mercoledì 1 marzo 2017

Donne e Riforma



(Lucetta Scaraffia) A lungo nella tradizione cristiana si è pensato che fosse più facile irretire nell’eresia le donne piuttosto che gli uomini, e proprio per questo molti cattolici cercarono di screditare la causa protestante collegandola alla debolezza della donna. Ma veramente la Riforma attirò le donne cattoliche più degli uomini? E veramente queste ultime trovarono nelle confessioni protestanti la possibilità di partecipare più attivamente alla vita religiosa della loro comunità, e magari anche accesso a condizioni di vita migliori? Oggi, di fronte all’evidenza dell’apertura del ministero alle donne all’interno di tutte le denominazioni riformate, siamo portati a dare una risposta positiva, e quindi il mondo protestante appare come più aperto e rispettoso delle donne di quello cattolico. Ma è proprio vero? E soprattutto è sempre stato così?
In un saggio famoso — Donne di città e mutamento religioso — la storica ebrea Natalie Zemon Davis cerca di rispondere a queste domande con una ricerca puntuale sulla Francia ugonotta di fine Cinquecento. Prima della Riforma, quasi tutte le donne prendevano parte, in vari modi, alle attività economiche della città, anche se la loro vita era in gran parte assorbita dal compito biologico di procreare. La loro partecipazione alla vita pubblica, però, era scarsa o nulla, e il loro livello di alfabetismo piuttosto basso, benché in questo periodo — grazie alla diffusione delle opere a stampa — fosse in crescita l’alfabetizzazione maschile. La loro partecipazione alla vita religiosa, alla vigilia della Riforma, era meno organizzata di quella maschile: minore il numero delle confraternite femminili, e minime le tracce di una ricerca di nuovi esperimenti comunitari femminili di vita, al di là dei pochi monasteri. Il rapporto delle donne con la religione e con i santi, dunque, era generalmente di carattere privato, o affidato all’organizzazione familiare. Bisogna poi ricordare che la presenza alle funzioni — sia per le donne che per gli uomini — era saltuaria, e poco frequente anche l’adempimento del precetto pasquale. In questo quadro la Riforma è intervenuta come un elemento nuovo e dirompente, perché metteva nelle mani delle donne la Bibbia: «Sono tutte mezze teologhe» dicevano con disprezzo i predicatori francescani, che chiedevano piuttosto alle donne, con le loro prediche infiammate, lacrime di pentimento. 
L’umanista Erasmo fu uno dei pochi uomini del tempo che intuì il risentimento che si andava accumulando nelle donne, i cui sforzi di approfondimento dottrinale venivano scoraggiati e dileggiati dal clero. In uno dei suoi Colloqui una donna dotta che viene derisa da un abate sbotta con queste parole: «Se continuerete così come avete cominciato, anche le oche si metteranno a predicare piuttosto che sopportare il silenzio di voi pastori. La scena del mondo è ora sottosopra. O ci si ritira o ciascuno dovrà fare la sua parte».
La letteratura popolare calvinista proponeva infatti una nuova immagine di buona cristiana: doveva essere semplice e pura, ma anche conoscere la Bibbia tanto da essere capace di vincere un confronto con i preti. Nella propaganda protestante dei primi decenni, infatti, la donna cristiana viene identificata dal suo rapporto con la Scrittura. «Anche nella realtà — scrive la storica — le donne protestanti andavano liberando le loro anime dal dominio dei preti e dei dottori di teologia». E cita l’esempio di Marie Becaudelle, domestica a La Rochelle, che impara dal suo padrone il vangelo così bene da riuscire a trionfare in una disputa pubblica con un francescano. Mentre la moglie di un libraio dalla prigione discute di dottrina con il vescovo di Parigi e con dottori in teologia. L’ugonotta regina di Navarra, sorella del re, canta: «Quelli che dicono che non è da donne guardare i Sacri Scritti son uomini malvagi ed empi seduttori e anticristi...». 
Negli stessi anni i cattolici invece predicano che alle donne, per salvarsi, bastano il lavoro domestico, cucire e tessere: «Metterebbero in paradiso anche i ragni, che sanno tessere alla perfezione» scrive l’autore di un opuscolo anticattolico. Non è prudente, scriveva d’altra parte un noto predicatore gesuita, lasciare la Bibbia a discrezione «di ciò che frulla nel cervello di una donna». 
Il movimento protestante offriva quindi una prospettiva nuova, per la quale era essenziale l’alfabetizzazione, proprio come per gli uomini. Nei primi momenti di ribellione alla Chiesa le donne accolsero con entusiasmo questa possibilità: leggevano pubblicamente la Bibbia, la commentavano. La nuova liturgia, che adottava il volgare, introdusse i salmi cantati insieme da donne e uomini. Tutti laici, e uomini e donne allo stesso livello, almeno all’apparenza, e attratti, come scrive Max Weber, da una religione che faceva appello all’attività intellettuale e all’autocontrollo. Ma le donne, in cambio, furono private dei santi, delle preghiere, delle immagini, delle invocazioni. Questa perdita infatti non toccava in egual modo i due sessi: mentre questi ultimi mantenevano nella preghiera un riferimento alla loro identità sessuale — si rivolgevano al Padre e al Figlio — la perdita di Maria privò le donne di un’immagine femminile a cui rivolgersi. Più profondi furono dunque gli effetti di questa perdita per l’identità femminile, soprattutto in un momento critico come le doglie del parto, in cui non avevano più devozioni femminili da invocare.
Proprio questo fu il motivo — secondo Zemon Davis — per cui il clero maschile ha aderito ai movimenti di riforma in misura molto maggiore delle religiose. Anche di fronte a promesse di dote e di pensione, le suore resistettero, anche perché preferivano vivere nella loro condizione di celibato in un’organizzazione femminile separata. Nella società protestante infatti la donna poteva al massimo essere consorte di un ministro di Dio, in un matrimonio basato sul principio dell’amicizia e della solidarietà e che si supponeva fedele: nelle comunità protestanti le prostitute venivano messe al bando immediatamente. Ma le donne erano pur sempre soggette ai mariti. 
Nel complesso i fondatori delle nuove confessioni riformate e i pastori in genere non avevano visto con occhio positivo questo inedito protagonismo femminile: per loro, la riforma doveva limitarsi a sostituire il clero con pastori preparati e solidi, non rovesciare la società. Una donna, e qui tornava la solita citazione paolina, non poteva parlare in un’assemblea cristiana. Un pastore scrisse a Calvino: «Il nostro concistoro sarà lo zimbello dei papisti e degli anabattisti. Diranno che siamo comandati dalle donne». Le donne, che erano state incitate a disobbedire ai loro preti, furono ora domate dai pastori con una certa facilità: costrette a tornare nel silenzio, scelsero in molte di nuovo la Chiesa cattolica, dove almeno ritrovavano le loro sante, la Madonna. E dove forse, alla fine, stavano meglio. Infatti, scrive Zemon Davis, «nessuna donna calvinista dimostrò (o fu messa in grado di dimostrare) la creatività organizzativa delle grandi protagoniste della Controriforma cattolica... Inoltre nessuna donna della Riforma al di fuori delle cerchie nobiliari pubblicò tanti lavori quanti le donne cattoliche dello stesso ambiente».
L’abolizione delle sante come modelli religiosi per entrambi i sessi determinò una grave perdita affettiva e simbolica. E se di fatto, dalla fine del XVI secolo alla fine del XVIII, sia nei paesi cattolici che in quelli protestanti le donne soffrirono per gli inasprimenti del diritto matrimoniale, per la decadenza delle corporazioni femminili, per le difficoltà che incontravano le donne istruite per conquistarsi un ruolo, la Riforma — conclude la storica — «eliminando dalla sfera religiosa qualsiasi identità e forma di organizzazione femminile a sé stanti, rendeva le donne un poco più vulnerabili all’assoggettamento in ogni campo».
Vediamo tracce di questa storia ancora oggi: se le Chiese protestanti possono vantare le donne pastore, le donne sacerdote anglicane e le donne vescovo, la Chiesa cattolica si fonda sul lavoro e sulla dedizione di una grande massa di donne — le donne sono più dell’80 per cento dei religiosi, e il 60 per cento se si aggiungono a questi i sacerdoti — e questo fatto senza dubbio dà un’impronta femminile all’apostolato quotidiano, mentre nelle società protestanti le organizzazioni femminili sono poche e di modesta entità. 
Questo lungo processo storico, che ha portato a una presenza e a un ruolo diversi delle donne all’interno delle diverse confessioni, ha plasmato profondamente la vita religiosa sia cattolica che protestante, ed è necessario rendersene conto. Anche per creare una nuova consapevolezza, che suggerisce di guardare alle differenze fra il cattolicesimo e le confessioni riformate con altri occhi, meno inclini a dare giudizi frettolosi di modernità agli uni e di arretratezza agli altri. E soprattutto suggerisce che le possibilità di collaborazione e di scambio di esperienze è necessaria, e molto utile per tutte.
L'Osservatore Romano - donne chiesa mondo - marzo 2017