domenica 22 febbraio 2015

Un'umanità sfolgorante

Don Giussani durante una vacanza di GS a VarigottiNegri: «Don Giussani? Un'umanità sfolgorante»
di Riccardo Cascioli


«Ragazzi, devo dirvi una cosa: se nascessi cento volte farei sempre il lavoro che sto facendo». Era il 1957, così esordì don Luigi Giussani - oggi ricorre il X anniversario della sua morte -  nella prima lezione dell’anno entrando in classe nella I liceo classico del Berchet a Milano. In quella classe c’era un ragazzo di nome Luigi Negri, oggi arcivescovo di Ferrara-Comacchio, che ricorda quell’episodio come esemplare dell’«umanità sfolgorante» di don Giussani. «Nessuno dei miei insegnanti – ricorda monsignor Negri, che di don Giussani è stato tra i più stretti collaboratori nella guida del movimento di Comunione e Liberazione - mi aveva neanche lontanamente accennato a questa straordinaria sicurezza. Tutti, poco o tanto, desideravano altro perché il presente non corrispondeva alle loro esigenze». 
Una certezza che l’aveva colpita. Ma cosa l’ha spinta a seguire don Giussani?Mi ha colpito la sua umanità. Non è che allora la vita nella società, e anche i rapporti che c’erano tra i ragazzi fossero tutti meschini, violenti, istintivi come purtroppo capita spesso tra i ragazzi di oggi. C’era allora una gamma variegata di testimonianze di quella cosa che univa gli uomini: il senso della propria umanità, il senso della propria dignità, della propria responsabilità, che poteva articolarsi in forme e modi diversi, con opzioni culturali e dialogiche diverse, ma c’era una natura che ci univa. In questa natura uguale, c’erano fattori sfolgoranti. Giussani era un’umanità sfolgorante, cioè un’umanità piena, in cui c’entrava il modo in cui insegnava religione, il modo con cui rideva e scherzava con i suoi allievi, il modo con cui pregava, il modo con cui viveva qualsiasi momento della sua esistenza. Tanti anni dopo, ma tanti anni dopo, forse già vescovo, ho capito il senso della grande frase di San Paolo: «Sia che mangiate sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fatela per Cristo». Io avevo poco più di 16 anni e questo l’ho visto in una esperienza umana. Ma la radice di questa umanità non era in lui, la radice di questa umanità nuova era stata l’incontro straordinario della sua esistenza con quel Gesù Cristo che i suoi genitori gli avevano comunicato, e la sua parrocchia aveva reso cammino inesorabile, tranquillo, sicuro, della sua infanzia e della sua adolescenza fino all’ingresso in seminario.
Nell’episodio citato in apertura, emerge la diversità assoluta di don Giussani rispetto all’ambiente umano circostante. Eppure stiamo parlando di un’Italia ancora cattolica.Come Giussani ha detto tante volte, nei licei classici italiani cominciava allora quella inesorabile scristianizzazione della vita del nostro popolo che aveva come conseguenza la sostituzione di una cultura ancora formata dalla tradizione cattolica, con una cultura laica, atea, laicista. E questo passò attraverso una deformazione sistematica dei contenuti dell’insegnamento, quelli più determinanti per la mentalità: letteratura, storia, filosofia, arte. Lui ci aiutò a contrapporre a questo attacco violento l’imperturbabile serenità di chi aveva trovato una cultura adeguata nella sua vita. Vorrei che tutti quelli che hanno parlato di Giussani, dentro e fuori del movimento di Comunione e Liberazione, avessero anche soltanto una iniziale percezione di questa novità di attacco al mondo, adesso che si predica da tutte le parti che nel mondo non ci si deve essere per attaccare qualcosa, ma essere lì silenti e sbigottiti a vedere che il mondo si rovina.
Quella che lei ha descritto di Giussani è una grande forza attrattiva. Oggi “attrazione” è quasi una parola d’ordine, si dice giustamente che il cristianesimo si diffonde per attrazione. Ma su cosa significhi attrazione ci sono spesso ambiguità. A volte sembra essere identificata con una bellezza di vita personale, qualunque cosa questo significhi, che basterebbe da sola ad attirare l’attenzione degli altri. L’attrazione di cui parliamo è un’attrazione umana. Nell’umanità c’è dentro la capacità di ragionare, nell’umanità c’è dentro tutta la gamma delle esperienze umane. Non si può decidere dove passa l’attrattiva e dove non passa. Soprattutto non si può decidere perché è da imbecilli pensare di essere noi a definire l’ambito dove l’attrattiva si fa presente. L’attrattiva di Giussani era tutta la sua vita, perciò quando giudicava facendo scuola era attraente come quando ci portava in montagna. Dire che essere attraenti oggi vuol dire andare in montagna e non giudicare il mondo in cui noi viviamo, è quella «mediocrità dolce» di cui parla Giussani nel suo ultimo straordinario libro su cui sto facendo il ringraziamento della messa tutte le mattine. E lo consiglierei a tutti quelli che parlano e straparlano di Giussani. “In cammino (1992-1998)" dice che la «mediocrità dolce» sta distruggendo la società, si augura che non distrugga anche la Chiesa.
Quindi attrazione è anche invito agli altri a seguire, implica il "Vieni e vedi".
L'attrazione è invito. È l’invito agli altri, perché l’attrazione esprime una testimonianza e la testimonianza non richiama sé: la testimonianza richiama ciò per cui io sono così. Attraverso la testimonianza di Giussani abbiamo incontrato Gesù Cristo, perché Gesù Cristo era la radice della sua diversità, ma della diversità con cui viveva tutto: questa diversità passava attraverso tutto.
C’è un episodio che don Giussani ha raccontato spesso e che risale all’inizio del suo insegnamento al Berchet, ovvero quando chiese chi fossero quegli studenti che si ritrovavano sempre insieme al secondo piano della scuola. Erano “i comunisti”, ma la loro unità era ciò che mancava ai cristiani in quell’ambiente. Nel Cristianesimo l’unità visibile si chiama comunione, e non per niente questa è la parola che definisce lo stesso movimento di CL. Anche qui Giussani introduce una novità, un metodo nuovo……Che tra l’altro è il metodo della Chiesa: «Dove due o tre saranno presenti in nome mio io sarò con loro fino alla fine del mondo». Queste sono Ipsissima verba domini (parole assolutamente pronunciate da Gesù). “Dove due o tre saranno presenti in nome mio”, significa una unità sociale, visibile, evidente, consapevole di tutti i propri limiti. Io ero fra i quattro, ricordati spesso da Giussani, che si sono alzati in quell’assemblea di centinaia di studenti e ricordo di avere detto con serena tranquillità: «Noi studenti cattolici del Berchet...». È una presenza obiettiva che, pur carica dei propri limiti, ha la consapevolezza di portare ciò che il mondo non conosce e che magari senza esserne consapevole attende. Allora al Berchet non è che non fossero singolarmente cristiani, ma il cristianesimo come diceva lui, divenne un fatto reale nella scuola con lui. Divenne un fatto perché era una presenza unitaria, socialmente evidente; come diceva Plinio al suo amico imperatore: «Un popolo di terzo genere». E come disse il beato Paolo VI nell’udienza del 28 giugno 1972: «una entità etnica sui generis». Ogni tanto quando sento parlare del cristianesimo silenzioso, del cristianesimo che non si impone, che non travolge, soprattutto che non dice niente di esplicito per non violare la coscienza altrui – ma fosse così Gesù Cristo non avrebbe detto “sono il Figlio di Dio”, perché è la cosa più devastante della storia della cultura universale -,  mi viene in mente che adesso uno che entrasse in un ambiente, qualcuno gli si avvicinerebbe e direbbe sottovoce: "Qui qualcuno è cristiano ma preferiamo non dirlo".
Qualche tempo fa, in una intervista, lei parlava del suo incontro quotidiano con don Giussani che dura tuttora. Cosa ha significato don Giussani per la sua vita?
Quando reincontro quotidianamente nella comunione dei santi il mio grande amico monsignor Giussani, mi sento come qualunque cattolico di Milano che entra nella grande, straordinaria costruzione che la fede del popolo di Dio ha eretto alla Madonna. Ma tutta questa enorme grandezza poggia su una piccola pietra posta all’inizio, all’ingresso: «Mariae nascenti». Tutta la grandezza e lo sviluppo è l’espressione commossa, grata, di quella cosa piccola come può essere una donna nella vita nella storia e un uomo nella vita della storia. Ecco, Giussani per me è qualcosa che mi ha travolto nella sua grandezza e nella sua straordinaria umanità, ma alla radice del suo cuore c’era l’amore a Cristo, alla Chiesa, alla Madonna. E questa è la prima grande cosa che evocava in ciascuno di noi, che metteva in moto in ciascuno di noi.

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Giussani dieci anni dopo: un messaggio vivo
«Don Giussani realmente voleva non avere per sé la vita, ma ha dato la vita, e proprio così ha trovato la vita non solo per sé, ma per tanti altri. (...) Servendo così, dando la vita, questa sua vita ha portato un frutto ricco – come vediamo in questo momento – è divenuto realmente padre di molti e, avendo guidato le persone non a sé ma a Cristo, ha guadagnato i cuori, ha aiutato a migliorare il mondo, ad aprire le porte del mondo per il cielo». Le parole pronunciate davanti a 50mila persone radunate a Milano in piazza del Duomo e in Cattedrale dal cardinale Joseph Ratzinger durante l’omelia per i funerali di don Giussani, morto il 22 febbraio 2005, raccontano di un’eredità viva e che a dieci anni dalla morte del fondatore di Comunione e Liberazione continua a portare frutto. Accade in Italia, dove il movimento è nato e ha mosso i suoi primi passi sessant’anni fa, e in tanti Paesi del mondo, con una diffusione che colpisce per la sua trasversalità geografica, anagrafica, culturale e sociale. 

Il video “La strada bella”, realizzato facendo sintesi tra 603 filmati inviati da 43 Paesi di ogni continente, ne fornisce decine di testimonianze tanto brevi quanto significative. Si comincia con un mungitore che racconta di avere imparato da Giussani che chi ha scoperto il tesoro della fede cristiana «dovrebbe andare in giro per tutto il mondo a raccontarlo a tutti, ma può farlo anche stando lá dove Cristo lo ha messo», in una stalla del Cremonese. E si dipana con una serie di istantanee che vanno dalla Sicilia a San Paolo del Brasile, passando per Miami, Manila, l’Uganda, l’Australia, la Siberia, Taiwan, New York, fino a un impianto petrolifero dell’Iraq dove quattro amici si radunano ogni mattina a recitare l’Angelus prima di cominciare a lavorare. Operai e insegnanti, madri di famiglia e imprenditori, ragazzini e novantenni, pezzi di quel popolo nato dal carisma di una persona appassionata all’umanità di tutti e che ha speso la vita testimoniando come il cristianesimo risponde al desiderio di felicità che abita nel cuore di ciascuno. 

Il 7 marzo, in occasione del decimo anniversario della morte di Giussani (di cui è stata chiesta l’apertura della causa di beatificazione) e per i sessant’anni dall’inizio del movimento, i ciellini saranno ricevuti in udienza dal Papa. Sarà il primo incontro pubblico, in vista del quale si stanno organizzando treni speciali e pullman. In una lettera scritta nei giorni scorsi il presidente della Fraternità di Cl, Julián Carrón, sottolinea che «andiamo a Roma non per un incontro celebrativo, ma solo per il desiderio di imparare da papa Francesco come essere cristiani in un mondo in così rapida trasformazione. Vi prego di chiedere ogni giorno alla Madonna che ciascuno di noi possa essere pronto a ricevere ogni indicazione che il Papa ci darà per poter continuare a vivere sempre di più il carisma che ci ha afferrato, affinché si possa compiere lo scopo per cui lo Spirito lo ha suscitato in don Giussani: rendere presente in ogni periferia – cioè in ogni ambiente di vita – il fascino di Cristo, la sua attrattiva unica, attraverso la materialità della nostra esistenza». 

Di questa "attrattiva", che ha raggiunto anche tanti laici e persone appartenenti ad altri "mondi" religiosi (vedere box in questa pagina), è stato testimone per molti anni Alberto Savorana, portavoce del movimento e autore della monumentale biografia del fondatore Vita di don Giussani (Rizzoli), che ha venduto decine di migliaia di copie ed è ora disponibile anche in edizione economica e in formato ebook: «Nelle 130 presentazioni del libro fatte in Italia, con la partecipazione di intellettuali, docenti universitari, giornalisti, imprenditori, ecclesiastici, mi ha colpito il fatto che quasi tutti hanno parlato di don Giussani al presente, come se non stessero commemorando un morto ma avessero incontrato qualcosa di pertinente alla loro vita, prima che un pensiero e un insegnamento. 

Un’attrattiva che, a dieci anni dalla sua nascita al Cielo, continua a muovere le persone, anche quelle che non lo hanno mai incontrato». Come le tre ragazze che nel video La strada bella se ne vanno in bicicletta a Macapá, sulle sponde del Rio delle Amazzoni, e raccontano: «Da qui passò don Giussani, in uno dei primi viaggi che fece in Brasile. Dopo trent’anni il suo carisma è arrivato fino a noi. Non lo abbiamo conosciuto personalmente, ma lo consideriamo come un padre».

Avvenire

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Giussani, maestro del nuovo annuncio di Cristo
di Robi Ronza

Dieci anni or sono, il 22 febbraio 2005, moriva a Milano don Luigi Giussani. Liberando la memoria dalle semplificazioni massmediatiche di cui fu oggetto mentre era in vita, il tempo da allora trascorso rende oggi più facile cogliere il suo rilievo nella storia della Chiesa e della società del Secolo XX.
Maestro nella fede di vivissimo carisma, ma nel medesimo tempo grande teologo-filosofo ed educatore, Luigi Giussani è stato una delle personalità di maggior peso di quel movimento di riannuncio di Cristo e del suo Vangelo al tramonto dell’età moderna che inizia alla fine del secolo XIX con  John Henry Newman e il suo fondamentale Saggio per una grammatica dell’assenso (1870). Un movimento che trova poi tempestivo riflesso e sviluppo nel magistero papale dell’epoca, da Leone XIII all’attuale Pontefice. E sistematizzazione nel Concilio Vaticano II che, al di là del suo fondamentale ruolo di catalizzatore del processo, ne fu in sostanza assai più un frutto che una fonte.
Giussani fu un uomo, un cristiano di tale statura. Oggi è il caso di cominciare a riconoscerlo, il che è forse più difficile per i numerosi amici e discepoli che ha lasciato su questa terra che non per l’opinione pubblica in genere. Paradossalmente chi ha un ricordo diretto della sua intensa amicizia, o comunque della sua incondizionata prossimità umana con chiunque incontrasse, fatica talvolta a coglierne la statura assai più di chi l’ha visto da lontano. Giussani è stato il grande maestro del riannuncio di Cristo alla fine dell’età moderna, in un mondo largamente secolarizzato e nel quale l’eredità pedagogica e devozionale del Concilio di Trento e della Riforma cattolica non hanno più alcuna presa, non suscitano più interesse alcuno. 
Tra la pubblicazione nel 1870 del Saggio per una grammatica dell’assenso - in cui Newman argomenta il nesso necessario tra la fede e la ragione e sottolinea la congruità della risposta cristiana alle grandi questioni esistenziali - e l’uscita nel 1966 presso Jaca Book della prima edizione de Il senso religiosodi Luigi Giussani trascorre un secolo. E’ il secolo in cui la civiltà dei Lumi entra in crisi, le ideologie “laiche” sviluppatesi nei Secoli XVIII e XIX falliscono tragicamente alla prova delle sfide del Secolo XX, lasciandosi dietro di sé una scia di sangue e di lacrime senza paragoni in tutta la storia dell’uomo; e nella Chiesa viene ad esaurirsi l’eredità teorica e pastorale del Concilio di Trento. Nella Chiesa il movimento di esperienze e di pensiero di cui dicevamo trova frattanto impulso e fondamento in figure, tra le altre, come Romano Guardini (1885-1968), Henri de Lubac (1896-1991), Hans Urs von Balthasar (1905-1988), Yves Congar (1905-1995) e infine Luigi Giussani. E pure il cristianesimo riformato vi contribuisce con pensatori e teologi come Reinhold Niebuhr, Karl Barth e altri. 
Non basta ovviamente tutta questa fioritura ad annullare la forza d’inerzia della storia, a causa della quale l’ateismo pratico, il nichilismo e il relativismo da fenomeni di élite - come erano fino a tutti gli anni ’60 del secolo scorso – sono divenuti fenomeni di massa. Il movimento di cui si diceva pone però il seme di una possibile futura ripresa dell’esperienza cristiana in cui si ha buon motivo di sperare, anche se la nostra generazione difficilmente potrà vederne la pienezza. A questo processo Luigi Giussani dà il contributo di un pensiero sorgivo, come bene è stato detto, e la testimonianza carismatica e molto convincente di una vita che la fede nella presenza di Cristo rendeva appassionata  e intensa. Per Giussani, infatti, la fede è il riconoscimento di una Presenza, l’incontro con la quale illumina ogni ambito della vita della persona dai rapporti umani al lavoro, alla vita sociale e politica. Di qui la sua forte critica alla ragione, così come viene intesa dall’Illuminismo, chiusa a priori a tutto ciò che non riesce a spiegare da sé; e disposta per questo anche alla censura dell'esperienza personale e della realtà. La fiducia in una ragione aperta alla fede è per Giussani la premessa metodologica per ogni seria ricerca della verità e per ogni seria analisi dell'esperienza religiosa.
Se tutto questo colloca Giussani, seppur appunto in modo sorgivo, dentro il movimento di esperienza e di pensiero di cui si diceva, sono nella sostanza soltanto suoi il carisma e il metodo pedagogico. Senza soffermarci qui su una vicenda già esaurientemente illustrata da Alberto Savorana in Vita di don Giussani, la sua biografia edita da Rizzoli nel 2014, diremo in breve che a metà degli anni ’50 del secolo scorso, lasciando per questo il suo posto di promettente professore di teologia al seminario diocesano, per quello di insegnante di religione in un liceo di Milano, Giussani vive e sviluppa l’esperienza, e quindi il metodo, che troverà poi sistematizzazione ne Il senso religioso (nuova edizione accresciuta), All’origine della pretesa cristiana ePerché la Chiesa. Pubblicati da Jaca Book tra il 1986 e il 1992 e attualmente editi da Rizzoli, i tre volumi costituiscono “Il percorso”; insomma un itinerario di educazione alla fede su misura per la gente del nostro tempo, così come Giussani l’aveva colta e descritta nel suo La coscienza religiosa nell’uomo moderno, Jaca Book 1985, un testo oggi contenuto ne Il senso di Dio e l'uomo moderno, Rizzoli 1994.
E’ questo il quadro in cui si situa il movimento di Comunione e Liberazione, la principale opera educativa di don Giussani, da lui guidata e animata fino all’ultimo respiro. Di CL, riconosciuto ufficialmente sotto il suo pontificato, nella sua lettera a don Giussani in occasione del 20° anniversario di tale riconoscimento, san Giovanni Paolo II scrive tra l’altro l’11 febbraio 2002: “Riandando con la memoria alla vita e alle opere della Fraternità e del Movimento, il primo aspetto che colpisce è l’impegno posto nel mettersi in ascolto dei bisogni dell’uomo d’oggi. L’uomo non smette mai di cercare (…) L’unica risposta che può appagarlo acquietando questa sua ricerca  gli viene dall’incontro con Colui che è alla sorgente del suo essere e del suo operare. Il Movimento pertanto ha voluto e vuole indicare non una strada, ma la strada per arrivare alla soluzione di questo dramma esistenziale (…)”. Senza ignorarne i limiti e gli errori, ma senza nemmeno dare ingiustificato credito ai troppi attacchi in male fede di cui è stato più volte oggetto, è ponendosi in tale orizzonte  che si può comprendere appieno il senso di CL nella storia della Chiesa del nostro tempo.

Robi Ronza è l'autore di "Il movimento di Comunione e liberazione", libro-intervista a don Luigi Giussani, rieditato nei mesi scorsi dalla BUR, con prefazione di don Julian Carron. 

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Don Giussani e "l'ansia" di educare i giovani alla Fede

L'omelia del vescovo di Ascoli Piceno, mons. Giovanni D'Ercole, durante la Messa in Cattedrale per il decennale della morte del fondatore di CL

Ascoli Piceno,  (Zenit.orgRedazione | 92 hits

Quale messaggio ci trasmette oggi don Luigi Giussani? A partire da questa domanda si è snodata l'omelia di mons. Giovanni D'Ercole, vescovo di Ascoli Piceno, durante la Santa Messa celebrata …