giovedì 4 dicembre 2014

Sinodo famiglia 2015: arriva il questionario bis



Che senso avrebbe un Sinodo sulla famiglia se le famiglie stesse non fossero protagoniste in prima persona? Una domanda a cui papa Francesco ha deciso di rispondere in modo tanto coerente quanto inatteso. L’ha fatto un anno fa quando, a poco più di un mese dalla convocazione del 'doppio' Sinodo, decise di diffondere un questionario con otto gruppi di domande (quaranta in totale) per conoscere dalla 'base' della realtà familiare problemi, situazioni, difficoltà, opinioni e speranze. L’Instrumentum laboris, il documento base per la discussione dei padri sinodali, venne preparato sulle indicazioni emerse da quelle decine di migliaia di risposte arrivate da ogni parte del mondo. 

Per la seconda parte della grande assemblea familiare, che approderà poi al Sinodo ordinario dell’ottobre 2015, Francesco – sorprendendo tutti ancora una volta – ha scelto nei giorni scorsi lo stesso schema. Saranno le famiglie stesse a suggerire valutazioni e approfondimenti grazie a un secondo 'questionario' che a breve sarà diffuso a tutte le famiglie dei cinque continenti. Questa volta la piattaforma per le domande sarà rappresentata dalla Relazione finale del Sinodo 
straordinario, concluso lo scorso 19 ottobre. Ma, proprio per agevolare l’afflusso dei pareri, i tradizionali lineamenta saranno trasformati in una serie di domande. E anche questa è una novità assoluta nella storia delle assemblee sinodali. 

L’annuncio è stato dato dal segretario generale del Sinodo, il cardinaleLorenzo Baldisseri, che domenica scorsa ha celebrato ad Assisi la Messa conclusiva del convegno organizzato dall’Ufficio nazionale Cei per la pastorale familiare. Di fronte a quasi 600 delegati in rappresentanza di 102 diocesi, il porporato ha raccontato che è stato il Papa stesso a prendere questa decisione nel corso dell’ultimo Consiglio di segreteria del Sinodo. 

«Siamo a metà del cammino sinodale. Ora, per avviare la seconda parte – ha spiegato Baldisseri – abbiamo deciso di lanciare i lineamenta sotto forma di domande». E questo 'questionario bis' avrà due caratteristiche. «Innanzi tutto chiederemo alle conferenze episcopali, alle diocesi, alle parrocchie come è avvenuta la ricezione della 'Relazione finale' del Sinodo straordinario. Allo stesso tempo chiederemo l’approfondimento delle questioni affrontate nel dibattito, di tutte, ma soprattutto di quelle che hanno bisogno di essere discusse in modo più accurato». 

Alle conferenze episcopali quindi, ha proseguito il segretario generale del Sinodo, la facoltà di come lavorare per questo obiettivo, in modo tale da avere «contributi che arrivano direttamente dalla base». 

Una sorta di dialogo aperto con le famiglie del mondo, prima di prendere decisioni che, in un modo o nell’altro, avranno conseguenze non trascurabili sulla vita delle famiglie, soprattutto di quelle più segnate dalla sofferenza e dalle spaccature. È come se il Papa consegnasse ai nuclei familiari le decisioni emerse nella prima parte del percorso sinodale e ponesse due questioni fondamentali: come avete accolto queste riflessioni? Come possiamo approfondire questi temi? Una scelta di umiltà che mostra tutta l’attenzione del pontefice – aveva fatto notare Baldisseri nella prima parte dell’omelia – nell’accompagnare con atteggiamento di misericordia la vita delle famiglie, chiedendo direttamente a loro un nuovo protagonismo. 
Nella stessa prospettiva, tracciando le conclusioni del convegno, si era espresso don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per la pastorale della famiglia, che aveva sottolineato come in questo momento storico «venga chiesto un vero e proprio cambio di passo a chi si occupa di pastorale familiare. Solo se ci apriamo alla fantasia creativa della Trinità – ha sottolineato – possiamo scrivere pagine sempre nuove nell’ossatura delle comunità cristiane».
Avvenire

*
Separare pastorale e dottrina è “sottile eresia”, dice il cardinale Müller   
Il Foglio
 
(Matteo Matzuzzi)  Sappiano, i padri sinodali che tra poco meno d’un anno si ritroveranno a Roma per la grande assemblea ordinaria sulla famiglia cui seguiranno le decisioni papali, che il confine tra ciò che è conforme all’insegnamento di Cristo e l’eresia è sottile. 
E’ stato chiaro, il prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, il cardinale Gerhard Ludwig Müller, aprendo la sessione plenaria della commissione teologica internazionale di cui è presidente. E’ inconcepibile, ha detto, separare la dottrina dalla pastorale, dicendo che la prima nessuno la discute mentre sulla seconda si può agire allo scopo di svecchiarla e adeguarla alle esigenze mutate della società contemporanea. “Ogni divisione tra la teoria e la prassi della fede sarebbe il riflesso di una sottile eresia cristologica di fondo”, ha avvertito Müller, aggiungendo che ciò “sarebbe frutto di una divisione nel mistero del Verbo eterno del Padre che si è fatto carne. Sarebbe l’omissione della dinamica incarnazionista di ogni sana teologia e di tutta la missione evangelizzatrice della chiesa”. Non è sfuggito, ai presenti, che il più autorevole sostenitore della liceità di operare quella divisione sia il cardinale Walter Kasper, autore della relazione concistoriale sulla famiglia dello scorso febbraio e lodato pubblicamente dal Papa perché capace di fare quella “teologia in ginocchio” senza la quale si rischia di “dire tante cose senza capire niente” (parole pronunciate da Francesco solo due giorni fa nella consueta omelia all’alba di Santa Marta). Per il capo dell’ex Sant’Uffizio, la tesi del connazionale Kasper, presidente emerito del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, non regge e non può sottostare a un dibattito che potrebbe, un domani, portare a mutare l’approccio della chiesa cattolica riguardo la morale sessuale. Non sono ammesse, a giudizio di Müller, interpretazioni di sorta circa il pensiero di Gesù così come scritto nei Vangeli perché “Cristo può essere detto il teologo per eccellenza e ci ha detto ‘io sono la via, la verità e la vita’”, ed è in lui che “sta la via per comprendere sempre meglio la verità che si è offerta a noi e si è fatta nostra vita”. La teologia, ha osservato ancora il porporato (già vescovo di Ratisbona prima di essere chiamato a Roma da Benedetto XVI nel 2012), “non è mai una pura speculazione o una teoria distaccata dalla vita dei credenti”, perché “nell’autentica teologia non c’è mai stato un distacco o una contrapposizione tra l’intelligenza della fede e la pastorale o la prassi vissuta dalla fede”. Si potrebbe addirittura dire, ha aggiunto, che “tutto il nostro pensiero teologico, tutte le nostre investigazioni scientifiche hanno sempre una profonda dimensione pastorale. Sia la dogmatica, la morale o le altre discipline teologiche hanno sempre una propria dimensione pastorale”. Infondata è quindi la teoria che la “sacra doctrina” sia “una pagina morta”. 
Il dissenso di Müller rispetto alle tesi kasperiane non è cosa nuova. Già poche settimane dopo l’indizione del Sinodo, nell’autunno del 2013, il prefetto aveva pubblicato sull’Osservatore Romano un lungo intervento (originariamente apparso sul Tagespost già nel giugno precedente) in cui sottolineava l’impossibilità di mutare la pastorale su uno dei punti più controversi e divisivi, quello relativo alla riammissione dei divorziati risposati ai sacramenti: “Al mistero di Dio appartengono, oltre alla misericordia, anche la santità e la giustizia; se si nascondono questi attributi di Dio e non si prende sul serio la realtà del peccato, non si può nemmeno mediare alle persone la sua misericordia”. Una presa di posizione netta, al punto che da più parti si parlava di Müller come del novello Alfredo Ottaviani, il prefetto del Sant’Uffizio nominato da Pio XII nel 1953 che fece da capofila alle resistenze curiali verso le aperture conciliari di Giovanni XXIII prima e Paolo VI poi. Tanto che – in concomitanza con il diffondersi di voci circa un suo possibile allontanamento da Roma per assumere la guida di una diocesi tedesca (Berlino o Magonza, ad esempio) – fu rilevato come, in occasione della grande messa a conclusione del Sinodo e per la beatificazione di Paolo VI, il porporato tedesco si fosse tenuto a debita distanza dal Papa, evitando perfino di salutarlo al termine della celebrazione. Ricostruzione che Müller, qualche giorno dopo, avrebbe seccamente smentito nel corso di un incontro pubblico sulla famiglia: “E’ una falsità, avevo parlato a tu per tu con lui il giorno prima. Noi curiali, che stiamo a Roma e abbiamo udienze di tabella, in queste circostanze lasciamo il posto a quanti vengono da fuori e hanno quindi meno possibilità di parlare con il Pontefice”.
Il Foglio