giovedì 16 maggio 2013

I movimenti ecclesiali nel pensiero del cardinale Ratzinger



 Un gesto del buon Dio che non avevamo programmato

Il convegno. «I movimenti ecclesiali e le nuove comunità nel pensiero del cardinale Joseph Ratzinger» è il tema della conferenza che il vescovo segretario del Pontificio Consiglio per i Laici ha tenuto nella mattina di oggi, giovedì 16, a Roma nel corso di un convegno internazionale — promosso alla vigilia dell’incontro con Papa Francesco — sulla missione dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità nella formazione e nella diffusione della fede. Pubblichiamo ampi stralci dell’intervento.
(Josef Clemens) In più occasioni il cardinale Joseph Ratzinger rileva che, verso la metà degli anni Sessanta, ha conosciuto come primo movimento, tramite un suo allievo, il Cammino neocatecumenale, poi alla fine degli anni Sessanta Comunione e liberazione e il Rinnovamento carismatico e agli inizi degli anni Settanta il movimento dei Focolari. Il cardinale-teologo propone una definizione del concetto di “movimento” nella sua lezione magistrale «I movimenti ecclesiali e la loro collocazione teologica», tenuta nel 1998, in occasione del primo Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali a Roma. Partendo dal movimento francescano del Duecento, afferma: «I movimenti nascono per lo più da una personalità carismatica guida, si configurano in comunità concrete che in forza della loro origine rivivono il Vangelo nella sua interezza e senza tentennamenti riconoscono nella Chiesa la loro ragione di vita, senza di cui non potrebbero sussistere».
Le sue affermazioni nel Rapporto sulla fede allargano l’orizzonte sopra tracciato, e sono più una descrizione fenomenologica che una definizione vera e propria: «Ciò che apre alla speranza a livello di Chiesa universale — e ciò avviene proprio nel cuore della crisi della Chiesa nel mondo occidentale — è il sorgere di nuovi movimenti, che nessuno ha progettato, ma che sono scaturiti spontaneamente dalla vitalità interiore della fede stessa. Si manifesta in essi — per quanto sommessamente — qualcosa come una stagione di Pentecoste nella Chiesa. In numero crescente, mi capita ora di incontrare gruppi di giovani, nei quali c’è una cordiale adesione a tutta la fede della Chiesa. Giovani che vogliono vivere pienamente questa fede e che portano in loro un grande slancio missionario. Tutta l’intensa vita di fede presente in questi movimenti non implica una fuga nell’intimismo o un riflusso nel privato, ma semplicemente una piena e integrale cattolicità. La gioia della fede che vi si sperimenta ha in sé qualcosa di contagioso. E qui crescono ora in maniera spontanea nuove vocazioni al sacerdozio ministeriale e alla vita religiosa».
L’ampia risposta del cardinale al giornalista Vittorio Messori si trova nel contesto di una sua valutazione del periodo postconciliare. Dopo la constatazione dell’interpretazione incompleta e unilaterale dei testi conciliari e la discussione di alcuni sviluppi meno positivi del post-concilio, il giornalista italiano chiede al cardinale se può elencare anche qualche elemento positivo di questo periodo travagliato della Chiesa. Il cardinale indica la nascita dei movimenti come primo elemento positivo a livello della Chiesa universale.
Per il cardinale-teologo Ratzinger i movimenti sono nati dalla forza interiore della fede stessa, sono veri doni dello Spirito Santo, segni di speranza ed elementi veramente vivificanti nel periodo postconciliare. Vorrei citare alcune delle sue espressioni, piene di entusiasmo: «Ma ecco, all’improvviso, qualcosa che nessuno aveva progettato. Ecco che lo Spirito Santo, per così dire, aveva chiesto di nuovo la parola». Oppure: «Trovo meraviglioso che lo Spirito sia ancora una volta più forte dei nostri programmi e valorizzazioni ben altro da ciò che noi ci eravamo immaginati». Oppure: «Devono essere donati, e sono donati». C’è da rilevare che l’origine pneumatica costituisce il presupposto e il fondamento delle sue riflessioni.
Si pone naturalmente la domanda come mai una persona dal giudizio piuttosto moderato e ponderato sia talmente entusiasta di queste nuove «irruzioni delle Spirito». La risposta si trova nel dialogo con i vescovi del 1999, quando il cardinale parla di due esperienze molto negative del periodo postconciliare, fatte in prima persona come professore universitario a Münster, Tubinga e Ratisbona, e poi come arcivescovo nella diocesi di München und Freising. Si tratta della perdita di entusiasmo e di profilo ecclesiale della teologia accademica e della crescente burocratizzazione della Chiesa in Germania. Dice il cardinale-teologo: «Vedendo questi due pericoli per la Chiesa — una teologia che non è più un arrivare della fede alla ragionevolezza, ma una oppressione della fede da parte di una ragione ridotta, e la burocratizzazione, che non serve più ad aprire le porte per la fede, ma si chiude in sé stessa — in un momento in cui questi due fattori erano fin troppo evidenti, ho salutato realmente la novità dei movimenti come un gesto del buon Dio: vedevo che il concilio portava frutti, che il Signore era presente nella sua Chiesa e dove tutti i nostri forzi, che pure erano ben intenzionati non portavano frutto, ma, al contrario, diventavano controproducenti, il Signore trovava le porte e spalancava addirittura le porte per la sua presenza là dove le sole risorse erano quelle della fede e della grazia».
Il cardinale torna nelle sue prese di posizione più volte sul secondo elemento, quello della burocratizzazione. Alcuni ambienti della Chiesa, particolarmente in Germania, si aspettavano un rinnovamento ecclesiale tramite un potenziamento dei vari uffici ecclesiastici o una massimizzata progettazione pastorale. Essi sopravvalutavano l’utilità pastorale di numerose commissioni e consigli ed erano diventati ciechi davanti all’insuccesso delle iniziative intraprese. In questo contesto si colloca anche l’insistenza sulla necessaria (e continua) riforma delle strutture ecclesiali. Il cardinale Ratzinger, invece, è fermamente convinto che una teologia concepita e insegnata come “pura scienza accademica” e una crescente “burocratizzazione” della Chiesa non favoriscano l’ingresso dei doni dello Spirito Santo, ma erigono piuttosto delle “barriere” davanti al suo agire. Una pianificazione pastorale di tipo burocratico provoca l’effetto di una certa uniformità nella vita della Chiesa, che così si sente “disturbata” dalla varietà dei movimenti, tra i quali ci potrà essere «una religiosità “focolare” e una catecumenale, una religiosità di matrice Schönstatt, o Cursillo, o di Comunione e liberazione, così come ce n’è una francescana, o domenicana, o benedettina. La ricchezza della fede consente a tanti indirizzi di coabitare sotto lo stesso tetto, entro lo stesso condominio».
Così nascono i “contrasti” tra i movimenti e un certo establishment ecclesiale, che respinge questa varietà di approcci e percorsi e l’espressione “semplice” della fede e, di conseguenza, frappone resistenze e ostacoli, sia nel momento del loro inserimento nella Chiesa locale o in occasione dell’approvazione dei relativi statuti. Per il cardinale Ratzinger, invece, la diversità è una legittima e necessaria espressione della vivacità e della cattolicità della Chiesa.
Un inserimento fruttuoso dei movimenti nel tessuto ecclesiale richiede una chiarezza in merito ai criteri basilari di discernimento delle varie esperienze. Come primo criterio essenziale, il cardinale Ratzinger elenca il radicamento nella fede della Chiesa. «Chi non condivide la fede apostolica non può pretendere di svolgere attività apostolica». Dall’unità della fede sorge anche la forte volontà di “unità”, di stare nella comunità viva della Chiesa, cioè di trovarsi in unione con i successori degli apostoli e con il Successore di Pietro. Da qui consegue l’obbligo di integrarsi nella vita della Chiesa locale e universale.
Il secondo criterio riguarda la volontà della vita apostolica. Naturalmente, i tre elementi essenziali della vita apostolica (povertà, castità, obbedienza) non possono valere in modo identico per tutti i membri di un movimento (consacrati, amici, famiglie) ma sono per tutti dei punti d’orientamento nella vita personale. L’intenzione alla vita apostolica implica, inoltre, la ferma decisione di voler servire: in primo luogo l’annuncio del Vangelo e, a esso legato, il servizio al prossimo in necessità. «Tutto questo presuppone un profondo incontro con Cristo. Solo quando la persona è colpita e segnata da Cristo nel più profondo del suo intimo, solo allora può aversi riconciliazione nello Spirito Santo, solo allora può crescere una vera comunione». Questa basilare struttura cristologico-pneumatologica ed esistenziale può avere accentuazioni diverse, nelle quali avviene incessantemente la novità del cristianesimo e il rinnovamento della giovinezza della Chiesa da parte dello Spirito.
Come maggior pericolo presente nei movimenti il cardinale ravvisa l’“unilateralità” e l’“esclusività”, che provengono dalla “assolutizzazione” di un “carisma particolare”, quando una “parte” viene ritenuta come il “tutto”. Da qui nasce anche il rischio di uno scontro con la Chiesa locale, che è dovuto a una certa colpa da ambedue le parti.
Il cardinale Ratzinger rispondendo a Vittorio Messori pone l’accento sui giovani che aderiscono “senza condizioni” alla fede cattolica e la vogliono anche vivere nella sua “pienezza”. Questa piena e integrale cattolicità porta a una gioia che “contagia”, e suscita non poche vocazioni al sacerdozio ministeriale e alla vita religiosa. A differenza dell’esperienza di un cattolicesimo stanco e che dubita di se stesso, in questi giovani membri e amici dei movimenti si trova una fede fresca ed entusiasta, com’è del resto visibile nelle Giornate mondiali della gioventù, istituite da Papa Giovanni Paolo II nell’anno 1984.
Circa un anno dopo la chiusura del concilio Vaticano II, l’allora professore di dogmatica e di storia del dogma a Tubinga dedica un saggio alle dichiarazioni conciliari sulla missione al di fuori del decreto Ad gentes. Commentando il decreto sull’apostolato dei laici, insiste già allora sulla necessità di una rinnovata presa di coscienza del “carattere dinamico” e “missionario” dell’essere cristiano: «Essere cristiano significa di per sé spingersi al di là della propria persona, è perciò caratterizzato da una impronta missionaria e si deve quindi esprimere necessariamente — in ogni tempo e in ogni vero credente — in un’attività esterna, atta a realizzare la sua natura più profonda».
Una delle grandi speranze che il professor Ratzinger lega all’evento conciliare, al quale iniziò a partecipare come perito all’età di trentotto anni, è la riscoperta della dimensione missionaria dell’esistenza cristiana. L’accoglienza così aperta dei movimenti da parte dell’arcivescovo di Monaco e Frisinga e la valutazione così positiva del cardinale prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede si spiega alla luce di questa specifica attesa. Dal momento che molti nostri contemporanei non sono più raggiunti dalla Parola di Dio, esiste sempre di più un urgente bisogno di uomini e donne che vivono la loro fede “integra” e in “modo integrale”. L’«esplosione del secolarismo» o l’«apostasia di massa» in alcuni Paesi europei potrebbe spingere i cristiani a un altro “movimento”, cioè a ritirarsi in cerchie chiuse. Ma il cristiano non deve mai dimenticare che gli è stata affidata una missione universale «perché a essere in gioco è sempre il Dio Creatore, il Dio di tutti e se noi abbiamo conosciuto, per grazia, la sua voce, la sua rivelazione, abbiamo la responsabilità di fare risuonare questo messaggio nel mondo».
Per questo c’è un urgente bisogno di una rinvigorita presa di coscienza — e di azione — perché il Vangelo possa giungere a tutti gli uomini. Grazie al loro slancio missionario i movimenti sono di grande aiuto per la Chiesa intera di fronte a questa sfida. Così il cardinale saluta con entusiasmo la forza controcorrente dei movimenti «come un gesto del buon Dio» che «trovava le porte e spalancava addirittura le porte per la sua presenza là dove le sole risorse erano quelle della fede e della grazia».
Fra le obiezioni contro i movimenti si trova l’accusa di essere ciechi o passivi davanti alle grandi sfide sociali del nostro tempo, cioè le nuove realtà associative sarebbero troppo auto-referenziali e prevalentemente “spirituali”. C’è da rispondere che per il cristiano non può esistere una vera alternativa fra la cura della spiritualità e l’impegno sociale. Inoltre, è vero che ogni impegno per il prossimo richiede un fondamento e un indirizzo stabile. Così il cardinale chiarisce che «la pura attività infatti non può sopravvivere senza un fondamento dottrinale e se essa non scaturisce più dalla fede si cercano altri fondamenti». L’aiuto ai poveri e gli sforzi per un ordinamento giusto della società e una pacifica convivenza internazionale trovano in Cristo la misura e un continuo punto di riferimento, per creare un’autentica civilizzazione che si apre a una civiltà dell’amore.
Vale in genere che la “finalità” dei movimenti di voler vivere un’autentica vita apostolica non permette una contrapposizione fra l’evangelizzazione e l’impegno sociale, come testimoniano tante nuove realtà ecclesiali. Si vede in tante di esse realizzata la concezione che il cardinale descrive nella conferenza del 1998, dove afferma che «la vita apostolica non è fine a se stessa, ma dona la libertà di servire. Vita apostolica chiama azione apostolica: al primo posto sta l’annuncio del Vangelo: l’elemento missionario». Ma il cardinale aggiunge: «Nella sequela di Cristo l’evangelizzazione è sempre, in primissimo luogo, evangelizare pauperibus, annunciare il Vangelo ai poveri. Ma ciò non si attua mai soltanto con parole; l’amore, che dell’annuncio costituisce il cuore, il centro di verità e il centro operativo, deve essere vissuto e farsi così annuncio esso medesimo. Ecco quindi che all’evangelizzazione è sempre legato, in qualsivoglia forma, il servizio sociale». Questo approccio rigetta alcune tendenze teologiche degli ultimi decenni che, a causa della grande miseria presente in molti parti del mondo, danno la priorità all’impegno sociale, anzi, sembra che sostituiscano l’evangelizzazione col servizio sociale, trovando in certe ideologie, e non più nella fede della Chiesa, il proprio radicamento. Contro queste tendenze, il cardinale afferma che la fede autentica, quale incontro con Cristo ed esperienza della vicinanza di Dio, ispira ogni azione del cristiano e nutre anche il suo impegno sociale.
L'Osservatore Romano