giovedì 1 dicembre 2011

Charles De Foucauld: La mia fede 3



LA MIA FEDE
Città Nuova Editrice, 1974

CONCLUSIONE

APPENDICE

SCRITTI VARI

Al termine di questa esposizione delle grandi intuizioni della fede di fratel Charles - esposizione che non esaurisce l'argomento, ma che ha voluto mettere in rilievo le intuizioni rivelatrici dell'intimo della sua anima, quali si ricavano dai suoi scritti e dalla sua vita -, come non rimanere rapiti di fronte al timbro evangelico della sua anima! Ognuna delle intuizioni della sua fede ha la sua luminosa scaturigine in una parola del Vangelo. La parola di Gesù, ascoltata nel silenzio, ai piedi di Lui, meditata nel succedersi dei giorni, e soprattutto vissuta alla lettera, fa di Charles de Foucauld uno dei discepoli di Gesù.
Seguendo Gesù «il più possibile da vicino», e «vivendo sempre con Lui», durante trent'anni - secondo il numero evangelico degli anni di vita nascosta di Gesù a Nazareth -, Charles de Foucauld, al termine della sua vita, sigillata con lo spargimento del suo sangue, ci appare come uno che ha in modo perfetto portato a compimento il disegno cui era stato chiamato, la vocazione che Gesù stesso gli aveva indicato in una delle sue meditazioni:
«Fa parte della tua vocazione gridare il Vangelo sui tetti, non con la tua parola, ma con la tua vita».


Meditazione sull'abiezione

Nazaret, novembre 1897

Signore Gesù, degnati di farmi Tu stesso questa meditazione. Sei stato Tu a dire: «Non conviene che il discepolo superi il suo Maestro» (... ). Con queste parole Tu mi ordini di non voler apparire maggiore di Te agli occhi, degli uomini in questa vita terrena (... ). Come debbo praticare l'abiezione?

- Considera, prima di tutto, che dopo aver detto: «Non conviene che il discepolo superi il suo Maestro», ho aggiunto: «Il discepolo è perfetto, se è simile al suo Maestro». Per questo, non voglio che tu sia al di sopra di ciò che sono stato io, ma con questo non voglio che tu sia al disotto (... ). Se esistono eccezioni, non riguardano certamente te, al quale io ho donato tante volte come specifica vocazione la mia perfetta imitazione: imitare Me, Me soltanto (... ). Impegnati dunque ad essere, agli occhi del mondo, quel che sono stato io nella mia vita di Nazareth, né più né meno. Io sono stato povero operaio, che viveva del lavoro delle sue mani; sono passato per ignorante, illetterato; avevo come parenti, come congiunti, come cugini, come amici, dei poveri operai come me, artigiani, peccatori; parlavo loro da pari a pari; ero vestito come loro; mangiavo come loro quando mi trovavo con essi (... ). Come ogni povero, ero esposto al disprezzo, e fu perché non ero, agli occhi del mondo, altri che un povero «Nazareno», che sono stato perseguitato, maltrattato nella mia vita pubblica; che appena ho aperto bocca, nella sinagoga di Nazareth, tentarono di precipitarmi dal dirupo; che in Galilea mi si chiamava Belzebub e in Giudea indemoniato e ossesso; che mi si trattava da impostore, da seduttore, che mi fecero morire sopra una croce tra due ladri; che mi consideravano un uomo grossolanamente ambizioso (... ). Sii considerato anche tu per quello che sono stato considerato io, figlio mio: per ignorante, povero, di bassa estrazione; per quello che tu sei realmente, uomo senza intelligenza, talento e virtù; studiati di cercare sempre i posti più umili; coltiva però la tua intelligenza nella misura in cui il tuo direttore te l'ordina. Ma che tutto avvenga di nascosto, e all'insaputa del mondo. Io ero infinitamente sapiente, ma nessuno lo sapeva. Non temere d'istruirti, è un bene per la tua anima: istruisciti con zelo, per diventare migliore, per conoscermi meglio e meglio amarmi, per meglio comprendere la mia volontà e compierla meglio, ed anche, per assomigliare a me, a me, che sono la perfetta Scienza. Sii completamente ignorante agli occhi degli uomini, ma sapiente nella scienza divina. ai piedi del mio Tabernacolo (... ). Ero piccolo e disprezzato in modo incredibile; cerca, richiedi, ama le occupazioni che ti abbassano di più, come raccogliere letame, zappare la terra, quanto vi è di più basso e comune. Più ti farai piccolo a questo modo, più somiglierai a me (...). Che ti considerino folle, tanto meglio; ringraziami senza fine di ciò: anch'io fui preso per folle, ti concedo questo punto di somiglianza con me (... ); che ti tirino contro delle pietre, che si burlino di te, che ti gridino ingiurie per le strade, tanto meglio! Ringraziami di tutto ciò, è una grazia infinita che ti faccio; non hanno fatto altrettanto con me?... Dovresti stimarti veramente felice, se ti do una tale somiglianza (... ). Ma non far nulla di speciale per meritare un tale trattamento, nulla di eccentrico, di strano. Io non ho fatto niente per essere trattato a quel modo, non lo meritavo affatto, al contrario; eppure mi hanno trattato così. Anche tu non far nulla per meritare un simile trattamento; ma se ti faccio la grazia di subirlo, ringraziami. Non far nulla per impedirlo, né per farlo cessare; sopporta tutto con gioia e riconoscenza verso la mia mano che ti regala tutto ciò, come un prezioso regalo fraterno (... ). Fai ciò ch'io avrei fatto, tutto ciò che ho fatto. Non fare che il bene, ma accetta i lavori più vili, più bassi; mostrati, in ogni cosa, nel vestire, nel tenere la tua casa, nel tratto gentile e fraterno che previene le necessità degli umili, in tutto uguale alle persone più povere (... ). Nascondi con cura quanto possa innalzarti agli occhi del prossimo (ES, pp. 108-111).


Gesù nella santa Eucaristia

Nazareth, novembre 1897

O Signore Gesù, tu stai nella santa Eucaristia. Sei lì, a un metro da me, in questo tabernacolo. Il tuo corpo, la tua anima, la tua umanità, il tuo essere intero è li nella sua natura umana e divina. Come mi sei vicino, mio Dio, mio Salvatore, mio Gesù, Fratello mio, mio Sposo, mio Bene-Amato! (... ). Non sei stato più vicino alla Vergine, durante i nove mesi in cui ella ti portò nel suo grembo, di quanto lo sei con me quando vieni sulla mia lingua nella comunione. Non eri più vicino alla santa Vergine, a san Giuseppe nella grotta di Betlem, nella casa di Nazareth, durante la fuga in Egitto, durante tutti i momenti di quella divina vita familiare, di quanto lo sei con me in , questo momento, e così spesso, tanto spesso in questo tabernacolo! (... ). Come sono felice! (... ). Essere solo nella mia cella e potermi intrattenere con Te nel silenzio della notte, è una cosa dolcissima, mio Signore. E Tu sei lì come Dio, oltre che per la tua grazia. E tuttavia, rimanere perciò nella mia cella, mentre potrei starmene davanti al sacramento, è fare come se santa Maria Maddalena, quando ti trovavi a Bethania, ti avesse lasciato solo (... ), per andare a pensare a te, tutta sola nella sua camera (... ). Baciare i luoghi che tu hai santificato durante la tua vita mortale, le pietre del Getsemani e del Calvario, il suolo della Via Dolorosa, le onde del mare di Galilea, sono cose dolci e piene di affetto, mio Dio; ma preferire tutte queste cose al tuo tabernacolo, è come lasciare Gesù che mi sta vivo accanto, lasciarlo solo, e andarmene a venerare alcune pietre morte dove egli non c'è più; è lasciare la camera dove Lui si trova, e la sua divina compagnia, per andare a baciare il pavimento di una camera dove egli visse, ma dove non è più (... ). Lasciare il tabernacolo per andare a venerare delle statue, è lasciare Gesù vivo accanto a me e recarmi in un'altra camera per dare un saluto al suo ritratto (... ).

Dovunque si trovi l'ostia santa c'è il Dio vivo, c'è il tuo Salvatore, in modo così reale come quando era vivo e parlava in Galilea e in Giudea, e com'è in questo momento nel cielo (... ). Non perdere mai una comunione per colpa tua: una comunione è più della vita, più di tutti i beni del mondo, più dell'universo intero: è Dio stesso, sono io, Gesù. Puoi tu preferire a me qualche cosa? Se mi ami solo un pochino, puoi mai perdere volontariamente la grazia ch'io ti faccio di venire dentro di te?... Amami con tutta l'ampiezza e in tutte le semplicità del tuo cuore.

Béni-Abbès, 12 settembre 1902

A Maria de Bondy

Quel che c'è di meraviglioso qui, sono i tramonti, le sere e le notti. Mi ricordo, contemplando questi meravigliosi tramonti, che anche tu li ami, perché richiamano alla mente la grande pace che seguirà alla tempesta dei nostri giorni. Le sere sono così calme, le notti così serene, quest'immenso cielo e i vasti orizzonti illuminati a metà dalla luce delle stelle, sono così pieni di pace e cantano in silenzio, in un modo così penetrante, l'Eterno, l'Infinito, l'al di là, che si passerebbe le notti intere in questa contemplazione. Nondimeno abbrevio queste contemplazioni e ritorno dopo pochi istanti davanti al tabernacolo, perché c'è ben di più nell'umile tabernacolo., Nulla può essere paragonato all'Amato.


La felicità dell'Amato

Gerusalemme, 19 novembre 1898
Alla sorella

Tu sai che, quando si ama, si vive meno in noi che in colui che si ama; e più si ama, più uno costruisce la sua vita fuori di sé, in colui che ama (... ).

Se amiamo Gesù, noi viviamo molto più in Lui che in noi stessi; dimentichiamo ciò che ci tocca, per non pensare che a ciò che Lo riguarda. E poiché egli vive in una pace e beatitudine ineffabile, assiso alla destra del Padre suo, noi partecipiamo nella misura del nostro amore, alla pace e alla beatitudine del nostro Divino Bene-Amato.

Béni-Abbès, 23 dicembre 1903
A Henry de Castries

La pace, la guerra, passano! Dio è più grande, Lui che, solo, non passa. Non si è indifferenti, qui alla fraternità del Sacro Cuore, agli avvenimenti esterni, perché essi arrecano bene o male a quegli uomini che Dio ha tanto amato; ma dopo che si è fatto quanto è stato possibile, con quale pace in cuore ci si ritrova soli davanti al tabernacolo, nel colloquio intimo con Gesù. Quale pace e quale felicità!
L'eremita è sempre felice, lo puoi constatare, caro amico, e la sua vita fluisce nel pensiero e nella gioia dell'infinita felicità, della pace senza mutamento della Beata e sempre serena Trinità.

Tamanrasset, 18 novembre 1907
A Maria de Bondy

Si dura fatica a non rattristarsi nel vedere l'eccesso di male che regna da per tutto, il poco bene, i nemici di Dio così intraprendenti, i suoi amici così esitanti, e nel vedere noi stessi così meschini (... ). E tuttavia non bisogna rattristarsi, ma guardare più in alto di tutto ciò che passa, verso il nostro Bene-Amato(... ). Poiché la sua felicità e la sua pace sono infinite, perfette, immutabili, noi dobbiamo per questo essere inondati di una gioia, di una pace, di una sazietà che rasserena, nella nostra anima, tutte le tristezze in essa provocate dalle miserie della terra.

Seguire da povero un Dio povero

Nazareth, novembre 1897

Signore Gesù, come sarà presto povero colui che, amandoti con tutto il suo cuore, non potrà sopportare di essere più ricco del suo Bene-Amato!...

Signore Gesù, come sarà presto povero colui che, pensando che tutto ciò che si fa a uno di questi piccoli, lo si fa a Te; che tutto ciò che non si fa loro, non si fa a Te, solleverà tutte le miserie che gli stanno vicino!...

Come sarà presto povero colui che accetterà con fede le tue parole: «Se volete essere perfetti, vendete tutto ciò che possedete e datelo ai poveri » (... ). «Beati i poveri, poiché chiunque avrà lasciato i suoi beni per me, riceverà quaggiù il centuplo e, in cielo, la vita eterna », e tante altre!

Mio Dio, non so come sia possibile, per certe anime, vederti povero e rimanere tranquillamente ricche; vedere sé stesse tanto più grandi del loro Maestro, del loro Bene-Amato, non volerti rassomigliare in tutto, per quanto dipende da loro, e soprattutto nel tuo annichilimento. Io voglio con tutto il cuore che ti amino, mio Dio, però credo che al loro amore manchi qualcosa.
Comunque, per quel che mi riguarda, io non posso concepire l'amore dissociato dal bisogno, dal bisogno imperioso di conformità, di rassomiglianza, e soprattutto dal desiderio di condividere tutte le pene, le difficoltà, le asprezze della vita (... ).

Essere ricco, a mio agio, vivere comodamente dei miei beni, quando Tu sei stato povero, sei vissuto in strettezze, campando penosamente di un duro lavoro: no, non me la sento, mio Dio io non posso amare così (... ).

Non conviene che il servo sia più grande del Maestro, né che la sposa sia ricca mentre lo Sposo è povero, quando è volontariamente povero soprattutto, e perfetto (... ). Santa Teresa, sopraffatta dalle insistenza che le si facevano perché accettasse alcune rendite per il suo monastero di Avila, una volta stava per acconsentire, ma quando ritornò nel suo oratorio, e rivolse il suo sguardo alla croce, si prostrò ginocchioni davanti ad essa, e supplicò Gesù, nudo su quella croce, di farle la grazia di non disporre mai dì rendite e di essere povera come lui.

Non giudico nessuno, mio Dio, gli altri sono vostri servitori e miei fratelli, e io non debbo che amarli, far loro del bene e pregare per essi; ma a me è impossibile comprendere l'amore senza la ricerca della rassomiglianza e senza il bisogno di condividere tutte le croci.

Come Gesú a Nazaret

17 maggio '1906, festa di san Pasquale Baylon (Diario)

Durante i sei giorni festivi, intercorsi tra il Giovedì santo e il Martedì di Pasqua, ho fatto una specie di ritiro, di cui annoto il riassunto e le risoluzioni.

Richiamo al genere di vita che costituisce la mia vocazione. Imitazione di Gesù a Nazareth. Adorazione dell'Ostia santa esposta: santificazione silenziosa dei popoli infedeli, portando in mezzo ad essi Gesù.

Sua adorazione, ed imitazione della sua vita nascosta.

Richiamo all'imitazione continua di Gesù nella sua vita di Nazareth.

Richiamo alla penitenza, alla vita mortificata, alla croce di Gesù a Nazareth.

Richiamo alla povertà di Gesù a Nazareth.

Richiamo all'abiezione, all'umile lavoro manuale di Gesù a Nazareth.

Richiamo alla vita ritirata, al silenzio di Gesù a Nazareth.

Richiamo all'allontanamento dal mondo e dalle cose del mondo, di Gesù a Nazareth.

Richiamo alla vita di comunione spirituale, di adorazione, di preghiera, di veglie di Gesù a Nazareth.

Richiamo allo zelo per le anime, nell'impegno di raggruppare attorno alla santa ostia, in questi paesi infedeli, una piccola famiglia che imiti la vita di Gesù a Nazareth.

Richiamo allo zelo per le anime, alla carità, alla bontà, al fare le opere buone, per tutti gli uomini, come Gesù a Nazareth.

Richiamo allo zelo per le anime, attraverso la mitezza, l'umiltà, il perdono delle ingiurie, l'accettazione mansueta dei maltrattamenti, come Gesù a Nazareth.

Richiamo allo zelo per le anime, attraverso il buon esempio, come Gesù a Nazareth.

Richiamo allo zelo per le anime, attraverso la preghiera, la penitenza, la santificazione personale, come Gesù a Nazareth.

Richiamo a lasciar vivere in me il cuore di Gesù, affinché non sia più io che vivo in me, ma il cuore di Gesù che vive in me, come viveva a Nazareth.



Quel che avrete fatto a uno di questi piccoli...

Estratto dal «Regolamento dei Piccoli Fratelli del Sacro Cuore», scritto a Nazareth nel 1899, riveduto a Béni-Abbès, nel 1902.

L'Ospitalità

Pur avendo la più tenera cura per gli ospiti e i visitatori ricchi, per coloro che qui vengano per i loro ritiri, e che la loro pietà rende nostri fratelli carissimi, avremo riguardi più premurosi per i poveri, tenendo presenti all'anima queste parole: «Quando date un pranzo, non invitate amici ricchi, ma storpi, zoppi, ciechi». Avremo una cura tutta fraterna per i ricchi: ma quante persone non si affaccendano per rendere la loro vita piacevole! Essi sono le membra sane di nostro Signore, ma i poveri sono le sue membra malate e sanguinanti. Circondando gli uni e gli altri di un uguale rispetto e di un uguale amore, fasceremo le membra ferite, prima di cospargere di profumi quelle sane. Raramente i ricchi varcarono la soglia della santa casa di Nazareth; erano i poveri che vi si recavano con fiducia. Facciamo in modo che i poveri vengano con uguale fiducia nella Fraternità. Pur ricevendo con grande amore i ricchi, non stiamo ad aspettarli, non andiamo a cercarli, ma attendiamo i poveri, prepariamo ogni cosa per ben riceverli; procuriamoci il necessario, sia in alloggi, che in cibi per riceverne molti come ospiti. Desideriamo di aver sempre le nostre case piene. Se i nostri ambienti destinati agli ospiti diventano insufficienti, provvediamo subito ad ampliarli. Che questi ambienti siano sempre conformi alla santa povertà e alla santa abiezione della casa di Nazareth, ma che siano anche conformi alla sua carità.

La schiavitù

Béni-Abbès, 4 febbraio 1902

A mons. Guérin

Mi comporto in tal modo: lungi dall'invogliarli alla fuga o alla rivolta, consiglio loro la pazienza e di rimanere là dove sono. Dico loro che con il tempo Dio darà ad essi il conforto e la libertà; che tanto più presto saranno consolati quanto più cercheranno Dio e la giustizia, e che tutto il resto sarà ad essi dato in sovrappiù; ma nello stesso tempo non nascondo ai miei amici francesi che questa schiavitù è un'ingiustizia, un'immoralità mostruosa, e che è loro dovere fare il possibile perché sia soppressa (... ).

Da un lato, non ci è stato dato l'ufficio di governare, ma dall'altro abbiamo l'obbligo «di aiutare il prossimo come noi stessi», di «fare per gli altri ciò che vorremmo fosse fatto per noi», e conseguentemente di ricorrere a tutti i mezzi che si rendono necessari per confortare questi sventurati: quel che facciamo ad essi, lo facciamo a Gesù. Ciò che trascuriamo di fare ad essi, trascuriamo di farlo a Gesù (... ). D'altra parte, non abbiamo il diritto di essere cani muti e sentinelle prive di parola: ci corre l'obbligo di gridare, quando vediamo il male.

Il Buon Pastore

Efrem, quarta Domenica di Quaresima del 1898

(Il Signore:) - Io sono il buon, Pastore e corro senza posa alla ricerca delle pecorelle smarrite. Ve l'ho ripetuto cento volte: - Amatemi!, poiché io vi amo tanto, tutte, o mie pecorelle; e amatevi scambievolmente tra voi, poiché il vostro Pastore vi ama tutte così teneramente!... Siate riconoscenti verso di me per la cura che metto nel ricercarvi, per la mia bontà nel perdonarvi, per la mia gioia quando vi ritrovo. Aiutatemi nel mio lavoro, imitate me, fate ogni sforzo, con me e come me - ciascuno seguendo i consigli del suo direttore spirituale -, per riportare nel gregge il più gran numero possibile di pecorelle smarrite (... ). Condividete i miei sentimenti, il mio dolore nel vedere le mie pecore che si perdono, la mia gioia quando le ritrovo (... ). Condividete la mia costanza, la mia speranza, la mia indulgenza nel cercarle, la mia speranza che non rinuncia mai a credere alla possibilità del loro ritorno, la mia indulgenza nel perdonarle (...). Condividete la mia tenerezza per esse, quando ritornano (... ). Lungi dal rimproverarle e punirle, io le accarezzo, le stringo al mio cuore, come il padre del figliol prodigo.

Sperate sempre dunque il ritorno al bene di tutte le anime che vivono in questo mondo, prodigatevi sempre in questa impresa nei limiti a voi fissati dall'obbedienza, e siate misericordiosi per i peccatori che ritornano, come io lo sono stato per voi, per tante anime (... ). In una parola che tutto riassume: - Fate per i peccatori ciò che volete che io faccia per voi.

L'unità con la Chiesa

Béni-Abbès, 21 novembre 1903:
risoluzioni, trasformate in voti. Natale del 1903

Mi propongo:

di avere sempre la volontà di farmi uno col creato che mi circonda, offrendo a Dio tutte le creature animate, e cantando a Lui per esse il cantico dell'adorazione e del rendimento di grazie, il cantico della lode e dell'amore;

di avere in me la volontà di restare unito e devoto, in tutta la mia vita spirituale e in tutto il mio apostolato, all'intera Chiesa cattolica, cioè: al sommo Pontefice, ai vescovi, ai preti, alle congregazioni religiose, e a tutti i fedeli che la compongono;

di avere in me la volontà di essere unito, in tutta la mia vita spirituale e nel mio apostolato, a tutti i santi e le sante del cielo, del purgatorio e della terra;

di avere in me la volontà di essere unito, in tutta la mia vita spirituale e nel mio apostolato, ai nove cori degli angeli, a tutto ciò che essi fanno in cielo nelle loro relazioni col Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, con la santa Vergine, loro Regina, e a tutto ciò che essi fanno sulla terra nelle loro relazioni con gli uomini.