mercoledì 4 febbraio 2015

L'abbraccio di tutta la Chiesa



Dopo il riconoscimento del martirio dell’arcivescovo Romero. È stata aperta una strada

Un “protomartire”. Primo della lunga schiera dei nuovi martiri contemporanei, Oscar Arnulfo Romero sarà beatificato a San Salvador entro l’anno. Lo ha annunciato mercoledì 4 febbraio, nel corso di una conferenza nella Sala stampa della Santa Sede, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia e postulatore della causa di beatificazione dell’arcivescovo ucciso il 24 marzo 1980 mentre stava celebrando la messa a San Salvador. «È un fatto provvidenziale — ha detto il presule — che questa beatificazione giunga con il pontificato del primo Papa latinoamericano», un Papa che ha affermato di volere una «Chiesa povera per i poveri»: un fatto che apre una strada, che «allarga l’orizzonte dell’America latina», un continente che, a partire dalla testimonianza di Romero, «ha qualcosa di importante da dire a tutto il mondo».
Ad approfondire la figura dell’arcivescovo martire c’erano — moderati dal direttore della Sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi — monsignor Jesus Delgado, che è stato il segretario personale di Romero nei tre anni, dal 1977 al 1980, in cui guidò l’arcidiocesi di San Salvador, e lo storico Roberto Morozzo della Rocca, che ha collaborato alla stesura della positio nella causa di beatificazione. «Quel 24 marzo — ha ricordato monsignor Delgado — avevo proposto all’arcivescovo di prendersi un giorno di riposo»: l’agenda di Romero aveva sei appuntamenti di cui uno, alle 18, era proprio la celebrazione della messa. «Se arrivo tardi celebra tu», gli disse il presule. Ma poi telefonò al segretario: «Meglio di no. Io celebrerò la messa, non voglio coinvolgere nessuno in questo». Furono le ultime parole scambiate con monsignor Delgado.
Romero, ha sottolineato l’arcivescovo Paglia, sapeva bene di essere in pericolo. Dopo aver vegliato una notte intera davanti al corpo di padre Rutilio Grande, l’amico gesuita ucciso il 12 marzo 1977, capì che in quel momento i campesinos erano rimasti orfani del loro padre e che ora toccava a lui prenderne il posto, ben consapevole che pure lui si sarebbe «giocato la vita». E anche di padre Rutilio è stato da pochi mesi aperto a San Salvador il processo di beatificazione.
Ma perché Romero fu ucciso? È questo un punto fondamentale nella ricostruzione della vicenda dell’arcivescovo, perché è alla base del riconoscimento del martirio in odium fidei. Un riconoscimento che, ha sottolineato il postulatore, «è giunto con l’unanimità dei pareri sia della commissione cardinalizia che della commissione dei teologi». C’era, ha spiegato l’arcivescovo Paglia, un clima di persecuzione contro un pastore che, a seguito dell’ispirazione evangelica, dei documenti del Vaticano II, di Medellín, aveva scelto di vivere per i poveri. Non c’erano motivi ideologici, di vicinanze con pensieri politici particolari. Fu ucciso semplicemente perché legato a questa prospettiva. Al riguardo è entrato nel dettaglio anche Morozzo della Rocca: «C’era una vera e propria persecuzione in atto contro la Chiesa in El Salvador. La Chiesa si preoccupava dei poveri, masse di gente disperata e senza lavoro. La classe dirigente oligarchica scambiava la sensibilità sociale cattolica per sovversione e comunismo». Romero, «straordinario predicatore», chiedeva giustizia «non in termini politici, ma spirituali». E, ha aggiunto lo storico, sapeva bene di essere un condannato a morte: «La fine gli veniva annunciata ogni giorno attraverso minacce, lettere, telefonate, attentati scampati per un soffio»; ne era anche impaurito, ma non ebbe mai dubbi: «Un pastore non se ne va, deve restare sino alla fine con i suoi». 
Con le facili e pretestuose accuse di comunismo, ha aggiunto l’arcivescovo Paglia, «si voleva far tacere quella Chiesa, una Chiesa che sgorgava dal Vaticano II, attenta alla pace, alla giustizia e alla verità evangelica». E oggi, ha continuato il postulatore, «dopo l’89, dopo l’11 settembre, dopo i recenti terribili attentati, Romero rappresenta il coraggio evangelico di una fede che non si ferma ai principi, ma sceglie di sporcarsi le mani con i più poveri per far capire che sta dalla parte loro». E, ha aggiunto, «per Romero stare con i più poveri era la maniera migliore per stare dalla parte dell’intero Paese».
Certo — e si è molto dibattuto in conferenza stampa su questo aspetto — il processo per la beatificazione è stato complesso e controverso. L’archivio di Romero conta oltre cinquantamila cartelle. Non sono mancati gli oppositori. Il fatto è, ha spiegato l’arcivescovo Paglia, che durante quegli anni «arrivavano a Roma chili di carte contro Romero. Lo accusavano di coinvolgimenti politici, di essere seguace della teologia della liberazione, di squilibri caratteriali». C’è voluto tempo per trovare e organizzare «la montagna di testimonianze che avrebbero scalzato tutte quelle accuse pretestuose». Soprattutto, ha tenuto a sottolineare il presule, è trascorso molto tempo perché «abbiamo voluto un processo scrupolosissimo. Volevamo che la causa fosse giustificata fino all’ultimo millimetro». Ma alla fine, ha concluso, «la verità ha avuto la sua vittoria».
Una verità che anche i precedenti Pontefici avevano colto: l’arcivescovo Paglia ha tenuto a ricordare Paolo VI «che di Romero fu ispiratore e difensore», Giovanni Paolo II che, dopo le prime titubanze dovute a una informazione distorta, comprese la verità e «nella celebrazione dei nuovi martiri durante il Giubileo del 2000 aggiunse di suo pugno il nome di Romero nell’oremus finale». E ancora Benedetto XVI che nel 2012 decise lo sblocco del processo. 
Oggi Romero «è un dono straordinario per tutta la Chiesa» e, ha detto l’arcivescovo Paglia, lo è «non solo per i cattolici, ma anche per tutti i cristiani e per tutti gli uomini di buona volontà nel mondo». La sua beatificazione, ha concluso monsignor Delgado, sarà un giorno di festa per tutti e «sarà l’ultimo miracolo di Romero: sancirà l’incontro fraterno dei salvadoregni. Di tutti i salvadoregni. Perché lui amava i poveri, ma non ha mai smesso di amare i ricchi. Chiedeva la conversione di tutti».
L'Osservatore Romano


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Briefing sulla Causa di Beatificazione dell’Arcivescovo di San Salvador, Óscar Arnulfo Romero y Galdámez
Sala stampa della Santa Sede
- Intervento di S.E. Mons. Vincenzo Paglia
- Intervento del Prof. Roberto Morozzo della Rocca

Alle ore 12.30 di oggi, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo un Briefing tenuto da S.E. Mons. Vincenzo Paglia, sulla Causa di Beatificazione dell’Arcivescovo di San Salvador, Óscar Arnulfo Romero y Galdámez, di cui egli è Postulatore. Presenti al Briefing anche il Postulatore della fase diocesana della causa, Mons. Jesús Delgado ed il Prof. Roberto Morozzo della Rocca, dell’Università degli Studi di “Roma Tre”, Storico. (...)



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Romero diventa beato. 
Corriere della Sera
 
(Andrea Riccardi) Il 3 gennaio 2015, papa Francesco ha deliberato la beatificazione di mons. Oscar Arnulfo Romero, vescovo martire salvadoregno. Andrea Riccardi ha commentato sul Corriere della Sera la storica decisione -- Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, fu ucciso dai militari il 24 marzo 1980. Divenne un`icona per la Chiesa popolare, raffigurato sui murales in America Latína. 
D'altra parte c`è stata grande opposizione: Romero, per i critici, non si era «convertito» ai poveri, ma era manipolato dai gesuiti dell`Università cattolica (uccisi nel 1989 dai gruppi antiguerriglia). Il cardinal Lopez Trujillo lottò contro il riconoscimento del martirio di Romero: riteneva il prelato troppo «marxisteggiante», e temeva che la sua beatificazione si sarebbe trasformata nella canonizzazione della teologia della liberazione, cui il cardinale si opponeva. Ieri, tuttavia; la Congregazione delle cause dei santi ne ha riconosciuto il martirio e papa Francesco ha approvato la beatificazione. Una vittoria della Chiesa popolare?
La storia è più complessa. Nel 1983 Giovanni Paolo II volle andare sulla tomba dell`arcivescovo salvadoregno (nonostante le opposizioni) e disse: «Romero è nostro». I rapporti tra i due non erano stati idilliaci: Wojtyla, però, s`inchinò di fronte al martire. Romero, definito «indimenticabile» dal Papa, fu inserito da lui tra i caduti del Novecento, dopo esserne stato escluso.
Non era un teologo della liberazione. La biografia scritta da Roberto Morozzo Della Rocca, Primero Dios, ce lo mostra come un pastore vicino a Paolo VI. Nel1977, da poco nominato arcivescovo, fu sconvolto dall`assassinio di Rutilio Grande, un parroco gesuita dalle spiccate capacità pastorali. Cominciò allora a difendere i diritti dei poveri e della Chiesa, come diceva. Lo accusarono di fare politica contro il potere costituito: ma lui non accettava che i salvadoregni fossero massacrati nella sanguinosa polarizzazione tra guerriglia e destra, e che fossero condannati alla miseria da un`oligarchia retriva. La morte venne presto. Romero lo sentiva e nell`ultima visita a Roma, nel gennaio 1980, disse: «Io ritorno, ma mi uccidono, non so se la sinistra o la destra». Un mese dopo confidò a un amico: «Mi costa accettare la morte violenta che in queste circostanze è molto possibile». Non chiese di essere trasferito in Vaticano, come qualcuno gli suggeriva. Fu ucciso mentre celebrava la messa, dopo una predica in cui parlava di martirio.
Dopo la morte Romero fu assunto come simbolo della Chiesa popolare. Sul processo di beatificazione, iniziato nel 1993, sono pesate le cautele e le pressioni, nonostante nulla di critico emergesse sull`ortodossia del vescovo. Lo stravolgimento della figura dopo la morte fa parte del martirio contemporaneo. Varie volte il processo fu fermato all`ex Sant`Uffizio fina al 2012 per motivi di opportunità. Poco prima di dimettersi, però, Benedetto XVI ne autorizzò la ripresa. Bisognava prendere una decisione su una figura che la storia ha ricostruito nella sua ricchezza. Francesco ha deciso per la beatificazione di questo vescovo dei poveri come martire. Al di là di vecchie polemiche, c`è grande devozione popolare verso di lui in Salvador. Il suo motto fu: Sentir con la Iglesia. Sarebbe stato ingiusto non riconoscere che Romero è morto per la Chiesa e il suo popolo.

fonte

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“Romero martire e beato” l’ultima svolta di Bergoglio   
La Repubblica
 
(Marco Ansaldo) Dopo anni di resistenze e insabbiamenti finalmente salirà agli onori degli altari il “vescovo dei poveri ” ucciso nel 1980 --Monsignor Romero diventerà beato. Il vescovo salvadoregno ucciso mentre celebrava messa nel 1980, la cui causa è rimasta frenata per anni in Vaticano perché a torto ritenuto vicino alla Teologia della liberazione, se non considerato socialista o addirittura marxista, salirà presto all’onore degli altari. Ma chi vincerà, adesso, «la guerra tra monsignor Paglia e il cardinale Amato», copyright dello stesso Papa Francesco durante il suo ultimo viaggio all’estero, entrambi in prima fila per questo difensore dei poveri?
Il dettaglio non è di poco conto. Angelo Amato ieri è stato ricevuto dal Pontefice, che ha comunicato ufficialmente al Prefetto della Congregazione per le cause dei Santi la decisione di beatificare il vescovo martire. Ma spetterà oggi a Vincenzo Paglia, Postulatore della causa di monsignor Romero, e consigliere spirituale della Comunità di Sant’Egidio da sempre attenta al mondo degli ultimi, presentare nella Sala stampa della Santa Sede come si è giunti infine alla scelta di Romero. Oltre alla data della beatificazione, che alcuni già ipotizzano per il prossimo 24 marzo, 35° anniversario della morte.
Con un decreto firmato il Papa ha riconosciuto di monsignor Oscar Arnulfo Romero «il martirio », perché assassinato a San Salvador il 24 marzo 1980 «in odio alla fede». Un atto aspettato da molti nella Chiesa, mentre nel suo Paese il popolo già da tempo lo considera “San Romero de America”. Ma bisognava attendere l’arrivo di un Pontefice latinoamericano, e anche molto sensibile alle istanze sociali, perché la causa di “monsegnor Romero” conoscesse un’accelerazione e si sbloccasse nonostante le resistenze, gli insabbiamenti e i sabotaggi che hanno caratterizzato il lungo iter processuale.
La vita di Romero fu complessa, dividendosi in due parti. Prima, quella di sacerdote e vescovo poco incline alle lotte verso il suo popolo. Poi, quella da lui stesso definita una “conversione”, con la nomina a primate della Chiesa cattolica del Salvador, e con l’uccisione del gesuita Rutilio Grande ad opera di sicari per il suo impegno verso gli ultimi. Fu la veglia al confratello sacerdote, nel marzo del 1977, a cambiargli la vita.
Nella sua prima lettera pastorale Romero dichiarò apertamente di volersi schierare dalla parte dei più poveri. Progressivamente, le sue omelie diventarono un martello contro il potere, simboleggiato dagli squadroni della morte dell’esercito, ma esercitato con la violenza dal partito nazionalista conservatore capeggiato dal colonnello Roberto D’Aubuisson. Il giorno in cui venne ucciso, monsignor Romero aveva appena concluso la sua omelia, ribadendo la sua denuncia contro un governo che nei campi minati mandava avanti i bambini. Pochi minuti dopo, al momento dell’elevazione, un sicario entrato nella piccola cappella dell’ospedale della Divina provvidenza, sparò un solo colpo che recise al vescovo la vena giugulare.
La sua beatificazione fu un caso per anni. Nel 1998 la Congregazione per la Dottrina della Fede prese in esame la questione. Nella fase di acquisizione dei dati e delle testimonianze (50 mila le sole carte dell’archivio personale), tuttavia, ci fu chi pose seri dubbi sulla santità di Romero, ritenuto erroneamente vicino ai teologi della liberazione. Difensore dei deboli sì, ma il vescovo di San Salvador anzi dissentiva profondamente del movimento, accusandolo di orizzontalismo, razionalismo, marxismo, e considerandolo piuttosto una deviazione politica della missione della Chiesa.
Lo stesso monsignor Paglia, intervistato da Stefania Falasca su Avvenire , ha così spiegato: «Il suo pensiero teologico era “uguale a quello di Paolo VI definito nell’esortazione Evangelii nuntiandi ”, come rispose egli stesso nel 1978 a chi gli chiedeva se appoggiasse la Teologia della liberazione. E che, in sostanza, in un contesto storico caratterizzato da estrema polarizzazione e da cruenta lotta politica, si scambiò per connivenza con l’ideologia marxista la difesa concreta dei poveri, che Romero sosteneva non per vicinanza alle idee socialiste ma per fedeltà alla Tradizione ». Alla Radio Vaticana ieri Paglia si è detto «davvero commosso, perché dopo tanti anni, finalmente, giunge la conclusione di questo lungo processo, e la gioia è doppia». E parla di un «quid provvidenziale»: il fatto cioè che Romero venga dichiarato beato dal primo Papa sudamericano della storia. Oggi toccherà a Paglia. Il cardinale Amato, come Prefetto dei santi, presiederà ovviamente la causa di beatificazione.
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