sabato 9 agosto 2014

2 film da non perdere

elisei

Un film su Giacomo Leopardi, poeta ateo o “credente”?

di F. Agnoli
Alla 71esima Mostra del Cinema di Venezia (in programma dal 27 agosto al 6 settembre), in concorso per l’Italia ci sarà, tra gli altri, Il giovane favoloso di Mario Martone. Dedicare un film a Giacomo Leopardi, poeta dell’ ‘800 non particolarmente “simpatico” e dalla vita non propriamente brillante, è un gesto coraggioso. Detto questo, Giacomo Leopardi si presta molto bene allo spirito di questa rubrica. Per il tempo in cui visse, e per le domande
che si pose. Egli si colloca in un’epoca decisiva per la storia dell’Italia: nasce infatti durante le invasioni napoleoniche e muore all’inizio dell’età risorgimentale. Il suo pessimismo deriva anche da qui. Ma andiamo con ordine.
Ognuno infatti è figlio della sua famiglia, oltre che della sua epoca. E i genitori di Giacomo non sono tipetti banali banali, incapaci di lasciare il segno. Monaldo, infatti, è un uomo eccezionale: religiosissimo, “buonissimo e di ottimo cuore”, secondo la definizione di sua figlia Paolina, ma anche molto battagliero e focoso; sostenitore del progresso scientifico, tanto da impegnarsi in prima linea per introdurre la vaccinazione nel suo paese, quanto avverso al pensiero materialista contemporaneo; profondamente concreto, tanto da occuparsi di bonifiche e di sistemi di irrigazione, quanto pronto a dilapidare il patrimonio, lasciando la famiglia nelle ristrettezze, per comperare una libreria privata o difendere il suo paese dalle perquisizioni dei giacobini francesi… Se in casa subisce la durezza della moglie, fuori casa Monaldo è un uomo affermato, apprezzato dai concittadini e letto in tutta Europa, grazie ai suoi dialoghi filosofici.
La mamma di Giacomo, Adelaide Antici, è invece una donna di una religiosità arcigna e un po’ giansenista, poco disposta a comprendere bisogni, debolezze e desideri dei figli. Distante, per carattere, anche dal marito, “quanto sono distanti tra loro il cielo e la terra” (parola di Monaldo), Adelaide ha una strana concezione del dolore e della croce, contribuendo così ad allontanare Giacomo da una fede giovanile sentita e calorosa. Giacomo si forma sui testi antichi, sulla Bibbia, e sui testi illuministi, che il padre possiede, legge e avversa a parole e negli scritti. La religiosità opprimente e priva di dolcezza di Adelaide, le proprie sofferenze fisiche, che lo accompagneranno per tutta la vita, e lo spirito di un’epoca che crede, con Helvetius, d’Holbac e Diderot, che l’uomo non sia nulla più che materia; nulla più degli animali; creatura non voluta e amata, ma “nel numero dei possibili”, sono, a mio avviso, i tre fattori che giustificano la visione pessimistica e materialistica del poeta di Recanati.
Di qui quella parte della sua produzione in cui l’uomo non è che parte di un immenso ingranaggio senza scopo; di qui la sua teoria del piacere e le riflessioni filosofiche, affidate per lo più allo Zibaldone, che sembrano in perfetto accordo con una visione materialistica del mondo.
Ma Leopardi veramente ateo non fu mai. Tutta la sua poesia è infatti un non rassegnarsi. E’ un continuo domandare e chiedere conto di un senso che non può non esistere. Pensiamo ad una poesia che fu tanto amata da don Luigi Giussani: “Sopra il ritratto di una bella donna”. In essa Leopardi si chiede: “Natura umana, or come,/se frale in tutto e vile, /se polve ed ombra sei, tant’alto senti?”. Qui, scriveva don Giussani, Leopardi sente fortemente “la sproporzione tra fattori che ci costituiscono”. Mortali e polvere sì, ma c’è dell’altro! Di qui le domande, magari alla luna in cielo, come nel Canto di un pastore errante per l’Asia; o persino le suggestioni gnostiche (Dio esiste, ma è malvagio)…
Ma l’uomo desidera davvero il piacere, o non piuttosto la felicità? E’ veramente solo un animale? Se sì, “perchè giacendo/ a bell’agio, ozioso, /s’appaga ogni animale;/ me, s’io giaccio in riposo, il tedio assale?” In tanti passaggi delle poesie di Leopardi, la bellezza della natura o di Silvia sembrano promettere, almeno per qualche istante, l’esistenza di un significato. Ma, apparente paradosso, sono il limite umano, la noia, l’infelicità a spingere Leopardi a pensare, in più occasioni, che l’uomo non è solo un ammasso di atomi: il limite, che lo porta ad annegare nell’infinito, nei “sovraumani silenzi”, e lo spinge a dire che proprio la piccolezza dell’uomo, rispetto all’immensità dell’universo, rivela la “forza”, la “nobiltà”, la “immensa capacità della sua mente, la quale rinchiusa in sì piccolo e menomo essere, è potuta pervenire a conoscere e intender cose tanto superiori alla natura di lui, e può abbracciare e contener col pensiero questa immensità medesima della esistenza e delle cose”; l’infelicità, che diventa, nello Zibaldone, “una delle grandi prove dell’immortalità dell’anima”, perché solo le “bestie sono felici o quasi felici…”; la noia, definita “il più sublime dei sentimenti umani” perché dimostra che l’uomo non può “essere soddisfatto da alcuna cosa terrena, né, per dir così, dalla terra intera”, perché “tutto è poco e piccino alla capacità dell’animo proprio”.
C’è insomma un’ inquietudine, una mancanza che sentiamo tutti. Il problema è sapere, riecheggiando Mario Luzi, di chi sia “mancanza questa mancanza”. Il Foglio, 7 agosto 2014
Una trasmissione radiofonica su Leopardi, la sua vita e la sua poesia:
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There Be Dragons - Un Santo nella tempesta

In onda sabato 16 agosto 2014 alle ore 21.05 su RAI3 il film del regista Roland Joffé sulla figura di San Josemaría Escrivá giovane, che nel doloroso contesto della guerra civile invita i suoi primi seguaci a non coltivare né odio né vendetta


Robert è un giornalista incaricato dalla sua testato di scrivere un articolo su Josemaría Escrivá la cui beatificazione è prossima. Arrivato a Madrid, cerca di contattare suo padre Manolo che non vede da anni. Questi, prima riluttante, decide di raccontare al figlio la sua storia, che fu strettamente connessa con quella di S. Escrivá: trascorsero una serena giovinezza assieme ma poi la guerra civile separò i loro destini.
Roland Joffé è un autore che si pone delle domande e cerca delle risposte.
Lo fa attraverso i protagonisti dei suoi film più significativi, che si trovano coinvolti in situazioni di conflitto realmente accadute nel passato prossimo o remoto; in questi contesti essi cercano di capire, spesso in modo tormentato, cosa è giusto fare e cosa è sbagliato.
In alcuni dei suoi lavori i personaggi principali sono due, per testimoniare un modo diverso di reagire di fronte agli eventi.
In Mission (1986) il gesuita Padre Gabriel (Jeremy Irons) e l’avventuriero Rodrigo Mendoza (Robert De Niro) rispondono in modo diverso all’ingiusta imposizione di cancellare il “sacro esperimento” realizzato, nel segno del Vangelo, fra gli indios Guaranì e se Rodrigo prende le armi per contrastare l’assalto delle truppe portoghesi, padre Gabriel organizza una processione con il Santissimo seguito da donne e bambini.
In Urla nel silenzio (1984) che ha come scenario la Cambogia e le atrocità compiute dai Khmer Rossi, Sidney, un giornalista americano (Sam Waterston) decide di tornare in patria mentre il suo collega cambogiano Pran sceglie di restare. Sidney non si dà pace per esser riuscito a salvare se stesso ma non il suo amico e inizia una lunga ricerca nel tentativo di riportarlo in patria.
Anche in There Be Dragons (Encontraras Dragones) Joffé porta lo spettatore all’interno di un conflitto (il film è ambientato prevalentemente durante la guerra civile spagnola) e ancora una volta i protagonisti si domandano, di fronte a un dramma che divide le famiglie e lacera le coscienze, come è giusto comportarsi.
In quest’ultimo lavoro l’approccio adottato è differente rispetto ai film precedenti: la risposta non rimanda al buon senso, alla coscienza del singolo, ma Roland Joffé ha trovato le risposte che cercava in un contesto più ampio: negli insegnamenti e nell’esempio di San Josemaría Escrivá, il fondatore dell’Opus Dei. Al contempo come nei suoi precedenti film, affianca a Josemaría un personaggio di contrasto, Manolo, un immaginario amico d’infanzia che ben presto sceglie strade diverse: nel suo animo tormentato si addensano spirito di vendetta, gelosia e l’atteggiamento cinico di chi non trova nella vita nessun senso se non la ricerca del proprio tornaconto.
Nel 1936 Josemaría aveva 34 anni e Joffé non si limita a schizzare in brevi quadri le peripezie di  questo giovane sacerdote e dei suoi primi seguaci (la difficile vita in una Madrid sotto la minaccia dei rastrellamenti dei repubblicani, la prima approvazione dell’Opus Dei, la lunga marcia attraverso i Pirenei per passare nella zona nazionalista) ma pur  considerandosi  un agnostico, l’autore ha compreso molto bene  la fede che ha sostenuto Josemaría in quegli anni e man mano che il racconto progredisce, cresce in profondità fino ad abbracciare tematiche universali:  il significato del perdono, il potere lacerante dell’odio e della vendetta,  il senso del male che colpisce anche gli innocenti, i  segni con cui cogliere la provvidenza divina, il dialogo fra religioni diverse, la vocazione sacerdotale, la vocazione alla santità dei laici.
Il film affronta tutti questi temi senza cercar di proporre, come spesso capita in molti film contemporanei, una saggia, umana filosofia di vita, ma pone al centro del problema il rapporto fra l’uomo e Dio e va a cogliere direttamente il senso soprannaturale con cui vanno affrontati i grandi momenti della storia come le piccole scelte quotidiane.
In una sequenza drammatica, di fronte alle violenze che colpiscono sacerdoti e persone innocenti nella Madrid del 1936, i giovani che accompagnano Escrivá ritengono che sia necessario reagire, armandosi e organizzando una forma di crociata. Josemaría ricorda loro che la rivoluzione che compie un cristiano è prima di tutto quella interiore: non ci può essere odio fra di noi perché siamo tutti figli di Dio, anche i nostri nemici; bisogna essere operatori di pace e pregare anche per chi ha torto.
Un altro tema portante che attraversa tutto il film è quello del perdono: lo ricorda il direttore del seminario dopo un litigio che vede coinvolti Josemaría e Manolo: “La negazione del perdono è l’unica cosa che non ci verrà perdonata”.  E’ il perdono che riunisce alla fine del film Manolo con suo figlio sul letto di morte, dopo anni di indifferenza reciproca e lo unisce idealmente anche a Josemaría (morto anni prima) che non aveva mai cessato di pregare per lui e scrivergli regolarmente.
“Il silenzio di Dio”, il senso imperscrutabile del dolore che colpisce anche gli innocenti viene affrontato più volte in diverse circostanze del film: da Josemaría bambino, che dopo la morte della sua terza sorellina, chiede alla madre se ha ora iniziato a odiare Dio; alla ragazza che ha subito violenza e che si domanda se Dio non sia un mostro ma che poi decide di rispondere con più amore e più preghiere. Spetta però alla tata di Josemaría (una simpatica Geraldine Chaplin) cercare di cogliere il senso alla provvidenza divina: “la vita è come un filo di uno di quei ricami intrecciato con altri fili. Tenuti insieme nello spazio e nel tempo. E’ difficile intuire il modello che Dio sta ricamando prima che sia finito”.
Joffé prende questa come altre frasi dalla ricca biografia di S. Escrivá ma le rielabora creativamente all’interno della sua costruzione concedendosi anche qualche comprensibile variante: il padre di Josemaría era un commerciante di stoffe ma nel film diventa il proprietario di una fabbrica di cioccolato: in questo modo la trasformazione di un chicco in una preziosa tavoletta di cioccolato grazie all’ abilità e al duro lavoro dei lavoranti diventa la metafora di un percorso di  santificazione tramite le attività ben fatte di una vita ordinaria.
E’ proprio grazie alla approfondita comprensione che Joffé ha raggiunto della figura del santo e alla felice interpretazione di Carlie Cox che il personaggio Josemaría risulta particolarmente ben riuscito; non si può dire lo stesso per Manolo, personaggio costruito a tavolino per i quale ci saremmo aspettati non l’idealizzazione della malvagità allo stato puro, ma un personaggio dai caratteri più umani.
Il film si sviluppa per due ore ma l’abilità di Joffé di lavorare fra passato e presente più storie in parallelo riesce a conservare alta l’attenzione dello spettatore fino alla fine anche se il suo contenuto è così denso che è facile arrivare a percepire la necessità di vederlo una seconda volta.
Il film è stato distribuito in Spagna, Stati Uniti ed America Latina ed è disponibile in DVD in lingua spagnola (o inglese) con sottotitoli in italiano.
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Titolo Originale: There Be DragonsPaese: Spagna, Argentina
Anno: 2011
Regia: Roland Joffé
Sceneggiatura: Roland Joffé
Produzione: Antena 3 Films, Mount Santa Fe
Durata: 120
Interpreti: Carlie Cox, Wes Bentley, Olga Kurylenko, Geraldine Chaplin, Dougray Scott, Rodrigo Santoro
Per ogni approfondimento: http://www.familycinematv.it