giovedì 9 agosto 2012

Come muore una santa




 Oggi 9 agosto abbiamo celebrato la memoria liturgica della Santa ebrea, compatrona d'Europa, morta 70 anni fa nel campo di sterminio di Auschwitz. Di seguito i commenti dalla stampa.

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Settant’anni fa, era il 9 agosto 1942, moriva nelle camere a gas del Campo di concentramento di Auschwitz Santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein, ebrea tedesca, filosofa e carmelitana. La Chiesa celebra oggi la memoria liturgica di questa Santa, proclamata da Giovanni Paolo II patrona d’Europa con Santa Brigida e Santa Caterina da Siena. Benedetto XVI l’ha ricordata più volte più volte nel corso del suo Pontificato. Il servizio di Sergio Centofanti.
Cercava con tutto il cuore la verità e non ha saputo resistere di fronte all’amore del Cristo crocifisso: “il cammino della fede – diceva – ci porta più lontano di quello della conoscenza filosofica: ci porta al Dio personale e vicino, a Colui che è tutto amore e misericordia, a una certezza che nessuna conoscenza naturale può dare”. Ebrea agnostica, si lascia conquistare da Gesù, ma non rinnega il suo popolo. Poteva fuggire dai nazisti, ma non volle, come ha sottolineato il Papa nella sua storica visita ad Auschwitz il 28 maggio 2006:
“Come cristiana ed ebrea, ella accettò di morire insieme con il suo popolo e per esso. I tedeschi, che allora vennero portati ad Auschwitz-Birkenau e qui sono morti, erano visti come Abschaum der Nation – come il rifiuto della nazione. Ora però noi li riconosciamo con gratitudine come i testimoni della verità e del bene, che anche nel nostro popolo non era tramontato. Ringraziamo queste persone, perché non si sono sottomesse al potere del male e ora ci stanno davanti come luci in una notte buia”.
“Il mondo è in fiamme – scriveva Edith Stein nel tempo buio del nazismo – la lotta tra Cristo e anticristo si è accanita apertamente, perciò se ti decidi per Cristo può esserti chiesto anche il sacrificio della vita”. Entra con tutta se stessa nel mistero della Croce:
“La santa carmelitana Edith Stein … scriveva così dal Carmelo di Colonia nel 1938: «Oggi capisco … che cosa voglia dire essere sposa del Signore nel segno della croce, benché per intero non lo si comprenderà mai, giacché è un mistero… Più si fa buio intorno a noi e più dobbiamo aprire il cuore alla luce che viene dall’alto»”. (Angelus del 20 giugno 2010)
Ma “la croce non è fine a se stessa” – diceva Edith Stein – è “l’amore di Cristo” che “non conosce limiti” e “non si ritrae davanti a bruttezza e sporcizia”. Gesù “è venuto per i peccatori e non per i giusti, e se l’amore di Cristo vive in noi – affermava la Santa carmelitana – dobbiamo fare come Lui e metterci alla ricerca della pecorella smarrita”. Così, solo l’amore che dà la vita per salvare l’altro cancella il male, annienta la morte, è eterno: in questo la Croce è la nostra “unica speranza”.
fonte: http://it.radiovaticana.va/articolo.asp?c=611619

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"Ci inchiniamo profondamente di fronte alla testimonianza della vita e della morte di Edith Stein, illustre figlia di Israele e allo stesso tempo figlia del Carmelo”.
Furono queste le parole pronunciate da Giovanni Paolo II, il 1° maggio 1987 a Colonia, in occasione della beatificazione di Edith Stein, monaca e martire, morta ad Auschwitz il 9 agosto 1942, proclamata Santa nel 1998.
Suor Teresa Benedetta della Croce, questo il suo nome da consacrata, fu “una personalità che portò nella sua intensa vita una sintesi drammatica del nostro secolo, una sintesi ricca di ferite profonde che ancora sanguinano” disse il Beato Wojtyla nel medesimo discorso. Allo stesso tempo, fu “la sintesi di una verità piena al di sopra dell'uomo, in un cuore che rimase così a lungo inquieto e inappagato, fino a quando finalmente trovò pace in Dio”.
Edith Stein nacque a Breslavia, il 12 ottobre 1891, undicesima figlia di genitori ebrei. Allevata nei valori della religione israelitica, a 14 anni abbandonò la fede e divenne atea. Studiò filosofia a Gottinga, diventando discepola e assistente di Edmund Husserl, fondatore della scuola fenomenologica, e guadagnandosi la fama di brillante filosofa.
Nel 1921 si convertì al cattolicesimo. Ad influenzare tale scelta fu la lettura della biografia di Santa Teresa. Dopo aver letto tutta la notte, chiuse il libro e si disse: “Questa è la verità”. Si battezzò il 1° gennaio 1922 e, nello stesso anno, ricevette la cresima. Desiderò da subito entrare a far parte delle monache carmelitane, ma il suo padre spirituale le impedì in un primo momento questa scelta.
Insegnò per otto anni a Speyer, fino al 1932, anno in cui fu chiamata ad insegnare all’Istituto pedagogico di Münster in Westfalia, ma la sua attività si interruppe a causa delle leggi razziali.
Nell’ottobre del ‘33, entrò come postulante nel monastero delle Carmelitane di Colonia, non per fuggire, ma per soddisfare un desiderio accarezzato da lungo tempo. Dopo qualche mese, si celebrò la cerimonia della sua vestizione. Da quel momento porterà il nome di Suor Teresa Benedetta della Croce.
Nel novembre del ‘38 l'odio nazista raggiunse il suo culmine. La Madre Priora delle Carmelitane di Colonia fece il possibile per portare Edith all'estero. La notte di capodanno del ’38, infatti, fu trasferita nel monastero delle Carmelitane di Echt, in Olanda. Lì scrisse: “Già ora accetto con gioia, in completa sottomissione e secondo la Sua santissima volontà, la morte che Iddio mi ha destinato”.
Nonostante le si presentò più volte la possibilità di fuggire, (tra cui l’offerta di una cattedra universitaria in America Latina), rifiutò sempre, per abbracciare totalmente quel disegno di Verità che Dio aveva riservato alla sua vita.
La sua priora confermerà nella deposizione: “Avrebbe potuto benissimo scomparire in un convento su una isola della Frisia, ma rifiutò di farlo perché non voleva sfuggire neanche all’ingiusta persecuzione per vie torte”.
Il 2 agosto del 1942 la Gestapo, strappò dal monastero Edith e sua sorella Rosa, anch’ella battezzata nella Chiesa cattolica e prestante servizio presso le Carmelitane di Echt.
Nelle sue riflessioni Edith scrisse: “Che gli esseri umani potessero arrivare ad essere così, non l'ho mai saputo e che le mie sorelle e i miei fratelli dovessero soffrire così, anche questo non l'ho veramente saputo ... in ogni ora prego per loro. Che oda Dio la mia preghiera? Con certezza però ode i loro lamenti”.
Condotta con la sorella nel Lager di Amersfoot, lì si raccolse intorno a lei una piccola comunità religiosa che pregava insieme il Santo Rosario. Edith, calma, non nervosa, con la stella ebraica sul suo abito, “veniva spontaneamente considerata come la loro superiora, perché traspariva in lei una forza soprannaturale” raccontano alcuni testimoni.
Anche in quei drammatici momenti, infatti, Edith non perse la sua statura morale. Diceva infatti: “Il mondo è formato da contrasti, ma alla fine rimarrà solo il grande amore. Come potrebbe essere diversamente?”.
Dopo il ‘transito’ nel campo di raccolta di Westerbork, vicino a Assen, nell’Olanda nordorientale, all'alba del 7 agosto, Edith e la sorella partirono con un carico di 987 ebrei in direzione Auschwitz.
Due giorni dopo, il 9 agosto, Suor Teresa Benedetta della Croce morì in una delle camere a gas del campo di sterminio.
Salì agli onori degli altari il 1° maggio del 1987, nel Duomo di Colonia. Con la sua beatificazione la Chiesa volle onorare: “una figlia d'Israele, che durante le persecuzioni dei nazisti è rimasta unita con fede ed amore al Signore Crocifisso, Gesù Cristo, quale cattolica, ed al suo popolo quale ebrea” come dichiarò il Beato Wojtyla.
Sempre Giovanni Paolo II la canonizzò, poi, l’11 ottobre 1998, e l’anno successivo, sempre per sua volontà la dichiarò Compatrona d’Europa insieme a S.Caterina da Siena e S.Brigida di Svezia. (S. Cernuzio)
Fonte: Zenit

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Di Cristiana Dobner  - Da "L’Osservatore Romano" di oggi,  9 agosto 2012

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Edith Stein, consegnata con la deportazione all’ultimo viaggio per giungere in quel luogo, Auschwitz, dove regnava l’ingegneria del male e che significava distruzione e morte certa, fu ridotta a cenere. La furia nazista supponeva di aver cancellato insieme con Israele anche la memoria e ogni traccia dell’efferatezza compiuta, invece lo “scacco matto” si è rivoltato contro gli apparenti vincitori, e i superstiti hanno saputo raccontarlo. È possibile quindi ricostruire gli ultimi giorni di Edith Stein prima che scomparisse nell’oblìo e nel silenzio.
Il nudo meccanismo della distruzione non ha avuto la meglio, malgrado la perfetta organizzazione confermata dal telegramma segreto a firma di Eichmann. Il 20 luglio 1942 venne diffusa e letta nei Paesi Bassi la lettera dei vescovi olandesi che, con forti e vibranti accenti, richiamava la popolazione all’aiuto dei perseguitati e si schierava con gli ebrei. Fu una trappola e si tramutò nell’occasione: i nazisti organizzarono per rappresaglia una retata in cui vennero inclusi anche i religiosi, 300, di origine ebraica. S. Romano afferma: «La sua [Edith Stein] deportazione ad Auschwitz nell’agosto del 1942 fu il risultato di un duro scontro fra le autorità tedesche e il clero olandese». Strappata al monastero fu condotta con la sorella al Lager di Amersfoot, dove la baracca loro assegnata già rigurgitava di prigionieri: «Le sette religiose formavano un gruppo a sé, una piccola Comunità: pregavano insieme, dicendo il breviario e il S. Rosario… Edith Stein veniva spontaneamente considerata da loro come superiora, perché traspariva in lei una forza soprannaturale». Portava sul suo abito, come tutti gli altri, la stella ebraica, «era calma, non nervosa, al contrario di Suor Rosa. Secondo il mio parere, questo proveniva dal suo abbandono a Dio. A Maastricht ovviamente ha pianto anche lei, ma più tardi il contrasto tra lei e Rosa era molto chiaro». Alcuni amici del monastero riuscirono a raggiungerla: «… si parlò di calci e di colpi del fucile. La Serva di Dio lo raccontò con la massima tranquillità, senza agitazione interiore»; il giornalista Van Kempen si trovò dinanzi «una donna spiritualmente grande e forte», egli durante il loro colloquio fumò una sigaretta e le chiese «se ne volesse una anche lei. Mi rispose che lo aveva fatto un tempo e che un tempo, da studentessa, aveva anche ballato».
La possibilità di fuga e scampo le si era presentata molte volte nell’ultimo decennio della sua vita: l’offerta di una cattedra universitaria in America Latina, un rifugio con documenti falsi in uno sperduto convento olandese, la salita in Palestina, dove avrebbe desiderato vivere; sempre rifiutò in nome della Verità tanto da lei cercata ed amata. La sua priora conferma nella deposizione: «Avrebbe potuto benissimo scomparire in un convento su una isola della Frisia, ma rifiutò di farlo perché non voleva sfuggire neanche all’ingiusta persecuzione per vie torte».
L’ultimo diniego di piegarsi lo sperimentò a Westerbork, vicino a Assen, nell’Olanda nordorientale a trenta chilometri dal confine tedesco, campo costruito dagli olandesi nel 1939, con il consenso dell’organizzazione ebraica, per raggruppare rifugiati ebrei, tedeschi o apolidi, entrati illegalmente nel paese e divenuto dal 1 luglio 1942 «campo di transito di polizia»: per centomila ebrei olandesi, l’ultima fermata prima di Auschwitz. Un impiegato olandese che prestava servizio al campo e le aveva letto negli occhi uno smisurato e pacato dolore, testimoniò più tardi nel corso del Processo di Beatificazione: «Dal suo essere silente emanava un forte influsso… Parlava con umile sicurezza, tanto da commuovere chi la sentiva. Una conversazione con lei … era come un viaggio in un altro mondo. In quei momenti Westerbork non esisteva più…. Mi disse: – Non avrei mai creduto che gli uomini potessero essere così e… che i miei fratelli dovessero soffrire tanto! – Quando non ci fu più dubbio che dovesse essere trasportata altrove, le domandai se potevo aiutarla e (cercare di liberarla); … di nuovo mi sorrise supplicandomi di no. Perché fare un’eccezione per lei e per il suo gruppo? Non sarebbe stata giustizia trarre vantaggio dal fatto che era battezzata! Se non avesse potuto partecipare alla sorte degli altri la sua vita sarebbe stata rovinata: – No, no, questo no!».
La carmelitana non smentì la sua statura interiore, affermò anche: «Il mondo è formato da contrasti… Ma la finale non sarà formata da questi contrasti. Rimarrà solo il grande amore. Come potrebbe essere diversamente?». Solo nel vivo dramma del campo Edith Stein toccò con mano una realtà che aveva sottovalutato: «Non avevo mai saputo realmente che i miei fratelli e le mie sorelle dovessero soffrire così…Ogni momento prego per loro. Se Dio ascolta la mia preghiera? Egli ascolta certamente il loro lamento».

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Una statua a Bad Neustadt, cittadina della Baviera, inaugurata domenica scorsa. Una Messa celebrata oggi nel campo di sterminio di Birkenau, in Polonia, a cui prenderà parte in rappresentanza della Conferenza episcopale tedesca monsignor Karl-Heinz Wiesemann, vescovo di Speyer. Un film che viene girato in queste settimane nell’Abbazia di Kremsmünster, in Austria, dal regista americano Joshua Sinclair. Si segnalano in diversi Paesi le iniziative per ricordare il transito al cielo di Teresa Benedetta della Croce, ovvero Edith Stein, santa e copatrona d’Europa, avvenuto il 9 agosto di 70 anni fa ad Auschwitz.Nata nel 1891 da una famiglia ebrea a Breslavia, capitale della Slesia prussiana, la Stein fu un intelletto precocissimo e brillante. Abbandonata a 14 anni la fede dei padri per un ateismo giovanile e vagamente ribelle, datasi alla ricerca speculativa, diventò allieva e assistente di uno dei filosofi più influenti della prima metà del ’900, Edmund Husserl, il fondatore della scuola fenomenologica. «Fu una fenomenologa ben nota in Germania e all’estero per le sue ricerche e le sue conferenze, tanto che entrata nel Carmelo di Colonia le fu concesso un permesso particolare per continuare i suoi studi e le sue pubblicazioni», commenta suor Cristiana Dobner, del monastero di Concenedo, vicino a Lecco. Anche lei come la Stein un talento per la cultura, letteraria soprattutto, che in gioventù ha scelto la via del Carmelo.
«Tutta la vita di Edith Stein – continua suor Cristiana – da ragazza ebrea non credente fino al giorno in cui incontrò Gesù Cristo durante la lettura dell’autobiografia di Teresa di Gesù, fu animata e sorretta da un solo desiderio: la ricerca della verità. Fra le persone con cui veniva in contatto con rapporti sempre franchi e sinceri, con le idee filosofiche che veniva conoscendo, con l’anelito a condurre una vita di cui il senso le sfuggiva: una vita a zig zag, con un filo conduttore però preciso che mai venne meno: “Tutta la mia ricerca della verità era una sola preghiera”».
Nel 1921, dopo un percorso di avvicinamento al cristianesimo, avvenne per la Stein la conversione repentina. Leggendo appunto l’autobiografia di santa Teresa d’Avila, trovata in casa di amici, durante una notte insonne. «Quando sperimentò l’incontro, persona a Persona, con Gesù Cristo – continua suor Cristiana – tutto risplendette, non avrebbe potuto avere altra strada che quella tracciata da Teresa e così condividere la sua storia con delle sorelle interamente dedicate alla vita contemplativa». E difatti nel 1933, quando l’espulsione da tutti i ranghi di insegnamento per gli ebrei non fu più una minaccia ma una tragica realtà, Edith Stein, allora docente all’Istituto di pedagogia scientifica di Münster, poté realizzare la sua chiamata ed entrare in convento. Una vita religiosa segnata fin dall’inizio dalla percezione del suo destino sacrificale. «Durante una preghiera dinanzi all’Eucaristia – ricorda sempre suor Cristiana – Edith aveva compreso che la sofferenza che si stava abbattendo sul “suo” popolo Israele, per lei si stava configurando come la Croce da portare e divenne così Teresa Benedetta della Croce». Il suo ordine la trasferì per motivi di sicurezza nel convento di Echt, nei Paesi Bassi. Ma quando il 20 luglio 1942 in tutte le Chiese olandesi venne letta una lettera pastorale in cui i vescovi denunciavano la deportazione degli ebrei, la reazione nazista fu spietata: 300 religiosi di origine ebraica furono deportati nei campi di concentramento. Tra loro Edith e la sorella Rosa, anche lei convertitasi e fattasi suora carmelitana.
La geniale collaboratrice di Husserl, che pure ha fatto in tempo a scrivere alcuni lavori filosofici di pregio, ha lasciato la sua opera forse più importante, considerata il suo testamento spirituale, in un commento a san Giovanni della Croce dal titolo Scientia Crucis. «Una scienza della Croce – chiosa suor Cristiana – non è teoria ma incarnazione. Giovanni Paolo II riconobbe in Edith Stein “l’espressione di un pellegrinaggio umano, culturale e religioso, che incarna il nucleo profondo della tragedia e delle speranze del Continente europeo” e la proclamò patrona d’Europa per “la grande sfida di costruire una cultura e un’etica dell’unità”». (Andrea Galli)
DAL ’99 E’ COMPATRONA ASSIEME A CATERINA DA SIENA E BRIGIDA
Edith Stein è dal 1° ottobre 1999 compatrona d’Europa. La nominò Giovanni Paolo II insieme a santa Caterina da Siena e santa Brigida di Svezia, completando al femminile quello aveva fatto nel 1980 con Cirillo e Metodio, evangelizzatori del mondo slavo, affiancati a san Benedetto da Norcia. Fu lo stesso papa Wojtyla, in una lettera apostolica pubblicata in occasione della proclamazione delle tre nuove compatrone, a spiegare i motivi che lo avevano indotto a una simile scelta, giunta significativamente alla vigilia del Giubileo del 2000 e mentre si stava celebrando il secondo Sinodo Europeo. Si tratta, scrisse, di «tre grandi sante, tre donne, che in diverse epoche – due nel cuore del Medioevo e una nel nostro secolo – si sono segnalate per l’amore operoso alla Chiesa di Cristo e la testimonianza resa alla sua Croce». La loro santità, aggiunse il Pontefice, «si espresse in circostanze storiche e nel contesto di ambiti “geografici” che le rendono particolarmente significative per il Continente europeo. Santa Brigida – faceva notare Giovanni Paolo II – rinvia all’estremo Nord dell’Europa, dove il Continente quasi si raccoglie in unità con le altre parti del mondo, e donde ella partì per fare di Roma il suo approdo. Caterina da Siena è altrettanto nota per il ruolo che svolse in un tempo in cui il Successore di Pietro risiedeva ad Avignone, portando a compimento un’opera spirituale già iniziata da Brigida col farsi promotrice del suo ritorno alla sua sede propria presso la tomba del Principe degli Apostoli. Teresa Benedetta della Croce, infine, recentemente canonizzata, non solo trascorse la propria esistenza in diversi paesi d’Europa, ma con tutta la sua vita di pensatrice, di mistica, di martire, gettò come un ponte tra le sue radici ebraiche e l’adesione a Cristo, muovendosi con sicuro intuito nel dialogo col pensiero filosofico contemporaneo e, infine, gridando col martirio le ragioni di Dio e dell’uomo nell’immane vergogna della “shoah”». Edith Stein, concludeva il Papa, «è divenuta così l’espressione di un pellegrinaggio umano, culturale e religioso, che incarna il nucleo profondo della tragedia e delle speranze del Continente europeo». (Mimmo Muolo)
fonte: http://www.avvenire.it/Chiesa/Pagine/stein-faro-europa.aspx

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Di Fernando Cancelli – L’Osservatore Romano - 9 agosto 2012
«Numero 44074, Edith Thérèse Hedwig Stein, nata il 12 ottobre 1891 a Breslau, proveniente da Echt, morta il 9 agosto 1942». Una nota della gazzetta ufficiale olandese del 16 febbraio 1950 registra i nomi degli ebrei deportati dai Paesi Bassi il 7 agosto 1942 e ci riporta ai tragici avvenimenti che si svolsero nel caldo di quell’estate di settant’anni fa.
L’arresto, con la sorella Rosa, al carmelo di Echt alle 17 del 2 agosto, il vento carico di sabbia che soffia sulla disperazione di Westerbork, i soffocanti vagoni merci sigillati diretti a est, la massa di persone angosciate, sfinite, perdute verso una meta ignota e senza ritorno, infine la pianura mortale e in quel periodo afosa di Auschwitz: il tutto si svolse per santa Teresa Benedetta della Croce e per i suoi compagni di deportazione in sette giorni. A un uomo che condivideva la sua stessa sorte nel campo di transito olandese non sfuggì quella carmelitana che «andava tra le donne come un angelo consolatore, calmando le une, curando le altre», occupandosi dei bambini le cui madri spesso «sembravano cadute in una sorta di prostrazione vicina alla follia»: lavandoli, pettinandoli, cercando di procurare loro il cibo.
«Più un’epoca è immersa nella notte del peccato e dell’allontanamento da Dio, più grande sarà il suo bisogno di anime unite a Dio, e d’altra parte Dio non le lascia certo mancare. Dalla notte più oscura – scriveva Edith Stein nel 1939 – sorgono le più grandi figure di profeti e di santi. Ma la corrente della vita mistica che forgia le anime resta in gran parte invisibile. Alcune anime delle quali nessun libro di storia fa menzione hanno un’influenza determinante nei tornanti decisivi della storia universale (…) e della nostra vita personale».
Edith era nata nel giorno dello Yom Kippur, e morì in prossimità del 9 di Av secondo il calendario ebraico, cioè nel digiuno del Ticha be-Av che ricorda la distruzione del Tempio di Gerusalemme: tutta la vita cristiana di santa Teresa Benedetta della Croce è saldamente ancorata alle sue radici ebraiche, quasi ritmata dalla liturgia ebraica, come ha sottolineato il carmelitano Didier-Marie Golay. «Ella ha amato la sua doppia appartenenza, anche se questo sconcerta i cristiani e gli ebrei. Che una cristiana muoia da ebrea non è parso a qualcuno più scioccante del fatto che un’ebrea abbia vissuto da cristiana» ha scritto il gesuita Xavier Tilliette.
Eppure la vocazione carmelitana affonda le proprie radici nella terra rossa di un monte di Israele: come «tenersi di fronte al volto del Dio vivente», ci ricorda questa martire, rinnegando le nostre origini? Ebrei e cristiani, in quei terribili giorni di settant’anni fa, pativano insieme anche l’angoscia dell’apparente silenzio di Dio.
«Si sono così spesso sentite in questi ultimi mesi – scriveva coraggiosamente Edith Stein – persone lamentarsi del fatto che le numerose preghiere per la pace non abbiano ancora avuto alcun effetto. Ma che diritto abbiamo di essere esauditi? Il nostro desiderio di pace è sicuramente autentico e giusto. Ma viene da un cuore completamente purificato? Avremo noi veramente pregato (…) unicamente per onorare il Padre e senza alcuna ricerca di sé?». E poco dopo concludeva: «Il giorno in cui avremo lasciato a Dio ogni potere sul nostro cuore anche noi avremo ogni potere sul suo». Sarà il giorno in cui, giunti magari faticosamente alla sommità del monte Carmelo, riconosceremo dentro di noi con gratitudine una parte della fede di Mosé e di Elia.
fonte: http://www.osservatoreromano.va/portal/dt?