sabato 14 novembre 2015

Papa Francesco sugli attentati terroristici di ieri sera a Parigi



Pochi minuti fa Papa Francesco in una conversazione telefonica con Lucio Brunelli direttore di TV2000 nel corso del programma Speciale dedicato alle stragi terroristiche perpetrate ieri sera a Parigi, tra le 21.30 e le 24 circa, in diversi locali della città e che hanno causato - secondo il bilancio provvisorio - almeno 125 morti e 80 feriti attualmente in gravi condizioni, ha così riflettuto profondamente emozionato (La trascrizione integrale):
Santità quali pensieri e sentimenti davanti alla carneficina di Parigi?
“Sono commosso e addolorato. Non capisco ma queste cose sono difficili da capire, fatte da essere umani. Per questo sono commosso, addolorato e prego. Sono tanto vicino al popolo francese tanto amato, sono vicino ai familiari delle vittime e prego per tutti loro”.
Lei ha parlato tante volte di una terza guerra mondiale a pezzi?
“Questo è un pezzo, non ci sono giustificazioni per queste cose”. 
 
Soprattutto non ci può essere una giustificazione religiosa?
“Religiosa e umana. Questo non è umano. Per questo sono vicino a tutta la Francia che le voglio tanto bene. Ti ringrazio tanto per avermi chiamato”.


*
Discorso di Papa Francesco al “Jesuit Refugee Service” in occasione del 35° anniversario di fondazione
Sala stampa della Santa Sede

"E non posso finire questo incontro, queste parole senza presentarvi un’icona: quel “canto del cigno” del padre Arrupe, proprio in un centro per rifugiati. Ci chiedeva di pregare, di non lasciare la preghiera."

Alle ore 11.30 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza il “Jesuit Refugee Service” in occasione del 35° anniversario di fondazione dell’organizzazione cattolica internazionale. Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti all’Udienza:
Cari fratelli e sorelle,
vi do il benvenuto in occasione del 35° anniversario della fondazione del Jesuit Refugee Service, voluto dal P. Pedro Arrupe, allora Superiore Generale della Compagnia di Gesù. L’impressione e l’angoscia da lui sofferti di fronte alle condizioni dei boat people sud-vietnamiti, esposti agli attacchi dei pirati e alle tempeste nel Mar Cinese Meridionale, lo indussero a prendere questa iniziativa.
P. Arrupe, che aveva sperimentato l’esplosione della bomba atomica a Hiroshima, si rese conto delle dimensioni di quel tragico esodo di profughi. Vi riconobbe una sfida che i Gesuiti non potevano ignorare, se volevano rimanere fedeli alla loro vocazione. Volle che il Jesuit Refugee Service andasse incontro ai bisogni sia umani sia spirituali dei rifugiati, quindi non soltanto alle loro immediate necessità di cibo e di asilo, ma anche all’esigenza di vedere rispettata la loro dignità umana ferita, e di essere ascoltati e confortati.Il fenomeno delle migrazioni forzate è oggi drammaticamente aumentato. Folle di profughi partono da diversi Paesi del Medio Oriente, dell’Africa e dell’Asia, cercando rifugio in Europa. L’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite ha valutato che ci sono, in tutto il mondo, quasi 60 milioni di rifugiati, la cifra più alta dalla 2ª Guerra Mondiale. Dietro queste statistiche ci sono persone, ciascuna con un nome, un volto, una storia, e la sua inalienabile dignità di figlio di Dio.
Voi operate attualmente in dieci diverse regioni, con progetti in 45 Paesi, accompagnando rifugiati e popolazioni nelle migrazioni interne. Un buon gruppo di Gesuiti e di religiose lavorano insieme a tanti collaboratori laici e a moltissimi rifugiati. Nel tempo siete sempre rimasti fedeli all’ideale di P. Arrupe e ai tre punti fondamentali della vostra missione: accompagnare, servire, difendere i diritti dei rifugiati.
La scelta di essere presenti nei luoghi dove c’è maggiore bisogno, in zone di conflitto e di post-conflitto, vi ha resi internazionalmente conosciuti per essere vicini alla gente, capaci di imparare da essa come meglio servire. Penso specialmente ai vostri gruppi in Siria, Afghanistan, Repubblica Centrafricana e nella zona orientale della Repubblica Democratica del Congo, dove vengono accolte persone di fedi diverse che condividono la vostra missione.
Il Jesuit Refugee Service lavora per offrire speranza e futuro ai rifugiati, anzitutto mediante il servizio dell’educazione, che raggiunge un gran numero di persone e riveste speciale importanza. Offrire educazione è molto più che dispensare nozioni. È un intervento che offre ai rifugiati qualcosa per cui andare oltre la sopravvivenza, mantenere viva la speranza, credere nel futuro e fare dei progetti. Dare ai bambini un banco di scuola è il regalo più bello che possiate fare. Tutti i vostri programmi hanno questo scopo ultimo: aiutare i rifugiati a crescere nella fiducia in sé stessi, a realizzare il massimo del potenziale insito in loro e a metterli in grado di difendere i propri diritti come singoli e come comunità.
Per bambini costretti ad emigrare, le scuole sono spazi di libertà. In classe, vengono accuditi dagli insegnanti e sono protetti. Purtroppo, sappiamo che nemmeno le scuole sono risparmiate dagli attacchi di chi semina violenza. Invece le aule scolastiche sono luoghi di condivisione, anche con bambini di culture, etnie e religioni differenti, dove si segue un ritmo regolare, un ordine confortevole, in cui i bambini possono di nuovo sentirsi “normali”, e i genitori felici di saperli a scuola.
L’istruzione offre ai piccoli rifugiati una via per scoprire la loro autentica vocazione, sviluppandone le potenzialità. Tuttavia, troppi bambini e giovani rifugiati non ricevono un’educazione di qualità. L’accesso all’educazione è limitato, specialmente per le ragazze e per la scuola secondaria. Per questo, durante il prossimo Giubileo della Misericordia, vi siete posti l’obiettivo di aiutare altri 100.000 giovani rifugiati ad andare a scuola. La vostra iniziativa di “Educazione Globale”, col motto “Mettiamo in moto la Misericordia”, vi metterà in grado di raggiungere molti altri studenti, che hanno urgente bisogno di un’educazione che li ripari dai pericoli. Sono riconoscente per questo al gruppo di sostenitori e benefattori e al gruppo internazionale di sviluppo del Jesuit Refugee Service, che oggi si sono uniti a noi. Grazie alla loro energia e al loro sostegno, la misericordia del Signore raggiungerà tanti bambini e famiglie nei prossimi anni.
Mentre proseguite nell’opera di educazione dei rifugiati, pensate alla Santa Famiglia, la Madonna, san Giuseppe e Gesù bambino, fuggiti in Egitto per scampare alla violenza e cercare rifugio presso stranieri; e ricordate le parole di Gesù: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7). Portate sempre dentro di voi queste parole, vi siano di stimolo e di conforto. Da parte mia, vi assicuro la mia preghiera. E anche voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.
E non posso finire questo incontro, queste parole senza presentarvi un’icona: quel “canto del cigno” del padre Arrupe, proprio in un centro per rifugiati. Ci chiedeva di pregare, di non lasciare la preghiera. E proprio lui con questo consiglio e con la sua presenza lì, in quel centro per rifugiati in Asia, non sapeva che in quel momento si congedava: sono state le sue ultime parole, il suo ultimo gesto. E’ stata proprio l’eredità ultima che ha lasciato alla Compagnia. Arrivato a Roma, è stato colpito dall’ictus che l’ha fatto soffrire per tanti anni. Quest’icona vi accompagni: l’icona di uno bravo, che non solo ha creato questo servizio, ma uno al quale il Signore ha dato la gioia di congedarsi parlando in un centro per rifugiati.
Il Signore vi benedica.