domenica 1 gennaio 2012

Buon anno 2012




La solennità dell’inizio del nuovo anno ci commuove solo al pensiero che Dio è costantemente presente nel mondo e governa e sostiene il mondo con lo Spirito del Figlio nato da donna, Gesù. Ci è posta davanti un’eredità nuova, oltre il tempo e lo spazio, per vivere i nostri giorni da figli adottati dall’Amore eterno. Non solo buon anno, ma voti di vita eterna  pb. Vito Valente.




Di seguito:  il testo dell'omelia pronunciata ieri, sabato 31 dicembre 2011, da Benedetto XVI nella Basilica Vaticana in occasione del tradizionale Te Deum di ringraziamento di fine anno e dei Primi Vespri della solennità di Maria Santissima, Madre di Dio; il testo della omelia della Messa celebrata questa mattina; il testo della preghiera mariana dell'Angelus.


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Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
distinte Autorità,
cari fratelli e sorelle!
Siamo raccolti nella Basilica Vaticana per celebrare i Primi Vespri della solennità di Maria Santissima Madre di Dio e per rendere grazie al Signore al termine dell’anno, cantando insieme il Te Deum. Ringrazio voi tutti che avete voluto unirvi a me in questa circostanza sempre densa di sentimenti e di significato. Saluto in primo luogo i Signori Cardinali, i venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato, i religiosi e le religiose, le persone consacrate ed i fedeli laici che rappresentano l’intera comunità ecclesiale di Roma. In modo speciale saluto le Autorità presenti, ad iniziare dal Sindaco di Roma, ringraziandolo per il dono del calice che, secondo una bella tradizione, ogni anno si rinnova. Auspico di cuore che non manchi l’impegno di tutti affinché il volto della nostra Città sia sempre più consono ai valori di fede, di cultura e di civiltà che appartengono alla sua vocazione e alla sua storia millenaria.
Un altro anno si avvia a conclusione mentre ne attendiamo uno nuovo: con la trepidazione, i desideri e le attese di sempre. Se si pensa all’esperienza della vita, si rimane stupiti di quanto in fondo essa sia breve e fugace. Per questo, non poche volte si è raggiunti dall’interrogativo: quale senso possiamo dare ai nostri giorni? Quale senso, in particolare, possiamo dare ai giorni di fatica e di dolore? Questa è una domanda che attraversa la storia, anzi attraversa il cuore di ogni generazione e di ogni essere umano. Ma a questa domanda c’è una risposta: è scritta nel volto di un Bambino che duemila anni fa è nato a Betlemme e che oggi è il Vivente, per sempre risorto da morte. Nel tessuto dell’umanità lacerato da tante ingiustizie, cattiverie e violenze, irrompe in maniera sorprendente la novità gioiosa e liberatrice di Cristo Salvatore, che nel mistero della sua Incarnazione e della sua Nascita ci fa contemplare la bontà e la tenerezza di Dio. Dio eterno è entrato nella nostra storia e rimane presente in modo unico nella persona di Gesù, il suo Figlio fatto uomo, il nostro Salvatore, venuto sulla terra per rinnovare radicalmente l’umanità e liberarla dal peccato e dalla morte, per elevare l’uomo alla dignità di figlio di Dio. Il Natale non richiama solo il compimento storico di questa verità che ci riguarda direttamente, ma, in modo misterioso e reale, ce la dona di nuovo.
Come è suggestivo, in questo tramonto di un anno, riascoltare l’annuncio gioioso che l’apostolo Paolo rivolgeva ai cristiani della Galazia: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4,4-5). Queste parole raggiungono il cuore della storia di tutti e la illuminano, anzi la salvano, perché dal giorno del Natale del Signore è venuta a noi la pienezza del tempo. Non c’è, dunque, più spazio per l’angoscia di fronte al tempo che scorre e non ritorna; c’è adesso lo spazio per una illimitata fiducia in Dio, da cui sappiamo di essere amati, per il quale viviamo e al quale la nostra vita è orientata in attesa del suo definitivo ritorno. Da quando il Salvatore è disceso dal Cielo, l’uomo non è più schiavo di un tempo che passa senza un perché, o che è segnato dalla fatica, dalla tristezza, dal dolore. L’uomo è figlio di un Dio che è entrato nel tempo per riscattare il tempo dal non senso o dalla negatività e che ha riscattato l’umanità intera, donandole come nuova prospettiva di vita l’amore, che è eterno.
La Chiesa vive e professa questa verità ed intende proclamarla ancora oggi con rinnovato vigore spirituale. In questa celebrazione abbiamo speciali ragioni di lodare Dio per il suo mistero di salvezza, operante nel mondo mediante il ministero ecclesiale. Abbiamo tanti motivi di ringraziamento al Signore per ciò che la nostra comunità ecclesiale, nel cuore della Chiesa universale, compie al servizio del Vangelo in questa Città. A tale proposito, unitamente al Cardinale Vicario, Agostino Vallini, ai Vescovi Ausiliari, ai Parroci e all’intero presbiterio diocesano, desidero ringraziare il Signore, in particolare, per il promettente cammino comunitario volto ad adeguare alle esigenze del nostro tempo la pastorale ordinaria, attraverso il progetto «Appartenenza ecclesiale e corresponsabilità pastorale». Esso ha l’obiettivo di porre l’evangelizzazione al primo posto, al fine di rendere più responsabile e fruttuosa la partecipazione dei fedeli ai Sacramenti, così che ciascuno possa parlare di Dio all’uomo contemporaneo e annunciare con incisività il Vangelo a quanti non lo hanno mai conosciuto o lo hanno dimenticato.
La quaestio fidei è la sfida pastorale prioritaria anche per la Diocesi di Roma. I discepoli di Cristo sono chiamati a far rinascere in se stessi e negli altri la nostalgia di Dio e la gioia di viverlo e di testimoniarlo, a partire dalla domanda sempre molto personale: perché credo? Occorre dare il primato alla verità, accreditare l’alleanza tra fede e ragione come due ali con cui lo spirito umano si innalza alla contemplazione della Verità (cfr Giovanni Paolo II, Enc. Fides et ratio, Prologo); rendere fecondo il dialogo tra cristianesimo e cultura moderna; far riscoprire la bellezza e l’attualità della fede non come atto a sé, isolato, che interessa qualche momento della vita, ma come orientamento costante, anche delle scelte più semplici, che conduce all’unità profonda della persona rendendola giusta, operosa, benefica, buona. Si tratta di ravvivare una fede che fondi un nuovo umanesimo capace di generare cultura e impegno sociale.
In questo quadro di riferimento, nel Convegno diocesano dello scorso giugno la Diocesi di Roma ha avviato un percorso di approfondimento sull’iniziazione cristiana e sulla gioia di generare nuovi cristiani alla fede. Annunciare la fede nel Verbo fatto carne, infatti, è il cuore della missione della Chiesa e l’intera comunità ecclesiale deve riscoprire con rinnovato ardore missionario questo compito imprescindibile. Soprattutto le giovani generazioni, che avvertono maggiormente il disorientamento accentuato anche dall’attuale crisi non solo economica ma anche di valori, hanno bisogno di riconoscere in Gesù Cristo «la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana» (Conc. Vat. II, Cost. Gaudium et spes, 10).
I genitori sono i primi educatori alla fede dei loro figli fin dalla più tenera età; pertanto è necessario sostenere le famiglie nella loro missione educativa attraverso opportune iniziative. In pari tempo, è auspicabile che il cammino battesimale, prima tappa dell’itinerario formativo dell’iniziazione cristiana, oltre a favorire la consapevole e degna preparazione alla celebrazione del Sacramento, ponga adeguata attenzione agli anni immediatamente successivi al Battesimo, con appositi itinerari che tengano conto delle condizioni di vita che le famiglie devono affrontare. Incoraggio quindi le comunità parrocchiali e le altre realtà ecclesiali a proseguire con impegno nella riflessione per promuovere una migliore comprensione e recezione dei Sacramenti attraverso i quali l’uomo è reso partecipe della vita stessa di Dio. Non manchino alla Chiesa di Roma fedeli laici pronti ad offrire il proprio contributo per edificare comunità vive, che permettano alla Parola di Dio di irrompere nel cuore di quanti ancora non hanno conosciuto il Signore o si sono allontanati da Lui. Al tempo stesso, è opportuno creare occasioni di incontro con la Città, che consentano un proficuo dialogo con quanti sono alla ricerca della Verità.
Cari amici, dal momento che Dio ha mandato il suo Figlio unigenito, perché noi potessimo ottenere la figliolanza adottiva (cfr Gal 4,5), non può esistere per noi compito più grande di quello di essere totalmente al servizio del progetto divino. A tale proposito desidero incoraggiare e ringraziare tutti i fedeli della Diocesi di Roma, che sentono la responsabilità di ridonare un’anima a questa nostra società. Grazie a voi, famiglie romane, prime e fondamentali cellule della società! Grazie ai membri delle molte Comunità, delle Associazioni e dei Movimenti impegnati ad animare la vita cristiana della nostra Città!
«Te Deum laudamus!» Noi ti lodiamo, Dio! La Chiesa ci suggerisce di non terminare l’anno senza rivolgere al Signore il nostro ringraziamento per tutti i suoi benefici. È in Dio che deve terminare l’ultima nostra ora, l’ultima ora del tempo e della storia. Dimenticare questo fine della nostra vita significherebbe cadere nel vuoto, vivere senza senso. Per questo la Chiesa pone sulle nostre labbra l’antico inno Te Deum. È un inno pieno della sapienza di tante generazioni cristiane, che sentono il bisogno di rivolgere in alto il loro cuore, nella consapevolezza che siamo tutti nelle mani piene di misericordia del Signore.
«Te Deum laudamus!». Così canta anche la Chiesa che è in Roma, per le meraviglie che Dio ha operato e opera in essa. Con l’animo colmo di gratitudine ci disponiamo a varcare la soglia del 2012, ricordando che il Signore veglia su di noi e ci custodisce. A Lui questa sera vogliamo affidare il mondo intero. Mettiamo nelle sue mani le tragedie di questo nostro mondo e gli offriamo anche le speranze per un futuro migliore. Deponiamo questi voti nelle mani di Maria, Madre di Dio, Salus Populi Romani. Amen.


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Alle ore 9.30 di questa mattina, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Benedetto XVI ha presieduto la Celebrazione della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio nell’ottava di Natale e nella ricorrenza della 45a Giornata Mondiale della Pace sul tema: Educare i giovani alla giustizia e alla pace.



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Cari fratelli e sorelle!
Nel primo giorno dell’anno, la liturgia fa risuonare in tutta la Chiesa sparsa nel mondo l’antica benedizione sacerdotale, che abbiamo ascoltato nella prima Lettura: "Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace" (Nm 6,24-26). Questa benedizione fu affidata da Dio, tramite Mosè, ad Aronne e ai suoi figli, cioè ai sacerdoti del popolo d’Israele. E’ un triplice augurio pieno di luce, che promana dalla ripetizione del nome di Dio, il Signore, e dall’immagine del suo volto. In effetti, per essere benedetti bisogna stare alla presenza di Dio, ricevere su di sé il suo Nome e rimanere nel cono di luce che parte dal suo Volto, nello spazio illuminato dal suo sguardo, che diffonde grazia e pace.
Questa è l’esperienza che hanno fatto anche i pastori di Betlemme, che compaiono ancora nel Vangelo di oggi. Hanno fatto l’esperienza di stare alla presenza di Dio, della sua benedizione non nella sala di un maestoso palazzo, al cospetto di un grande sovrano, bensì in una stalla, davanti ad un "bambino adagiato nella mangiatoia" (Lc 2,16). Proprio da quel Bambino si irradia una luce nuova, che risplende nel buio della notte, come possiamo vedere in tanti dipinti che raffigurano la Natività di Cristo. E’ da Lui, ormai, che viene la benedizione: dal suo nome – Gesù, che significa "Dio salva" – e dal suo volto umano, in cui Dio, l’Onnipotente Signore del cielo e della terra, ha voluto incarnarsi, nascondere la sua gloria sotto il velo della nostra carne, per rivelarci pienamente la sua bontà (cfr Tt 3,4).
La prima ad essere ricolmata di questa benedizione è stata Maria, la vergine, sposa di Giuseppe, che Dio ha prescelto dal primo istante della sua esistenza per essere la madre del suo Figlio fatto uomo. Lei è la "benedetta fra le donne" (Lc 1,42)  come la saluta santa Elisabetta. Tutta la sua vita è nella luce del Signore, nel raggio d’azione del nome e del volto di Dio incarnato in Gesù, il "frutto benedetto del [suo] grembo". Così ce la presenta il Vangelo di Luca: tutta intenta a custodire e meditare nel suo cuore ogni cosa riguardante il suo figlio Gesù (cfr Lc 2,19.51).
Il mistero della sua divina maternità, che oggi celebriamo, contiene in misura sovrabbondante quel dono di grazia che ogni maternità umana porta con sé, tanto che la fecondità del grembo è sempre stata associata alla benedizione di Dio. La Madre di Dio è la prima benedetta ed è Colei che porta la benedizione; è la donna che ha accolto Gesù in sé e lo ha dato alla luce per tutta la famiglia umana. Come prega la Liturgia: "sempre intatta nella sua gloria verginale, ha irradiato sul mondo la luce eterna, Gesù Cristo nostro Signore" (Prefazio della B.V. Maria I).
Maria è madre e modello della Chiesa, che accoglie nella fede la divina Parola e si offre a Dio come "terra buona" in cui Egli può continuare a compiere il suo mistero di salvezza. Anche la Chiesa partecipa al mistero della divina maternità, mediante la predicazione, che sparge nel mondo il seme del Vangelo, e mediante i Sacramenti, che comunicano agli uomini la grazia e la vita divina. In particolare nel sacramento del Battesimo la Chiesa vive questa maternità, quando genera i figli di Dio dall’acqua e dallo Spirito Santo, il quale in ciascuno di essi grida: "Abbà! Padre!" (Gal 4,6). Come Maria, la Chiesa è mediatrice della benedizione di Dio per il mondo: la riceve accogliendo Gesù e la trasmette portando Gesù. È Lui la misericordia e la pace che il mondo da sé non può darsi e di cui ha bisogno sempre, come e più del pane.
Cari amici, la pace, nel suo senso più pieno e più alto, è la somma e la sintesi di tutte le benedizioni. Per questo quando due persone amiche si incontrano si salutano augurandosi vicendevolmente la pace. Anche la Chiesa, nel primo giorno dell’anno, invoca in modo speciale questo bene sommo, e lo fa, come la Vergine Maria, mostrando a tutti Gesù, perché, come afferma l’apostolo Paolo, "Egli è la nostra pace" (Ef 2,14), e al tempo stesso è la "via" attraverso la quale gli uomini e i popoli possono raggiungere questa meta, a cui tutti aspiriamo. Portando dunque nel cuore questo profondo desiderio, sono lieto di accogliere e di salutare tutti voi, che nell’odierna XLV Giornata Mondiale della Pace siete convenuti nella Basilica di San Pietro: i Signori Cardinali; gli Ambasciatori di tanti Paesi amici, che, più che mai in questa lieta occasione, condividono con me e con la Santa Sede la volontà di rinnovare l’impegno per la promozione della pace nel mondo; il Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, che con il Segretario e i Collaboratori lavorano in modo speciale per questa finalità; gli altri Presuli ed Autorità presenti; i rappresentanti di Associazioni e Movimenti ecclesiali e tutti voi, fratelli e sorelle, in particolare quanti tra voi lavorano nel campo del’educazione dei giovani. Infatti – come sapete – la prospettiva educativa è quella che ho seguito nel mio Messaggio di quest’anno.
"Educare i giovani alla giustizia e alla pace" è compito che riguarda ogni generazione, e, grazie a Dio, la famiglia umana, dopo le tragedie delle due grandi guerre mondiali, ha mostrato di esserne sempre più consapevole, come attestano, da una parte, dichiarazioni e iniziative internazionali e, dall’altra, l’affermarsi tra i giovani stessi, negli ultimi decenni, di tante e diverse forme di impegno sociale in questo campo.
Per la Comunità ecclesiale educare alla pace rientra nella missione ricevuta da Cristo, fa parte integrante dell’evangelizzazione, perché il Vangelo di Cristo è anche il Vangelo della giustizia e della pace. Ma la Chiesa, negli ultimi tempi, si è fatta interprete di una esigenza che coinvolge tutte le coscienze più sensibili e responsabili per le sorti dell’umanità: l’esigenza di rispondere ad una sfida decisiva che è appunto quella educativa. Perché "sfida"? Almeno per due motivi: in primo luogo, perché nell’era attuale, fortemente caratterizzata dalla mentalità tecnologica, voler educare e non solo istruire non è scontato, ma è una scelta; in secondo luogo, perché la cultura relativista pone una questione radicale: ha ancora senso educare?, e poi educare a che cosa?
Naturalmente non possiamo ora affrontare queste domande di fondo, alle quali ho cercato di rispondere in altre occasioni. Vorrei invece sottolineare che, di fronte alle ombre che oggi oscurano l’orizzonte del mondo, assumersi la responsabilità di educare i giovani alla conoscenza della verità, ai valori fondamentali dell’esistenza, alle virtù intellettuali, teologali e morali, significa guardare al futuro con speranza. E in questo impegno per un’educazione integrale, entra anche la formazione alla giustizia e alla pace. I ragazzi e le ragazze di oggi crescono in un mondo che è diventato, per così dire, più piccolo, dove i contatti tra le differenti culture e tradizioni, anche se non sempre diretti, sono costanti. Per loro, oggi più che mai, è indispensabile imparare il valore e il metodo della convivenza pacifica, del rispetto reciproco, del dialogo e della comprensione. I giovani sono per loro natura aperti a questi atteggiamenti, ma proprio la realtà sociale in cui crescono può portarli a pensare e ad agire in modo opposto, persino intollerante e violento. Solo una solida educazione della loro coscienza può metterli al riparo da questi rischi e renderli capaci di lottare sempre e soltanto contando sulla forza della verità e del bene. Questa educazione parte dalla famiglia e si sviluppa nella scuola e nelle altre esperienze formative. Si tratta essenzialmente di aiutare i bambini, i ragazzi, gli adolescenti, a sviluppare una personalità che unisca un profondo senso della giustizia con il rispetto dell’altro, con la capacità di affrontare i conflitti senza prepotenza, con la forza interiore di testimoniare il bene anche quando costa sacrificio, con il perdono e la riconciliazione. Così potranno diventare uomini e donne veramente pacifici e costruttori di pace.
In quest’opera educativa verso le nuove generazioni, una responsabilità particolare spetta anche alle comunità religiose. Ogni itinerario di autentica formazione religiosa accompagna la persona, fin dalla più tenera età, a conoscere Dio, ad amarlo e a fare la sua volontà. Dio è amore, è giusto e pacifico, e chi vuole onorarlo deve anzitutto comportarsi come un figlio che segue l’esempio del padre. Un Salmo afferma: "Il Signore compie cose giuste, / difende i diritti di tutti gli oppressi. … Misericordioso e pietoso è il Signore, / lento all’ira e grande nell’amore" (Sal 103,6.8). In Dio giustizia e misericordia convivono perfettamente, come Gesù ci ha dimostrato con la testimonianza della sua vita. In Gesù "amore e verità" si sono incontrati, "giustizia e pace" si sono baciate (cfr Sal 85,11). In questi giorni la Chiesa celebra il grande mistero dell’Incarnazione: la verità di Dio è germogliata dalla terra e la giustizia si è affacciata dal cielo, la terra ha dato il suo frutto (cfr Sal 85,12.13). Dio ci ha parlato nel suo Figlio Gesù. Ascoltiamo che cosa dice Dio: "egli annuncia la pace" (Sal 85,9). Gesù è una via praticabile, aperta a tutti. E’ la via della pace. Oggi la Vergine Madre ce lo indica, ci mostra la Via: seguiamola! E tu, Santa Madre di Dio, accompagnaci con la tua protezione. Amen

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SOLENNITÀ DI MARIA SS.MA MADRE DI DIO
XLV GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
BENEDETTO XVI
ANGELUS
Piazza San Pietro
Domenica, 1° gennaio 2012
  
Cari fratelli e sorelle!
Nella liturgia di questo primo giorno dell’anno risuona la triplice benedizione biblica: «Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace» (Nm 6,24-26). Il volto di Dio noi lo possiamo contemplare, si è fatto visibile, si è rivelato in Gesù: Egli è l’immagine visibile del Dio invisibile. E questo grazie anche alla Vergine Maria, della quale oggi celebriamo il titolo più grande, quello con cui partecipa in modo unico alla storia della salvezza: essere Madre di Dio. Nel suo grembo il Figlio dell’Altissimo ha assunto la nostra carne, e noi possiamo contemplare la sua gloria (cfr Gv 1,14), sentire la sua presenza di Dio-con-noi.
Iniziamo così il nuovo anno 2012 fissando lo sguardo sul Volto di Dio che si rivela nel Bambino di Betlemme, e sulla sua Madre Maria, che ha accolto con umile abbandono il disegno divino. Grazie al suo generoso «sì» è apparsa nel mondo la luce vera che illumina ogni uomo (cfr Gv 1,9) e ci è stata riaperta la via della pace.
Cari fratelli e sorelle, come è ormai felice consuetudine, celebriamo quest’oggi la Giornata Mondiale della Pace, la quarantacinquesima. Nel Messaggio che ho indirizzato ai Capi di Stato, ai Rappresentanti delle Nazioni e a tutti gli uomini di buona volontà, e che ha come tema «Educare i giovani alla giustizia e alla pace», ho voluto richiamare la necessità e l’urgenza di offrire alla nuove generazioni adeguati percorsi educativi per una formazione integrale della persona, inclusa la dimensione morale e spirituale (cfr n. 3). Ho voluto sottolineare, in particolare, l’importanza di educare ai valori della giustizia e della pace. I giovani guardano oggi con una certa apprensione al futuro, manifestando aspetti della loro vita che meritano attenzione, come «il desiderio di ricevere una formazione che li prepari in modo più profondo ad affrontare la realtà, la difficoltà a formare una famiglia e a trovare un posto stabile di lavoro, l’effettiva capacità di contribuire al mondo della politica, della cultura e dell’economia per la costruzione di una società dal volto più umano e solidale» (n. 1). Invito tutti ad avere la pazienza e la costanza di ricercare la giustizia e la pace, di coltivare il gusto per ciò che è retto e vero (n. 5). La pace non è mai un bene raggiunto pienamente, ma una meta a cui tutti dobbiamo aspirare e per la quale tutti dobbiamo operare.
Preghiamo perché, nonostante le difficoltà che talvolta rendono arduo il cammino, questa profonda aspirazione si traduca in gesti concreti di riconciliazione, di giustizia e di pace. Preghiamo anche perché i responsabili delle Nazioni rinnovino la disponibilità e l’impegno ad accogliere e favorire questo insopprimibile anelito dell’umanità. Affidiamo questi auspici all’intercessione della Madre del “Re della Pace”, affinché l’anno che inizia sia un tempo di speranza e di pacifica convivenza per il mondo intero.

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Il commento che segue e' di Massimo Introvigne.

Sia alla recita dell'Angelus, sia nell'omelia della Messa del 1° gennaio, su cui vale la pena meditare particolarmente, Papa Benedetto XVI ha ricordato che «nel primo giorno dell’anno, la liturgia fa risuonare in tutta la Chiesa sparsa nel mondo l’antica benedizione sacerdotale», che consta di tre parti: «Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace» (Nm 6,24-26).

«Questa benedizione - ha ricordato il Papa - fu affidata da Dio, tramite Mosè, ad Aronne e ai suoi figli, cioè ai sacerdoti del popolo d’Israele». Si tratta di «un triplice augurio pieno di luce, che promana dalla ripetizione del nome di Dio, il Signore, e dall’immagine del suo volto. In effetti, per essere benedetti bisogna stare alla presenza di Dio, ricevere su di sé il suo Nome e rimanere nel cono di luce che parte dal suo Volto, nello spazio illuminato dal suo sguardo, che diffonde grazia e pace».

Nel Nuovo Testamento, «questa è l’esperienza che hanno fatto anche i pastori di Betlemme»: «l'esperienza di stare alla presenza di Dio, della sua benedizione non nella sala di un maestoso palazzo, al cospetto di un grande sovrano, bensì in una stalla, davanti ad un "bambino adagiato nella mangiatoia" (Lc 2,16)». Eppure «proprio da quel Bambino si irradia una luce nuova, che risplende nel buio della notte, come possiamo vedere in tanti dipinti che raffigurano la Natività di Cristo». Con l'evento di Betlemme la storia cambia radicalmente. È da quel bambino «ormai, che viene la benedizione: dal suo nome - Gesù, che significa "Dio salva" - e dal suo volto umano, in cui Dio, l’Onnipotente Signore del cielo e della terra, ha voluto incarnarsi, nascondere la sua gloria sotto il velo della nostra carne, per rivelarci pienamente la sua bontà (cfr Tt 3,4)».

La prima ad avere ricevuto questa nuova benedizione è stata Maria, «che Dio ha prescelto dal primo istante della sua esistenza per essere la madre del suo Figlio fatto uomo. Lei è la "benedetta fra le donne" (Lc 1,42) – come la saluta santa Elisabetta. Tutta la sua vita è nella luce del Signore, nel raggio d’azione del nome e del volto di Dio incarnato in Gesù, il "frutto benedetto del [suo] grembo". Così ce la presenta il Vangelo di Luca: tutta intenta a custodire e meditare nel suo cuore ogni cosa riguardante il suo figlio Gesù (cfr Lc 2,19.51)». Per questo la Chiesa inizia l'anno con una liturgia e una festa dedicate a Maria, Madre di Dio.

Questo «mistero della sua divina maternità, che oggi celebriamo, contiene in misura sovrabbondante quel dono di grazia che ogni maternità umana porta con sé, tanto che la fecondità del grembo è sempre stata associata alla benedizione di Dio. La Madre di Dio è la prima benedetta ed è Colei che porta la benedizione; è la donna che ha accolto Gesù in sé e lo ha dato alla luce per tutta la famiglia umana. Come prega la Liturgia: "sempre intatta nella sua gloria verginale, ha irradiato sul mondo la luce eterna, Gesù Cristo nostro Signore" (Prefazio della B.V. Maria I)».
Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha voluto sottolineare in modo specialissimo il rapporto fra Maria e la Chiesa, e la liturgia ce lo ricorda. «Maria è madre e modello della Chiesa, che accoglie nella fede la divina Parola e si offre a Dio come "terra buona" in cui Egli può continuare a compiere il suo mistero di salvezza». Come Maria,  «anche la Chiesa partecipa al mistero della divina maternità, mediante la predicazione, che sparge nel mondo il seme del Vangelo, e mediante i Sacramenti, che comunicano agli uomini la grazia e la vita divina. In particolare nel sacramento del Battesimo la Chiesa vive questa maternità, quando genera i figli di Dio dall’acqua e dallo Spirito Santo, il quale in ciascuno di essi grida: "Abbà! Padre!" (Gal 4,6)». Ancora, «come Maria, la Chiesa è mediatrice della benedizione di Dio per il mondo: la riceve accogliendo Gesù e la trasmette portando Gesù. È Lui la misericordia e la pace che il mondo da sé non può darsi e di cui ha bisogno sempre, come e più del pane».

Il 1° gennaio è la Giornata Mondiale della Pace, ma sarebbe sbagliato - ha detto il Papa - separare questo tema da quello delle benedizioni che la liturgia ci ricorda. In realtà, «la pace, nel suo senso più pieno e più alto, è la somma e la sintesi di tutte le benedizioni. Per questo quando due persone amiche si incontrano si salutano augurandosi vicendevolmente la pace».  Se dunque «anche la Chiesa, nel primo giorno dell’anno, invoca in modo speciale questo bene sommo» della pace, non lo fa come se si trattasse di un mero pacifismo umano: «lo fa, come la Vergine Maria, mostrando a tutti Gesù, perché, come afferma l’apostolo Paolo, "Egli è la nostra pace" (Ef 2,14), e al tempo stesso è la "via" attraverso la quale gli uomini e i popoli possono raggiungere questa meta, a cui tutti aspiriamo».

È questa la sintesi, insiste il Pontefice, del suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1° gennaio 2012, che già abbiamo a suo tempo presentato su La Bussola Quotidiana. Il suo titolo, «"Educare i giovani alla giustizia e alla pace" [indica un ] compito che riguarda ogni generazione, e, grazie a Dio, la famiglia umana, dopo le tragedie delle due grandi guerre mondiali, ha mostrato di esserne sempre più consapevole, come attestano, da una parte, dichiarazioni e iniziative internazionali e, dall’altra, l’affermarsi tra i giovani stessi, negli ultimi decenni, di tante e diverse forme di impegno sociale in questo campo». Ma il Papa insiste sempre - si potrebbe dire, senza tema di ripetersi - che per i cattolici non si tratta di una educazione civica o umanitaria meramente umana. No: per i cattolici  «educare alla pace rientra nella missione ricevuta da Cristo, fa parte integrante dell’evangelizzazione, perché il Vangelo di Cristo è anche il Vangelo della giustizia e della pace».

La scelta per il Messaggio di quest'anno del tema dell'educazione non è casuale. Infatti, «la Chiesa, negli ultimi tempi, si è fatta interprete di una esigenza che coinvolge tutte le coscienze più sensibili e responsabili per le sorti dell’umanità: l’esigenza di rispondere ad una sfida decisiva che è appunto quella educativa».  Perché - si chiede il Pontefice - la chiamiamo «sfida»? «Almeno per due motivi: in primo luogo, perché nell’era attuale, fortemente caratterizzata dalla mentalità tecnologica, voler educare e non solo istruire non è scontato, ma è una scelta; in secondo luogo, perché la cultura relativista pone una questione radicale: ha ancora senso educare?, e poi educare a che cosa?».
Anche fra i temi dell'educazione e delle benedizioni  c'è un nesso. Il Papa vuole «sottolineare che, di fronte alle ombre che oggi oscurano l’orizzonte del mondo, assumersi la responsabilità di educare i giovani alla conoscenza della verità, ai valori fondamentali dell’esistenza, alle virtù intellettuali, teologali e morali, significa guardare al futuro con speranza».  I giovani sono «per loro natura» aperti alla verità e alla giustizia, ma «la realtà sociale in cui crescono può portarli a pensare e ad agire in modo opposto, persino intollerante e violento».

Che fare? «Solo una solida educazione della loro coscienza può metterli al riparo da questi rischi e renderli capaci di lottare sempre e soltanto contando sulla forza della verità e del bene». Come afferma anche il Messaggio, «questa educazione parte dalla famiglia e si sviluppa nella scuola e nelle altre esperienze formative. Si tratta essenzialmente di aiutare i bambini, i ragazzi, gli adolescenti, a sviluppare una personalità che unisca un profondo senso della giustizia con il rispetto dell’altro, con la capacità di affrontare i conflitti senza prepotenza, con la forza interiore di testimoniare il bene anche quando costa sacrificio, con il perdono e la riconciliazione».
Nella risposta all'emergenza educativa, «una responsabilità particolare spetta anche alle comunità religiose. Ogni itinerario di autentica formazione religiosa accompagna la persona, fin dalla più tenera età, a conoscere Dio, ad amarlo e a fare la sua volontà. Dio è amore, è giusto e pacifico, e chi vuole onorarlo deve anzitutto comportarsi come un figlio che segue l’esempio del padre».

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La preghiera che segue è di Karl Rahner s.j.



Vergine Santa, vera Madre del Verbo eterno venuto nella nostra carne e nel nostro destino; Donna che nella fede e nel tuo Figlio benedetto hai accolto la sal­vezza di noi tutti; Madre, dunque, di tutti i redenti; tu che vivi per sempre nella vita di Dio; tu che sei vicina a noi, perché chi è più strettamente unito a Dio è più vici­no a noi!
Esprimendo la gratitudine dei redenti, noi celebria­mo l'eterna misericordia di Dio che ti ha redenta. Quan­do tu cominciavi ad essere, la grazia santificante ti aveva già prevenuta, e questa grazia senza pentimenti non ti ha mai più abbandonata. Tu percorresti la via di tutti i figli di questa terra, gli stretti sentieri che sembrano ser­peggiare senza sbocco attraverso il tempo, le vie delle cose ordinarie e della sofferenza mortale. Ma erano le vie di Dio, i sentieri della fede e dell'incondizionato «Avvenga di me secondo la tua parola». In un istante che non tramonta mai più e che resta valido per tutta l'e­ternità, la tua parola fu la parola dell'umanità e il tuo «sì», l'amen di tutta la creazione al «sì» di Dio. E tu con­cepisti nella fede e nel tuo grembo colui che è nello stes­so tempo Dio e uomo, Creatore e creatura, beatitudine immutabile e senza tramonti, destino amaro e votato al­la morte terrena: Gesù Cristo, nostro Signore. Tu hai detto «sì» alla nostra salvezza. Come donna della nostra stessa stirpe hai pronunciato per noi quel «fiat». Per noi hai accolto e tenuto nascosto nel tuo grembo e nel tuo amore colui nel cui nome soltanto v'è salvezza in cielo e in terra.
                                            
II tuo «sì» è rimasto tale per sempre. Non fu mai più ritirato, neppure quando nella storia della vita e della morte del tuo figlio si manifestò in modo chiaro chi era realmente colui che tu avevi concepito: l'Agnello di Dio, che prese su di sé i peccati del mondo; il Figlio del­l'uomo, che l'odio contro Dio della nostra stirpe peccatrice inchiodò sulla croce; la luce del mondo, che gli uo­mini di questo stesso mondo gettarono nelle tenebre di quella morte che era nostra sorte. Tu, Vergine Santa, stavi sotto la croce del Redentore, ai piedi del vero albe­ro della conoscenza del bene e del male, del vero albero della vita, come la nuova Eva e la Madre dei viventi. In te l'umanità redenta, la Chiesa, stava ai piedi della croce del mondo e riceveva il frutto della redenzione e della salvezza eterna.

Intercedi per noi, Madre!  Qui, Vergine e Madre, è raccolta una comunità di redenti e di battezzati. In questa comunità dove la co­munione di tutti i santi è visibile e tangibile, noi implo­riamo la tua intercessione. La comunione dei santi, in­fatti, abbraccia quelli che stanno ancora sulla terra e quelli che sono ormai giunti al compimento: nella comu­nione dei santi nessuno vive per sé solo, e dunque nep­pure tu. Perciò tu preghi per tutti coloro che, come fra­telli e sorelle redenti, sono uniti a te in questa comunio­ne dei santi, e noi confidiamo in te e imploriamo la tua potente intercessione, che non rifiuti neppure a quanti non ti conoscono. Tu ci ottieni la grazia di essere dei veri cristiani, dei veri redenti e dei veri battezzati; di essere sempre più conformi alla vita e alla morte di nostro Si­gnore; di vivere nella Chiesa e nel suo Spirito; di essere adoratori di Dio in spirito e verità; di essere testimoni della salvez-za con tutta la nostra vita in ogni sua espres­sione; di essere uomini puri e castigati, veritieri e che in tutto cercano la verità; di essere coraggiosi e umili nel prepararci  nell'esplicare la nostra professione, che noi consideriamo santa vocazione di Dio; di essere figli di Dio lieti e fiduciosi, che edificano sul fondamento del Si­gnore di tutti i tempi, oggi e per sempre.

Noi ci consacriamo a te, Vergine e Madre santa, per­ché ti siamo già consacrati. Come siamo edificati non soltanto sulla pietra angolare che è Gesù Cristo, ma an­che sul fondamento degli apostoli e dei profeti, così la nostra vita e la nostra salvezza dipendono sempre anche dal tuo «sì», dalla tua fede e dal frutto del tuo seno. Se, dunque, diciamo che vogliamo essere consacrati a te, confessiamo solo che vogliamo essere ciò che già siamo, confessiamo che vogliamo assumere nel nostro spirito e nel nostro cuore e nelle opere dell'uomo interiore ed esteriore ciò che già siamo. Con questa consacrazione noi cerchiamo semplicemente di fare sì che la storia del­la nostra vita segua l'itinerario della storia della salvez­za, che Dio ha già operato e nella quale ci ha già inseriti. Noi veniamo a te perché la nostra salvezza ebbe luogo in te e da te l'abbiamo ricevuta. Poiché così ti siamo consa­crati e a te ci consacriamo, mostra a noi, consacrati nella tua grazia, Gesù, il frutto benedetto del tuo seno. Mo­straci Gesù, il Signore e il Redentore, la luce della verità e l'avvento di Dio nel nostro tempo. Mostraci Gesù, che veramente ha sofferto e veramente è risuscitato. Mo­straci Gesù, che è il Figlio del Padre e il Figlio della ter­ra, perché è Figlio tuo. Mostraci colui nel quale siamo stati veramente liberati da tutti i principati e le potestà che tuttavia stanno ancora sotto il cielo; colui nel quale siamo stati liberati, anche se l'uomo terreno rimane an­cora soggetto a quelle potestà. Mostraci Gesù, ieri, oggi e nell'eternità.