sabato 13 aprile 2013

Chi non arde non incendia



Fortezza d’animo di fronte alle difficoltà della vita, alle persecuzioni e anche al martirio. Testimonianza gioiosa di Cristo, fatta di buon esempio, di carità per il prossimo, di preghiera per i nemici. I tratti caratteristici del carisma di santa Dorotea, martire cappadoce del III secolo, sono anche alla radice dell’esperienza sacerdotale di don Luca Passi. Lo ha sottolineato il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, presiedendo, in rappresentanza di Papa Francesco, la beatificazione avvenuta nella basilica di San Marco sabato pomeriggio, 13 aprile. Il nuovo beato, fondatore delle suore Maestre di Santa Dorotea, «consegna anzitutto alle sue figlie spirituali — ha affermato il porporato — il prezioso tesoro della sua santità, fatta di fede viva, di gioiosa speranza, di ardente carità e di eccezionale zelo apostolico». Il suo motto, Ardere per incendiare, è «un invito alla carità e alla diffusione di questo fuoco d’amore. Chi non ama non incendia, soleva ripetere».
È da questo incendio di amore — ha detto il cardinale rivolgendosi alle religiose — che «deve scaturire il servizio della carità, declinato in molteplici modi dalla vostra creatività pastorale: nella catechesi, nella proclamazione della Parola di Dio, nell’educazione e nell’istruzione dei giovani alla vita buona del Vangelo, nella missio ad gentes, nell’impegno alla propria e altrui santificazione». Don Luca, ha aggiunto, è «considerato dai suoi biografi “come un monumento di vita cristiana e sacerdotale, come un degno e straordinario esemplare di ministro evangelico nella Chiesa di Dio”. Papa Gregorio XVI, ha ricordato il ancora cardinale, «gli conferì il titolo di “missionario apostolico”», e Papa Francesco, nella lettera apostolica per la beatificazione, lo chiama «testimone zelante dell’amore di Dio verso i piccoli e i poveri».
Il nuovo beato, mosso da una straordinaria sollecitudine apostolica, «diede vita a iniziative concrete e durature per consolidare la fede nel cuore delle nuove generazioni e dei ceti più deboli, bisognosi di istruzione e di educazione cristiana». Perché scelse per la sua opera il richiamo a santa Dorotea? «Questo riferimento — ha spiegato il porporato — ha un significato spirituale di grande attualità», perché la martire, che fu vittima delle feroci persecuzioni degli imperatori romani, «respingendo le lusinghe del suo persecutore, rimase fedele a Cristo fino al martirio». Infatti Dorotea fu una «testimone forte e coraggiosa del Vangelo, sia riconvertendo alla fede due ragazze, Crista e Calista», sia trasformando «Teofilo da persecutore in martire cristiano».
Queste storie di giovani martiri dei primi secoli «costituiscono in filigrana un efficace richiamo al nucleo essenziale del carisma doroteo». Esso si prefigge di «prospettare alle giovani generazioni di oggi la misura alta di una formazione cristiana solida e, proprio per questo, aperta all’apostolato e alla missione». In effetti, «lo slancio evangelizzatore, mediante la parola, la testimonianza e il sacrificio, costituisce, quindi, il cuore dell’identità dorotea». Per questo suo zelo apostolico, il beato, ancora vivente, era «venerato come vero apostolo, al pari di san Paolo», ha ricordato in conclusione il cardinale. La sua passione era diffondere il Vangelo per la salvezza delle anime.
L'Osservatore Romano, 14 aprile 2013.

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(Emmarosa Trovò) Una profonda spiritualità, accompagnata dalla scelta dell’azione caritativa, dal carisma della paternità e dallo slancio missionario: sono i tratti caratteristici della personalità di don Luca Passi (1789-1866), prete bergamasco morto a Venezia, che viene beatificato oggi pomeriggio, 13 aprile, nella basilica di San Marco, dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, in rappresentanza di Papa Francesco.Accompagnato dal fratello don Marco, Luca Passi nella prima metà dell’Ottocento, ovunque in Italia, attraverso la predicazione dei quaresimali, delle missioni al popolo, degli esercizi spirituali, raggiunse persone di ogni ceto sociale e condizione umana e spirituale. La sua identità di sacerdote si coniuga e s’intreccia con quella di fondatore di numerose istituzioni, ma in particolare dell’opera di Santa Dorotea e dell’omonimo istituto di suore.
Nasce a Bergamo il 22 gennaio 1789 dal conte Enrico Passi de Preposulo e da Caterina Cornaro, nobile veneziana. Nel 1811, mentre, suddiacono, svolge servizio nella parrocchia di Calcinate, dove si è trasferita la famiglia, è nominato priore della confraternita del Santissimo Sacramento, aperta alle donne, e, contemporaneamente, responsabile della dottrina cristiana. Per rendere più efficace la pastorale giovanile, propone un piano centrato non sull’istruzione catechistica, ma sul rapporto educativo per la formazione cristiana da conseguire mediante una relazione personale fra coetanee. Chiama questo piano Pia Opera di Santa Dorotea, la quale assume lo stile della correzione fraterna evangelica, tradotta in metodo formativo e organizzativo, da praticarsi all’interno della parrocchia, nella Chiesa locale.
Il 13 marzo 1813 è ordinato sacerdote. Nel 1815 viene accolto nel collegio apostolico di Bergamo e si dedica alla predicazione missionaria, accompagnato dal fratello Marco. Ovunque si reca, diffonde la Pia Opera di Santa Dorotea per le fanciulle e la Pia Opera di San Raffaele per i maschi. Nel 1838 fonda l’istituto delle suore, con il fine di sostenere l’opera. A Calcinate, sempre nel 1838, fonda anche le suore terziarie di Santa Dorotea per le orfane e, per venire incontro alla condizione sociale della gioventù contadina, scrive e stampa nel 1836 un Progetto morale ed economico. Quanti ne hanno raccolto l’eredità sono impegnati a contribuire a rendere «la terra luogo e casa di Dio», approfondendo il rapporto personale con Cristo.
Del resto, i sentieri che seguono il tracciato dell’esistenza di Don Passi, contengono un invito all’accoglienza senza riserve dell’oggi con le sue ricchezze e le sue ombre; una consegna a camminare in esso, assumendone le problematiche, le incertezze, gli stimoli, considerando gli avvenimenti come buoni conduttori di una corrente positiva che immette energia, stimola al bene, offre futuro. È il richiamo a fare l’esperienza di essere salvati anche oggi, cioè diventare capaci di amare, trasformando tutta la realtà, così da essere solo amore, come dicevano i grandi mistici.
Questo è stato il segreto della vita di don Luca, che istituendo la sua opera scrive: «Continuate a confidare. Non ci vuole che la stessa confidenza, quella confidenza che ho cercato di ispirarvi al cominciare dell’istituzione e che si è veduta soprammodo benedetta». E ancora: «Io temo solo quando si manca di confidenza».
Non furono situazioni speciali quelle che contrassegnarono il percorso della sua esistenza; fu piuttosto la sua capacità di scorgere nelle situazioni normali della contingenza storica del suo tempo, gli spazi per vivere e aiutare a vivere la fiducia incondizionata in Dio, accolto come fondamento della propria e altrui vita, senza perplessità e limiti; per vivere l’amore per il prossimo, nella misura che lasciano trapelare alcune espressioni che tornano nei suoi scritti: «Ardere per incendiare; chi non arde non incendia; lavorare alacremente per il Padrone della vita; non avere altri interessi che quelli della gloria di Dio»; infine per esercitare e riconoscere la speranza come attesa dei beni futuri, quei beni, cioè, che le cose materiali in sé non possono garantire. L'Osservatore Romano, 13 aprile 2013.