ROMA, venerdì, 27 luglio 2012. - La Facoltà di Missiologia della Gregoriana ha varato di recente un Programma degli Studi totalmente rinnovato nell’omonimo Dipartimento, che a partire dal prossimo ottobre offrirà ai suoi studenti due inediti indirizzi: “Missio ad gentes” (destinato a quegli studenti che in futuro opereranno presso popoli che non sono ancora stati raggiunti dalla Parola del Vangelo) e “Nuova evangelizzazione” (predisposto per quegli studenti la cui attività si svolgerà a servizio di comunità le cui Chiese sorgono in territori secolarizzati o già totalmente scristianizzati; e in società di matrice cristiana che assumono un forte carattere pluralistico). Un rinnovamento che rivela l’attenzione alle preoccupazioni di papa Benedetto XVI, l’instancabile catecheta che ha indetto il prossimo Anno della Fede e il Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione. Ne parliamo con la Prof.ssa Ilaria Morali, Pro-Direttore del Dipartimento di Missiologia della Pontificia Università Gregoriana.
Professoressa, il prossimo ottobre si avviano a distanza di pochi giorni due eventi che richiamano l’attenzione della Chiesa universale sulla fede e sul suo annuncio. Esse appaiono davvero i temi più a cuore del Santo Padre.
Ilaria Morali: «Quando ero studentessa alla Facoltà di Teologia, rammento di esser rimasta molto impressionata da un passo dell’Introduzione al Cristianesimo dell’allora Card. Ratzinger che ricordava come la fede versasse in una condizione inerme. D’altra parte, ancora nel 2005, nella celebre conferenza dedicata all’Europa di San Benedetto nella crisi delle culture, egli con grande realismo ha voluto richiamare l’attenzione sulla necessità di riscoprire cosa significhi credere. Davanti alla scelta di porre al centro il tema della Fede, non si può non pensare anche alle stupende catechesi sulla fede che scandivano la vita della Chiesa dei primi secoli, o anche a quanto si legge nel Catechismo Romano nel capitolo De fide et Symbolo Dei, dai più dimenticato eppure per alcuni suoi passaggi ancora così attuale per noi. Da questa “cura della fede” è scaturita una straordinaria energia insieme a una capacità di diffondere il Vangelo in ogni contesto».
Questo “ritorno alle fondamenta” è anche un invito a riscoprire l’esperienza cristiana delle origini?
Ilaria Morali: «Se guardiamo alla Chiesa dei primi secoli, essa viveva ed agiva nell’annuncio senza temere e senza esitare, pur essendo per molto tempo in condizione di netta minoranza in una società pluralistica, ricca di tradizioni assai diverse da quella cristiana e a essa concorrenziali. Proprio come oggi. L’Anno della Fede è, in un certo senso, un tornare alle nostre origini credenti, riscoprendo la linfa e l’energia delle prime generazioni, il loro coraggio e la loro determinazione anche in tempi difficili. D’altra parte, per chi ha già intrapreso il cammino della Fede, ritengo che l’Anno indetto dal Santo Padre costituisca un momento di grazia per approfondire ciò che, nella vita del battezzato, è e deve essere la Fede: la Cattolicità deve riscoprire la sua specificità, nel quadro di quei riferimenti che le sono propri e che la connotano in modo peculiare.
In questa cornice, il Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione costituisce un’occasione altrettanto unica per riflettere sulla situazione attuale di molte nazioni che, pur avendo dietro di sé uno straordinario retaggio cristiano, vanno incontro o sono già in un avanzato stato di “desertificazione” della fede. È giusto porsi con franchezza e determinazione davanti al problema dell’estinzione della Fede e della presenza credente, riflettendo attentamente sulle cause, ma anche sulle strategie da mettere in campo a livello ecclesiale».
Lo scorso 9 luglio il Papa ha affermato che il Decreto conciliare Ad Gentes è un «complemento molto buono della Lumen gentium, perché vi troviamo un’ecclesiologia trinitaria». Troppo spesso, infatti, la missione viene concepita come compito di pochi...
Ilaria Morali: «Il Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione e l’Anno della Fede si collocano in concomitanza con le celebrazioni a 50 anni dal Concilio Vaticano II. Fu il Concilio a ricordarci che la Chiesa è essenzialmente missionaria e che, in quanto popolo di Dio, tutti i fedeli che sono in essa incorporati sono in questa missione e a essa partecipano. Oggi la parola “Missiologia” suona ai più misteriosa, forse sibillina. Ad altri può apparire obsoleta. In alcuni settori della Cattolicità si pensa infatti che non si debba parlare più di “missione”, perché questa costituirebbe un retaggio di una visione antiquata, quasi “colonialistica” dell’azione della Chiesa nel mondo. Costoro purtroppo dimenticano che la Chiesa è essenzialmente missionaria, per volere del Signore stesso, in ogni luogo essa si trovi. Il cuore della Missiologia è la Teologia della Missione. In Teologia studiamo singoli trattati come la Sacramentaria, la Cristologia, l’Ecclesiologia… come queste denominazioni lasciano intendere, in esse viene studiato ed approfondito “un” aspetto essenziale dell’edificio della Fede cattolica. La missione è, appunto, parte di questo edificio. Il fatto che le si sia dedicata una Facoltà mostra come lo studio – la scienza della missione – implichi una complessa articolazione di discipline tale da necessitare un itinerario formativo specifico e organico. Del resto, ogni fedele cattolico dovrebbe poter conoscere il senso profondo del comando del Signore ai suoi discepoli».
Quali sono le origini della “scienza della missione”? E a chi si rivolge?
Ilaria Morali: «Nei primi decenni dello scorso secolo, il mondo cattolico europeo fu percorso da uno straordinario anelito missionario che pervase non solo intere comunità di fedeli, ma anche gli ambienti teologici di Germania e Francia. Fu in questo clima di zelo e fervore che prese forma l’esigenza di offrire una formazione “ad hoc” sulla missione. Bastino ricordare l’apporto decisivo di Josef Schmidlin, come pure il contributo che Henri de Lubac diede, a partire dagli anni Trenta, alla conoscenza del fondamento teologico della missione.
Oggi come oggi, in una società pluralistica, la formazione alla missione è tanto più necessaria proprio a motivo dell’enorme responsabilità che ciascun fedele ha di fronte a quanti non conoscono Cristo. Si aggiunge tuttavia un aspetto nuovo, e qui mi riallaccio a quanto detto sull’Anno della Fede e sul concomitante Sinodo: la missione non può essere concepita come un’attività che contraddistingue un’area del mondo e un ristretto gruppo di persone che va “in missione” dall’altra parte del globo, ma deve tornare ad essere considerata come parte integrante dell’agire cristiano, come caratteristica determinante di tutto il Popolo di Dio, indipendentemente dal luogo dove ci si trova e dalle persone che si incontrano.
La formazione alla Missione è dunque essenziale per ogni cristiano. La Missiologia è una scienza fondamentale nell’ambito dello studio delle Scienze sacre: non è una parte secondaria della teologia, ma, in un certo senso, ne costituisce come il cuore. Del resto, che senso avrebbe riflettere teologicamente su Cristo, Chiesa, Sacramenti, senza includere una riflessione teologica sulla missione, anch’essa voluta dal Signore?».
Il vostro Dipartimento ha recentemente rinnovato argomenti, struttura e impostazione dei propri corsi. Le radici “missionarie” della Gregoriana sono peraltro antiche.
Ilaria Morali: «Indubbiamente! Ecco perché in questi anni, in Gregoriana ci si è a lungo confrontati sul ruolo, sul destino e sulle finalità della Facoltà di Missiologia. A partire dallo scorso mese di novembre, si è dunque lavorato a fondo per dare al Dipartimento di Missiologia una fisionomia concreta e operativa a partire dal prossimo anno accademico 2012–21013: un profilo all’altezza delle sfide che si pongono alla Chiesa.
A tal fine abbiamo operato in varie direzioni. Per cominciare, siamo tornati alle origini “ignaziane” della formazione missionaria alla Gregoriana, studiando da vicino la storia del Collegio Romano che – prodromo della nostra Università – fu il luogo dove si formarono missionari del calibro di Matteo Ricci. Approfondendo alcuni aspetti della vitalità e pedagogia del Collegio Romano (1551) siamo rimasti impressionati dalla solidità del progetto educativo che proponeva, del suo rigore come della sua grande modernità, dalla finalità esplicitamente apostolica di questa Istituzione».
Nonostante il perpetuo orientamento missionario della Compagnia di Gesù, una vera e propria Facoltà di Missiologia fu istituita soltanto nel 1932. Avete recuperato alcuni spunti anche da quella strutturazione originaria?
Ilaria Morali: «Un autentico rinnovamento implica sempre un’operazione di recupero della memoria. Penso ad esempio alla scelta che i gesuiti della Gregoriana fecero di introdurre nella nascente Facoltà discipline come il Diritto Missionario e la Dogmatica Missionaria, la Morale come pure determinati aspetti afferenti le Scienze Umane (c’erano materie come Statistica, Geografia, Psicologia, ecc.). Questo non significa un ritorno al passato, quanto piuttosto un ascolto di quella esperienza. A quel tempo, ad esempio, si concepivano queste discipline nella sola direzione dell’azione della Chiesa in terre non ancora evangelizzate, “di primo annuncio”. Oggi, al contrario, “missionario” deve essere inteso in un senso molto più esteso, in rapporto cioè all’essenza stessa della Chiesa che è missionaria, tanto nell’Occidente scristianizzato che in Paesi di prima evangelizzazione. Perciò, nel recuperare questi riferimenti tipici della fisionomia della Facoltà, abbiamo pensato che fosse necessario reintrodurli, ma in una chiave rinnovata, all’altezza cioè dei tempi che viviamo. Il criterio di innovazione è quello dei “temi di frontiera”, così definiti perché strettamente connessi alle sfide che il mondo odierno pone alla fede ed all’evangelizzatore. Concretamente ci siamo chiesti: quali sono le sfide che l’ora attuale pone alla Cattolicità?».
Vuole farci qualche esempio di questi “temi di frontiera”?
Ilaria Morali: «In ogni trattato teologico inerente alla Fede, si pongono dei problemi forti ed ineludibili: si pensi solamente alla discussione odierna sull’unicità della mediazione di Cristo e alle conseguenze che essa ha portato in taluni ambienti sul piano della missione. Abbiamo perciò pensato di costituire una serie di discipline, soprattutto teologiche, nelle quali concentrare ogni sforzo per esaminare le questioni più forti che interpellano la Chiesa nella sua missione. I temi di frontiera spaziano pertanto da questioni inerenti la Teologia Sacramentaria, come il matrimonio in una società a maggioranza non cristiana, o il tema della conversione tra grazia e libertà, o il rapporto fede–arte in rapporto al linguaggio religioso. Vi sono anche temi di Teologia Morale: si pensi ai problemi di carattere morale che un missionario deve affrontare in Africa operando tra malati di AIDS o quando la Fede diviene una grandezza all’interno di una società dove sussistono altri criteri. Vi sono però questioni di carattere filosofico, altrettanto fondamentali per comprendere le sfide che si pongono alla Chiesa nel momento attuale. Prevedo perciò anche dei corsi a carattere filosofico, proprio per studiare le radici di talune opzioni teologiche ed anche sociali insite nella contemporaneità.
È proprio per dare il più ampio spettro possibile di risposte e di indicazioni che abbiamo chiesto la collaborazione di numerosi docenti. Il programma che il Dipartimento di Missiologia offrirà a partire dall’anno 2012-2013 è il frutto del lavoro collegiale di un “team” che hanno generosamente accettato l’invito a mettere in comune le proprie competenze. Avremo professori di diverse Facoltà della Gregoriana, come pure l’apporto di docenti del Pontificio Istituto Orientale e di altre Istituzioni universitarie presenti in Roma».
Il vostro Dipartimento di Missiologia offre due indirizzi particolari.
Ilaria Morali: «Sì, abbiamo pensato di articolare l’offerta formativa secondo due direzioni specifiche: la Missione ad gentes, un itinerario formativo destinato a quanti saranno chiamati a svolgere la propria attività di evangelizzatori in terre di prima evangelizzazione, cui si aggiunge un secondo indirizzo totalmente nuovo – Nuova Evangelizzazione – proprio perché pensiamo che la missione sia oggi da concepirsi a 360 gradi».
Quando dice “missione a 360 gradi” intende dire che avete ripensato anche il profilo dell’evangelizzatore, la figura del missionario “classico”?
Ilaria Morali: «Proprio in virtù del Battesimo e della Confermazione ogni fedele, sia egli sacerdote, religioso o laico, è chiamato alla testimonianza e all’annuncio. Se si rilegge tanto il Proemio quanto il n. 11 del Decreto Ad Gentes, i Padri conciliari parlano di “tutti fedeli” e di “Popolo di Dio” come dei protagonisti della diffusione del Vangelo nel mondo. Pertanto, proprio in ossequio all’insegnamento conciliare, abbiamo ritenuto importante recuperare questa visione ampia del profilo dell’evangelizzatore, rivolgendo la nostra offerta formativa non solo ai membri degli Istituti missionari, ma a “tutti i fedeli”».
A proposito del decreto Ad Gentes, durante la sua recente visita a Nemi, Benedetto XVI ha ricordato come 47 anni fa partecipò in veste di perito proprio ai lavori della “Commissione Conciliare delle Missioni”.
Ilaria Morali: «La genesi del decreto Ad Gentes ha conosciuto varie fasi, come testimoniano gli stessi Acta, ed è significativo che i Padri Conciliari – coadiuvati proprio da teologi come Ratzinger – abbiano deciso di premettere alle riflessioni sulla missione, una serie di numeri interamente dedicati ai princìpi dottrinali. Se si leggono gli interventi in Aula dei padri conciliari si coglie una grande preoccupazione, perché iniziava ad affiorare in alcuni settori ecclesiali proprio la tendenza a sminuire la dimensione missionaria della vita e dell’essenza della Chiesa. Le discussioni accennate di recente dal Santo Padre lasciano veramente intendere la volontà di conferire al tema della missione una sua centralità. Promulgata la Costituzione Lumen Gentium (1964) ove il numero 17 già parlava della missione della Chiesa, si concepì il decreto Ad Gentes come una sorta di esplicitazione di quanto già enunciato, ribadendo allo stesso tempo il fondamento dogmatico della missione. Il rinnovamento della nostra Facoltà di Missiologia e nel suo omonimo Dipartimento si colloca, in un certo senso, anche come recupero del genuino spirito conciliare e come riscoperta del suo insegnamento in Ad Gentes. Dobbiamo tornare a leggere il Concilio e a coglierne il suo insegnamento autentico».
Negli ultimi decenni le nostre città sono mutate in maniera imprevedibile. Anche l’annuncio del Vangelo deve necessariamente concepirsi secondo forme nuove?
Ilaria Morali: «Guardi, io vengo dalla Diocesi di Milano, sono cresciuta in una parrocchia del centro dove il sacerdote dedicava a noi giovani l’intera sua giornata. Tornando nel mio quartiere 25 anni dopo, un sacerdote mi ha detto che dei sei oratori che un tempo scandivano la vita della gioventù del mio quartiere, ne è rimasto in piedi uno solo. I tempi sono quindi cambiati, ma non è detto che determinate strategie – vincenti quando ero giovane – siano da considerarsi ormai obsolete. Da liceale, ad esempio, partecipai quasi per sfida alla “Scuola della Parola” del cardinal Martini in Duomo: immaginavo che un vescovo non avesse molto da dire a una studente della mia età. Eppure le sue catechesi, il suo stile amabile di predicazione, la solidità del suo insegnamento... mi conquistarono! Rimasi subito incantata dalla straordinaria semplicità e insieme dall’incredibile profondità delle sue lezioni. Allora si poteva ancora sedersi ai piedi della Cattedra dell’Arcivescovo e io arrivavo un paio d’ore prima proprio per stare lì, a pochi metri da questo Maestro della Fede. Quando anni dopo, in una pausa dei miei studi, tornai a Milano e mi recai a un incontro del card. Martini in Duomo, la folla di giovani che accorrevano era aumentata a tal punto che la Diocesi allestiva degli schermi sul sagrato, per permettere a tutti di ascoltare il cardinale. Cosa significa? Che l’interesse per la Fede e un riavvicinamento a essa dipende in gran parte da come la si porge, da come se ne parla, dalla testimonianza che si offre, dallo stile e dalla capacità comunicativa dell’evangelizzatore.
Quelle prime catechesi di Martini in Duomo sono state per me l’inizio della riscoperta della fede. Quando più tardi – da studente e poi da professore di teologia – mi imbattei nella lettura dei sermoni sul Credo di sant’Agostino e di altri padri della Chiesa, colsi le stesse note caratteristiche e decisi di proporre queste letture ai miei studenti. E molti di loro rimasero incantati da questi discorsi, trovandoli estremamente attuali».
Oggi, in una società pluralistica, non si incontra forse una notevole ostilità davanti alla pretesa di annunciare qualcosa al prossimo?
Ilaria Morali: «Con la semplice esperienza personale appena raccontata, vorrei dire pure che l’ostilità alla fede dipende molto da come noi viviamo o presentiamo la fede. L’ostilità verso la fede e la Chiesa non nasce solo per fattori esterni, ma sovente è anche colpa nostra. Occorre una vera e propria “intelligenza” del momento e del contesto in cui viviamo. Occorre una capacità di leggere il mondo che ci circonda agendo, senza indugio e con coraggio».
Anche se preparati al meglio per l’annuncio cristiano, tuttavia, l’ostilità è una esperienza che il cristiano deve prepararsi a sperimentare.
Ilaria Morali: «Certamente, tanto nelle terre di Nuova Evangelizzazione che in quelle di prima evangelizzazione l’ostilità è parte integrante dell’esperienza missionaria. Se leggiamo gli Atti degli Apostoli, ci rendiamo conto che Paolo dovette anche fuggire dopo l’annuncio: l’ostilità è inevitabile, è parte dell’esperienza che connota la testimonianza cristiana, ovunque essa venga data. Mi sono trovata più di una volta ad ascoltare i miei studenti parlarmi delle difficoltà, spesso immani, che essi hanno incontrato nei Paesi di origine, e che le loro rispettive Chiese patiscono... L’evangelizzatore vive in un perpetuo senso di sproporzione tra le proprie forze e il mondo che lo circonda.
Per tornare a quanto dicevo all’inizio: è vero, la fede versa in condizione inerme, come inerme è colui che la annuncia. Il teologo gesuita Henri de Lubac – che ci ha offerto non poche riflessioni sulla Teologia della Missione – sottolineava con ragione che proprio il paradosso è cifra essenziale per comprendere la Fede cristiana. Nel ripensare insieme agli altri docenti il programma del Dipartimento di Missiologia sono giunta all’interiore convinzione, da loro condivisa, che dovessimo partire da questa consapevolezza – la consapevolezza del paradosso – sapendo che il progetto che vareremo con l’inizio del prossimo anno accademico è arduo da attuarsi. Ma siamo ottimisti. Abbiamo spesso pensato a sant’Ignazio, al suo coraggio nell’attuare determinate decisioni apostoliche con decisione e fermezza. Camminiamo dunque verso il nuovo, sorretti da un gigante: che cosa temere?».
Fonte: Zenit