martedì 10 febbraio 2015

Cassazione e nozze gay: una sentenza a due facce



di Riccardo Cascioli
C'è senz'altro del positivo, ma c’è anche poco da esultare per la sentenza della Corte di Cassazione che ha respinto la pretesa di una coppia omosessuale di veder trascrivere il proprio matrimonio in un registro comunale.

Oltre al fatto di essere inutile dal punto di vista pratico perché le nostre leggi non riconoscono l’unione matrimoniale fra persone dello stesso sesso, dice la Cassazione che né la Costituzione Italiana né l’Unione Europea impongono l’estensione dei diritti matrimoniali a coppie dello stesso sesso. Proibendo le nozze gay, insomma, non si viola alcun principio di non discriminazione. Spetta dunque ai singoli Stati legiferare in materia. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea è stata citata dai giudici di Cassazione: «L’articolo 12 non esclude che gli Stati membri estendano il modello matrimoniale anche alle persone dello stesso sesso, ma nello stesso tempo non contiene alcun obbligo». E inoltre: «Nell’articolo 8 è senz’altro contenuto il diritto a vivere una relazione affettiva tra persone dello stesso sesso protetta dall’ordinamento, ma non necessariamente mediante l’opzione del matrimonio».
Dunque la sentenza della Cassazione toglie ogni sostanza all’argomento princìpe dei movimenti Lgbt che reclamano le nozze gay, ovvero la questione della discriminazione. Una legislazione – come quella attuale in Italia - che riconosca soltanto la famiglia naturale, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, non è affatto discriminatoria, è nel pieno diritto del Parlamento italiano. Benissimo. La sentenza, tra l'altro dovrebbe mettere fine a questa sceneggiata dei sindaci - Ignazio Marino in testa - che vogliono trascrivere i matrimoni gay.
Ma stabilito questo importante punto positivo, ci rendiamo subito conto che la sentenza della Cassazione non avrà alcun effetto frenante sulle forze che nel Parlamento italiano spingono per il riconoscimento di unioni civili che altro non sono che un matrimonio gay mascherato. Questo anzitutto perché come non c’è obbligo per il Parlamento italiano di approvare le nozze gay, così non c’è obbligo di impedirle. Quindi via libera al Parlamento che intende procedere su questa strada.
A questo si deve aggiungere l’altra parte della sentenza, ovvero la richiesta da parte della Cassazione di un intervento legislativo che emani un non meglio precisato “statuto protettivo” che garantisca i diritti delle coppie di fatto, incluse quelle omosessuali. Quindi, non un matrimonio ma comunque un riconoscimento formale. Peraltro – si legge nelle anticipazioni pubblicate dalle agenzie – a proposito dello Statuto si parla di «acquisire un grado di protezione e tutela equiparabile a quello matrimoniale in tutte le situazioni nelle quali la mancanza di una disciplina legislativa determina una lesione di diritti fondamentali scaturenti» da tali relazioni. 
A questo punto sorge spontanea una domanda: se tutti o quasi i diritti (e speriamo anche i doveri) delle famiglie devono essere estensibili a tutte le convivenze – cosa che già oggi è in buona parte così -, in cosa consiste la specificità del matrimonio tra un uomo e una donna rispetto alle altre forme di convivenza? In altre parole: quali sono le attribuzioni giuridiche, sociali, economiche che rendono la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna un “unicum” nell’ordinamento legislativo? Affermare che la famiglia è soltanto una e che lo Stato riconosce solo questa ha un senso solo se ci sono poi delle attribuzioni specifiche che rendono diversa la famiglia da qualsiasi altro tipo di convivenza.
C’è poi un altro punto che potrebbe far rientrare dalla finestra ciò che era stato fatto uscire dalla porta. La Cassazione infatti, nel chiedere l’intervento per regolare le unioni di fatto, fa riferimento all’articolo 2 della Costituzione per chiedere il riconoscimento di «un nucleo comune di diritti e doveri di assistenza e solidarietà propri delle relazioni affettive di coppia» e affermare la «riconducibilità» di «tali relazioni nell'alveo delle formazioni sociali dirette allo sviluppo, in forma primaria, della personalità umana». Ma questa è una evidente forzatura dell’articolo 2 della Costituzione che né esplicitamente né implicitamente fa riferimento a «relazioni affettive di coppia». Tutt’altro. Ecco infatti cosa dice l’articolo 2: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».
In quelle «formazioni sociali» oggi – anche eminenti giuristi cattolici – vedono lo spazio per inserirci le «relazioni affettive di coppia», ma non era assolutamente questa l’intenzione dei padri costituenti. Basterebbe leggere a questo proposito la relazione in Assemblea Costituente che l’onorevole Giorgio La Pira svolse per la I sottocommissione spiegando la ratio dell’articolo 2 (clicca qui). Diceva dunque La Pira, che di quell’articolo 2 fu il principale artefice, che per tutelare efficacemente i diritti della persona bisogna integrare i classici diritti individuali (lavoro, riposo, esistenza e così via) con i diritti essenziali delle «comunità naturali attraverso le quali la personalità umana ordinatamente si svolge». Le «formazioni sociali» dunque corrispondono in realtà alle «comunità naturali» che sono quella «familiare, religiosa, professionale», come viene descritto nella prima stesura dell’articolo 2. Nell’ambito affettivo solo la comunità familiare è giustamente contemplata (e per famiglia si intende quella naturale): inserire qui il riconoscimento delle unioni di fatto - comprese quelle omosessuali - è di nuovo equiparare qualsiasi tipo di convivenza alla famiglia naturale, esattamente ciò che si era preteso di escludere. Con tutte le conseguenze del caso.
La sentenza della Cassazione dunque, se da una parte non obbliga ai matrimoni gay dall’altra spinge proprio in quella direzione. Chi pensa oggi di aver colto un importante successo temo avrà presto modo di ricredersi.