venerdì 8 agosto 2014

Il desiderio di vedere Dio



di Padre Giovanni Cavalcoli
Quanti di noi oggi, anche tra i cristiani, mettono il vedere Dio al vertice dei loro interessi? Eppure nella concezione biblica dell’uomo la sua massima aspirazione è poter vedere Dio “faccia a faccia”, come troviamo per esempio nei Salmi, nei profeti, nei libri sapienziali e soprattutto in Mosè, per quanto riguarda l’Antico Testamento. Ma è il Nuovo Testamento che, in S.Paolo e S.Giovanni, ci assicurano di questa possibilità non per questa vita ma in una vita oltre la morte, perché è venuto un uomo, Gesù Cristo, il quale, a differenza di ogni altro, vedeva Dio immediatamente perchè era ed è lo stesso Figlio di Dio, Dio egli stesso, uguale al Padre.
Ora Gesù Cristo, secondo il Nuovo Testamento, ci concede appunto questa possibilità di vedere Dio ovvero la sua essenza e di vederlo nel suo mistero trinitario immediatamente e direttamente, in quanto Egli ci rende partecipi mediante la grazia, della sua stessa figliolanza divina. Per questo S.Giovanni ci promette che in paradiso “saremo simili a Lui – cioè a Dio – perché lo vedremo così come Egli è”.
Potremmo chiederci: questo desiderio, questa prospettiva, questa possibilità o questo fine di vedere o sperimentare immediatamente, senza mediazioni concettuali, l’essenza di Dio e in particolare del Dio trinitario, è un qualcosa che è solo rivelato da Cristo e quindi oggetto di fede teologale o soprannaturale, sono solo verità soprannaturali o hanno un qualche precorrimento o preannuncio o presagio, o condizione di possibilità nelle aspirazioni più profonde della natura e della ragione umane?
Insomma: si tratta di un desiderio naturale o di un desiderio soprannaturale? La visione di Dio è il soddisfacimento di un desiderio naturale o di un desiderio che suppone la fede nella divina rivelazione ovvero la conoscenza di ciò che Cristo ci ha rivelato? Si tratta di un desiderio che va al di là dei fini e dei bisogni della natura, e che comporta l’elevazione o il trascendimento del sapere umano ad un livello che da sola la ragione non saprebbe raggiunger e neppure desidererebbe?
La nostra ragione fin dove può e fin dove desidera arrivare nel suo desiderio di conoscere Dio? Desiderare di più di quanto si può raggiungere sarebbe lodevole o sarebbe indiscreto? Quale conoscenza di Dio soddisfa pienamente la sua aspirazione naturale? Potrebbe l’uomo raggiungere una piena felicità anche senza essere ordinato da Dio all’ordine soprannaturale della visione beatifica? Oppure la visione beatifica e quindi la vita soprannaturale sono necessarie al fine naturale della vita umana? Quale è il fine ultimo naturale della conoscenza umana? Quale tipo di conoscenza di Dio?
Ora non c’è dubbio che per quanto riguarda la conoscenza di Dio, la ragione umana potrebbe ritenersi soddisfatta nel conoscere la natura di Dio indirettamente e concettualmente come causa prima e fine ultimo dell’universo e dell’uomo, partendo dall’esperienza delle cose e del proprio io. Per questo Pio XII nell’enciclica Humani Generisricorda la gratuità dell’ordine soprannaturale, ossia il fatto che esso non è necessario nè dovuto da Dio all’uomo per il raggiungimento del fine ultimo naturale della vita umana, ossia per quella conoscenza ultima e somma di Dio che è consentita dalle forze della ragione, ovverosia dalla sapienza filosofica o della teologia naturale.
In altre parole, Dio avrebbe potuto creare un’umanità perfetta, virtuosa e felice, non senza dotarla di doni preternaturali come l’immortalità e l’impassibilità, in piena comunione con Dio e con la natura, senza per questo elevarla all’ordine soprannaturale dei figli di Dio, annunciato e previsto dal Vangelo, ossia senza finalizzarla alla visione beatifica del Dio Trinitario. La visione di Dio diventa un’esigenza assoluta e legittima, e Dio è tenuto a soddisfarla, impegnandosi con Se stesso, solo nell’ipotesi, del resto attuata nell’attuale piano della salvezza, dell’uomo elevato alla vita soprannaturale, ossia dotato della grazia di Cristo, uomo che sa che il suo fine possibile e doveroso è la visione beatifica, supponendo che la desideri e non si lasci sedurre dal peccato, cosa nella vita presente sempre possibile.
In tal modo nell’attuale piano della salvezza l’uomo è indubbiamente orientato da Dio al fine ultimo soprannaturale della visione beatifica rivelato da Cristo e dalla Chiesa, ma questo non significa assolutamente la vanificazione del fine naturale, che resta in tutta la sua consistenza ontologica ed obbligatorietà morale, benchè subordinato al fine ultimo soprannaturale. La grazia, secondo l’adagio tomista, suppone la natura, e non avrebbe senso desiderare la visione beatifica strettamente legata alla virtù teologale della carità, se nel soggetto agente mancasse la dovuta base della ricerca razionale di Dio e dell’esercizio delle virtù umane.
Oltre a ciò bisogna tener presente che la conoscenza di Dio basata sulla sapienza umana  costituisce un piano di accordo per il dialogo del cristianesimo con le altre religioni, le quali non conoscono la prospettiva della visione beatifica, mentre possono comprendere e desiderare la prospettiva di una felicità naturale fondata sulla conoscenza o contemplazione naturale di Dio.
Ci potremmo chiedere che senso e che significato ha la prospettiva biblica del “vedere Dio”. La si capisce se teniamo presente la concezione biblica del rapporto dell’uomo con Dio. Dio è visto, oltre che come fine ultimo, causa di tutto, sapiente, eterno, infinito e sommo bene, come avviene nelle altre religioni monoteiste, anche come Creatore amorevole, buono e provvidente, Signore, Padre, Re e Sposo. Dunque un Dio personale.
Un Dio dal quale ci viene ogni bene e non solo a noi, ma a tutto l’universo. Dio somma verità, sommo bene, somma bellezza. Un Dio quindi amabilissimo e che infinitamente ci ama. Vedere Dio vuol dunque dire contemplare il suo “volto”, in linguaggio scolastico usato dal dogma: vedere immediatamente ed intuitivamente l’ “essenza” di Dio, secondo la definizione di Benedetto XII del 1336.
Non è forse cosa naturale e desiderabile tra due persone che si amano il contemplarsi a vicenda? L’immagine biblica così semplice e profonda della beatitudine celeste è tutta qui. Essa è presa dai rapporti umani d’amore, di amicizia, di fraternità, di confidenza, di dialogo, di fiducia, di intimo scambio o comunione di idee e di sentimenti. Non siamo creati a sua immagine? Ebbene, perché non immaginare il rapporto con Lui sul metro del rapporto tra di noi, salve ovviamente le debite proporzioni? La dottrina della visione beatifica si risolve in questa immagine così facile da comprendere per chi ama il rapporto umano in profondità.
Si potrebbe obiettare che il desiderio di vedere Dio è un desiderio naturale perché è naturale per la ragione umana, una volta scoperta la causa, interrogarsi sulla sua essenza. Ma a parte che la ragione conosce le cause universali ed astrattamente, non senza concetto, mentre la visione beatifica è visione immediata e sperimentale, senza mediazione concettuale, di una Persona infinita concretamente presente, il caso della causa prima è specialissimo e in tal caso la ragione comprende bene che si tratta di una causa che trascende infinitamente i suoi limiti di comprensione, per cui non sente alcun desidero di sapere, se essa resta sobria e non avanza pretese impossibili.
Se poi Dio avesse dato all’uomo un desiderio naturale irrealizzabile, vorrebbe dire che Dio crea delle cose vane o imperfette, il che è del tutto sconveniente alla sua infinita sapienza e potenza: i desideri che Dio crea sono per loro natura esaudibili. Se quindi un desiderio naturale non si può realizzare, ciò non dipende da Dio, ma dall’uomo che è ferito dalle conseguenze del peccato originale. I desideri naturali sono di per sé esaudibili con mezzi naturali perché il loro fine è naturale. Diversamente, bisognerebbe dire che il soprannaturale, se fosse necessario per soddisfare quei desideri, non è più gratuito, ma dovuto alla natura.
Dunque il desiderio della visione beatifica può essere sensato e legittimo solo sulla base della fede e della grazia, ossia dev’essere a sua volta un desiderio soprannaturale, come osservò giustamente il Card.Gaetano commentando alcuni passi di S.Tommaso[1], che sembrerebbero favorevoli al desiderio naturale del soprannaturale, cosa che è assurda e del tutto estranea al contesto generale del pensiero di S.Tommaso, del quale si sa bene quanto egli tenga alla distinzione del naturale dal soprannaturale, distinzione molto delicata poiché in ultima analisi mette in gioco la distinzione fra il Creatore e la creatura, per cui la confusione dei piani porta al panteismo.
E difatti questo è il caso della concezione rahneriana del rapporto fra naturale e soprannaturale. Per lui il fine dell’uomo è esclusivamente soprannaturale, la visione beatifica, mentre la natura umana è una semplice possibilità di divinizzazione priva di termini propri ed oggettivi, il che le fa perdere la sua consistenza ed autonomia ontologica rendendo la grazia non più un dono gratuito, ma un complemento necessario della natura.
Egli concepisce l’uomo come pensante pensato o come autocoscienza, sul modello cartesiano, come “ente soprannaturale”, che essenzialmente è “potenza obbedienziale” in tendenza (“autotrascendenza”) verso Dio come “orizzonte della trascendenza umana”, senza tener conto delle scelte od oscillazioni tra bene e male proprie del libero arbitrio ed dell’esistenza del peccato, sicchè per Rahner la grazia pur restando, non si sa come, “gratuita”, però è data “necessariamente” ed è “obbligatoria” ed universalmente presente in tutti, sicchè tutti si salvano e la grazia non scompare col sorgere del peccato, ma convive con esso e non si acquista partendo da una situazione di peccato, ma la si possiede sempre e necessariamente in modo “trascendentale” ed “atematico”, quali che siano le idee religiose o atee, pie o empie del soggetto umano (“cristianesimo anonimo”).
Concludiamo con le famose parole di S.Agostino: “Fecisti nos ad te et cor nostrum inquietum est, donec requiescat in Te”. Questo è vero, ma è urgente fare un’opera di coscientizzazione di questo fatto, perché in realtà il “vedere Dio” nel senso cattolico è una prospettiva che spesso sembra non interessare nessuno. Né il rahnerismo al di là delle espressioni altisonanti, può venirci incontro perchè chi dimostra troppo non dimostra nulla. Occorre che l’Homo faber sia ordinato alle Homo sapiens: è questa la vera prospettiva dell’uomo che risulta da una sana antropologia e dalla sapienza cristiana.
La pretesa ingenua o forse interessata di Rahner di fare di ogni uomo un impetuoso e fervente aspirante, benchè inconscio, all’unione mistica, è il segno di un grave fraintendimento, che scambia la libera e responsabile scelta di Dio con l’irruenza deterministica ed incontrollabile di un soffione boracifero che erompe irrefrenabile e a getto continuo dai meandri della terra. Per stimolare il desiderio di Dio in modo veramente saggio e conveniente, occorre invece una rinnovata apologetica e una nuova evangelizzazione, come ci esorta il Papa, tale da svegliare nell’uomo il bisogno della realtà, della verità e del bene, e su questa base naturale, costruire col soccorso della grazia e nel solco della tradizione della Chiesa, la proposta evangelica del cammino verso la casa del Padre.


[1] Cf per es. Summa Theologiae, I, q.12,a.1; I-II, q.3, a.8