nella sua predicazione più volte il Papa è «ritornato sul tema del denaro e della possibilità di testimonianza evangelica, o di scandalo, che da esso può derivare, ambientando il discorso in un orizzonte prima di tutto spirituale». Per stabilire un corretto rapporto con l’ambito economico, bisogna perciò «guardarsi dal cedere alla tentazione di idolatrare il denaro», come disse il Pontefice nell’omelia mattutina a Santa Marta il 20 settembre 2013. 
Dal magistero di Francesco, ha sottolineato il porporato, si possono trarre due importanti ammonimenti per il servizio da rendere alla Chiesa attraverso i beni ecclesiastici. Da una parte si è chiamati «ad amministrare i beni della Chiesa innanzitutto con zelo evangelizzatore e spirito missionario». Dall’altra, c’è sempre il rischio del «grande scandalo che oggi può derivare da un uso malaccorto o disonesto del denaro», perché «il popolo di Dio non ti perdona se sei un pastore attaccato ai soldi». Infatti, «soldi, vanità e orgoglio» sono i «tre scalini che ci portano a tutti i peccati». 
Quanto alla “spiritualità amministrativa”, che ogni presbitero è chiamato a coltivare, il cardinale ha invitato i preti ad «attendere alle loro funzioni con la diligenza di un buon padre di famiglia» e con prudenza e saggezza. Infatti, il sacerdote “buon padre di famiglia” pensa al futuro dei propri “figli” «non in maniera ingenua e sognatrice, ma concreta e ragionevole». Egli non «indebita la “famiglia” inseguendo progetti personali, magari buoni, ma irrealistici, conosce il valore del denaro e si sente responsabile dei beni che la Chiesa ha affidato alla sua cura», perché un giorno «li possa restituire a chi verrà dopo di lui». 
Un ulteriore tema collegato alla gestione dei beni è quello dell’offerta ricevuta dai fedeli per la celebrazione di messe. Al riguardo, il prefetto ha richiamato il decreto Mos iugiter del 1991, con le sue norme e con gli inviti alla prudenza che contiene. Tale documento, ha ricordato, «stabilisce che in una chiesa non si celebrino più di due messe cosiddette “plurintenzionali” alla settimana». Inoltre, «in tale tipo di celebrazione», al celebrante è «lecito trattenere la sola elemosina stabilita nella diocesi», mentre «la somma residua eccedente tale offerta dovrà essere consegnata all’ordinario», perché «possa destinarla ai fini stabiliti dal diritto», in modo particolare per «il sostegno alle parrocchie più povere e alle opere di carità, che il vescovo con ogni probabilità conosce». 
Infine, il prefetto ha ricordato un altro elemento amministrativo con importanti risvolti pastorali per il ministero del parroco: la possibilità di dispensare i fedeli dall’obbligo di osservare il giorno festivo per una giusta causa conforme alle disposizioni del vescovo diocesano. «Si tratta — ha spiegato — di un esercizio concreto della misericordia divina, che attraverso la Chiesa e i suoi ministri raggiunge i fedeli».

L'Osservatore Romano