sabato 2 agosto 2014

XVIII Domenica del Tempo Ordinario - Anno A

Nella 18.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il Vangelo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Gesù ha compassione della grande folla che lo ha seguito in un luogo deserto e non ha nulla da mangiare. Ai discepoli che gli consigliano di invitare la gente a comprare altrove il cibo, dice:
«Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare».
Gesù, che ha udito della morte di Giovanni Battista, parte su una barca per un luogo deserto. Quando vi giunge trova una grande folla che lo ha preceduto e lo attende e, come sempre capita in queste occasioni, egli sente “compassione” per questa gente. Lasciamoci sorprendere anche noi da questa tenerezza divina. Noi, che siamo sempre pronti a “dare” qualche cosa a Dio in cambio di qualche favore, a fare i nostri atti religiosi pur di averne in cambio protezione e salute…, non siamo abituati a questa iniziativa divina, ai doni gratuiti di Dio. Gesù “sente compassione” – il verbo greco fa qui riferimento alle viscere materne, non solo come tenerezza, ma come l’atto proprio della madre di dare la vita al figlio. Il gesto di Gesù di sfamare la moltitudine fa conoscere il cuore di Dio. È la stessa “misericordia divina” che qui viene fatta presente, sono quelle “viscere di misericordia” che hanno creato l’uomo, che lo accolgono, lo curano, lo rigenerano nel perdono dentro quell’altoforno dell’amore gratuito di Dio. Il Signore ha poi dato ai suoi discepoli il potere di continuare a moltiplicare il “pane della vita” per la fame dell’uomo, a portare questo pane fino ai confini della terra. Oggi esso viene offerto gratuitamente anche a noi, come segno di comunione con Dio, come garanzia di comunione fraterna nella Chiesa, come sigillo di partecipazione alla vita eterna; mangialo, perché questo pane può soddisfare ogni tuo desiderio, e ne avanzerà anche perché tu lo porti a tutti gli uomini della terra.
(don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma)

TESTI E COMMENTI


XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIOAnno A

MESSALE
Antifona d'Ingresso  Sal 70,2.6
O Dio, vieni a salvarmi.
Signore, vieni presto, in mio aiuto.
Sei tu il mio soccorso, la mia salvezza:
Signore, non tardare.
 

Colletta

Mostraci la tua continua benevolenza, o Padre, e assisti il tuo popolo, che ti riconosce suo pastore e guida; rinnova l'opera della tua creazione e custodisci ciò che hai rinnovato. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo...

 
 Oppure:
O Dio, che nella compassione del tuo Figlio verso i poveri e i sofferenti manifesti la tua bontà paterna, f
a' che il pane moltiplicato dalla tua provvidenza sia spezzato nella carità, e la comunione ai tuoi santi misteri ci apra al dialogo e al servizio verso tutti gli uomini. Per il nostro Signore Gesù Cristo...
LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura  Is 55, 1-3
Venite e mangiate.

Dal libro del profeta Isaia
Così dice il Signore:
«O voi tutti assetati, venite all’acqua,
voi che non avete denaro, venite;
comprate e mangiate; venite, comprate
senza denaro, senza pagare, vino e latte.
Perché spendete denaro per ciò che non è pane,
il vostro guadagno per ciò che non sazia?
Su, ascoltatemi e mangerete cose buone
e gusterete cibi succulenti.
Porgete l’orecchio e venite a me,
ascoltate e vivrete.
Io stabilirò per voi un’alleanza eterna,
i favori assicurati a Davide».


Salmo Responsoriale
  
Dal Salmo 144
Apri la tua mano, Signore, e sazia ogni vivente.
 
Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature.

Gli occhi di tutti a te sono rivolti in attesa
e tu dai loro il cibo a tempo opportuno.
Tu apri la tua mano
e sazi il desiderio di ogni vivente.

Giusto è il Signore in tutte le sue vie
e buono in tutte le sue opere.
Il Signore è vicino a chiunque lo invoca,
a quanti lo invocano con sincerità. 

 

Seconda Lettura
  Rm 8, 35. 37-39
Nessuna creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo. 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?
Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati.
Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore.


Canto al Vangelo 
 Mt 4,4b
Alleluia, alleluia.

Non di solo pane vivrà l’uomo,
ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.

Alleluia.

   
   
Vangelo  Mt 14, 13-21
Tutti mangiarono e furono saziati.

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, avendo udito [della morte di Giovanni Battista], Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. 
Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati.
Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui». 
E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. 
Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

*

La nostra vita è chiamata ad essere cibo per gli affamati

Commento al Vangelo della XVIII Domenica del Tempo Ordinario - Anno A


La notizia della morte di Giovanni era giunta a Gesù come una profezia per la sua vita. Lo aspettava un viaggio difficile, il passaggio dalla morte alla vita. E Lui, docilmente, accetta la volontà del Padre con un segno: “parte su una barca e si ritira in disparte in un luogo deserto”, indicando così come avrebbe compiuto la sua missione a Gerusalemme, dove lo avrebbero messo “in disparte” sulla Croce e sarebbe sceso nel “deserto” del sepolcro.
La “morte di Giovanni”, come quella di ogni martire, è seme di nuovi cristiani. E’ la testimonianza che sigilla con l’autenticità l’annuncio de Vangelo. Così, intrecciate tra loro, le vite di Gesù e Giovanni, del Capo e della sua Chiesa, divengono un annuncio, un kerygma che risuona ovunque.
E infatti, "le folle" hanno "saputo" dove era andato Gesù con la "barca” (la Chiesa), e lo hanno "seguito" camminando "a piedi" dalle loro "città". E’ l’immagine del catecumenato della Chiesa antica. Dai segni compiuti nei cristiani, i pagani intuivano che Gesù Cristo era veramente risorto; “sapevano” cioè che era passato all’altra riva, ed erano attirati da quella vita nuova e piena che vedevano realizzata nelle persone convertite che conoscevano.
Per questo lo “seguivano”, ovvero si facevano suoi discepoli sul cammino dell’iniziazione cristiana; diventare cristiani era una chiamata simile a quella fatta ad Abramo: dovevano “uscire” dalle loro “città” terrene, sentine di vizi, culti idolatrici, passioni e libidine per seguire Gesù “nel deserto”.
Solo in esso, come Israele, potevano scoprire che cosa vi era nel loro cuore, se l’ascolto della predicazione si sarebbe tradotto in obbedienza. Solo nella verità, infatti, è possibile la conversione autentica che conduce alla fede adulta dell’uomo nuovo che vive solo delle Parole che escono dalla bocca di Dio.
Il Vangelo di questa domenica punta a farci fare questo passaggio fondamentale, così come lo vivevano i catecumeni.
Il catecumenato, infatti, era come un esodo: dopo quella degli idoli, dei beni e del denaro, dovevano passare indenni con Cristo anche attraverso la tentazione del “pane”: non si diventava cristiani se non si era “passati” attraverso il deserto dove non c’è né pane né acqua.
Sì, non è cristiano chi cerca ancora le proprie sicurezze negli affetti, nel lavoro, nel prestigio, nella salute, nel denaro, nella politica, nella cultura, nel branco.
Non lo saremo se continuiamo a chiedere alla pietre che diventino pane. Per caso non siamo nella Chiesa con questa attitudine? Non cerchiamo in essa le identiche sicurezze che il mondo non ci ha saputo dare?
Seguiamo Gesù, ma, "sul far della sera", quando giunge l'ora di "mangiare", si desta l’uomo vecchio ancora vivo in noi. Nell'"ora tarda" che corrispondeva a quella del pasto principale, l'uomo della carne ci vorrebbe allontanare da Gesù, convincendoci che solo nei "villaggi" del mondo ci si possa sfamare
Il demonio spesso ci gioca proprio così: attira l’attenzione sul "luogo deserto" nel quale Gesù si è ritirato, insinuandoci che laddove Egli ci porta non vi è possibilità di vita, gioia e pace. Come accadde al Popolo di Israele nel deserto, crediamo alle sue menzogne che promettono pane e libertà. 
Ciò accade, ad esempio, quando scopriamo che il nostro matrimonio è in realtà un vero e proprio "eremo", secondo l'originale greco, dove la “fame” di affetto e pienezza si fa sentire. Quando il rapporto si rivela difficile se non impossibile, e sperimentiamo che di esso non possiamo nutrirci. 
Ma non ci siamo sposati per restare soli, non ci fidanziamo nel desiderio di rinchiuderci in un eremo. Non fa per noi, no?  
Che fare allora? Non resta che scappare dall'eremo e "andare nei villaggi a comprare da mangiare". Ma occorrono soldi, sforzi, compromessi. Occorre tornare al mondo e abbandonarsi ai suoi costumi e ai suoi valori, perché nei villaggi nessuno ti regala nulla.
Quanti di noi, pur avendo seguito il Signore, anche nel presbiterato e nella vita religiosa, al sopraggiungere della sera di delusioni e frustrazioni, si è lasciato sedurre dal demonio ed è tornato sui propri passi, sino all'Egitto dal quale l'amore di Dio lo aveva liberato? E che sofferenze…
Ma, nell'eremo dove ha attirato la nostra vita, il Signore ci annuncia questa domenica che "non occorre" che alcuno sia "congedato" per andare a cercare pane e salvezza!
Per questo Gesù “ordina alla folla” una cosa politicamente scorrettissima: “di sedersi sull’erba”. Ma come, niente marce della pace? Niente impegno nel sociale, niente lotta contro le ingiustizie? “Seduti”, proprio i cristiani? Sì, perché essi camminano sedendosi ai piedi Gesù, come Maria…
Le comunità cristiane vivono dell’Eucarestia, che non è impegno ma dono; per questo camminano riposando sui prati d’erba fresca, il pascolo preparato dal loro Buon Pastore. Era Pasqua infatti quel giorno di amore e moltiplicazione; era di primavera, l’unico tempo in cui la terra di Galilea si ammanta di prati…
Gesù ci aspetta, dunque, nel matrimonio, nel lavoro, nel deserto dove viviamo, per farci sperimentare quello che Lui ha vissuto nel Mistero Pasquale. Il Padre non lo ha lasciato nella “fame” di vita, lo ha risuscitato “saziandolo” di Vita eterna, così abbondante da “avanzare” ed essere “raccolta” nei “dodici canestri”, nella Chiesa.
“Dodici”, come le tribù di Israele, come gli apostoli e le comunità da loro fondate. In esse c’è la vita di Cristo risorto, il nutrimento che sazia la fame del mondo! Frutto di tanta abbondanza è anche la nostra comunità, il “canestro” intessuto con le nostre povere e deboli vite, ma colmato della vita che non muore.
E’ proprio la nostra debolezza che Gesù cerca per moltiplicare la vita! Allora, “che cosa abbiamo”, oggi, per sfamarci e “dare da mangiare” a chi è accanto a noi? "Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!": ci siamo noi Signore, con i nostri peccati; ma abbiamo anche la tua Parola, i "cinque" rotoli della Torah; e poi ci sei Tu che ci parli; sei "qui" con noi, pescato vivo nel mare della morte come un "pesce"; sei accanto a noi e per noi nelle tue "due" nature, vero uomo e vero Dio, per fare di ciascuno un figlio libero di vivere secondo la nuova natura divina che sei venuto a donarci. 
Sì, Signore, non abbiamo altra sicurezza che Te, pesce come noi, sceso nel mare della morte come noi, ma risuscitato per trarci dai fondali bui della menzogna satanica e appoggiare la nostra vita nel tuo amore.
Per questo Gesù ci dice di "dare noi stessi da mangiare": "non occorre" altro che "portare" a Lui quello che siamo, che in fondo significa convertirsi, e consegnare, attraverso le viscere di misericordia della Chiesa, i nostri peccati a Cristo.
Quei “cinque pani e due pesci”, infatti, sono l'immagine di ogni catecumeno che scendeva nelle acque del battesimo e vi risaliva rivestito di Cristo, ed era come "moltiplicato" nella nuova vita cristiana.
Come accade in ogni sacramento che rinnova il Mistero Pasquale di Cristo: nell’Ordine la fragilità e la piccolezza di un uomo sono trasformate in zelo e parresia che lo fanno suo ministro; nel matrimonio i limiti e le incompatibilità di un ragazzo e una ragazza sono sbriciolate per fare dei due una carne sola; nell’Olio degli infermi l’estrema debolezza di un malato diviene un’offerta coraggiosa di sé per la salvezza di tanti.
Sì, proprio ciò che il deserto ci ha illuminato, quello che siamo oggi è importante. Non si dice dei pani e dei pesci se fossero buoni o cattivi, belli o brutti, grandi o piccoli. Erano, semplicemente, pane e pesce. Erano Marco, Caterina, Mario, Francesca. Erano tu ed io. E sono diventati il cibo che ha sfamato una moltitudine.
La nostra vita, infatti, è chiamata ad essere cibo per gli affamati. E non hanno fame tua moglie, tuo figlio, tua suocera? Hanno la stessa tua fame… Per questo, frutto della “compassione” del Signore, nella Chiesa rinasciamo come pani di compassione.
Dalla memoria delle tante "guarigioni" che il Signore ha compiuto nella nostra vita scaturisce lo zelo per sfamare la "folla" di poveri che ci è accanto. La vita che riceviamo nella Chiesa è così abbondante che ci "avanzerà. Non cercheremo più nell'altro l'alimento con cui saziarci; al contrario, divenuti apostoli di Cristo, come le "dodici ceste", ci lasceremo "portare via" tempo e idee, criteri e progetti, le sicurezze ormai gettate all’anatema.
Così in ogni relazione ed evento della vita, quando calerà la "sera" della Croce, sapremo che è giunto il momento di abbandonarsi alla "benedizione" di Gesù, che trasforma in "bene" ogni male; Lui saprà "alzare con gli occhi" anche la nostra carne "verso il Cielo", e le sue mani crocifisse ci "spezzeranno" come pane consegnato a ogni uomo.

*

Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la 18ª Domenica del Tempo Ordinario – Anno A.
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Il pane: segno della compassione di Dio.
18ª Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 3 agosto 2014
              1) Pane di Vita: Pane del cielo e pane della terra.
            Il Vangelo di questa domenica mostra la compassione attenta di Cristo verso l’umanità presentandoci il miracolo della moltiplicazione dei pani. Gesù compie questo gesto di carità verso una moltitudine di persone, che lo hanno seguito per ascoltarlo ed essere guarite da varie malattie (cfr Mt 14,14).
            Prima di contemplare la scena evangelica di oggi, immedesimiamoci nei discepoli di Gesù lieti di camminare con Lui, che avanza sulle strade di Galilea portando il Vangelo e compiendo le opere del Regno, opere di misericordia fatte da un Re vicino al suo popolo. Gesù oggi mostra la sua regalità divina togliendo uno degli ostacoli che imprigionano l’uomo: la fame. E poiché uno dei segni del Regno dei Cieli è l’abbondanza, moltiplica i 5 pani in una quantità tale che ne avanzano 12 ceste colme.
            Per comprendere meglio questa moltiplicazione dei pani e dei pesci occorre tenere presente anche un fatto a cui spesso non si fa attenzione. Il fatto che la parabola del seme della Parola (Mt 13, 1 – 23) e la moltiplicazione dei pani e dei pesci appartengono ad uno stesso contesto: Cristo “amministra” un duplice Pane: quello “fatto” di spirito: la Parola, e quello  del corpo, fatto di grano.
            E ora contempliamo la scena evangelica di oggi: siamo al tramonto di una giornata spesa da una moltitudine di persone a nutrirsi della parola di Cristo per curare il corpo e nutrire lo spirito, quindi i discepoli suggeriscono a Gesù di dire alla folla di andare in cerca di cibo per sfamare il corpo.
            Il consiglio degli amici del Messia nasce dal buon senso umano e dall’attenzione alle necessità delle persone. Il Signore non contesta il suggerimento dei discepoli, ma dà loro un comando umanamente strano: “Voi stessi date loro da mangiare” (Mt 14,16).
            Il buon senso umano spinge i discepoli ad obiettare a Gesù che non hanno “altro che cinque pani e due pesci”. Il Redentore allora compie un gesto che fa pensare al sacramento dell’Eucaristia: "Alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla (Mt 14,19). Il miracolo consiste nella condivisione fraterna di pochi pani che, affidati alla potenza di Dio, non solo bastano per tutti, ma addirittura avanzano, fino a riempire dodici ceste. Il Signore sollecita i discepoli affinché siano loro a distribuire il pane per la moltitudine; in questo modo li istruisce e li prepara alla futura missione apostolica: dovranno infatti portare a tutti il nutrimento della Parola di vita, del Pane di Vita eterna e di quella terrena.
            In questo gesto prodigioso si intrecciano l’incarnazione di Dio e l’opera della redenzione. Gesù, infatti, “scende” dalla barca per incontrare gli uomini (cfr Mt 14,14). Il Signore ci offre qui un esempio eloquente della sua compassione verso la gente. Viene da pensare ai tanti fratelli e sorelle che, quotidianamente nel  patiscono le drammatiche conseguenze della carestia, aggravate dalla guerra e dalla mancanza di solide e affidabili istituzioni. Cristo è attento al bisogno materiale, ma vuole donare di più, perché l’uomo è sempre "affamato di qualcosa di più, ha bisogno di qualcosa di più" (Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Milano 2007, 311). Nel pane di Cristo è presente l’amore di Dio; nell’incontro con Lui “ci nutriamo, per così dire, dello stesso Dio vivente, mangiamo davvero il «pane dal cielo»” (ibid.).
“Nell’Eucaristia Gesù fa di noi testimoni della compassione di Dio per ogni fratello e sorella. Nasce così intorno al Mistero eucaristico il servizio della carità nei confronti del prossimo” (Esort. ap. Post-sin. Sacramentum caritatis, 88). Ce lo testimonia anche Sant’Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù. Ignazio scelse, infatti, di vivere “ricercando Dio in tutte le cose, amando Lui in tutte le creature” (cfr Costituzioni della Compagnia di Gesù, III, 1, 26). Affidiamo alla Vergine Maria la nostra preghiera, perché apra il nostro cuore alla compassione verso il prossimo e alla condivisione fraterna. Chiediamo alla Nostra Madre celeste di essere sempre dei veri poveri di spirito, per ritrovare il sapore del pane.
              2) Pane del cielo che, nell’Eucaristia, si fa pane degli uomini (don Primo Mazzolari).
“L'Ostia, al pari della Croce, sono braccia e cuori che s’incontrano.  Quando alzo il Pane, esalto la carità di Dio e la fatica dell'uomo: porto nel cuore del Signore, che le ricovera e le riposa, le opere del mio popolo laborioso. L'uomo s’è incontrato con Te nel pane, ancor prima che Tu lo facessi per noi Pane di Vita” (don Primo Mazzolari). 
            Anche noi domandiamo che cosa dobbiamo fare per avere la vera vita. Gesù ci risponde: credete in me. La fede è la cosa fondamentale. Non si tratta di seguire un'idea, un progetto, ma di incontrare Gesù come una Persona viva, di lasciarsi coinvolgere totalmente da Lui e dal suo Vangelo. Dunque, “Gesù invita a non fermarsi all'orizzonte umano e ad aprirsi all'orizzonte di Dio, all’orizzonte della fede. Egli esige un’unica opera: accogliere il piano di Dio, cioè ‘credere a colui che egli ha mandato’. Mosè aveva dato ad Israele la manna, il pane dal cielo, con il quale Dio stesso aveva nutrito il suo popolo nel deserto. Gesù non dona qualcosa, dona Se stesso: è Lui il ‘pane vero, disceso dal cielo’, Lui la parola vivente del Padre ed è nell'incontro con Lui che noi incontriamo il Dio vivente.
            Ci vien voglia di domandare: “Che cosa dobbiamo fare perché il miracolo del pane continui?”
            Ma non dimentichiamo che Gesù, vero pane di vita che sazia la nostra fame di senso, di verità, non può essere ‘guadagnato’ con il lavoro umano; viene a noi soltanto come dono dell'amore di Dio, come opera di Dio da chiedere e accogliere”.
            Durante la settimana, le giornate sono cariche di occupazioni e di problemi, ma la domenica, giorno del Signore ed anche giorno di riposo e di distensione, il Signore ci invita a non dimenticare che se è necessario preoccuparci per il pane materiale e ritemprare le forze, ancora più fondamentale è far crescere il rapporto con Lui, rafforzare la nostra fede in Colui che è il ‘pane di vita’, che riempie il nostro desiderio di verità e di amore.
            Non ci resta che pregare la Madonna perché questo desiderio santo di vita buona si faccia in noi preghiera e lavoro.
            3) La Verginità e Eucaristia: l’Amore appassionato.
            Un modo molto bello e spiritualmente efficace di moltiplicare il pane è quello delle Vergini  consacrate nel mondo.
            Con il dono completo di se stesse a Dio, esse diventano come ostie[1] per il mondo, con il quale vogliono condividere Cristo, Pane di vita, donato in abbondanza.
            Immerse in un mondo spesso agitato e distratto, prese talvolta da compiti pesanti e non sempre piacevoli, le Vergini consacrate sono chiamate a testimoniare con gioia agli uomini ed alle donne del nostro tempo, nelle diverse situazioni, che il Signore è l’Amore capace di colmare il cuore della persona umana. Esse testimoniano che la croce da prendere su di sé ogni giorno per seguire Cristo non è fatta tanto dalle sofferenze e dalle contraddizioni della vita, quanto l’amore appassionato di Cristo, amore vissuto come dono di sé al Redentore e come compassione e condivisione con i fratelli e le sorelle in umanità. In questo modo, queste donne realizzano la preghiera che il Vescovo fa su di loro nel giorno della consacrazione: “Che esse brucino di carità e non amino niente al di fuori di Te… Che ti temano con amore e per amore ti servano” (Rito della Consacrazione delle Vergini, n. 64) nella preghiera e nelle opere di misericordia.
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NOTA
[1] Ostia è parola che viene dalla parola latina “hostia”, che vuol dire vittima. Normalmente con la parola ‘ostia’ si intendeva, nell’epoca classica, l’offerta di animali domestici (per es. pecora, agnello) sacrificati agli dei come offerta di pace per allontanarne l’ira e renderli propizi, prima di marciare contro il nemico. Con la parola ‘vittima’ si intendeva un sacrificio per ringraziare, per esempio, per una vittoria e si usavano animali più grossi (bue, toro). Nel cristianesimo la parola “ostia” indica il pane consacrato durante la Messa. Ovviamente l’Ostia per eccellenza è il Cristo e, per analogia, chi a lui si conforma.

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Sant’Efrem
Diatessaron, 12, 1-4
L’Eucaristia, dono grande e gratuito
Nel deserto, Nostro Signore moltiplicò il pane (Mt 14,13-21Mt 15,32-38Jn 6,1-13), e a Cana mutò l’acqua in vino (Jn 2,1-11). Abituò così la loro bocca al suo pane e al suo vino per il tempo in cui avrebbe dato loro il suo corpo e il suo sangue. Fece loro gustare un pane e un vino caduchi per suscitare in loro il desiderio del suo corpo e sangue che danno la vita. Diede loro con liberalità queste piccole cose perché sapessero che il suo dono supremo sarebbe stato gratuito. Le diede loro gratuitamente, sebbene avessero potuto acquistarle da lui, affinché sapessero che non sarebbe stato loro richiesto il pagamento di una cosa inestimabile; infatti, se potevano pagare il prezzo del pane e del vino, non avrebbero certamente potuto pagare il suo corpo e il suo sangue.
Non soltanto ci ha colmato gratuitamente dei suoi doni, ma ancor più ci ha vezzeggiati affettuosamente. Infatti, ci ha donato queste piccole cose gratuitamente per attirarci, affinché andassimo e ricevessimo gratuitamente quella cosa sì grande che è l’Eucaristia. Quegli acconti di pane e di vino che ci ha dato erano dolci alla bocca, ma il dono del suo corpo e del suo sangue è utile allo spirito. Egli ci ha attirati con quelle cose gradevoli al palato per trascinarci verso colui che dà la vita alle anime. Ha nascosto la dolcezza nel vino da lui fatto, per indicare ai convitati quale tesoro magnifico è nascosto nel suo sangue vivificante.
Come primo segno, fece un vino che dà allegria ai convitati per mostrare che il suo sangue avrebbe dato allegria a tutte le genti. Il vino è parte in tutte le gioie immaginabili e parimenti ogni liberazione si riconnette al mistero del suo sangue. Diede ai convitati un vino eccellente che trasformò il loro spirito per far sapere loro che la dottrina con cui li abbeverava avrebbe trasformato i loro cuori. Ciò che all’inizio non era che acqua fu mutato in vino nelle anfore; era il simbolo del primo comandamento portato a perfezione; l’acqua trasformata era la legge perfezionata. I convitati bevevano ciò che era stato acqua, ma senza gustare l’acqua. Parimenti, quando udiamo gli antichi comandamenti, li gustiamo nel loro sapore nuovo. Al precetto: Schiaffo per schiaffo (cf. Ex 21,24Lv 24,20Dt 19,21) è stata sostituita la perfezione: "Se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra" (Mt 5,39).
L’opera del Signore ottiene tutto; in un baleno, egli ha moltiplicato un po’ di pane. Ciò che gli uomini fanno e trasformano in dieci mesi di lavoro, le sue dieci dita l’hanno compiuto in un istante. Le sue mani furono come una terra sotto il pane; e la sua parola come il tuono al di sopra di lui; il sussurro delle sue labbra si sparse su di lui come una rugiada e l’alito della sua bocca fu come il sole; in un brevissimo istante egli ha portato a termine quanto richiede di norma un lungo lasso di tempo. Dalla piccola quantità di pane è sorta una moltitudine di pani; come all’epoca della prima benedizione: "Siate fecondi e moltiplicatevi" (Gn 1,28). I pezzi di pane, prima sterili e insignificanti, grazie alla benedizione di Gesù - quasi seno fecondo di donna - hanno dato frutto da cui sono sopravanzati molteplici frammenti.
Il Signore ha mostrato il vigore penetrante della sua parola a quelli che l’ascoltavano, e ha mostrato la rapidità con la quale egli elargiva i suoi doni a quelli che ne beneficiavano. Non ha moltiplicato il pane al punto che avrebbe potuto, ma fino alla quantità sufficiente per i convitati. Il miracolo non fu su misura della sua potenza, bensì della fame degli affamati. Se, infatti, il miracolo fosse stato misurato sulla sua potenza, riuscirebbe impossibile valutare la vittoria di quella. Commisurato alla fame di migliaia di persone, il miracolo ha superato le dodici ceste (Mt 14,20). In tutti gli artigiani, la potenza è inferiore alla richiesta dei clienti; essi non possono fare tutto quanto gli domandano i clienti. Le realizzazioni di Dio, invece, superano i desideri. E: "Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto" (Gv 6,12) e non si pensi che il Signore abbia agito solo per fantasia. Ma, quando i resti saranno stati conservati un giorno o due, crederanno che il Signore ha agito in verità, e che non si trattò di un fantasma inconsistente.