giovedì 9 marzo 2017

La voce della donna



Le donne fanno irruzione sulla scena della passione di Gesù secondo Matteo, facendo sentire con discrezione la loro presenza e la loro voce e chiedendo così «di fare in modo che oggi nella Chiesa le loro parole non vengano ignorate». E proprio per rafforzare questa convinzione, padre Giulio Michelini ha voluto dare spazio al contributo di una coppia di sposi, Mariateresa Zattoni e Gilberto Gillini, nel corso degli esercizi spirituali per il Papa e la Curia romana, che hanno riproposto il profilo della moglie di Pilato e «il suo tentativo andato a vuoto di salvare Gesù».
Hanno lo stesso filo conduttore la sesta e la settima meditazione che il predicatore ha proposto rispettivamente nel pomeriggio di mercoledì 8 e nella mattina di giovedì 9 marzo ad Ariccia. «La morte di Gesù è vera e non certo apparente» è il punto di partenza scelto dal predicatore per la sua settima riflessione, dedicata espressamente alla «morte del messia» (Matteo 27, 45-56). Oltretutto, ha precisato, «alcuni dettagli del racconto evangelico sono talmente scomodi che per gli esegeti rappresentano proprio indizi di storicità, sulla base del cosiddetto “criterio di imbarazzo”: primo fra tutti, il senso di abbandono che Gesù ha provato sulla croce». Ma «ad acuire il senso di abbandono — ha spiegato — è l’incomprensione di Gesù da parte di chi sta assistendo» alla crocifissione. Infatti, «nei tre Vangeli sinottici, coloro che stanno sotto la croce non capiscono cosa stia accadendo e come muoia il messia: credono che Gesù chiami Elia». E questo «fraintendimento» è «un’ultima tortura».
Invece, com’è noto, sulla croce «Gesù sta chiamando il Padre, ma il Padre tace e non interviene: ecco l’altro elemento imbarazzante di tutto il racconto». Proprio «sul grido al Padre — ha fatto presente il predicatore — ha scritto alcune righe bellissime lo scrittore israeliano Amos Oz», il quale descrive la morte di Gesù «dal punto di vista di Giuda che sta assistendo alla crocifissione aspettandosi però che non muoia». Oz pensa che anzitutto Gesù chiami più volte la mamma. Del resto, è un fatto che le donne abbiano assistito alla crocifissione. E proprio sotto la croce Maria è vista anche come madre della Chiesa.
Resta da domandarsi, ha proseguito il predicatore, perché «tanti fraintendimenti nei Vangeli, nelle relazioni di Gesù con avversari e apostoli». Cristo «è continuamente frainteso, è un vero e proprio Iesus incomprehensus», che non è «riconosciuto, accolto, capito». Si potrebbe dire, secondo il religioso, «che i fraintendimenti sono meccanismi di difesa: le scienze del linguaggio ci fanno notare come nella comunicazione entrano in gioco il contenuto e la relazione tra i comunicati. Spesso si è d’accordo sull’oggetto ma se la relazione è compromessa, e ci sono ostacoli di tipo umano, allora il contenuto passa in secondo piano». 
Da parte sua, «Gesù non ha mancato di spiegare e rispiegare a discepoli e avversari le cose che non comprendevano. Ma dalla croce non può più spiegare nulla, anche se è la croce che spiega tutto: così Gesù non può chiarire che non sta chiamando Elia, può solo affidarsi allo Spirito perché sia lo Spirito a spiegare quello che non era riuscito a far comprendere». Una lezione che vale anche per ogni cristiano, ha fatto presente Michelini invitando a domandarsi: «Come reagisco quando gli altri non mi capiscono o quando mi sento incompreso?». E il suggerimento è quello di verificare «se posso migliorare la mia comunicazione» e, comunque, «accogliere l’incomprensione con umiltà». Ma anche di mettere da parte «orgoglio e puntiglio» cercando sempre di capire gli altri.
Significativo poi, ha aggiunto, l’accostamento tra «la figura del centurione sotto la croce», che colpisce Gesù con la lancia, e quella «del centurione di Cafarnao», per il quale il Signore guarisce una persona cara: «Se Gesù porge ai soldati l’altra guancia, al centurione di Cafarnao, come a quello che sta sotto la croce, porge il suo fianco dal quale sgorgherà ora l’acqua e il sangue per perdonare i peccati». E così, a questo punto della meditazione, il predicatore ha introdotto «una questione un po’ tecnica di critica testuale, meramente filologica, ma di grande interesse teologico». Nel Vangelo di Matteo, infatti, «si afferma che il colpo di lancia viene dato prima della morte di Gesù e non dopo, come nel Vangelo di Giovanni. Gesù, in questo modo, grida per il dolore e il suo grido non è staccato dal contesto ma causato appunto dal colpo di lancia». Inoltre «il sangue di Gesù per Matteo è la salvezza dai peccati del mondo». Concludendo il religioso ha invitato a saper «cogliere la presenza di Dio» non solo «nei segni eclatanti» ma soprattutto «nell’ordinarietà del quotidiano e nello sguardo dell’altro».
La sesta meditazione, nel pomeriggio di mercoledì 8 marzo, «è stata caratterizzata non soltanto per il suo contenuto» — il processo romano a Gesù, la moglie di Pilato e i sogni di Dio (Matteo 27, 11-26) — «ma anche per la modalità in cui è stata preparata», ha spiegato lo stesso Michelini. È stata infatti scritta con una coppia di sposi, i coniugi Mariateresa Zattoni e Gilberto Gillini. Con loro il francescano collabora «da diversi anni predicando esercizi spirituali alle famiglie e per altri incontri di formazione». Insieme hanno scritto alcuni libri «che presentano una doppia forma di lettura del testo biblico, esegetica e contestuale familiare». Il predicatore si è detto convinto che «la lettura e l’esegesi della Scrittura non sono prerogativa dei consacrati o degli addetti ai lavori, e che le coppie e le famiglie devono essere aiutate a praticarla: cosa che finora — ha osservato — non sembra essere stata fatta in modo convinto nella nostra Chiesa». 
Per la meditazione Michelini ha preso le mosse dal processo romano, puntando sulla scelta fatta da Ponzio Pilato, tra Gesù e Barabba. E ha ricordato l’interpretazione riportata da Benedetto XVI riguardante una variante testuale, registrata da Origene, sul nome di Barabba che sarebbe «lo stesso di Gesù». Così ha poi spiegato come questo elemento sia «importante per capire il complesso sistema con il quale l’evangelista Matteo vede l’efficacia del sangue di Gesù per il perdono dei peccati. Questo sistema teologico messo in atto da Matteo non ci deve far perdere di vista la dimensione umana di un fatto apparentemente scontato e che è di una gravità inaudita: due uomini sono l’uno di fronte all’altro; solo uno sopravvivrà».
A questo proposito, il predicatore ha fatto riferimento al romanzo di William Styron, Sophie’s choice (1979): racconta di una giovane madre polacca deportata ad Auschwitz costretta da un ufficiale nazista a scegliere quale dei suoi due figli mandare a morte. Con questo spunto il religioso ha ricordato come «purtroppo il popolo ebraico è stato, per secoli, accusato di deicidio dai cristiani: finalmente questa assurda accusa è stata smontata a tutti i livelli». Però, ha insistito, «secondo la passione di Matteo, questa accusa non avrebbe mai dovuto aver presa perché, come nel caso di Sophie, costretta a mandare a morte la propria bambina, la responsabilità di questa terribile decisione viene da chi ha messo in condizione la folla di scegliere, ovvero il prefetto romano».
E per delineare la figura della moglie di Pilato il francescano ha dato spazio al contributo preparato dalla coppia di sposi. «Nel bel mezzo della passione di Gesù secondo Matteo irrompe una donna», fanno subito notare i coniugi, mettendo in evidenza come, «nel gioco di potere maschile, la complicità tra un sommo sacerdote e Pilato, irrompa appunto la voce tenue di una donna. Ma solo attraverso un messaggero, perché mentre gli uomini giocano la loro partita non le è permesso accostarsi». Tuttavia «la moglie di Pilato può legittimarsi di fronte a questi uomini perché, dice, “ha sofferto molto” a causa di quel “giusto”» (Matteo 27, 19).
La donna fa «un atto di amore verso il marito» comunicandogli il suo sogno. E «ci auguriamo — è l’auspicio dei due commentatori — che sempre le donne siano capaci di questo linguaggio e non diventino pappagalli dei maschi quando questi giocano le loro partire sul potere». Insomma, da «dietro le quinte» la donna, impotente, fa sentire la sua voce e oppone il suo sogno ai giochi di potere pur di salvare quel giusto: «un tentativo andato, però, a vuoto». Pilato infatti «si lava le mani, mostrando che lui non c’entra»: anzi, pare aver addirittura ascoltato il suggerimento della moglie di «non aver a che fare con quel giusto» e magari, «la sera a casa, le avrà pure detto che più di così non poteva proprio fare per salvarlo». Ma, è la conclusione dei due coniugi, «così la coppia tradisce se stessa, l’alleanza coniugale è fraintesa, è ridotta al proprio tornaconto, alla volontà di aver ragione che uccide l’amore».
Infine, nell’ultima parte della meditazione Michelini ha preso in esame «i cinque sogni del Vangelo dell’infanzia secondo Matteo, e il sogno della moglie di Pilato». Questi sogni «vanno visti nel loro insieme, perché rappresentano quello che potremmo chiamare il “sogno di Dio”: la salvezza del figlio, che tramite i sogni dell’inizio del Vangelo sfugge a chi lo vuole uccidere». Ma «se Giuseppe e i magi capiscono quello che devono fare, e nonostante la debolezza di quanto ricevuto lo mettono in pratica, Pilato invece non ascolta la voce della moglie, non ascolta i sogni, è solo interessato, come già Erode, a conservare il potere». Una questione che tocca da vicino i credenti, fino a spingerli a domandarsi «qual è il mio sogno oggi e se corrisponde, per quanto posso capire, al sogno di Dio per me».

L'Osservatore Romano