martedì 17 febbraio 2015

I coraggiosi fratelli olandesi

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di Costanza Miriano
Quando mi hanno invitata ad andare in Olanda mi ero ripromessa di guardare prima o poi sulla carta dove si trovasse esattamente. L’Olanda dico. Ma mancavano un sacco di mesi, e c’è sempre qualcosa di più urgente da fare nella vita, tipo montare un’intervista o cucinare o correre o parlare con un figlio. Adesso ormai sono tornata, e non lo farò più, lo so. Mi rimarrà per sempre questa ennesima sacca di ignoranza, ma è anche una questione di giustizia: almeno non so dove sta praticamente nessun paese del mondo (perché l’Olanda sì e il Lichtenstein no, per dire?).
Nella mia geografia mentale, invece, l’Olanda un posto ce l’aveva. Era il posto dell’eutanasia, delle chiese vuote, oltre che di Kevin Strootman, che effettivamente sorride pochissimo. Quindi ero pronta al peggio ma, diciamo la verità, avevo accettato un po’ perché volevo incontrare i coraggiosi sparuti fratelli nella fede, un po’ perché mi sarei potuta portare la famiglia (alla fine sono andata sola con il dodicenne). Insomma, tutto pensavo meno che avrei preso lezioni di fede.
B9uZBlpIUAI_i3rInnanzitutto all’aeroporto di Eindhoven (che, come ho scoperto fortuitamente, non si trova in Germania) è venuta a prenderci la cara Laura, che a Roma viveva a duecento metri da noi, a San Giovanni (e chi conosce il quartiere sa di quanto rumore e confusione sto parlando), e che ha imparato a vivere in un paese tanto inconcepibilmente ordinato: ovviamente alla cena dopo l’incontro gli italiani – cioè io – hanno proposto di unire le due tavolate spostando sedie e piatti e tutto, con serio rischio svenimento per l’organizzatissima signora olandese che gestiva il tutto, la bravissima Miek (è solo questione di allenamento: alla fine del terzo giorno ha detto sospirando, al mio ennesimo indisciplinato ritardo “I’m getting used to it”).
La meta era Hertogenbosch, paese di ricchi mercanti, centomila abitanti e un’infinità sproporzionata di negozi e ristoranti: alla conferenza stampa ho conosciuto splendidi colleghi, giornalisti cattolici tutti plurigenitori (solo che loro erano biondi veri), che mi hanno raccontato come è difficile scrivere certe cose in un paese dove i cattolici sono al 17%, e dove le infermiere o i medici che si rifiutano di fare aborti perdono il posto. Da parte loro, invece, non riuscivano a credere che in Italia non ci sia il diritto al part time per le mamme che lo chiedono: lì per le lavoratrici è normale lavorare due o tre giorni a settimana. Nonostante questo, nonostante il fatto che la maggioranza delle mamme chieda e ottenga di lavorare così per seguire i propri figli, la propaganda gender spinge sull’acceleratore.SANYO DIGITAL CAMERA
All’incontro, quello in cui ho parlato per un’ora e mezza in angloperugino, la gioia di conoscere i cattolici del posto e gli italiani nel raggio di due ore di auto, Belgio compreso, è valsa dieci volte il viaggio (compresa la fila di quasi due ore al check in della Ryanair). Niente potrà far pari con la contentezza di riconoscersi – pur senza essersi mai visti prima – scoprire di parlare la stessa lingua, essere convinti di avere in comune qualcosa di molto grande, quello che ci fa uomini e donne. Allora grazie a Elisa uno e due, Emma, Stefano, Laura (col suo “crucco”) e tutti quelli che ora mi sto dimenticando: grazie grazie. La scorta di incoraggiamenti è stata già anche distribuita qui a Roma all’admin del blog che ci ha fatti incontrare e ai compagni di cammino e di fatica (i cioccolatini no, quelli sono stati spazzolati subito a casa).
A dormire siamo stati ospitati dalla famiglia Peeters, due splendidi genitori e otto figli, ormai grandi (con undicesimo e dodicesimo nipote in arrivo): uno meglio dell’altro, tutti e dieci. Il primo degli otto è sacerdote, ed è lui, responsabile di Cl in Olanda, il colpevole della traduzione del libro: un vero sacerdote che dà la vita, di quelli che davvero ascoltano (e sa farlo in un sacco di lingue, compreso il russo), e che ogni volta che parlano profumano l’aria di Cristo. Non so se posso dirlo, ma non resisto, spero che non si dispiaccia (non è stato certo lui a dirmelo): questo giovane, virile sacerdote ha donato un rene a una persona che ne aveva bisogno. I suoi fratelli sono uno meglio dell’altro, loro e i loro fidanzati/e mogli mariti: a vederli ti viene da pensare che la vita può essere sempre, nonostante tutto, una sfida interessante, e che il cristianesimo è una proposta conveniente.
Dai frutti si giudica l’albero, e l’albero davvero è eccezionale: Wim e la signora Annette ci hanno riempito di attenzioni, e hanno condiviso con noi l’intimità della casa e tanti racconti, conquiste fatte in anni di vita spirituale. Per esempio che la croce – c’è una malattia importante contro cui combattere – è sempre un’occasione di incontrare Dio, e avviene per un bene più grande. Quando a dirtelo è una persona malata tu capisci che non sono parole vuote. Lo guardi mentre dice “io sono un medicante” e capisci che sta dicendo una cosa che vive davvero. Grazie, grazie davvero.