martedì 1 marzo 2011

L'Annuncio del Vangelo 3: l'amore per la Verità

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Riaccendere in noi la coscienza della verità vuol dire anche metterci sulla strada di una profonda trasformazione attuata all'insegna della carità. La verità ci è data perchè nella nostra esistenza domini e si alimenti l'amore. Il discorso si avvia qui verso qualche proposta di comportamento e di vita.
La prima realtà da non dimenticare è che nessuno di noi possiede la verità in modo da poterne disporre secondo i suoi calcoli e i suoi progetti. La verità è sempre signora, ed esige da noi un rispetto assoluto e una venerazione incondizionata; non può mai essere piegata al nostro servizio nè al servizio delle cause da noi difese. Al contrario, dobbiamo sentirci noi i servi docili e fedeli della verità. Non possiamo neppure scegliere tra le diverse verità quella che ci torni più utile o ci dia meno fastidi. Per esempio, una comunità cristiana non potrà discriminare i credenti uccisi nel tempo della barbarie e della violenza, a seconda del colore delle bandiere degli uccisori e a seconda delle ideologie dominanti: li dovrà ricordare tutti, perchè ogni sacrificio consumato contiene un insegnamento che non deve andare perduto. E' per questo motivo che la Chiesa non si è mai curata troppo di annotare i nomi dei suoi persecutori, ma non ha mai lasciato che, per quieto vivere, cadessero in dimenticanza i nomi dei suoi martiri.
La seconda cosa da non dimenticare è che la sete della verità di Dio non si estingue mai nell'animo cristiano. Ogni raggiunto orizzonte svela orizzonti nuovi e più spaziosi; ogni acquisita certezza germina interrogativi quotidianamente più penetranti. Siamo sempre in pellegrinaggio: chi ritenesse di aver catturato la verità una volta per tutte, dimostrerebbe per ciò stesso di esserne ampiamente allontanato. Di qui la necessità della continua contemplazione della verità, che non deve finire mai, prima che sia concessa nella gloria la visione aperta del Dio vero. Questa è la radice della necessità della catechesi permanente: l'approfondimento della verità rivelata, come è infallibilmente custodita dalla Chiesa, deve essere offerta sempre a tutti, anche ai più semplici e ai meno dotti (che sono, del resto, i destinatari privilegiati dei misteri del Regno), anche a quelli che fossero incapaci di una lettura personale e diretta del Libro di Dio. Quando la ricerca della divina verità porta il fedele a incontrarsi con una molteplicità disorientante di pareri, o con affermazioni che gli sembrano in contrasto con il patrimonio delle persuasioni tradizionali, o con enunciati che appaioni sospetti al senso della fede di cui è dotato l'intero popolo di Dio,allora il criterio di orientamento è chiaro e obbligatorio per tutti. Il punto di riferimento certo per restare nella verità di Dio in mezzo al turpiloquio dei nostri giorni, è quello che è intrinseco alla stessa costituzione della Chiesa: il magistero di Pietro, che vive e si esprime nel vescovo di Roma, e il magistero del proprio vescovo, che si mantiene nella costante e fraterna comunione di pensieri e di sentimenti con Pietro e con gli altri vescovi consonanti con lui. Non dunque il teologo di grido o il pubblicista famoso o il religioso erudito o la diffusa rivista di teologia e di vita ecclesiale: nessuna di queste cattedre è stata stabilita da Cristo come normativa della fede cattolica. Il loro contributo può essere senza dubbio prezioso e provvidenziale, purchè però serbino una sincera, piena e docile comunione con il magistero autentico, e non si dimentichino mai che "ad essi in modo speciale è richiesta una stretta, fedele e rispettosa collaborazione con i pastori".
La verità di Dio va amata nella sua integralità e nella sua armoniosa compiutezza. Il cuore davvero credente è affascinato dalla ortodossia e dalla sua capacità di far crescere lo spirito e approssimarlo a Dio. Le esasperazioni unilaterali delle singole verità; le amplificazionidell'uno o dell'altro aspetto a scapito della totalità del tesoro rivelato; le eresie, per dirla con una parola schietta e antica, possono anche apparire più ricche di originalità e di genio, più gravide di pratiche implicazioni, più capaci di abbagliare le menti e di fare notizia, ma, non essendo la "verità tutta intera", NON sono la divina ricchezza elargitaci dallo Spirito. E alla fine si scoprono sempre nella loro povertà e nelle loro conseguenze mortificanti.
E la verità di Dio va amata dovunque si trovi. Il cristiano sa che solo il Signore Gesù è "la verità", e solo lo Spirito Santo è la fonte di ogni conoscenza autentica. Ma sa anche che lo Spirito riverbera la vera luce dovunque ci sia una mente umana che si dischiuda alle sue folgorazioni; e sa altresì che Cristo - nel quale tutte le cose sono state create ed è venuto al mondo per illuminare ogni uomo - è la somma di tutti i valori, anche di quelli che si trovano nell'umanità apparentemente più lontana da lui e dal suo Vangelo. Perciò il credente è attento ad ogni voce che risuona sulla terra e rispettoso di ogni enunciato nel quale ravvisi un riflesso, sia pure inconsapevole, della "Buona Notizia" .
L'amore per la verità comporta una fiera e irriducibile ripugnanza per ogni presentazione sviata e deforme della realtà. Amare la verità vuol dire odiare la menzogna. Ritenere che la verità sia per noi cibo, respiro, vita, comporta la convinzione che l'errore conduce lo spirito alla morte per denutrizione, avvelenamento e asfissia. Mescolare verità e falsità, o trattare l'ortodossia e l'eresia con la stessa distaccata cortesia, significa peccare contro la luce e in definitiva contro l'uomo.
Ci deve far riflettere a questo riguardo l'atteggiamento di Giovanni, il cantore della carità, come si manifesta nelle sue lettere. Egli sa che ogni vero amore nasce dall'accoglimento della verità che salva; perciò è molto vigoroso e deciso nel prendere posizione contro tutto ciò che insidia la vera fede. I discepoli devono saper distinguere tra lo spirito di verità e lo spirito dell'errore, e il criterio di distinzione è dato dalla consonanza con l'insegnamento apostolico (cfr. 1Gv.4,6).
"Voi siete da Dio, figlioli, e avete vinto questi falsi profeti, perché colui che è in voi è più grande di colui che è nel mondo. Costoro sono del mondo, perciò insegnano cose del mondo e il mondo li ascolta" (1Gv.4,4s). Nella seconda lettera arriva a scrivere: "Chi va oltre e non si attiene alla dottrina del Cristo, non possiede Dio. Chi si attiene alla dottrina, possiede il Padre e il Figlio. Se qualcuno viene a voi e non porta questo insegnamento, non ricevetelo in casa e non salutatelo; poiché chi lo saluta partecipa alle sue opere perverse( 2Gv.9-11).
Naturalmente bisogna sempre ricordare il principio,tanto ben richiamato da Giovanni XXIII, che impone di non far confusione tra l'errore e l'errante. L'errante va sempre capito, per quel che è possibile, amato e aiutato; l'errore va sempre nettamente condannato. Giovanni Paolo II ha detto a proposito: "La comprensione e il rispetto per l'errante esigono anche chiarezza di valutazione circa l'errore di cui egli è vittima. Il rispetto, infatti, per le convinzioni altrui non implica la rinuncia alle convinzioni proprie. E anche nei casi più difficili bisogna tenere simultaneamente presenti il principio della compassione e della misericordia, secondo il quale la Chiesa cerca sempre di offrire la via del ritorno a Dio e della riconciliazione con Lui, e il principio della verità e della coerenza, per cui la Chiesa non accetta nè può accettare di chiamare bene il male e male il bene" (Discorso di Loreto, 11 aprile 1985, n.5).