venerdì 5 agosto 2011

Trasfigurazione 4: Omelie Patristiche



Di seguito tre testi straordinari sulla festa di oggi 6 agosto, rispettivamente di Ambrogio di Milano, Gregorio Palamas e Beda il Venerabile. Buona lettura.

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SULLA TRASFIGURAZIONE
Dall’Esposizione del Vangelo secondo Luca (VII, 10-13. 17-21)
di Sant’Ambrogio arcivescovo di Milano

Duccio di Buoninsegna: La Trasfigurazione, (1311); National Gallery di Londra
Appaiono Mosè ed Elia, cioè la Legge e il Profeta col Verbo: di fatto la Legge non può sussistere senza il Verbo, né può essere Profeta se non colui che abbia profetizzato a riguardo del Figlio di Dio. E, certamente, quei figli del tuono hanno ammirato nella gloria del corpo anche Mosè ed Elia, ma anche noi vediamo ogni giorno Mosè insieme col Figlio di Dio; vediamo infatti la Legge nel Vangelo, quando leggiamo: Amerai il Signore Dio tuo; vediamo Elia insieme col Verbo di Dio, quando leggiamo: Ecco la Vergine concepirà nel grembo.
Perciò Luca opportunamente aggiunse che parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme. Essi infatti t’insegnano i misteri della sua dipartita. Anche oggi Mosè insegna, anche oggi Elia parla, anche oggi possiamo vedere Mosè in una gloria più grande. E chi non lo può, quando perfino il popolo dei Giudei poté vederlo, anzi lo vide davvero? Vide infatti il volto di Mosè pieno di fulgore, ma ricevette un velo, e non salì sul monte e per questo errò. Colui che ha visto soltanto Mosè, non ha potuto vedere contemporaneamente il Verbo di Dio.
Togliamo allora il velo dalla nostra faccia, affinché a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine (2 Corinzi 3, 18). Saliamo sul monte, supplichiamo il Verbo di Dio, affinché si mostri a noi nel suo aspetto e nella sua bellezza, e si rafforzi e avanzi con successo e regni. Anche questi sono misteri e rimandano a realtà molto profonde; infatti, a seconda della tua disponibilità, per te il Verbo o diminuisce o cresce, e, se non ascendi la vetta di un più profondo discernimento, non ti si fa vedere la Sapienza, non ti si fa vedere la conoscenza dei misteri, non ti si fa vedere quant’è grande la gloria, quant’è stupenda la bellezza posta nel Verbo di Dio, ma il Verbo di Dio ti si mostra come in un corpo, come uno che non ha apparenza né bellezza, e ti si mostra come un uomo percosso, che può esser caricato delle nostre infermità, ti si mostra come una parola nata da uomo, ricoperta dall’involucro dei segni della lettera ma che non risplende della forza dello Spirito. Se invece, mentre lo consideri come uomo, tu credi ch’è stato generato da una Vergine, e a poco a poco ti asseconda la fede che è nato dallo Spirito di Dio, allora cominci a salire il monte. Se vedi ch’Egli, messo in croce, trionfa sulla morte invece di essere annientato, se vedi che la terra tremò, il sole scomparve dallo sguardo, le tenebre avvolsero gli occhi degli increduli, le tombe si aprirono, i morti risorsero per dar prova che il popolo Gentile, il quale era morto per Dio, all’irrompere del fulgore della croce è risorto come se si fossero aperti i sepolcri del suo corpo; se vedi questo mistero, allora sei salito su un alto monte, e vedi una diversa gloria del Verbo.
Le sue vesti sono in un modo quando Egli sta in basso e in un altro quando sta in alto. E forse le vesti del Verbo sono le parole delle Scritture e direi quasi il rivestimento dell’intelletto divino: infatti, come Egli apparve in persona a Pietro e a Giovanni e a Giacomo in un aspetto mutato, e il suo bianco vestito rifulse, allo stesso modo anche agli occhi della tua mente già comincia a divenir chiaro il significato delle letture divine. Ecco allora che le divine parole diventano come la neve, e le vesti del Verbo bianchissime...
Pietro vide questa ricchezza, la videro anche quelli che erano con lui, benché fossero oppressi dal sonno. Infatti lo splendore senza confini della divinità soverchia i sensi del nostro corpo. Se già la potenza visiva corporea non riesce a sopportare un raggio di sole in faccia agli occhi di chi guarda, come potrebbero le nostre membra corrotte sostenere la gloria di Dio? Perciò nella risurrezione viene costituito uno stato corporeo tanto più puro e sottile, quanto ormai è stata annientata la materialità dei vizi. E proprio per questo, forse, essi erano oppressi dal sonno, per poter vedere, dopo il riposo, la bellezza della risurrezione. Perciò, allo svegliarsi, videro la sua maestà; nessuno, che non sia sveglio vede la gloria di Cristo. Pietro ne provò grande gioia, e mentre le seducenti realtà di questo mondo non avevano potuto impadronirsi di lui, lo sedusse lo splendore della risurrezione.
È bello per noi, egli disse, stare qui – per lo stesso motivo scrive anche quell’altro: Partire per essere con Cristo è molto meglio (Filippesi 1, 23) – e non contento di aver espresso la sua contentezza si distingue dagli altri non solo per il sentimento affettuoso ma per la generosità delle opere e, per costruire tre abitacoli, quel lavoratore infaticabile promette il servizio della comune dedizione. E sebbene non sapesse quello che diceva, tuttavia prometteva un atto di amore: non era una storditaggine irriflessiva, ma una generosità intempestiva, che accresce così i proventi delle sue premure. Infatti, il non sapere era proprio della sua condizione, ma il promettere della sua devozione. Però la condizione umana non ha la capacità di costruire un’abitazione a Dio in questo corpo corruttibile, destinato alla morte. ...
Mentre diceva questo venne una nube e li avvolse con la sua ombra. Siffatto avvolger d’ombra è proprio dello Spirito; esso non annebbia i sentimenti dell’uomo, ma mette in luce le realtà nascoste. Lo si trova anche in un altro punto, quando l’angelo dice: E la potenza dell’Altissimo ti adombrerà (Luca 9, 34). E si indica quale ne sia l’effetto quando si ode la voce di Dio che dice: Questi è il mio Figlio diletto, ascoltatelo.
Cioè: non è Elia il figlio, non è Mosè il figlio, ma questi è il Figlio, che vedete solo. ... E mentre risonava la voce, Gesù si trovò solo. Erano in tre, uno solo rimase. Tre si vedono in principio, uno solo alla fine; infatti sono una cosa sola per la perfezione della fede. Del resto il Signore chiede anche questo al Padre, che tutti siano una cosa sola. E non soltanto Mosè ed Elia sono una cosa sola in Cristo, ma anche noi siamo l’unico corpo di Cristo. Dunque anch’essi sono accolti nel corpo di Cristo perché anche noi saremo una cosa sola in Cristo Gesù, o forse perché la Legge e i Profeti provengono dal Verbo, e ciò ch’è cominciato dal Verbo culmina nel Verbo; poiché il fine della Legge è Cristo, per la giustificazione di chiunque crede (Romani 10, 4).


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OMELIA SULLA TRASFIGURAZIONE
di san Gregorio Palamas
Per la venerabile Trasfigurazione del nostro Signore, Dio e Salvatore Gesù Cristo.
Si dimostra che la luce della Trasfigurazione è increata
Questa omelia apre sulla meditazione del mistero della coincidenza tra manifestazione della divinità, presente nell’umanità di Cristo e la manifestazione della potenza dello Spirito Santo, presente nell’umanità degli apostoli mentre vedono il Cristo trasfigurato. Da questa ottica l’antropologia della divinizzazione assume altezze spirituali inconfutabili.
In questa omelia[1] Palamas, come pastore, parla alla sua comunità e, come monaco, trasmette una esperienza e rivela il senso antropologico dell’evento: la luce che avvolge il Signore cambia gli apostoli e da ciechi li rende capaci di vedere. Vi è quindi un sesto senso che trasforma i cinque altri sensi e “trasfigura” l’uomo. La visione della luce, principio di vita spirituale, viene da Dio e perciò è increata.
Dio è luce (1Gv 1, 5), Cristo trasfigurato lo rivela. Ma rivela anche la vocazione dell’uomo. Tema caro alla spiritualità e alla liturgia in Oriente che festeggia con una particolare solennità la festa della Trasfigurazione. Essa è infatti attestata a partire dal IV secolo ed è celebrata in tutto l’Oriente verso l’anno Mille.
Testo
1. Contemplando le meraviglie di Dio
Anche noi lodiamo e ci meravigliamo contemplando questa grande opera di Dio, cioè tutta la creazione visibile. La stessa lode e la stessa meraviglia avevano i sapienti pagani[2], pieni di stupore davanti alla creazione che scrutavano. Ma la nostra lode è a gloria del Creatore mentre quelli, sciagurati hanno adorato la creatura al posto del creatorea. Vogliamo spiegare con chiarezza le parole dei Profeti, degli Apostoli e dei Padri, per il bene di tutti, e cantare allo Spirito, che ha parlato per bocca dei Profeti, degli Apostoli e dei Padri. Anche quelli che sono a capo di eresie pericolose si sforzano di interpretare queste parole, ma a danno di coloro che li seguono, e rifiutano la verità conforme alla fede, usando le parole dello Spirito contro lo Spirito.
La parola del Vangelo della grazia nella sua sublimità è una parola adatta alle orecchie e alle menti degli anziani; ma i nostri Padri teofori[3]l’hanno purificata con le loro labbra, l’hanno resa adatta a noi tenendo conto della nostra imperfezione. Come quelle madri che amano i loro figli, masticando per loro i cibi troppo duri, li rendono facili a essere assimilati anche per i lattanti; così, come la saliva delle madri diventa alimento per i figli, anche i pensieri che sono nel cuore dei Padri teofori si fanno cibo adatto per coloro che li ascoltano e li seguono. Al contrario, dalla bocca dei malvagi e degli eretici esce veleno mortale che, mescolato alle parole della Vita, le fa diventare veleno di morte per coloro che le ascoltano senza riflettere.
Fuggiamo dunque quelli che non accolgono ciò che hanno detto i nostri Padri e introducono idee proprie, dottrine contrarie; fingono di attaccarsi alla lettera della Scrittura, ma in realtà respingono ciò che è conforme alla fede. Fuggiamo dunque questi più di quanto dovremo fuggire un serpente. Colui che con il suo morso uccide ciò che di noi è effimero, lo separa dall’anima immortale, mentre quelli che strappano con i loro denti l’anima stessa, la separano da Dio. E questa è la morte eterna dell’anima immortale. Fuggiamo dunque tali individui con tutte le nostre forze, e cerchiamo rifugio presso coloro che rettamente insegnano una fede che dà salvezza perché conforme alla tradizione dei Padri[4].
2. La concordanza fra “sei” giorni e “otto” giorni
Se dico queste parole, se mi rivolgo alla vostra carità, è perché oggi noi celebriamo la festa della venerabile Trasfigurazione di Cristo sul monte e perché dobbiamo parlare della luce che si è manifestata, e contro la quale proprio oggi si scatena la lotta dei nemici della luce[5]. Cominciamo con il considerare ciò che dice il Vangelo appena letto per dispiegare questo mistero e questa verità. Sei giorni dopo, Gesù prese con se Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il soleb.
È necessario prima di tutto riflettere su questo punto del Vangelo: qual è il giorno a partire dal quale l’apostolo di Cristo, l’evangelista Matteo comincia a contare i sei giorni dopo i quali venne il giorno della Trasfigurazione? Dopo quale giorno dunque? Dopo il giorno in cui, ammaestrando i suoi discepoli, il Signore disse: Il Figlio dell’uomo verrà nella gloria del Padre suoc, e aggiunse: Vi sono alcuni tra i presenti che non morranno finché non vedranno il Figlio dell’uomo venire nel suo regnod, chiamando così gloria del Padre e suo regno la luce della sua Trasfigurazione.
Lo suggerisce, e più chiaramente lo espone anche l’evangelista Luca, quando dice: Circa otto giorni dopo questi discorsi, prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. E, mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorantee. Ma come possono accordarsi tra loro, se uno dice espressamente che erano passati otto giorni tra l’annuncio e la realizzazione, mentre l’altro dice che sono passati sei giorni? Ascoltate bene per capire. Erano otto persone sul monte, eppure se ne vedevano soltanto sei: tre uomini, Pietro, Giacomo e Giovanni, che sono saliti con Gesù; ma poi, una volta lì, videro che sul monte si intrattenevano con Gesù Mosè ed Elia. Quindi in tutto erano sei. Ma, per quanto fossero totalmente invisibili, con il Signore si trovavano anche il Padre e lo Spirito Santo; il Padre testimoniava con la propria voce che quello era il suo Figlio prediletto, mentre lo Spirito, illuminando con la nube di luce, mostrava l’unità di natura del Figlio con sé e con il Padre, e quindi l’unità della luce[6]. L’unità della natura è la loro ricchezza e l’unica fonte da cui scaturisce lo splendore della luce[7]. Quindi non sei, ma in realtà otto. E come non c’è nessuna incoerenza per loro per il fatto di essere sei e otto, così gli evangelisti non sono in contraddizione quando uno dice: sei giorni dopof, e l’altro: circa otto giorni dopo questi discorsig. Anzi, i due evangelisti ci hanno dato due versioni diverse, come una figura di coloro che si sono radunati misteriosamente sul monte, per manifestarsi visibilmente sul monte.
Questo fa vedere come, anche attaccandosi scrupolosamente alla lettera della Scrittura, è possibile notare che i due araldi di Dio concordano: infatti Luca parla di otto giorni e non contraddice colui che dice: sei giorni dopo. Non fa altro che includere il giorno in cui furono dette queste parole e il giorno in cui il Signore fu trasfigurato. Questi giorni Matteo, del resto, li lascia intravedere a chi legge attentamente. Ecco perché dice “dopo”, per indicare il giorno seguente, mentre Luca, diversamente, non dice: “dopo otto giorni”, come l’altro che aveva detto sei giorni dopo, ma circa otto giorni dopo. È chiaro che non c’è nessuna differenza tra gli evangelisti che raccontano questi fatti.
3. Sei giorni, sei sensi: il sesto è per vedere l’invisibile
Ora dobbiamo considerare come ogni evangelista affronta un altro grande mistero, anche qui in modo apparentemente diverso. Siate ora attenti a ciò che sto per dire, voi che siete particolarmente acuti. Ditemi, per quale motivo uno avrebbe detto: sei giorni dopo, e l’altro, tralasciando il settimo, avrebbe solo parlato dell’ottavo giorno? Perché la grandiosa visione della luce della Trasfigurazione del Signore rappresenta il mistero dell’ottavo giorno? Perché la grandiosa visione della Luce della Trasfigurazione del Signore rappresenta il mistero dell’ottavo giorno, cioè il tempo futuro, dopo che avrà fine il mondo creato in sei giorni; rappresenta cioè il superamento dei nostri sensi, che esercitano in noi la loro energia in sei modi. Abbiamo infatti cinque sensi, ma a questi si aggiunge la parola profetica in modo sensibile, che fa diventare sei le energie della nostra sensibilità[8]. Ora, il regno di Dio promesso a coloro che ne sono degni è superiore ai sensi e alla parola. Ecco perché, dopo che queste energie che agiscono in noi in sei modi avranno un felice compimento – compimento che dà al settimo giorno la sua ricchezza e dignità – ecco che nell’ottavo giorno, per la potenza di una energia superiore, risplende il regno di Dio. A questa potenza si riferisce il divino Luca, come a quella potenza dello Spirito divino che permette, a coloro che ne sono degni, di vedere il regno di Dio al quale il Signore allude dicendo ai suoi discepoli: Vi sono alcuni qui presenti, che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenzah. Significa che egli concedendo, a coloro che vedono, la capacità di vedere l’invisibile, in quel modo li purificava dalla sozzura che porta morte e rovina all’anima, ossia il peccato. Avere gusto per questo è il principio del male nel pensiero. Mentre coloro che in anticipo sono purificati non gustano la morte dell’anima, perché per la potenza della rivelazione futura sono stati custoditi senza macchia, secondo me, anche nell’intelletto.
4. Dove è il re, lì è il suo regno
Vi sono alcuni qui presenti che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza. Dove è il re dell’universo, lì è anche il suo regno. Anche l’avvento del suo regno non significa il suo passare da un luogo a un altro, ma la sua manifestazione nella potenza dello Spirito divino. Per questo sta scritto: venire con potenza. Questa potenza non si offre a chiunque, ma solo a coloro che rimangono uniti stabilmente al Signore, cioè che sono rafforzati nella fede in lui, coloro che, sull’ esempio di Pietro, Giacomo e Giovanni, prima sono condotti dal Verbo su un monte eccelso, cioè sono sollevati al di sopra della bassezza della nostra natura. Ecco perché – come è stato detto – Dio appare sul monte, sia scendendo egli stesso dall’alto della sua dimora, sia elevando noi dalla bassezza di quaggiù, affinché «l’Incomprensibile sia misuratamente compreso dalla natura mortale, per quanto ciò può essere sicuro»[9]. Ora, simile apparizione non è inferiore alla nostra intelligenza, ma al contrario è forte e più alta di questa, poiché si produce per la potenza dello Spirito divino. Quindi la luce della Trasfigurazione del Signore non ha inizio, non ha fine, non è circoscritta, non è soggetta al potere dei sensi, anche se è vista con gli occhi del corpo, e per breve tempo, e sulla stretta cima di un monte. Come è stato detto, «alcuni discepoli di Cristo… passarono dalla carne allo spirito […] con la sostituzione operata in loro dallo Spirito, delle attività conformi alla sensazione»[10]. E così videro quella luce ineffabile tanto quanto la potenza dello Spirito ne concesse loro la grazia[11].
5. Trasfigurato mentre rivela la sua natura divina
Ed ecco cosa non hanno compreso i bestemmiatori del nostro tempo, che credono che gli Apostoli eletti hanno visto la luce della Trasfigurazione del Signore soltanto per mezzo della potenza creata dei sensi; in questo modo riducono a cosa creata non solo quella luce, cioè la gloria e il regno di Dio, ma anche la potenza dello Spirito divino, per mezzo della quale sono stati svelati i misteri divini a coloro che ne sono degni. Non hanno ascoltato Paolo, o non gli hanno creduto quando dice: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano. Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti scruta ogni cosa, anche le profondità di Dioi. Ma una volta sopraggiunto l’ottavo giorno, come sta scritto, il Signore, prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregarej. Faceva così ogni volta che voleva pregare da solo, si allontanava da tutti, anche dagli Apostoli, come il giorno in cui saziò, con cinque pani e due pesci, cinquemila uomini senza contare donne e bambini; subito dopo egli li congedò tutti, ma ai discepoli chiese di salire sulle barche. Egli, però, solo, salì sul monte a pregarek. Oppure quando sceglieva alcuni di loro perché andassero con lui, quelli che lui preferiva. All’avvicinarsi della sua passione salvifica, egli disse agli altri discepoli: Sedetevi qui, mentre io prego. Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovannil. Avendo dunque con sé questi soli, li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a lorom, cioè sotto i loro occhi. Che cosa significa fu trasfigurato?, domanda Crisostomo, il Teologo[12]. Significa che egli sollevò, per un po’, come gli parve bene, il velo della sua divinità, e ai suoi iniziati mostrò il Dio che dimorava in lui. E, mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetton, dice Luca; brillò come il sole, scrive Matteoo.
Egli dice: come il sole, non perché si pensasse che quella luce fosse sensibile – non siamo così ciechi spiritualmente come quelli che non sono capaci di pensare niente di più alto di ciò che proviene dai sensi! – ma al contrario perché comprendessimo questo: ciò che è il sole per coloro che vivono secondo i sensi e che solo attraverso i sensi vedono, il Cristo lo è in quanto Dio per coloro che vivono secondo lo Spirito e nello Spirito. E non c’è bisogno, per coloro che sono simili a Dio, di un’altra luce nella visione divina. «Agli esseri eterni, non infonde nient’altro che la sua luce»[13]. Quale sarebbe infatti l’utilità di una seconda luce per coloro che possiedono la luce più grande? Ora, mentre egli pregava, risplendeva e ineffabilmente rivelava ai discepoli eletti quella luce ineffabile e i più grandi Profeti erano con lui. Egli ci voleva mostrare che è la preghiera a procurare quella beata visione, e voleva che noi sapessimo che è mediante la vicinanza con Dio nella virtù, tramite l’unione con lui nello spirito, che quello splendore si produce e si manifesta, si offre a tutti ed è visto da tutti coloro che incessantemente tendono a Dio, assidui a compiere opere buone e la preghiera pura[14]. È detto: «La bellezza vera, la meta più alta del desiderio, quella bellezza che abbraccia la natura divina e beata, può essere contemplata soltanto da colui che, con mente purificata, fissa lo sguardo nei suoi bagliori e nelle sue grazie, ne partecipa in certa misura, come se una fioritura di luce avesse dato nuovo colore al suo sguardo»[15]. Ecco perché Mosè, mentre conversava con Dio, ebbe il volto trasfiguratop. Vedete come anche Mosè fu trasfigurato dopo che fu salito sul monte, e contemplò la gloria del Signore? Però egli subì la trasfigurazione, non la operò. Come è stato detto: «A questo mi spinge lo splendore misurato della verità di cui godo su questa terra, cioè a vedere e a subire lo splendore di Dio»[16]. Ma nostro Signore Gesù Cristo, lui, traeva quello splendore dalla propria natura; perciò non aveva bisogno di pregare per far risplendere di luce divina il suo corpo ma, pregando, non fece altro che indicare l’origine, per i santi, di quello splendore di Dio e il modo come l’avrebbe visto. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loroq, e così, diventati interamente luce divina, e come germogli della luce divina, vedranno Cristo risplendere in modo ineffabile e divino. La sua gloria, sorgendo dalla sua stessa divinità, in modo conforme alla sua natura[17], sul Tabor si mostrò appartenere anche al suo corpo, secondo l’unione ipostatica[18]. Così è per via dell’effusione di tale luce che il suo volto brillò come il sole. Ora, coloro che in mezzo a noi si vantano di possedere la razionalità dei greci e la sapienza di questo mondo, e che non obbediscono agli uomini spirituali che si appoggiano sulle parole dello Spirito, quando sentono parlare della luce della trasfigurazione del Signore sul monte, di quella luce cioè che fu vista dagli occhi degli apostoli, essi la riducono subito al livello di una realtà sensibile e creata, e disprezzano la luce immateriale, senza tramonto, eterna, quella che supera non solo i sensi, ma anche l’intelletto. Essi si trascinano quaggiù e sono incapaci di concepire qualcosa che non appartenga alle cose di quaggiù. Eppure colui che di questa luce brillò aveva mostrato che era luce increata, chiamandola regno di Dio. Sì, il regno di Dio non dipende da niente e non è creato; unico fra tutti i regni è libero e invincibile, è posto al di là del tempo e dei secoli. «Non è infatti lecito dire che il regno di Dio abbia avuto inizio o si manifesti con i secoli o i tempi. Noi crediamo che esso sia eredità»[19], l’eredità dei salvati.
6. Cristo manifesta la sua divinità nascosta nell’umanità
Siccome il Signore trasfigurato risplende, mostra la sua gloria, il suo splendore e la sua luce, e deve di nuovo venire così come l’hanno visto i suoi discepoli sul monte, vuol dire forse che egli acquistò e conserverà nei secoli una luce che prima non aveva? Non bestemmiare! Perché chi parla così considera che ci sono tra nature in Cristo, la natura divina, quella umana e quella della luce. Non è un altro splendore che Cristo rese visibile, ma quello che invisibilmente aveva. Sì, egli possedeva, nascosto dalla sua carne, lo splendore fella natura divina. Quella luce, dunque, è la luce della divinità, ed è increata. Quando Cristo fu trasfigurato, secondo i teologi «non si appropriò di quello che non era, né si trasformò in ciò che non era, ma quello che era svelò ai suoi discepoli, aprendo i loro occhi: da ciechi, li rese vedenti»[20]. Vedete quanto sono ciechi, di fronte a quella luce, gli occhi che vedono con la loro capacità naturale? Quindi quella luce non è percepibile dai sensi, e coloro che la videro non la videro semplicemente con i loro occhi sensibili, ma con occhi trasformati dalla potenza dello Spirito divino[21]. Essi furono trasformati, e così furono in grado di vedere la trasformazione del composto umano, non quella avvenuta in quel preciso istante, ma quella che ricevette il fango di cui siamo formati quando Cristo lo assunse rendendolo divino. Da qui, anche colei che, vergine, concepì e partorì in modo straordinario, riconobbe il Dio incarnato in colui che da lei era stato partorito. Allo stesso modo Simeone lo riconobbe prendendo il bambino tra le sue braccia, e la vecchia Anna gli andò incontror. «Traspariva infatti come attraverso una superficie di vetro la potenza divina che mandava i raggi del suo splendore a coloro che avevano gli occhi del cuore purificati»[22].
7. La potenza rivelatrice della luce
Perché mai Cristo separa dagli altri i suoi apostoli preferiti e li conduce sul monte, questi ed essi soli? Per poter pienamente svelare un grande mistero[23]. Come avremmo potuto chiamare grande mistero la visione della luce sensibile, di cui gli eletti fruivano prima ancora di essere fatti salire sul monte e, con loro, anche i discepoli rimasti giù? Che bisogno avrebbero avuto della potenza dello Spirito e del potenziamento o del mutamento della vista per la visione di quella luce, se si trattasse solo di luce sensibile e creata? E come la gloria e il regno del Padre e dello Spirito potrebbero essere luce sensibile? E come la gloria e il regno del Padre e dello Spirito potrebbero essere luce sensibile? E come potrebbe venire il Cristo in una tale gloria, per un tale regno, nel tempo futuro, se non ha bisogno né di aria né di luce, né di spazio né di altre cose simili, ma, come dice l’Apostolo, al posto di tutto per noi sarà Dio?s. Al posto di tutto, quindi evidentemente al posto della luce. Da questo ci è di nuovo dimostrato che quella luce è la luce della divinità. Il più teologo degli evangelisti, Giovanni, nell’Apocalisse ha rivelato che la città futura ed eterna non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnellot. E questo non ce lo ha chiaramente mostrato Gesù, colui che sul Tabor fu divinamente trasfigurato, Gesù il cui corpo è come lampada mentre la luce è la gloria della divinità rivelata a coloro che salirono con lui? Ma, riguardo alla città celeste, Giovanni dice che i suoi abitanti non avranno bisogno della luce di una lampada, né della luce del sole, perché il Signore Dio farà scendere la sua luce su di loro, e non sarà più notte. Che cosa è questa luce senza variazione e senza ombra di cambiamento?u. Quale è questa luce, senza mutamento e senza tramonto? Non è forse la luce della divinità? Anche Elia e Mosè, ma soprattutto Mosè, presente nell’anima e non nel corpo, come avrebbero potuto essere visti e glorificati in una luce sensibile? Sì, anche questi apparvero nella gloria e parlavano dell’esodo che egli stava per compiere a Gerusalemmev. E come gli apostoli avrebbero potuto riconoscere quelli che essi mai avevano visto prima, se non per la potenza rivelatrice di quella luce?
8. La bellezza della luce che attira e purifica
Ma per non far subire uno sforzo eccessivo alla vostra mente, conserviamo le altre parole del Vangelo per il momento, del santo e divino sacrificio. Crediamo nell’insegnamento di coloro che Cristo ha illuminato, perché essi soli hanno una perfetta conoscenza. Infatti: I miei misteri sono per me e per i mieiw[24], dice Dio per bocca del profeta. Avendo dunque una fede ferma, conforme all’insegnamento ricevuto, comprendiamo il mistero della Trasfigurazione del Signore e mettiamoci in cammino verso lo splendore di quella luce e, infiammati di amore per la bellezza della gloria immutabile, purifichiamo l’occhio della mente da ogni impurità terrena; disprezziamo tutto ciò che è dilettevole e bello ma è fragile, ciò che ci sembra gradevole ma procura dolore eterno, ciò che dà piacere al corpo, ma ricopre l’anima di quella brutta tunica che è il peccato; a causa di essa, chiunque non è rivestito della veste dell’unione incorruttibile, legato mani e piedi, è gettato fuori, nel fuoco e nella tenebrax.
Potessimo tutti essere liberati da essi per mezzo dell’illuminazione e della conoscenza della luce immateriale ed eterna della Trasfigurazione del Signore[25] e per la gloria sua e del Padre suo senza principio, e dello Spirito vivificante: di essi, lo splendore è uno e identico, come anche la divinità, la gloria, il regno e la potenza, ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen.

Tratto da:
Gregorio Palamas, LUOMO MISTERO DI LUCE INCREATA, Pagine scelte, Paoline 2005, pp 131-146.

[1] Omelia 34, in Tutte le opere [Panaghiotis Christou, Grigoriou tou Palama Apanta ta Erga, 11 voll., Tessalonica 1981-1994], 10, 354-379.
[2] Quando Palamas usa questo termine significa “della Grecia antica”. Perciò in alcune traduzioni si trova “sapienti della Grecia”. In questo senso parla anche di Barlaam come di un “latino pagano”.
[3] Padri teofori o portatori di Dio sono padri spirituali, padri testimoni dello Spirito, titolo dato agli apostoli, ai martiri o ai santi.
[4] Va ricordato che il primo anatema del Synodikon dell’ortodossia riguarda la luce della trasfigurazione (Sia anatema chi nega che: «La luce che ha brillato durante la trasfigurazione del Signore non è né creatura né sostanza di Dio, ma grazia increata, splendore ed energia che proviene eternamente senza dividersi dalla stessa divina sostanza»), mentre il lodare la luce taborica fa parte del canone dell’ortodossia: «A coloro che confessano che la luce che ha brillato indicibilmente sulla montagna della trasfigurazione del Signore è inaccessibile, luce infinita, effusione inconcepibile dello splendore divino, gloria ineffabile, gloria suprema della divinità, gloria primordiale e atemporale del Figlio, regno di Dio, bellezza vera e amabile della divina e beata natura, gloria naturale di Dio e della divinità del Padre e dello Spirito, risplendente nell’unico Figlio […], eterna la loro memoria». Synodikon dell’ortodossia, in Rigo, L’amore della quiete [Rigo A. (a cura di), I Padri esicasti. L’amore della quiete. L’esicasmo bizantino tra il XIII e il XV secolo, Magnano 1993], 173.
[5] È il motivo dell’opposizione fra Palamas e Barlaam. Nella terza domanda della prima Triade leggiamo: «Quanti scrivono contro gli esicasti sono ignoranti, […] proibiscono come un errore ogni illuminazione che si possa cogliere con la sensazione» (Triadi 1, 3, Terza domanda, in Atto e luce [Atto e luce divina: Scritti filosofici e teologici, a cura di E. Perrella (con ampia introd. e testo greco a fronte), Milano 2003], 359). Cfr. anche il Synodikon dell’ortodossia che comincia con queste parole: «A coloro che pensano e dicono che la luce che ha brillato dal Signore nella sua divina trasfigurazione, a volte è una parvenza, una cosa creata, un fantasma […] e non confessano […] che questa divina luce non è l’essenza di Dio, ma una grazia, un’illuminazione e un’operazione, increata e naturale, che procede senza interruzione e separazione dalla stessa essenza di Dio, anatema» (in Rigo, L’amore della quiete, 167).
[6] «Luce, e luce, e luce: ma una sola luce e un solo Dio. E noi, ora l’abbiamo contemplata e la annunciamo, prendendo dalla luce, che è il Padre, la luce, che è il Figlio, nella luce, che è lo Spirito Santo: teologia breve e semplice della Trinità». Gregorio di Nazianzo, Orazione 31, 2, in Tutte le orazioni [Gregorio di Nazianzo, Tutte le orazioni, a cura di C. Moreschini, Milano 2000], 749.
[7] «Io parlo della luce che si contempla nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo: la loro ricchezza consiste nella natura congiunta o nel congiunto lampeggiare del loro splendore». Gregorio di Nazianzo, Orazione 40, 5, in Tutte le orazioni, 925.
[8] Ossia i nostri cinque sensi diventano sei, considerando che il sesto non è uno in più, ma uno che cambia gli altri cinque per cui si può affermare che i discepoli furono trasfigurati: «Contemplando l’insostenibile effusione della tua luce e la tua divinità inaccessibile, i prescelti tra gli apostoli, sul monte della trasfigurazione, o Cristo senza principio, trasmutarono per l’estasi divina». Minèi del 6 agosto, festa della Trasfigurazione nell’ufficio bizantino, in Anthologhion, vol. IV, 861.
[9] Gregorio di Nazianzo, Orazione 45, 11, in Tutte le orazioni, 1147.
[10] Massimo il Confessore, Ambigua 1125D-1128A (ed. cit., 268). Il testo all’interno delle parentesi quadre, non riportato da Gregorio, sarebbe: «prima ancora di essersi spogliati dalla vita carnale».
[11] «Ho parlato d’occhi intellettivi (spirituali), per riferimenti alla potenza dello Spirito Santo che in essi si produce, grazie alla quale questi effetti sono visti, ma in realtà tale visione santissima della luce divinissima e sovraluminosa è anche superiore agli occhi intellettivi». Triadi 1, 3, 34, in Atto e luce, 435.
[12] Il Teologo è Giovanni l’evangelista o Gregorio di Nazianzo. Qui è applicato a Giovanni Crisostomo per via dell’importanza che questo autore ha nella tradizione delle omelie sulla Trasfigurazione. L’Omelia 56 di Giovanni Crisostomo (sul Vangelo di Matteo) è un testo del 390. È considerata l’omelia più antica sulla Trasfigurazione che ci sia pervenuta (in PG 58, 549-558). Cfr. M. Sachot, Édition de l’homélie pseudo-chrysostomienne, in Revue des sciences religeuses, 1984, 91-104.
[13] Gregorio di Nazianzo, Orazione 44, 3, in Tutte le orazioni, 1125.
[14] Mentre si manifesta la verità divino-umana di Cristo avviene una trasfigurazione dei discepoli: «Si tratta infatti della trasfigurazione di Nostro Signore Gesù Cristo, ma è quella soprattutto dei discepoli che vi assistevano, trasfigurazione che era per loro una certa visione della Divinità, un’immagine del mondo futuro, un preludio della venuta gloriosa del Signore» (Maximos V Hakim, Patriarche d’Antioche et de tout l’Orient, d’Alexandrie et de Jérusalem, Préface in G. Habra, La Trasfiguration selon les Pères, Paris 1973, 7).
[15] Basilio di Cesarea, Omelia sul salmo 29, 5 (PG 29, 317B).
[16] Gregorio di Nazianzo, Orazione 38, 8, in Tutte le orazioni, 891. Il brano citato dice: «Il misurato splendore della verità di cui godo su questa terra mi spinge, infatti, a vedere e a sentire lo splendore di Dio, splendore che è degno di Colui che ci ha messi insieme e poi ci dissolverà per ricostruirci insieme una seconda volta in una condizione più elevata».
[17] La sua natura divina manifesta la sua gloria naturalmente.
[18] «Tu sei il Dio Verbo, sei divenuto pienamente uomo, congiungendo nella tua persona l’umanità alla pienezza della divinità: tale ipostasi nelle sue due nature videro Mosè ed Elia sul monte Tabor». Minèi del 6 agosto, festa della Trasfigurazione nell’ufficio bizantino, in Anthologhion, IV, 865.
[19] Massimo il Confessore, Duecento capitoli, Centuria II, 86, in Filocalia, II, 160.
[20] Cfr. Giovanni Damasceno, Omelia sulla Trasfigurazione 12, in M. Coune, Joie de la trasfiguration d’après les Pères, Abbaye de Bellefontaine 1995, 199.
[21] Perciò la preghiera chiede la trasformazione dei sensi per poter vedere. Un mistico armeno scrive: «Tu che hai manifestato la tua Divinità / Ai discepoli tuoi sulla montagna, / E del Padre hai mostrato l’ineffabile gloria / Sfolgorante ai loro occhi, / Purifica così il mio oscuro spirito / E i sensi miei così tenebrosi, / Perché chiaramente al luogo della Parusia / Saziarmi io possa di tua divina Gloria!»: N. Šnorhali, Jésus Fils unique du Père, a cura di I. Kéchichian, SCh 203, Paris 1973, 492-493.
[22] Basilio di Cesarea, Omelia sulla santa nascita di Cristo, PG 31, 1473D. Cfr. Triadi 3, 1, 15, in Atto e luce, 799.
[23] Anastasio il Sinaita commenta: la festa della Trasfigurazione «ci mostra ancora l’altro Sinai, monte quanto più prezioso del Sinai, grazie ai prodigi e agli eventi che vi si svolsero: lì l’apparizione della Divinità oltrepassa le visioni che per quanto divine erano ancora espresse in immagini e oscure. E così, come sul Sinai le immagini furono abbozzate mostrando il futuro, così sul Tabor splende ormai la verità. Lì regna l’oscurità, qui il sole; lì le tenebre, qui una nube luminosa. Da una parte il Decalogo, dall’altra il Verbo, eterno su ogni altra parola. […] La montagna del Sinai non aprì a Mosè la Terra promessa, ma il Tabor l’ha condotto nella terra che costituisce la Promessa»: Anastasio Sinaita, Omelia sulla Trasfigurazione, in A. Guillou, Le monastère de la Théotokos au Sinaï. Origines; épiclèse; mosaïque de la Trasfiguration; Homélie inédite d’Anastase le Sinaïte sur la Trasfiguration (étude et texte critique), in Mélanges d’archéologie et d’histoire 67 (1955) 253.
[24] Palamas cita Is 24, 16: il riferimento però non è corretto. Il testo più vicino è Dt 29, 28.
[25] Eco della preghiera dell’ufficio liturgico bizantino del 6 agosto: «Tu dunque, o Cristo Dio, amico degli uomini, rischiara anche noi con la luce della tua gloria inaccessibile, e rendici degni eredi, tu che sei più che buono, del regno che non ha fine». Minèi della festa della Trasfigurazione, in Anthologion, IV, 860.
a Rm 1, 25.
b Mt 17, 1-2.
c Mt 16, 27.
d Mt 16, 28.
e Lc 9, 28-29.
f Mt 17, 1.
g Lc 9, 28.
h Mc 9, 1; cfr. Lc 9, 27.
i 1 Cor 2, 9-10.
j Lc 9, 28.
k Cfr. Mt 14, 13-23.
l Mc 14, 32-33.
m Mt 17, 1-2.
n Lc 9, 29.
o Mt 17, 2.
p Cfr. Es 34, 29.
q Mt 13, 43.
r Cfr. Lc 2, 32-38.
s Cfr. 1Cor 15,28.
t Ap 21, 23.
u Cfr. Gc 1, 17.
v Cfr. Lc 9, 31.
w Cfr. Dt 29, 28.
x Cfr. Mt 22, 13.


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SULLA TRASFIGURAZIONE
Dall’Omelia I di san Beda il Venerabile

Trasfigurazione – miniatura, XI secolo (Exultet II - Bari, Archivio Capitolare)
Apparvero Mosè ed Elia nella loro maestà e parlavano della sua dipartita che si sarebbe realizzata a Gerusalemme. Perciò Mosè ed Elia che sul monte parlarono col Signore della sua passione e risurrezione significano le predizioni della Legge e dei profeti che si sono realizzate nel Signore, come ora è evidente a ogni persona dotta e ancora più evidente risulterà in futuro a tutti gli eletti. E giustamente Luca dice che quelli apparvero nella loro maestà, poiché allora si vedrà più apertamente con quanto decoro di verità siano stati proferiti i discorsi divini, non solo quanto al senso ma anche quanto alla forma. In Mosè ed Elia si possono anche comprendere tutti quelli che regneranno col Signore ... Concorda anche il fatto che essi parlavano della dipartita di Gesù, che si sarebbe realizzata a Gerusalemme, perché unica materia di lode per i fedeli diventa la passione del Redentore, e quanto più essi tengono a mente che non si possono salvare senza la sua grazia, tanto più forte conservano sempre in petto la memoria di questa grazia e l’attestano con devota confessione.
Ma quanto più ciascuno di noi gusta la dolcezza della vita celeste, tanto più prova disgusto di tutto ciò che di terreno ci dilettava: perciò giustamente Pietro, vista la maestà del Signore e dei suoi santi, dimentica subito tutto ciò che di terreno aveva appreso, e gode di aderire per sempre alla sola realtà che vede, dicendo: Signore è bene che noi stiamo qui; se vuoi innalziamo qui tre tende, una per te, una per Mosè, e una per Elia.
Certo Pietro non sapeva quello che diceva quando nel mezzo della conversazione celeste pensò di fare delle tende. Infatti non sarà necessaria alcuna casa nella gloria della vita celeste, dove nella completa pace, nella luce della contemplazione celeste non resterà da temere alcuna avversità, come testimonia l’apostolo Giovanni che descrivendo lo splendore di questa città superna, dice tra l’altro: Non ho visto tempio in essa perché sono tempio il Signore onnipotente e l’Agnello (Apocalisse 21, 22).
Ma Pietro ben sapeva che cosa diceva quando disse: Signore, è bene che noi stiamo qui, perché in realtà per l’uomo il solo bene è entrare nel gaudio del Signore e stargli vicino contemplandolo in eterno. Perciò a ragione riteniamo che non abbia goduto mai di un vero bene chi, a causa della sua colpa, non ha mai potuto contemplare il volto del suo Creatore. Che se Pietro, contemplata l’umanità glorificata di Cristo, è preso da tanta gioia da non voler più essere distolto da tale visione, quale beatitudine pensiamo, fratelli carissimi, che abbiano raggiunto coloro che hanno meritato di contemplare l’eccellenza della sua divinità? E se quello considerò sommo bene contemplarne l’aspetto trasfigurato sul monte insieme soltanto con Mosè ed Elia, quale parola può spiegare, quale concetto comprendere quale sarà la gioia dei giusti quando si avvicineranno al monte Sion, alla città del Dio vivente, Gerusalemme, e alla moltitudine degli angeli (cfr. Ebrei 12, 22), e quando contempleranno Dio, creatore di questa città non attraverso uno specchio, per enigma, ma a faccia a faccia? (1 Corinzi 13, 12). Di questa visione proprio Pietro parla ai fedeli a proposito del Signore: Nel quale ora credete pur non vedendolo; e quando lo vedrete esulterete di letizia inenarrabile e glorificata (1 Pietro 1, 8).
Segue: Mentre egli ancora parlava ecco una nube lucente li adombrò, ed ecco dalla nube una voce che disse: “Questo è il Figlio mio diletto nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo”. Poiché chiedevano di innalzare le tende, vengono ammoniti dalla copertura della nube splendente che non sono necessarie case nella dimora celeste, dove il Signore protegge tutto con l’ombra eterna della sua luce. Colui infatti che per quaranta anni stese una nube a loro protezione perché il sole o la luna non scottassero né di giorno né di notte il popolo che marciava nel deserto, quanto più protegge nei secoli col velo delle sue ali quelli che dimorano nelle tende del regno celeste? Sappiamo infatti, per insegnamento dell’apostolo che se la nostra casa in cui abitiamo sulla terra viene distrutta, noi abbiamo un altro edificio che è opera di Dio, una dimora eterna, che non è stata costruita dalla mano dell’uomo e che si trova in cielo.
Poiché desideravano contemplare il volto risplendente del Figlio dell’uomo, venne il Padre ad affermare con la sua voce che quello era il suo Figlio diletto nel quale si era compiaciuto, perché dalla gloria della sua umanità, che vedevano, imparassero a sospirare di contemplare la presenza della divinità, che è uguale a quella del Padre. Ciò poi che la voce del Padre dice del Figlio: Nel quale mi sono compiaciuto, lo attesta altrove anche il Figlio: Colui che mi ha mandato è con me e non mi lascerà solo, perché io faccio sempre quello che gli è gradito (Giovanni 8, 29). E aggiungendo ascoltatelo, il Padre ha manifestato che quello era proprio colui del quale Mosè parlava al popolo al quale aveva dato la legge: Il vostro Dio vi susciterà un profeta dai vostri fratelli, che ascolterete come me stesso, secondo tutto quanto vi avrà detto (Deuteronomio 18, 15). Non vieta infatti di ascoltare Mosè ed Elia, cioè la Legge e le profezie, ma fa capire a tutti costoro che si deve preferire l’ascolto del Figlio che è venuto ad adempiere la Legge e i Profeti, e comanda di anteporre la luce della verità del Vangelo a tutti i simboli e all’oscurità dell’Antico Testamento. Con provvidenziale disposizione viene rafforzata la fede dei discepoli perché non vacilli, a causa della crocifissione del Signore, perché nell’imminenza della croce si dimostra come la sua umanità sarebbe stata sublimata dalla luce celeste in virtù della risurrezione; e la voce del Padre attesta che il Figlio è per divinità coeterno a lui, perché al sopraggiungere dell’ora della passione quelli si dolessero meno della sua morte, ricordando che era sempre stato glorificato da Dio Padre nella divinità colui che, subito dopo la morte, sarebbe stato glorificato nell’umanità.
Ma i discepoli che, in quanto carnali, erano ancora di debole consistenza, udita la voce di Dio, per timore caddero faccia a terra. Il Signore perciò, autorevole maestro in tutto, li consola parlando loro e toccandoli li fa alzare.