martedì 8 marzo 2016

C’era una volta



Inchiesta sul sacramento della confessione. Don Filippo e il guscio magico. 

Esce nei prossimi giorni in libreria e nel formato ebook C’era una volta la Confessione. Inchiesta su un sacramento in crisi (Milano, Àncora, 2016, pagine 126, euro 14). Anticipiamo ampi stralci tratti dalla prefazione dell’autore, vaticanista del Tg1, e della postfazione a firma di un parroco romano.
(Aldo Maria Valli) Se vi dico «confessione» qual è la prima immagine che vi viene in mente? Il commissario Montalbano che riesce a far «cantare» un assassino incallito? Oppure vi vedete da bambini, gli occhi fissi sulla punta delle scarpe, mentre vi autoaccusate di qualche misfatto davanti alla mamma, e lei fa andare su e giù il dito indice davanti al vostro naso e voi vorreste sparire dalla faccia della terra?Oppure pensate a una grata e voi sapete che al di là c’è un prete con la stola, e lui vi rivolge la fatidica domanda, «quante volte, figliolo?», e voi incominciate ad annaspare? Oppure quel prete non è vestito da prete e vi confessa in riva al mare o in cima a una montagna e voi vi sentite leggeri e decisamente più buoni e magari vi spunta pure una lacrima?
Per quanto mi riguarda, avverto come delle punture di spillo allo stomaco, poi sento un penetrante odore di cera per il legno e infine mi fanno male le ginocchia. Questione di imprinting, di apprendimento avvenuto nei primi anni della vita. Le punture di spillo erano quelle che arrivavano quando il nostro prete dell'oratorio, il mitico don Filippo, convocava in chiesa noi mocciosi facendoci entrare dalla porticina laterale e poi, dopo averci raccomandato di stare zitti e buoni, ci metteva in mano un cartoncino con le domande utili per condurre un approfondito ed esauriente esame di coscienza. L’odore di cera era invece quello emanato dal confessionale, una specie di scatola di legno scuro nella quale don Filippo si infilava attraverso una strana porticina bassa, che lo nascondeva alla nostra vista solo per metà. Che cosa faceva don Filippo una volta inserito nel magico guscio? Mistero! L'unica cosa certa era che a un certo punto, attraverso una grata, proveniva una luce fioca, ed ecco lì la voce del nostro don, che incominciava a snocciolare le domande.
In ogni caso qui non è dei problemi dell’autore che si vuol parlare, ma del sacramento della confessione e dello stato in cui si trova. Oggi, con Papa Francesco, la confessione torna a essere proposta con decisione come via di salvezza, in una vita cristiana fondata sulla consapevolezza dell’amore misericordioso del Padre. Ma qual è la situazione? La confessione è ancora centrale per la vita del cattolico? Nel nostro mondo dominato dal mito dell’autosufficienza e dell’individualismo, in questa nostra cultura imbevuta di relativismo, c’è ancora chi avverte il bisogno di rivolgersi a un prete per confessarsi? Chi va dal confessore, oggi, e perché? Che cosa si cerca? Davvero l’obiettivo è il perdono dei peccati o è solo un po’ di consolazione, o magari semplicemente una parola buona e qualche minuto della compagnia di qualcuno disposto ad ascoltarti? È corretto parlare di crisi della confessione o si tratta soltanto di una formula generica, usata magari per nascondere altre questioni, prima fra tutte quella che tocca l’esercizio dei ministero sacerdotale? E poi: esiste ancora il senso del peccato? E chi si trova davanti colui che, per un motivo o per l’altro, decide di andare a confessarsi? È accolto da un padre, da un giudice o da un funzionario? Oggi ci dicono ancora qualcosa parole come penitenza, contrizione, vergogna, peccato? Non appartengono forse a un vocabolario che abbiamo abbandonato su qualche scaffale polveroso, nel nostro retrobottega culturale e spirituale? Non viviamo forse in una società televisiva nella quale la spudoratezza è stata elevata a virtù e, di conseguenza, la vergogna non si sa nemmeno più che cosa sia?
Con il giubileo della misericordia Papa Francesco ha messo queste domande, e molte altre, al centro dell’attenzione, non solo della Chiesa e non solo dei credenti. Soprattutto ha invitato a lasciarsi attrarre dall’amore del Padre, pronto a far festa per il ritorno del figlio prodigo (e pazienza se qualche figlio fedele fa un po’ l’offeso). Ma è un messaggio che siamo ancora in grado di cogliere?
A un primo sguardo la confessione non risulta certamente in buona salute. In un mondo profondamente secolarizzato, immersi come siamo in una mentalità sempre meno disposta a riconoscere la presenza di un’autorità divina e la necessità di una mediazione da parte della Chiesa, questo sacramento sembra condannato all'estinzione. Lo dicono le ricerche e lo fa capire il senso comune. Prevale l’idea, in molti casi anche fra gli stessi credenti, che il rapporto con Dio, quando c’è, vada coltivato nella sola sfera individuale, secondo una prospettiva intimista, di tipo sentimentale, che nulla può avere a che fare con logiche dal sapore giuridico. Pochi sono disposti ad ammettere che ci sia bisogno di qualcosa che ricorda un tribunale, sia pure ispirato a misericordia, e perfino quei pochi pensano che il giudizio sia una questione da giocarsi a tu per tu con Dio, senza che la Chiesa, attraverso i suoi rappresentanti, debba avere un ruolo. Ma è davvero così?
In realtà, appena si scava un po’ ai di sotto di questo comune sentire e si va a verificare sul campo, non mancano le sorprese. Si scopre che le persone che ancora si accostano ai confessionale sono molte di più di quanto si possa sospettare, anche fra i giovani, e che nel rapporto con Dio il sacramento dai molti nomi continua ad avere un ruolo e un significato.
Noi qui ci dedichiamo allo stato attuale del sacramento della confessione per come è presente nella Chiesa di oggi, alla luce del concilio Vaticano II e delle disposizioni dottrinali e disciplinari che ne sono seguite. Le quali in alcuni casi, per la verità, non sono risultate affatto in linea con quanto indicato dal concilio stesso, mantenendo in vita una visione giuridicista e al tempo stesso individualista del perdono di Dio e della riconciliazione con la comunità dei credenti. La speranza è che la consapevolezza dei problemi, anche se non esplicitati, aiuterà ad affrontare la questione senza cedere ai moralismi e senza dare nulla per scontato.
L'Osservatore Romano