«Per trovare i martiri non è necessario andare alle catacombe o al Colosseo: i martiri sono vivi adesso, in tanti Paesi. I cristiani sono perseguitati per la fede. In alcuni Paesi non possono portare la croce: sono puniti se lo fanno. Oggi, nel secolo XXI, la nostra Chiesa è una Chiesa dei martiri».
Sul coraggio di testimoniare la fede, che non si negozia e non si vende al miglior offerente, Papa Francesco ha impostato l’omelia della messa celebrata, la mattina di sabato 6 aprile, nella cappella della Domus Sanctae Marthae. Tra i concelebranti il cardinale Francesco Monterisi e il vescovo Joseph Kalathiparambil, segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Fra i presenti, madre Laura Biondo, superiora generale delle Figlie di San Camillo, alcune religiose delle Figlie di Nostra Signora della Carità e un gruppo di fedeli argentini.
Papa Francesco ha iniziato l’omelia commentando con una battuta il passo evangelico di san Marco (16, 9-15) dove si narra delle apparizioni di Gesù a Maria di Magdala, ai discepoli di Emmaus e agli undici apostoli: «Quando leggo questo Vangelo, penso che forse san Marco non aveva troppa simpatia per Maria Maddalena, perché ricorda che il Signore le aveva scacciato sette demoni, no? Era una questione di simpatia...». Quindi ha proposto una riflessione sulla fede: «una grazia» e «un dono del Signore» che non va taciuto — e si estende così «a tutti i popoli», come recita la colletta della messa — perché «noi non siamo attaccati a una fantasia» ma «a una realtà che abbiamo visto e ascoltato». Il Pontefice si è riferito al passo degli Atti degli apostoli (4, 13-21) proclamato nella prima lettura della celebrazione. Di fronte all’ordine dei sommi sacerdoti e dei farisei di non parlare di Gesù, Pietro e Giovanni — ha sottolineato — «sono rimasti fermi in questa fede» dicendo: «Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato».
La loro testimonianza, ha aggiunto, «mi fa pensare alla nostra fede. E come va, la nostra fede? È forte? O alle volte è un po’ all’acqua di rose, una fede così così? Quando avvengono difficoltà, siamo coraggiosi come Pietro o un po’ tiepidi?». Pietro, ha affermato Papa Francesco, ci insegna che «la fede non si negozia. Sempre c’è stata, nella storia del popolo di Dio, questa tentazione: tagliare un pezzo alla fede» magari neppure «tanto». Ma «la fede — ha spiegato — è così, come noi la diciamo nel Credo». Così bisogna superare «la tentazione di essere un po’ “come fanno tutti”, non essere tanto tanto rigidi», perché proprio «da lì incomincia una strada che finisce nell’apostasia». Infatti «quando incominciamo a tagliare la fede, a negoziare la fede, un po’ a venderla al migliore offerente, incominciamo la strada dell’apostasia, della non fedeltà al Signore».
Ma proprio «l’esempio di Pietro e Giovanni ci aiuta, ci dà forza». Così come quello dei martiri nella storia della Chiesa. Sono coloro «che dicono “non possiamo tacere”, come Pietro e Giovanni. E questo dà forza a noi che alle volte abbiamo la fede un po’ debole. Ci dà forza per portare avanti la vita con questa fede che abbiamo ricevuto, questa fede che è il dono che il Signore dà a tutti i popoli».
Il Papa ha concluso suggerendo una preghiera quotidiana: «Signore, grazie tante per la fede. Custodisci la mia fede, falla crescere. Che la mia fede sia forte, coraggiosa. E aiutami nei momenti in cui, come Pietro e Giovanni, devo renderla pubblica. Dammi il coraggio».
L'Osservatore RomanoSul coraggio di testimoniare la fede, che non si negozia e non si vende al miglior offerente, Papa Francesco ha impostato l’omelia della messa celebrata, la mattina di sabato 6 aprile, nella cappella della Domus Sanctae Marthae. Tra i concelebranti il cardinale Francesco Monterisi e il vescovo Joseph Kalathiparambil, segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Fra i presenti, madre Laura Biondo, superiora generale delle Figlie di San Camillo, alcune religiose delle Figlie di Nostra Signora della Carità e un gruppo di fedeli argentini.
Papa Francesco ha iniziato l’omelia commentando con una battuta il passo evangelico di san Marco (16, 9-15) dove si narra delle apparizioni di Gesù a Maria di Magdala, ai discepoli di Emmaus e agli undici apostoli: «Quando leggo questo Vangelo, penso che forse san Marco non aveva troppa simpatia per Maria Maddalena, perché ricorda che il Signore le aveva scacciato sette demoni, no? Era una questione di simpatia...». Quindi ha proposto una riflessione sulla fede: «una grazia» e «un dono del Signore» che non va taciuto — e si estende così «a tutti i popoli», come recita la colletta della messa — perché «noi non siamo attaccati a una fantasia» ma «a una realtà che abbiamo visto e ascoltato». Il Pontefice si è riferito al passo degli Atti degli apostoli (4, 13-21) proclamato nella prima lettura della celebrazione. Di fronte all’ordine dei sommi sacerdoti e dei farisei di non parlare di Gesù, Pietro e Giovanni — ha sottolineato — «sono rimasti fermi in questa fede» dicendo: «Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato».
La loro testimonianza, ha aggiunto, «mi fa pensare alla nostra fede. E come va, la nostra fede? È forte? O alle volte è un po’ all’acqua di rose, una fede così così? Quando avvengono difficoltà, siamo coraggiosi come Pietro o un po’ tiepidi?». Pietro, ha affermato Papa Francesco, ci insegna che «la fede non si negozia. Sempre c’è stata, nella storia del popolo di Dio, questa tentazione: tagliare un pezzo alla fede» magari neppure «tanto». Ma «la fede — ha spiegato — è così, come noi la diciamo nel Credo». Così bisogna superare «la tentazione di essere un po’ “come fanno tutti”, non essere tanto tanto rigidi», perché proprio «da lì incomincia una strada che finisce nell’apostasia». Infatti «quando incominciamo a tagliare la fede, a negoziare la fede, un po’ a venderla al migliore offerente, incominciamo la strada dell’apostasia, della non fedeltà al Signore».
Ma proprio «l’esempio di Pietro e Giovanni ci aiuta, ci dà forza». Così come quello dei martiri nella storia della Chiesa. Sono coloro «che dicono “non possiamo tacere”, come Pietro e Giovanni. E questo dà forza a noi che alle volte abbiamo la fede un po’ debole. Ci dà forza per portare avanti la vita con questa fede che abbiamo ricevuto, questa fede che è il dono che il Signore dà a tutti i popoli».
Il Papa ha concluso suggerendo una preghiera quotidiana: «Signore, grazie tante per la fede. Custodisci la mia fede, falla crescere. Che la mia fede sia forte, coraggiosa. E aiutami nei momenti in cui, come Pietro e Giovanni, devo renderla pubblica. Dammi il coraggio».
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Lo stile semplice di papa Francesco non è marketing della povertà “Corriere della Sera”- Rassegna "Fine settimana"
(Gabriele Semino S.I.) Caro direttore, ho letto con interesse l'articolo di Piero Ostellino sul Corriere della sera del 3 aprile, dal titolo «Troppa retorica su papa Francesco. Diffidate dei suoi incauti imitatori». Non desidero discutere la possibile (e per Ostellino non... (...)
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Ci mancavano solo le figurine. Chi se lo sarebbe immaginato, ma siamo arrivati anche a questo punto: un solerte editore ha lanciato in un batter d’occhio una grande collezione di figurine che celebrano tutti i luoghi comuni rapidamente germogliati attorno alla figura del nuovo Papa. E ci sta anche investendo molto, tanto è vero che l’iniziativa viene reclamizzata pure in tv, e in ore di grande ascolto (e quindi di maggior costo per l’inserzionista). Facendo leva sullo stile bonario e informale del nuovo pontefice, in quattro e quattr’otto il circo massmediatico si è costruito un suo papa in stile “povero” del tutto a prescindere dalla sostanza di quanto egli annuncia e insegna, nonché di tutta la sua storia precedente come provinciale dei gesuiti dell’Argentina, come vescovo e come cardinale arcivescovo. Pur senza dirlo, si ammicca a una pretesa contrapposizione tra il suo magistero e quello di Benedetto XVI.
Non è una novità assoluta; qualcosa di simile era già accaduto quando, anche qui facendo leva su tratti del suo carattere e anche qui a prescindere dalla sostanza del suo magistero, Giovanni XXIII divenne in quattro e quattr’otto il “Papa buono”, il che equivaleva in certo modo a pensare e a far pensare che la sua salita al soglio pontificio fosse una consolante svolta che metteva finalmente termine a una malaugurata sequenza di Papi cattivi.
Fra le strutture fondamentali del vivere comune il cui infragilimento segna la profonda crisi del mondo in cui viviamo, quello della stampa e della comunicazione di massa in genere non è secondo a nessuno. Negli ultimi decenni a un enorme rafforzarsi del supporto tecnico, che ha messo alla portata di tutti la comunicazione istantanea e continua di un’immensa quantità di notizie e di immagini, ha corrisposto un’altrettanto immensa perdita della capacità di selezione e di analisi delle notizie da parte dei proverbiali “addetti ai lavori”. Pur se ovviamente non mancano eccezioni (per ora purtroppo “di nicchia”) il grosso della comunicazione di massa altro non è che uno strumento di amplificazione all’infinito dei luoghi comuni del momento. I cronisti e gli inviati, specialmente ma non solo radiotelevisivi, si sono per lo più ridotti a raccoglitori ambulanti e rivenditori all’ingrosso di dichiarazioni estemporanee, che poi vanno a prendere il posto dei fatti.
In questo quadro ovviamente svanisce la capacità di analisi sia degli avvenimenti che del pensiero, e più che mai la capacità di analisi di un pensiero, anzi di un magistero di grande peso come quello papale. Che cosa dire allora di un Papa se non si è capaci di comprenderne e di analizzarne il pensiero, premessa indispensabile per comunicarlo ai propri lettori o al proprio pubblico radiotelevisivo? Non è un personaggio che produce “fatti” in rapida sequenza come un campione sportivo che vince o che perde, o un leader politico che ogni giorno o prende iniziative clamorose o fa finta di prenderle. Mancando la capacità di analisi per… fare ugualmente la notizia non resta altro surrogato se non la contrapposizione, meglio se presunta. La contrapposizione vera, quando c’è, implica anch’essa la comprensione e l’analisi. Quella presunta invece è più comoda perché essendo inventata uno se la può fabbricare da sé. Ed è esattamente ciò che molto spesso succede ora con Papa Francesco.
Grazie a internet l’antidoto a tale avvelenamento è però oggi alla portata di tutti. Basta andare sul sito della Santa Sede che ogni giorno pubblica integralmente quanto egli dice; sempre in forma scritta e di frequente anche in forma audiovisiva. Perciò chi prende per buone le manipolazioni correnti del suo magistero non ha scuse. (R. Ronza)
Fonte: La nuova bq