martedì 8 marzo 2016

Gender e vocazione cristiana



L’identità sessuale e gli «eunuchi per il regno dei cieli».  
Dopo gli articoli di Sergio Massironi (Incontro con Gesù. Essere maschi, essere femmine) e di Sergio Astori (La lezione materna. Nello sguardo di Gesù su uomini, donne e bambini), sull’Osservatore Romano rispettivamente del 6 e del 24 febbraio scorsi, pubblichiamo un intervento del teologo viennese sulle teorie di genere e sulla rivoluzione degli ordini simbolici che contraddistinguono la nostra contemporaneità.
(Kurt Appel) La discussione sulle teorie di genere è espressione dell’odierna crisi d’identità che ormai raggiunge anche l’autocomprensione sessuale dell’uomo. Fa da sfondo a questa crisi la rivoluzione dei nostri ordini simbolici, vale a dire della nostra costellazione di valori, credenze, azioni e sensazioni, la quale era strettamente legata all’ordine patriarcale delle società rurali omogeneamente strutturate.
Il mondo attuale, al contrario, è caratterizzato da una crescente urbanizzazione e migrazione, da una pluralità di stili di vita e un mondo del lavoro in continua trasformazione. La ricerca d’identità imposta da questo cambiamento viene pure esasperata dal fatto che nel mondo consumista occidentale ha importanza cruciale la ricerca di marchi sempre nuovi che prendono il posto delle appartenenze tradizionali. In ultima istanza, l’imperativo moderno consiste nella creazione di un proprio marchio e nel suo adattamento alle esigenze mutevoli della società. Il confronto sostanziale con l’identità di un individuo o di un gruppo si sposta verso la ricerca del marchio giusto, ossia di quello che promette una momentanea appartenenza. L’orientamento sessuale, i valori familiari, l’appartenenza religiosa e perfino il proprio corpo soggiacciono a questa dinamica di commercializzazione di sé in cui si genera la propria identità.
Questa lotta per l’identità ha trovato il suo più recente campo di battaglia nel confronto con la cosiddetta ideologia gender. Sia da parte tradizionalista sia da parte liberale, non si tratta tanto della questione della sostanza dei rapporti umani da costruire, quanto piuttosto di influenzare il discorso mediatico attraverso appropriati slogan, procurando con ciò “benefici di vendita” al proprio marchio. La questione dell’identità è diventata quindi non solo questione di egemonia culturale, ma anche questione di un’astratta autoaffermazione.
L’elemento rivoluzionario in Papa Francesco consiste nel fatto di rigettare questa logica ricollegando la ricerca dell’identità con la questione della soggiacente vulnerabilità. Ciò si basa sull’intuizione che dietro alle nostre azioni e processi di costituzione d’identità, giacciono esperienze di vulnerabilità e mortalità che il soggetto vuole nascondere a sé e agli altri. L’io è mortale, ma l’idea che fonda l’identità e promette l’appartenenza al mondo sembra immortale. Tanto più aggressiva è dunque la reazione quando queste idee vengono messe in questione, perché in ciò diviene chiaro che anche le idee umane non sussistono in eterno.
L’identità cristiana, al contrario, consiste per il Papa nel condividere con l’altro nella sequela di Gesù vulnerabilità e mortalità. In tale ottica la propria vulnerabilità non viene rimossa, ma aperta alla solidarietà universale della vita vulnerabile e mortale. In questa misericordia si trova la vocazione cristiana che relativizza tutte le altre identità, il che è suggellato dal fatto che il nome di Dio è misericordia (Esodo, 34, 6), la quale ha vissuto la propria interpretazione paradigmatica nella vita, crocifissione e risurrezione di Gesù. Su questo sfondo va compresa anche la frase di Paolo per cui in Cristo non c’è più giudeo né greco, non c’è più schiavo né libero, non c’è più uomo né donna.
Che l’identità di un gruppo di uomini non consista nella loro appartenenza nazionale e sociale era rivoluzionario nel mondo antico. Anche se ciò non è chiaro a tutt’oggi — come evidenziato dal reiterato sbocciare di sempre nuovi nazionalismi o anche dal fatto che la segregazione sociale ed economica domina ancora il nostro mondo — c’è tuttavia una viva consapevolezza che la Chiesa in quanto corpo di Cristo debba trascendere tali appartenenze. In maniera enormemente più difficile si è posta invece fin dall’inizio la questione dell’identità sessuale, dal momento che questa arriva al centro delle nostre sensazioni corporee. Già Paolo si è visto costretto a far fronte a tendenze che, in raccordo con la nuova libertà dalle identità che erano durate fino ad allora, cercavano di livellare la differenza tra i sessi.
Nella visione della creazione espressa in Genesi si afferma che Dio creò l’uomo a sua immagine, maschio e femmina (1, 27). In questo modo si fonda, nell’esistenza di due generi, una fondamentale alterità dell’uomo. L’uomo non è dunque immagine di Dio come uomo o come donna, ma nella differenza di sesso. Non si deve rispecchiare nell’altro, perché solo nel riconoscimento di questa differenza diviene conforme alla sua vocazione di essere immagine di Dio. Per questo Paolo In Romani, 1, 18-31 polemizza aspramente contro tutti gli atteggiamenti che a suo avviso rappresentano narcisistici annullamenti della differenza costituente l’uomo. Alla luce di ciò va intesa anche la critica massiccia da parte della Chiesa nei confronti di posizioni in cui la differenza tra i sessi viene annullata.
Tuttavia la questione della sessualità umana comprende da un punto di vista cristiano un’ulteriore dimensione, che Gesù stesso esprime in una dichiarazione per lo più fraintesa.
In Matteo, 19, 12 Gesù dice che alcuni uomini si sono fatti eunuchi nel nome del Regno di Dio. In questo passaggio non si tratta di una soppressione del desiderio sessuale, ma piuttosto viene evocato attraverso lo stato di eunuco un “terzo sesso” accanto a uomo e donna. L’eunuco era un emarginato sociale, fisicamente menomato e addirittura privo di appartenenza di genere, il che significava che persino nei rari casi di ascesa sociale veniva disprezzato anche dai più piccoli. Al contrario nel Regno dei cieli, luogo della misericordia di Dio, vi è solidarietà con coloro i quali non possono acquisire alcuna sorta d’identità, nemmeno di genere. Questa compassione si estende fino al punto più intimo dell’esistenza. Ciò viene simbolicamente realizzato attraverso l’idea di uno stile celibatario di vita che conferisce all’identità sessuale una nuova dimensione (cfr. anche Marco, 12, 25), non certo cancellandola, ma mettendola completamente a servizio del Regno dei cieli.
Cosa significa tutto ciò per una questione di genere cristiana? L’uomo è creato nella differenza tra maschio e femmina e sebbene questa differenza — vale a dire la questione del significato di “maschio e femmina” — sia soggetta nel corso della storia a continui cambiamenti di contenuto, non può tuttavia essere facilmente annullata. Ma va anche sottolineato che nonostante la sua importanza fondamentale, l’identità sessuale non esprime l’identità ultima dell’uomo. Questa si trova piuttosto nella misericordia di Gesù, che supera ogni identità e trova il proprio posto nell’essere solidalmente con coloro che sono privi di ogni appartenenza.
La questione gender non dovrebbe dunque servire come campo di battaglia culturale per le identità. Anzi, potrebbe liberare lo sguardo per la verità profonda di quello stile di vita gesuano che Papa Francesco aiuta a riscoprire nella nostra epoca.

L'Osservatore Romano