Camillo Langone Il Foglio – 8 agosto 2014
Ettore Gotti Tedeschi ministro dell’economia, se si fosse in tempo. L’economista piacentino ha pubblicato Amare Dio e fare soldi (Fede & Cultura), titolo sorridente ma testo affliggente: perchè già l’economia è di suo una scienza triste, se la caliamo nella situazione dell’Italia ecco che diventa tristissima. Unico o quasi unico fra tanti studiosi, Gotti ripete instancabilmente che la presente crisi economica è innanzitutto una crisi morale.
Che possiamo tentarle tutte, che so, aumentare la produttività (però andando a discapito del lavoro) o tagliare gli sprechi (e anche questi, si avvisa nel libro, “sono posti di lavoro”), ma alla fine resta che “la crisi attuale nasce a causa del crollo delle nascite negli anni 1975-80”. Puoi non capirci niente di economia ma dai e dai, leggendo Gotti, capisci. E avresti preferito non capire. Il crollo delle nascite ha modificato la struttura demografica e fatto esplodere i costi di pensioni e sanità per sostenere i quali non è possibile non aumentare le tasse che, è altrettanto inevitabile, andranno a falciare consumi, investimenti, risparmi, Pil, insomma tutto. In altre parole: lasciando Cristo per Malthus (aborto, divorzio, anticoncezionali…) abbiamo infilato la testa in un nodo scorsoio. Ettore Gotti Tedeschi ministro dell’economia, ma non si è in tempo, a queste cose bisognava pensare quarant’anni fa.
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ECCO COME AMARE DIO E FARE SOLDI.
di Rino Cammilleri
Tutti sanno ormai chi è Ettore Gotti Tedeschi. Il grande pubblico si è accorto di lui quando, con procedura inaudita, è stato defenestrato dalla presidenza della banca vaticana, lo Ior.
E il grande pubblico si appassiona di cose vaticane solo quando si profila o si ventila qualche scandalo. In effetti, Gotti Tedeschi è stato cacciato letteralmente a male parole (si dice, tecnicamente, «sfiduciato dal board») ed era la prima volta che una cosa del genere avveniva in un ambiente di solito ovattato e in cui, proprio per evitare clamori, quando ci si voleva disfare di uno lo si promuoveva ad altro incarico (promoveatur ut amoveatur, nel latino curiale).
Ora, queste sue quasi einaudiane «prediche inutili» le ha impilate in un libro dal titolo che sembra provocatorio: Amare Dio e fare soldi. Massime di economia divina (Fede & Cultura, pp. 223, euro 15,00). Provocatorio, dicevamo, perché quella che nel Medioevo veniva definita «eresia pauperista» oggi, a furia di vedere spot pro 8xmille, nella testa di molti sembra essere diventata il modo stesso, l'unico, di essere cattolici. Ma, sempre nel Medioevo, proprio i teologi francescani sdoganarono la ricchezza, anche perché c'è poco da redistribuire se prima non si produce. Questa banalissima verità è squadernata in lungo e in largo da Gotti Tedeschi in quattrocento tra massime e pensieri, alcuni brucianti come aforismi, altri più largamente esposti. Un assaggio: «Qualcuno sostiene che nessuno abbia saputo prevedere i rischi della finanza globale e le conseguenze che stiamo vivendo. Non è vero. È vero invece che, avendo avuto, le previsioni di questi rischi, spiegazioni di carattere morale, sono state trascurate con indifferenza e delegittimate. La finanza ha voluto imporre una sua autonomia morale, le conseguenze sono evidenti». Già: il nostro mondo è abituato a sentirsi dire che la morale non c'entra con gli affari, ignaro del fatto che la morale è una branca della teologia e che questa viene insegnata, per esempio, nelle università di quella Germania che, guarda un po', fa le scarpe a tutti in campo economico.
Tommaso d'Aquino, il più grande dei teologi, risolse il fondamentale problema del «prezzo» delle merci per via morale. Marx, nel Capitale, si ostinò ad affrontarlo in chiave esclusivamente economica (la «teoria del valore-lavoro») e sappiamo quale disastro planetario ne è seguito.