mercoledì 2 marzo 2011

L'Annuncio del Vangelo 4: dalla "coscienza della Verità" alla verità di coscienza

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La ricerca della verità comporta che si renda operante nella nostra condotta un effettivo amore per il bene. Come il vero, il giusto, il buono sono essenziali manifestazioni dell'essere e perciò non sono tra loro separabili, così nella concretezza della vita dello spirito l'inseguimento della verità è intrinsecamente connesso con lo sforzo di praticare la giustizia e la misericordia. Tutto è interdipendente: la contemplazione della verità causa e sostiene la rettitudine dell'esistenza, ma solo chi si impegna a vivere nella rettitudine può sperare di raggiungere pienamente la verità. In altre parole,la coscienza di verità determina l'insorgere dell'amore per la verità di coscienza. E' un'idea di grande rilievo per la vita dello spirito, ed è anche della massima attualità,perchè circa la coscienza sono molti e gravi i malintesi...
Nel linguaggio comune - e anche in questa riflessione - la parola "coscienza" è usata con due significati bendiversi tra loro. Per il primo, coscienza è sinonimo di consapevolezza: è la lucida conoscenza che l'uomo ha di un suo fatto interiore. Nel secondo significato, coscienza è l'intimo giudizio che l'uomo dà sul valore morale (e quindi sulla maggiore o minore liceità) delle proprie azioni. Non è quindi mai ungiudizio sui fatti altrui; sicchè, per esempio, un uomo di grande coscienza non è chi sente con acutezza il disagio delle ingiustizie commesse dagli altri, ma chi sente con acutezza il disagio delle sue personali ingiustizie. In tal senso si parla di "coscienza morale" e di "obiettori di coscienza"). La coscienza morale è la norma prossima dell'agire: ognuno deve sempre seguire la sua coscienza, qualunque cosa comandi, qualunque cosa proibisca. Ma la può seguire con tranquillità solo se prima si è preoccupato che la sua coscienza sia vera,cioè corrisponda effettivamente alla verità oggettiva di Dio, la quale è la legge di comportamento che precede ogni parere e ogni decisione dell'uomo. Perchè Dio, e non l'uomo, è il Signore cui è dovuta obbedienza. In pratica, la "verità" della mia coscienza sarà garantita dal mio amore disinteressato e assoluto per la verità; vale a dire, dalla mia continua determinazione non tanto di affermare enfaticamente ciò che io ritengo giusto, ma di conoscere ciò che è giusto in sè, a prescindere dai miei interessi e dalle mie personali preferenze.
La "mia coscienza" (citata ai miei interlocutori, che non la vedono e possono solo fidarsi di ciò che io ne dico) non è dunque la parola risolutiva, quasi magica, che mi dispensi dall'appurare dove in effetti stia di casa la giustizia oggettiva. Mi preoccuperò piuttosto che essa diventi sempre più la voce della giustizia eterna, in quanto risuona dentro il mio cuore. Allora, ciò che io devo fare non è di addurre ad ogni piè sospinto l'autorità della "mia coscienza" nelle discussioni con gli altri (che non la possono verificare). Ricercherò piuttosto come un ideale, la sintonia reale più perfetta possibile tra questa mia voce interiore e la voce di Colui che unico è Signore e Legislatore assoluto. Diversamente la mia coscienza, invece di essere la presenza eloquente in me del Dio vivo e vero, diventerebbe un idolo eretto nel santuario interiore a mio smarrimento e a mia rovina. Il credente conosce poi quale sia la strada più semplice e sicura per mantenere la sua coscienza nella verità: quella di restare nella piena, sincera, docile comunione con la divina Rivelazione, come è infallibilmente custodita e proposta dall'autentico Magistero della Chiesa.
La coscienza di verità, se è genuina e viva, si dischiude sempre all'amore verso Dio e verso i fratelli. Perciò diventa l'ispirazione e l'alimento da un lato della preghiera e della contemplazione, dall'altro della carità concreta e operosa. Anzi, la carità dovrà sempre segnare di sè anche l'annuncio, di cui costituisce una necessaria garanzia di fecondità. Nessun dubbio per i cristiani su questo: il primo e più alto atto di carità verso i fratelli è quello di annunciare loro il Vangelo e illuminarli conla conoscenza della verità che salva e dà senso alla vita. Ma al tempo stesso devono restare consapevoli che ill dinamismo della carità spinge tutti i discepoli di Cristo verso ogni forma di aiuto, di solidarietà, di condivisione delle pene e delle miserie degli uomini, che in Cristo ci sono tutti fratelli. E' tempo di liberarci dalla falsa alternativa che vorrebbe contrapporre un cristianesimo concentrato sulla vita spirituale a un cristianesimo socialmente impegnato. La dedizione a Dio e quella ai fratelli sono inseparabilmente unite e si sviluppano secondo la varietà dei carismi e delle vocazioni, per la costruzione della comunità ecclesiale e l'azione a favore dell'uomo.