lunedì 8 aprile 2013

Pregate per me... Firmato Francisco


Il cardinal Bergoglio lava i piedi a 12 ragazzi del Hogar de Cristo, alla periferia di Buenos Aires
Il cardinal Bergoglio lava i piedi a 12 ragazzi del Hogar de Cristo, alla periferia di Buenos Aires

Inaspettata lettera del Papa ai ragazzi e alle ragazze che lottano contro la droga in una baraccopoli di Buenos Aires







Le inedite telefonate e i messaggi a sorpresa di Bergoglio Papa hanno raggiunto anche loro, i ragazzi degli Hogar de Cristo, le case dove trovano accoglienza e cura dal paco, la droga povera, quella che distrugge in fretta, ricavata dai residui della lavorazione della cocaina. E non solo loro, perché negli Hogar ci sono anche giovani abusati sessualmente, delinquenti, sieropositivi, disoccupati, residui anch’essi espulsi dalla grande metropoli. Gli Hogar portano il nome del cileno Alberto Hurtado, gesuita come Bergoglio e santo dall’ottobre del 2005.
Papa Francesco non si è dimenticato di quando venne fondato il primo, nella villa miseria 21, nel marzo di cinque anni fa. Quel giovedì santo del 2008 andò ad inaugurarlo di persona, lavò i piedi a 12 ragazzi che iniziavano il processo di recupero, e formulò i due principi a cui avrebbe dovuto ispirarsi l’azione educativa: “prendere la vita come viene” e “condurre una lotta corpo a corpo” con la tossicodipendenza. Nella lettera a sorpresa che si sono visti recapitare ragazzi, preti e responsabili dell’Hogar, papa Francesco evoca gli inizi: “cominciammo questo cammino con molta timidezza”, ricorda. “Oggi l’Hogar è una realtà grande” – scrive Bergoglio. E articolata in differenti livelli: c’è una fattoria per il recupero degli uomini dedicata a Madre Teresa di Calcutta, delle “case dell’amicizia” dove alloggia chi ha finito il periodo di recupero e cerca lavoro. Le minacce di morte ricevute dal sacerdote José Maria di Paola nell’aprile del 2009, il suo successivo allontanamento dalla baraccopoli, hanno avuto il risultato di dilatare ancor di più i confini del primitivo Hogar. Ne sono nati altri due nel 2011, uno dedicato al sacerdote Carlos Mujica assassinato nel 1974, l’altro a don Bosco. “Quanto dobbiamo ringraziare!” scrive, da Roma, il loro Bergoglio. “Quando mi sarebbe piaciuto essere personalmente con voi! Quanto ho imparato dalla vostra lotta quotidiana! Come ringrazio di avervi conosciuto! Quanto bene mi avete fatto e mi fate ancora oggi!”.
Le ultime parole della lettera a loro indirizzata sono di incoraggiamento, di speranza.  “E vi ricordo: vale la pena andare avanti… vale la pena lottare… vale la pena Gesù e sua madre la Vergine… Non lasciatevi rubare la speranza! Festeggiate, celebrate, comportatevi bene! E per favore non dimenticatevi di pregare e far pregare per me. Ne ho molto bisogno”.

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 (Gian Marian Vian) Il rapporto tra il vescovo e il popolo è stato al centro del semplice e solenne insediamento del successore di Pietro sulla cattedra romana del Laterano. Un rito importante e mantenuto nei secoli che, pur nel mutare dei tempi e nonostante periodi di eclissi, da sempre vuole esprimere la dimensione più autentica del papato: quella pastorale, legata indissolubilmente alla diocesi di Roma e radicata nella triplice parola di Cristo rivolta al primo degli apostoli.Una dimensione che Papa Francesco, in continuità con i predecessori, con gesti e parole semplici ha saputo esprimere e comunicare con efficacia immediata e nuova fin dai primi momenti del suo pontificato, suscitando interesse e simpatia tra credenti e non credenti. Gesti e parole che sono nella storia personale del gesuita Jorge Mario Bergoglio e nel suo episcopato, come lui stesso ha accennato più volte e come appare dal motto, non consueto, miserando et eligendo.
Tratte dal commento di Beda all’episodio della scelta e della chiamata del pubblicano Matteo, poi apostolo ed evangelista, le parole latine vogliono esprimere l’atteggiamento di Gesù: la sua misericordia e l’invito a seguirlo. In altre parole, l’essenziale della fede cristiana, come al popolo di Roma ha spiegato il suo vescovo parlando della pazienza di Dio. In coerenza e in continuità con una predicazione quotidiana che Papa Francesco svolge durante le messe del mattino.
Lo sguardo di misericordiosa tenerezza (miserando) che è proprio di Gesù mostra questa pazienza di Dio che — secondo una intuizione antica espressa modernamente da Romano Guardini e ricordata dal Pontefice — risponde alla debolezza umana. Così fa il padre misericordioso che attende il figlio, così Cristo risorto lascia una settimana di tempo all’apostolo Tommaso per ricredersi della sua incredulità, proprio come aveva atteso le lacrime di Pietro e la sua triplice risposta che bilancia il triplice rinnegamento.
È dunque un’attesa, ma al tempo stesso una chiamata (et eligendo), la pazienza del Padre che attende il ritorno del figlio. «Quante proposte mondane sentiamo attorno a noi» ha constatato Papa Francesco, invitando con dolcezza a lasciarsi afferrare dalla proposta di Dio perché «la sua è una carezza di amore». Amore espresso dalla vita e dal sacrificio di Gesù, e dunque dalle sue piaghe, invocate nel ritmo medievale Anima Christi che ricorre più volte negli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola e che è stato nuovamente diffuso grazie a una bellissima melodia di Taizé.
Vividamente, l’esperienza personale è stata richiamata dal vescovo di Roma per ricordare al suo popolo «il coraggio di entrare nelle piaghe di Cristo». Così, incontrando la sua misericordia nei sacramenti «sentiremo il suo abbraccio e saremo anche noi più capaci di misericordia». g.m.v. L'Osservatore Romano, 9 aprile 2013.