sabato 13 febbraio 2016

La Consulta dixit: la Cirinnà è incostituzionale

Una sentenza della Corte costituzionale ha di fatto sancito l'incostituzionalità delle unioni gay



di Tommaso Scandroglio


Alcuni giudici sono da tempo portatori, non troppo sani, del ddl Cirinnà e non lo sapevano. Partiamo da un fatto di cronaca giudiziaria che inizia nel 2005. Lui e lei si sposano, ma poi lui cambia sesso e da Alessandro diventa per l’anagrafe Alessandra. L’ufficiale di stato civile applica la legge 164/82 che prevede il divorzio automatico. Infatti, per il nostro ordinamento giuridico l’unico matrimonio esistente è quello tra un uomo e una donna. Se procedi alla rettificazione sessuale di conseguenza il tuo matrimonio è sciolto.
I due non ci stanno e ricorrono presso il Tribunale di Modena ilquale dà loro ragione: agli eterosessuali il divorzio non è mai imposto, perché invece dovrebbe essere così per un transessuale? Il ministero dell’Interno a sua volta si oppone alla decisione del Tribunale di Modena e ricorre in appello. La Corte di Appello di Bologna nel 2011 ribalta la sentenza di primo grado: i due non possono più essere considerati marito e moglie, altrimenti inseriremmo nel nostro ordinamento il “matrimonio” omosessuale.
La coppia torna all’attacco e ricorre in Cassazione e questa a sua volta rimette alla CorteCostituzionale la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della legge 164/82, cioè quegli articoli che prevedono il divorzio coatto nei casi di rettificazione sessuale di uno dei coniugi. La Corte costituzionale, con sentenza n. 170 del 2014, afferma da una parte che il matrimonio è solo quello tra un uomo e una donna ex art 29 della Costituzione e dall’altro dichiara l’incostituzionalità di questi due articoli «nella parte in cui non prevedono che la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei coniugi, che comporta lo scioglimento del matrimonio, consenta, comunque, ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, la cui disciplina rimane demandata alla discrezionalità di scelta del legislatore». 
In buona sostanza si dice: i due non sono più coniugi, ma – enunciando un principio additivo - che il legislatore si affretti a riconoscere comunque un istituto giuridico ad hoc per tutelare adeguatamente i loro diritti. La Consulta poi passa la palla di nuovo alla Cassazione affinché applichi questi principi al caso concreto. I giudici della Cassazione, con sentenza n. 8097 del 21 aprile del 2015, non rispettano le indicazioni della Corte Costituzionale. Infatti, così argomentano: noi giudici dobbiamo assicurare tutela giuridica a questa coppia omosessuale, ma dato che non esiste l’istituto della convivenza omosessuale, non possiamo che confermare il loro status coniugale perché è l’unica condizione giuridicamente legittima che allo stato, in mancanza di una normativa sulle coppie di fatto omosessuali, possiamo applicare al caso di specie. 
Questo finché il Parlamento non farà una legge per tutelare situazioni come queste. Peccato però che la Corte costituzionale avesse escluso la legittimità del “matrimonio” gay. Ecco le parole conclusive della sentenza della Cassazione: «Risulta, in conclusione, necessario, al fine di dare attuazione alla declaratoria d’illegittimità costituzionale contenuta nella sentenza n. 170 del 2014, accogliere il ricorso e conservare alle parti ricorrenti il riconoscimento dei diritti e doveri conseguenti al vincolo matrimoniale legittimamente contratto fino a quando il legislatore non consenta a esse di mantenere in vita il rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata che ne tuteli adeguatamente diritti ed obblighi». 
Ergo i giudici hanno inventato il “matrimonio” omosessuale ad interim, a tempo determinato. Amargine annotiamo una conseguenza curiosa di questa sentenza. Tale “matrimonio” omo obbliga giuridicamente la moglie a essere lesbica. Infatti, il vincolo di coniugio tra Alessandra e sua moglie è – sotto il profilo giuridico – tra due donne. La moglie, infatti, non ama un uomo, secondo il diritto, bensì una donna. Trattasi di omosessualità forzata. Ma il punto più saliente è un altro. I giudici della Cassazione già nell’aprile del 2015 avevano legittimato le “nozze” gay, quelle stesse che sono in questi giorni in discussione al Senato. 
La Cirinnà dunque aveva già visto la luce mesi or sono in un’aula di giustizia. E quindi, vien dachiedersi, perché scaldarsi tanto per far approvare questa legge sulle unioni civili? Non è inutile? Per i sostenitori delle “nozze” gay la legge è indispensabile soprattutto perché le sentenze dei giudici non hanno lo stesso valore giuridico di una legge. Le prime risolvono vertenze particolari ed hanno valore solo per il caso in oggetto, nonostante si assista in Italia a una marcata deriva da un sistema di civil law – le norme di comportamento vengono disciplinate dalle leggi -  a quello di common law – i precedenti giurisprudenziali fanno legge. Le seconde hanno valenza erga omnes, quindi sono generali ed elevano uno status – la convivenza omosessuale – a bene tutelato giuridicamente. In breve è compito dei giudici dirimere le singole vertenze, è compito dei parlamentari disciplinare le condotte collettive.
La sentenza della Consulta prima citata che diceva no ai “matrimoni” gay, però sì alla tutela giuridica delle coppie omosessuali perché sono un formazione sociale ex art. 2 della Costituzione ci porta dritti dritti ad una spinosa domanda: c’è un modo per evitare il riconoscimento giuridico delle convivenze omosessuali e non entrare in rotta di collisione con quanto indicato dalla Corte costituzionale? La risposta non è semplice, ma la soluzione potrebbe passare dal rammentare che la giurisprudenza precedente della stessa Consulta è contraddittoria sul punto. Infatti, in moltissime occasioni ha riconosciuto che le convivenze sono un legame denotato da precarietà e quindi non degne di tutela rafforzata come il matrimonio (cfr. sentenze 352/2000; 461/2000; 166/1998; 127/1997; 8/1996; 310/1989; 644/1988; 423/1988; 404/1988; 237/1986; 45/1980; 6/1977; ordinanze 491/2000; 313/2000; 352/1989; 1122/1988).
Simili relazioni denotate da fragilità e provvisorietà non potrebbero che danneggiare il consessosociale e perciò – aggiungiamo noi - non meriterebbero un riconoscimento giuridico. Inoltre, come più volte da queste colonne abbiamo tentato di spiegare, le convivenze non possono venire tutelate ex art 2 della Costituzione, dato che le formazioni sociali ivi indicate – come risulta dai verbali della Costituente - si riferiscono alle confessioni religiose, alle associazioni, ai partiti politici, ai sindacati, etc. 
Forse che una futura sentenza della Consulta potrebbe sposare queste considerazioni? Difficile,molto difficile, anche perché la Corte diceva no all’equiparazione tra convivenze (etero od omo che siano) e matrimonio, ma non escludeva un certo loro riconoscimento. Inoltre, queste sono considerazioni che avrebbero una certa loro validità in dottrina giuridica, ma è anche vero, purtroppo, che le sentenze vengono considerate come i computer: gli ultimi modelli sono migliori di quelli vecchi. Le sentenze recenti, nella pratica giuridica, spesso scalzano quelle precedenti ed indicano rotte che in genere non subiscono variazioni. La decisione del 2014 quindi fungerà in futuro da stella polare anche per i parlamentari.
Detto tutto ciò, c’è da ammettere che le riflessioni qui offerte sono flatus vocis perché superate dalla realtà dei fatti parlamentari. Infatti, la sentenza della Consulta del 2014 avrebbe dovuto trovare applicazione nelle aule parlamentari con il varo di una legge sulle convivenze omosessuali, ma la realtà ha sorpassato a sinistra la decisione della Consulta e il Parlamento, quasi certamente, ci regalerà oltre ad una normativa sulle coppie di fatto omo anche un vero e proprio “matrimonio” omosessuale. Però, per paradosso, la sentenza della Consulta potrebbe tornare utile ai sostenitori della famiglia naturale proprio perché afferma esplicitamente che l’unico matrimonio come Costituzione comanda è quello tra un uomo e una donna. Insomma la Consulta ha già dichiarato incostituzionale la futura legge Cirinnà.

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Un gruppo di 30 tra professionisti e accademici ha firmato una petizione contro l'approvazione del ddl Cirinnà sulle unioni civili: "Abbiamo il diritto di non uniformarci"
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