martedì 4 gennaio 2022

CANTO DI BALAAM (Nm. 23, 7-24)

 "Può sembrare un assurdo, ma nella Bibbia c’è un’asina che diventa la voce di Dio che chiama un uomo a stravolgere la sua missione, da avversario a profeta d’Israele. Siamo nei capitoli 22-24 del libro biblico dei Numeri. Protagonista è il mago Balaam – della cui fama si hanno tracce anche in testimonianze extrabibliche – assegnato ora al popolo degli Aramei ora agli Ammoniti, nazioni ostili a Israele che è in marcia verso la terra promessa, dopo aver lasciato alle spalle l’oppressione egiziana.

Gli Ebrei stanno attraversando le steppe di Moab nella Transgiordania meridionale, quasi alle soglie della meta agognata. Il loro passaggio crea una reazione tra le popolazioni locali, Moabiti e Ammoniti. Il re Balak di Moab – anziché ricorrere alle armi – decide di affidarsi alla magia di Balaam perché con le sue prodigiose maledizioni riesca a bloccare questa orda di invasori. Il mago si avvia per compiere la sua missione cavalcando un’asina.
Qui il racconto si fa favolistico: gli animali parlanti sono, infatti, nelle favole di Esopo, Fedro, La Fontaine e così via. Il valore dell’evento è simbolico. L’asina con una serie di colpi di scena emozionanti (si legga Numeri 22, 22- 35) si arresta e non vuole avanzare per recarsi verso le tende di Israele, perché aveva visto che a sbarrare la strada c’era un angelo del Signore con la spada sguainata. Dopo vari tentativi vani di farla procedere, dialogando con essa, Balaam vede anch’egli quell’angelo e scopre che era lì per cambiare la sua missione in senso opposto. Gli fa invertire il cammino e ritornare dal re Balak: «Tu dirai soltanto quello che io ti dirò». Da allora la vita di Balaam è trasformata perché, malgrado sé stesso, diventa un profeta di Dio: «Il Signore mise una parola in bocca a Balaam» e l’oracolo che uscirà per ben quattro volte sarà non una maledizione, bensì una solenne benedizione innica che celebra la grandezza di Israele. Anzi, in un passaggio delle sue parole c’è persino un ancora nebuloso annuncio messianico, intravisto attraverso due segni, una stella e uno scettro: «Lo vedo, ma non ora; lo contemplo, ma da lontano: una stella spunta da Giacobbe, uno scettro sorge da Israele» (24,17).
Questi simboli regali nella rilettura giudaica posteriore diventano emblemi messianici. Infatti l’antica versione della Bibbia in aramaico, la lingua popolare usata nei secoli successivi dagli Ebrei, traduce così quel passo: «Un re spunta da Giacobbe, un Messia sorge da Israele». Lo scettro è ormai quello del re-Messia. Dio, perciò, può scegliere anche una persona lontana da lui, anzi, ostile e stravolgendo i suoi pensieri e interessi, lo trasforma in un missionario della fede e della speranza messianica. È un po’ l’anticipazione della vicenda di san Paolo."
CARD. GIANFRANCO RAVASI
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"Le antiche profezie trovano riscontro nel linguaggio degli astri. “Una stella spunta da Giacobbe / e uno scettro sorge da Israele” (Nm 24,17), aveva annunciato il veggente pagano Balaam, chiamato a maledire il popolo d’Israele, e che invece lo benedisse perché – gli rivelò Dio – “quel popolo è benedetto” (Nm 22,12). Cromazio di Aquileia, nel suo Commento al Vangelo di Matteo, mettendo in relazione Balaam con i Magi; scrive: “Quegli profetizzò che Cristo sarebbe venuto; costoro lo scorsero con gli occhi della fede”. E aggiunge un’osservazione importante: “La stella era scorta da tutti, ma non tutti ne compresero il senso. Allo stesso modo il Signore e Salvatore nostro è nato per tutti, ma non tutti lo hanno accolto” (ivi, 4,1-2). Appare qui il significato, nella prospettiva storica, del simbolo della luce applicato alla nascita di Cristo: esso esprime la speciale benedizione di Dio sulla discendenza di Abramo, destinata ad estendersi a tutti i popoli della terra.!
OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
Domenica, 6 gennaio 2008