sabato 18 maggio 2013

Il (bel) rapporto tra Bergoglio e i movimenti ecclesiali








Alla fine di febbraio, mentre era all’aeroporto di Buenos Aires in partenza per Roma, il cardinale Jorge Mario Bergoglio ha chiamato Pilar Antelo, responsabile del Cammino neocatecumenale in Argentina. Aveva saputo che “Pili” e gli altri responsabili del Cammino gli avevano chiesto udienza. Volevano lanciare dopo Pasqua anche a Baires la“grande missione nelle piazze” – catechesi, testimonianze, canti per annunciare Cristo a chi cammina per la città -  e prima della sua partenza per il Conclave volevano informare il vescovo e avere il suo consenso. «Ma sì, certo, fate, andate, organizzate» ha detto ai neocatecumenali il cardinale che qualche giorno dopo sarebbe diventato nuovo vescovo di Roma.

Da arcivescovo, Bergoglio ha sempre lasciato  spazio alle iniziative apostoliche generate dai movimenti e dalla nuove comunità fiorite dopo il Concilio. Una accoglienza pacifica, senza ostentazioni né pretese “dirigiste”. Per Bergoglio, tutto ciò che nasce spontaneamente nella Chiesa va accolto, sottoposto a discernimento ecclesiale, custodito e aiutato a crescere, anche se non era previsto e programmato. Anche quando il suo affiorare crea “problemi” e mette in tensione equilibri cristallizzati. Così tutte le sezioni bonaerensi delle diverse aggregazioni internazionali hanno ricevuto da lui cenni di attenzione e di incoraggiamento, senza particolari preferenze.

Bergoglio ha presentato più di una volta i libri di don Giussani davanti ai ciellini della metropoli argentina, e ha detto messa in suffragio del sacerdote di Desio scomparso nel febbraio del 2005. L’allora cardinale di Baires ha celebrato liturgie eucaristiche con la locale Comunità di Sant’Egidio, e ha elogiato gli scritti di Andrea Riccardi presentandoli in pubblici incontri organizzati dai santegidini. Negli anni recenti ha partecipato a diversi incontri annuali organizzati da carismatici cattolici e evangelici a Buenos Aires, dove ha anche ricevuto l’imposizione delle mani da parte di pastori e sacerdoti, subendo per questo i rimbrotti antiecumenici dei tradizionalisti. Ha pregato sulla tomba di San Josemarìa Escrivà. Ha preso parte alla commemorazione dei cinquant’anni della presenza argentina dei Focolarini, sempre presenti alle preghiere ecumeniche per la pace svoltesi a Baires. Ha recitato il “rosario delle rose” nelle parrocchie bonaerensi affidate ai sacerdoti del movimento di Schöenstatt. Anche realtà numericamente più esigue come il movimento argentino Fundar – votato alla “evangelizzazione della cultura” soprattutto negli ambienti universitari e accademici – hanno trovato in lui un pastore incline a lasciar vivere e crescere sensibilità ecclesiali differenti, fuori da ogni disegno omologante.

La dinamica germinale di tanti movimenti e nuove comunità declina in accenti diversi quel «fervore» o «coraggio» apostolico che si va imponendo come parola chiave anche nella predicazione di Papa Francesco. Le esperienze di preghiera e di carità comunitarie fiorite intorno alle figure carismatiche dei fondatori hanno sempre suscitato in Bergoglio l’immediata simpatia che lui nutre per tutti quelli che appaiono così presi dall’annuncio della salvezza di Cristo da dimenticarsi quasi di se stessi. Quelli che senza starci troppo a pensare vivono e trasmettono la «dulce e confortadora alegrìa de evangelizar» (Paolo VI) che Bergoglio ha citato anche in apertura del suo intervento davanti ai cardinali nelle congregazioni pre-Conclave.

Proprio per questo Papa Francesco appare immune sia dai preconcetti anti-movimento, sia da una certa “ideologia movimentista” che si è andata configurando negli ambienti ecclesiali a partire dagli anni di Wojtyla. Quella che celebra i movimenti come le “truppe scelte” dell’evangelizzazione, rappresentando il resto del Popolo di Dio come massa amorfa e inerte da “mobilitare”. Nella sua esperienza di pastore, nelle Villas miseria come nei quartieri-bene di Baires, Bergoglio ha sperimentato per anni e anni che la vita di fede può ravvivarsi e accendersi in ogni parrocchia, in ogni gruppo di preghiera, in ogni famiglia, in ogni attività ordinaria di apostolato e di preghiera in forza della grazia, e non dell’applicazione di metodi e prassi pre-confezionati. Ha riconosciuto che il soggetto dell’avventura cristiana è il semplice battezzato che fa rispendere il dono della fede, della speranza e della carità nell’ordinarietà della sua vita quotidiana, e non il militante di minoranze organizzate. Si è rincuorato mille e mille volte guardando la moltitudine dei cristiani “generici” commuoversi dopo aver percepito nel proprio cuore la tenerezza di Gesù e di Maria nei santuari o nella penombra del confessionale. Per Bergoglio – come ripete il documento di Aparecida, steso sotto la sua supervisione – tutta la pastorale ordinaria va vissuta «in chiave missionaria», a partire dalla amministrazione del battesimo e degli altri sacramenti. 

Alle traiettorie di tanti movimenti e nuove comunità sorte dopo il Concilio può essere applicato con effetti decongestionanti anche l’invito a liberarsi dall’autoreferenzialità che Papa Francesco sta insistentemente rivolgendo a tutta la Chiesa. Vale per loro quello che l’attuale successore di Pietro sta suggerendo a tutto il corpo ecclesiale: quando la Chiesa non esce da se stessa «si ammala», perché «pretende di tenere Gesù Cristo dentro di sè e non lo lascia uscire». Solo rimanendo «aperte allo Spirito Santo, che ci porta sempre avanti per diffondere la Parola di Dio» anche le nuove comunità e movimenti possono smarcarsi dalla deriva che può trasformarli nel tempo in consorterie in cerca di potere nella Chiesa. Solo così si sottraggono al clichè delle «comunità chiacchierone» autosufficienti, ripiegate sui propri metodi fino a diventare sorde e cieche davanti a ciò che accade “fuori”. Solo così viene vinta la tentazione della «comunità chiusa, sicura di se stessa, quella che cerca la sicurezza proprio nel patteggiare col potere, nei soldi, parla con parole ingiuriose», delineata da Papa Francesco il 27 aprile scorso, nella omelia mattutina a Santa Marta.
Valente

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