giovedì 11 aprile 2013

La Fede, il "negoziato" con il mondo e la doppia vita..... (2)

 


A quasi un mese dalla sua elezione a papa, ci sono due parole che Jorge Mario Bergoglio non ha ancora pronunciato: libertà religiosa.

Non le ha dette, smentendo le aspettative, nemmeno nel discorso che ha rivolto il 22 marzo agli ambasciatori di quasi tutti i paesi del mondo.

La sola volta in cui ha parlato della libertà religiosa – pur senza chiamarla per nome – è stato sabato 6 aprile, in una delle brevi omelie che improvvisa durante le messe mattutine nella cappella della Casa di Santa Marta, dove abita.

Ma l'ha fatto con uno stile particolare. Papa Francesco non ha speso parole contro i persecutori, né contro coloro che in forme più morbide soffocano la libertà dei credenti.

Si è messo invece dalla parte dei perseguitati:

"Per trovare i martiri non è necessario andare alle catacombe o al Colosseo: i martiri sono vivi adesso, in tanti paesi. I cristiani sono perseguitati per la fede, Oggi, nel secolo XXI, la nostra Chiesa è una Chiesa di martiri".

E poi si è immedesimato con i comuni cristiani. Ha citato le parole di Pietro e Giovanni negli Atti degli Apostoli: "Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato". E ha proseguito:

"La fede non si negozia. Sempre c’è stata, nella storia del popolo di Dio, questa tentazione: tagliare un pezzo alla fede, magari neppure tanto. Ma la fede è così, come noi la diciamo nel Credo. Bisogna superare la tentazione di fare un po’ come fanno tutti, non essere tanto tanto rigidi, perché proprio da lì comincia una strada che finisce nell’apostasia. Infatti, quando cominciamo a tagliare la fede, a negoziare la fede, a venderla al migliore offerente, cominciamo la strada dell’apostasia, della non fedeltà al Signore".

Per papa Francesco la libertà religiosa è soprattutto "avere il coraggio di testimoniare la fede nel Cristo risorto". Una fede integra, pubblica. Una fede che ha la pretesa di trasformare la società.





"La pretesa" è precisamente il titolo che il sociologo della religione Luca Diotallevi ha dato al suo ultimo saggio, uscito nei giorni scorsi.

È un saggio duramente critico nei confronti delle teorie della "laicità" – teorie largamente diffuse anche dentro la Chiesa e abusivamente applicate anche al concilio Vaticano II – che escludono un nesso diretto tra il Vangelo e l'ordine sociale, in ossequio a una presunta "neutralità" dello Stato.

Al paradigma della "laicità" Diotallevi oppone il paradigma della libertà religiosa, tipico del mondo anglosassone ma con fondamenti teologici che hanno i loro capisaldi nel "De civitate Dei" di Agostino e prima ancora nel Nuovo Testamento.

Secondo tale visione, il "saeculum" fra la prima e la seconda venuta di Cristo è incontro fra tempo ed eternità, è conflitto fra peccato e grazia. A questo conflitto partecipano i principati, le potestà, i troni, le dominazioni di cui parla il Nuovo Testamento, riferendosi alle potenze di questo mondo. Sono le potenze ribelli sulle quali la croce e la risurrezione di Gesù hanno riportato la vittoria definitiva, una vittoria che però non ha ancora il suo compimento. Nel "saeculum" tali potenze ancora oscillano fra gli estremi dell'anarchia e del dominio assoluto, mentre la Chiesa, che custodisce il dono della vittoria, opera per trattenerle dall'uno e dall'altro estremo.

Dopo Agostino, hanno sviluppato ai giorni nostri questa visione neotestamentaria della storia Oscar Cullmann e Joseph Ratzinger, ampiamente citati da Diotallevi.

Ma il saggio ha il suo tratto più originale là dove identifica nella celebrazione dell'eucaristia la fonte e il culmine di questa "pretesa" d'impatto della fede cristiana sull'ordine sociale, anche qui in piena continuità con Benedetto XVI.

Scrive Diotallevi:

"Ogni liturgia eucaristica, ogni messa, è un rito partecipando al quale si pretende di partecipare all'unica opera di vittoria e farne annuncio efficace. L'eucaristia non fornisce alcun modello definito né definitivo di ordine sociale. La Gerusalemme celeste verrà l'ultimo giorno e dall'alto, e l'eucaristia opera e annuncia la vittoria che frantuma spazio e tempo sì da generare tempo e spazio per quel dono. Opera e annuncia la sconfitta definitiva dei disegni di dominio delle potenze e dei principati, aprendo e indicando una mai stabilizzata condizione intermedia tra dominio assoluto e dissoluzione anarchica della vita sociale".

E ancora:

"La celebrazione dell'eucaristia annuncia e realizza il divieto di ogni statalizzazione della Chiesa e di ogni ecclesiasticizzazione della politica. La Chiesa pellegrinante non fonda la 'civitas' terrena, ma la abita e abitandola la preserva".

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Alla luce di questa visione, diventa ancor più comprensibile la decisione di papa Francesco di celebrare la messa, lo scorso Giovedì Santo, non solo in un luogo, come il carcere minorile di Casal del Marmo, nel quale è più visibile che altrove il conflitto tra peccato e grazia, ma anche davanti a persone di altra fede e di nessuna fede.

Perché l'eucaristia è la Chiesa che si fa visibile, è l'opera vittoriosa di Dio che irrompe nella storia ed è offerta allo sguardo di ogni uomo, è Gesù innalzato sulla croce tra i due ladroni, con il centurione che lo riconosce come Figlio e la terra che trema.

Non sbagliavano i pagani colti dei primi secoli, quando per identificare la cristianità la descrivevano nell'atto stesso di celebrare la liturgia. (S. Magister)

The Unprecedented "Presumption" of Changing the World

A homily and a Mass of Pope Francis. An essay by the sociologist Luca Diotallevi. Convergent in seeing in the Eucharist the genesis of the new world

La "prétention" inouïe de changer le monde

Une homélie et une messe du pape François. Un essai écrit par le sociologue Luca Diotallevi. Qui convergent pour percevoir en l'eucharistie la genèse du monde nouveau

La inaudita "pretensión" de cambiar el mundo

Una homilía y una misa del Papa Francisco. Un ensayo del sociólogo Luca Diotallevi. Coincidentes ambos en ver en la eucaristía la génesis del mundo nuevo










Non dimentichiamoci di Dio



 In questi giorni anche il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, ha pubblicato un libro sul ruolo dello Stato in una visione di libertà religiosa, anch'esso critico del modello corrente di "laicità".

 A partire dal XVII centenario dell’Editto di Milano, promulgato da Costantino nel 313, il cardinale Scola indaga sul pensiero e sulla pratica della libertà religiosa, al centro di un dibattito più che mai attuale e complesso per le marcate diversità che il problema presenta nelle democrazie rispetto alle dittature, nei paesi a maggioranza musulmana e in quelli più secolarizzati.

Dopo aver ripercorso, per sommi capi, il cammino travagliato della libertà religiosa dall’initium mancato di Costantino e Licinio fino al Concilio Vaticano II, a Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, l’autore si sofferma su vari “nodi” del problema, in particolare sulla libertà di fedi e di culture nella società plurale.
L’aconfessionalità dello Stato è un valore irrinunciabile: per l’arcivescovo di Milano è necessario uno Stato che, senza far propria una specifica visione, non interpreti la sua aconfessionalità come “distacco”, come una neutralizzazione delle fedi e delle culture che si esprimono nella società civile, ma apra spazi in cui ciascun soggetto, personale e sociale, possa portare il proprio contributo all’edificazione del bene comune.
In questo orizzonte, la libertà di religioni e di culture si presenta come la più sensibile cartina di tornasole del grado di civiltà delle nostre società plurali.

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Martedì 16 aprile alle ore 18,30 presso l'Auditorium di Milano, in Largo Mahler a Milano, è in programma un confronto sul tema “Non dimentichiamoci di Dio. Libertà di fedi, di culture e politica”, titolo dell’ultimo libro del card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano.

Dialogheranno Francesco D'Agostino (giurista ed editorialista di Avvenire),Ferruccio de Bortoli(direttore de Il Corriere della Sera), Giuliano Ferrara (direttore de Il Foglio), Ezio Mauro (direttore de La Repubblica). Coordina: Monica Maggioni (direttore RaiNews24 e Televideo).
Interverrà anche l’Arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola.
Il libro “Non dimentichiamoci di Dio. Libertà di fedi, di culture e politica” (Rizzoli, 123 pagine, 15 euro), da pochi giorni disponibile in libreria, affronta  i nodi della libertà religiosa che per l’autore costituisce oggi la più sensibile cartina di tornasole del grado di civiltà delle nostre società plurali. Lontano da nostalgie passatiste, il card. Scola prova a leggere le questioni brucianti di oggi, senza proporre soluzioni preconfezionate, ma tentando di aprire un dibattito a tutto campo.
Scrive l’Arcivescovo: «Se la libertà religiosa – espressione emblematica della libertà di coscienza che riguarda chi crede e chi non crede – non diviene libertà realizzata posta a capo della scala dei diritti fondamentali, tutta la scala è destinata a crollare».
Dell’intrinseco legame tra libertà di religione e libertà di coscienza, del rapporto tra Chiesa e Stato laico, l’Arcivescovo di Milano aveva già parlato in occasione del Discorso alla Città per l’ultima Festa di Sant’Ambrogio. Questi temi sono infatti al centro della riflessione che la Diocesi sta conducendo in quest’anno pastorale in cui sta celebrando il 1700° anniversario dell’Editto di Milano. Promulgato nel 313 d.c., dall’imperatore Costantino, l’Editto rappresenta, secondo il cardinale Scola, l’atto di nascita della libertà religiosa ma per certi versi, alla luce degli sviluppi storici che seguirono, fu un “initium” mancato.
L’ingresso all’incontro del 16 aprile è libero. E’ possibile riservare il posto con mail a comunicazione@diocesi.milano.it

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 Una riflessione sul pluralismo della società, sulla libertà religiosa e sullo spazio di Dio nel mondo di oggi. E’ il filone dell’ultimo libro del cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, dal titolo “Non dimentichiamoci di Dio. Libertà di fedi, di culture e politica”, edito da Rizzoli, che sarà presentato martedì prossimo alle 18.30 presso l’Auditorium di Milano. Il libro affianca le celebrazioni dei 1.700 anni dell’Editto di Milano sulla libertà religiosa, promulgato da Costantino nel 313, che culmineranno con la visita alla Chiesa ambrosiana del Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, il 15 e 16 maggio. Al microfono di Luca Collodi, il cardinale Angelo Scola presenta il suo saggio:

R. - Lo scopo del libro è far vedere che questo tema – quello della libertà di religioni e di culture, all’interno del quale si trova anche la visione di chi dice di essere agnostico o ateo – presenta oggi una serie di nuovi problemi che debbono essere affrontati. Altrimenti, se viene meno una libertà religiosa di culture e la politica non la garantisce, essendo questa libertà lo scalino più alto della scale dei diritti dell’uomo, questa rischia di crollare.

D. - Lo Stato moderno davanti alla proposta religiosa deve essere indifferente o neutrale?

R. - Deve essere aconfessionale, cioè non deve assumere nessuna visione del mondo. L’aconfessionalità dello Stato non deve significare un distacco indifferente nei confronti delle visioni del mondo, ivi comprese le religioni, ma in una società plurale deve favorire un confronto serrato tra tutte le religioni e tutte le visioni del mondo. L’aconfessionalità mi sembra il termine più efficace riferito alla Stato, piuttosto dei termini "indifferenza" o "neutralità" perché dice che lo Stato non si assume una visione particolare, ma favorisce il confronto tra tutte, in vista dell’individuazione di quei temi comuni, materiali e spirituali, che permettono una vita buona associata.

D. - Quando si parla di temi come la nascita, il matrimonio, l’educazione, la morte, le società democratico-liberali, quindi gli Stati, sembrano non tener conto della proposta religiosa…

R. - Esattamente. Questo perché, secondo me, manca questa preoccupazione di favorire ciò che all’interno della società civile è in atto. Ad esempio, nella società civile italiana, vediamo come su questi temi ci siano appunto soggetti personali e sociali che hanno un pensiero diverso e che si confrontano. Pensiamo a quello che è successo in Francia in questi ultimi mesi, ad esempio sulla questione dei matrimoni gay. Allora, lo Stato prima di legiferare deve ascoltare la società civile e, per ascoltarla, deve favorire in tutti i modi la libertà di un confronto reciproco tra le varie visioni, che sia teso a un riconoscimento per trovare la strada giusta. Poi, sarà compito dello Stato, nel rispetto dei diritti fondamentali di tutti, legiferare secondo ciò che la maggioranza dei cittadini decide, lasciando poi a tutti ovviamente la libertà dell’obiezione di coscienza, qualora una legge vada contro la propria coscienza.

D. - Guardando ai Paesi dell’Africa, dell’Asia e anche ai Paesi a maggioranza musulmana, che cosa significa parlare di libertà religiosa. Spesso, invece, si parla di persecuzione dei cristiani…

R. - Certo. Ma questo è uno degli elementi che mi ha spinto a sviluppare questo libro e a intitolarlo con questa esortazione “Non dimentichiamoci di Dio!”, perché secondo me non possiamo non interrogarci sulla situazione che molti uomini di religioni, non solo cristiani, vivono tragicamente in tanti Paesi a maggioranza musulmana, o comunque in tanti Paesi che si proclamano a regime ateo. È compito dell’Occidente, che è ancora un luogo di libertà, approfondire tutte le nuove problematiche che si legano a questo tema. E affrontandoli, noi possiamo anche aiutare, ad esempio, i Paesi dell’islam ad accogliere il principio della libertà di conversione che non viene accolto. Io non propugno nessun ritorno al passato. Cerco solamente di porre sul tappeto dei problemi, antichi luoghi irrisolti, legati a questo tema della libertà religiosa che si trova in cima alla scala dei diritti. Se viene meno la realizzazione di un’effettiva libertà di religione e di cultura, e se la politica non asseconda questo, tutta la scala dei diritti rischia di crollare.

Fonte: Radio Vaticana