sabato 9 agosto 2014

La tragedia irachena e Papa Francesco




Nuovo tweet del Papa: "La violenza non si sconfigge con altra violenza. Dona la pace, Signore, ai nostri giorni! #PrayForPeace" (9 agosto 2014)

Nuovo tweet del Papa: "Chiedo alla comunità internazionale di proteggere tutte le vittime di violenza in Iraq." (9 agosto 2014)

*
Il Papa: chiedo preghiere per gli iracheni
Francesco ha spedito oggi tre tweet, tre messaggi al mondo intero, per invitare alla preghiera per i cristiani iracheni e tutte le comunità perseguitate. Per tutti coloro che hanno perso casa, lavoro e spesso tanti cari.

Nel primo tweet ha scritto: Chiedo a tutti gli uomini di buona volontà di unirsi alle mie preghiere per i cristiani iracheni e per tutte le comunità perseguitate. Nel secondo: Vi prego di dedicare un momento oggi alla preghiera per tutti coloro che sono costretti a lasciare la loro casa in Iraq. #prayforpeace. E infine nel terzo, lanciato nel tardo pomeriggio: Signore, ti preghiamo di sostenere coloro che in Iraq sono privati di tutto. #prayforpeace. 

Il primo tweet di Papa Francesco arriva poco dopo l'annuncio vaticano che il Pontefice ha nominato il cardinale Fernando Filoni suo inviato personale nel nord dell'Iraq, per esprimere la sua vicinanza spirituale alle popolazioni che soffrono e portare loro la solidarietà della Chiesa.

Il cardinale Filoni, Prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei popoli,  è stato nunzio in Giordania e Iraq dal 2001 al 2006, e come è noto fu l'unico rappresentante diplomatico a rimanere sempre a Baghdad", anche durante l'intervento militare degli Stati Uniti.

Il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha precisato che è ancora "presto" per i dettagli della missione, che avverrà "nei prossimi giorni". È tuttavia prevedibile, ha risposto Lombardi ai giornalisti, che Filoni "desideri arrivare in Kurdistan". Annunciati da Obama ieri sera (la notte italiana), i raid Usa contro le postazioni dell'Isis nel nord dell'Iraq sono cominciati alle 6.45 del mattino ora di Washington (le 12.45 in Italia): lo ha reso noto il portavoce del Pentagono, John Kirby. Due bombardieri FA 18 hanno sganciato due bombe a guida laser da oltre 226 chilogrammi ciascuna contro pezzi di artiglieria mobile in prossimità di Erbil. l ribelli islamici stanno usando l'artiglieria per bombardare le forze curde poste a difesa di Erbil, dove si trova del personale Usa.

Gli attacchi sono stati autorizzati dal presidente Barack Obama per proteggere i quasi centomila cristiani cacciati e per impedire il genocidio di decine di migliaia di yazidi rifugiatisi su una montagna per sfuggire ai combattenti dello Stato Islamico che minacciano di sterminarli. Aerei americani stanno lanciando viveri, acqua e medicinali ai civili sfollati.Anche la Gran Bretagna ha annunciato un intervento umanitario con lancio di generi di prima necessità per le popolazioni in fuga.

Il Papa invia il cardinale Filoni
«Chiedo a tutti gli uomini di buona volontà di unirsi alle mie preghiere per i cristiani iracheni e per tutte le comunità perseguitate».

Il porporato "farà presente alle autorità l'interesse e la preoccupazione del Papa" ed è previsto che porti alle popolazioni colpite anche "un contributo economico da parte del Santo Padre". I nunzi apostolici "della regione", inoltre, sono stati "incaricati di far presente sia alle autorità politiche e civili, sia alle Chiese locali, l'appello del Papa per l'Iraq" diffuso ieri, ha detto Lombardi. Vi è infine in "progetto" un "incontro dei nunzi apostolici a Roma", che si svolgerà "più in là nel tempo" e, più specificamente, "può essere messo in cantiere a settembre" 

L'avanzata jihadista: conquistata la diga di Mosul
Le milizie jihadiste sunnite dello Stato islamico si sono impadronite delladiga di Mosul, il più grande bacino artificiale dell'Iraq che regola l'approvvigionamento di acqua ed elettricità in una vasta zona: lo hanno reso noto fonti del governo autonomo regionale curdo.

L'Onu condanna la «persecuzione» delle minoranze religiose
Il Consiglio di sicurezza dell'Onu, in una dichiarazione approvata all'unanimità, ha chiesto alla comunità internazionale di sostenere il governo iracheno, condannando le violenze dell'Isis e quella che viene definita una vera e propria "persecuzione" delle minoranze religiose in Iraq.

L'ayatollah al-Sistani: fermare i jihadisti
La massima autorità religiosa irachena, il grande ayatollah Ali al-Sistani, ha rivolto un pressante appello a tutti gli iracheni affinché si uniscano per far fronte al "grande pericolo" rappresentato dai jihadisti dello Stato Islamico. Nel sermone del venerdì l'ayatollah ha accusato i politici iracheni di essere i responsabili della disgregazione del paese.
Avvenire

*


Iraq, le case cristiane marchiate: come facevano i nazisti   
Repubblica
(Gad Lerner) Sugli edifici di Mosul la lettera Nun, iniziale di Nassarah, la parola usata per i seguaci di Gesù. La denuncia di una giornalista di fede musulmana che ha lanciato una campagna di solidarietà --  Il marchio d'infamia è stato impresso in vernice nera, con bombolette spray e trasferibili, sulle case di Mosul da cui stanno fuggendo i cristiani iracheni: a noi sembra una mezzaluna sormontata da una stella, nell'alfabeto arabo è la lettera Nun, cioè l'iniziale di Nassarah, Nazareno, il termine con cui il Corano indica i seguaci di Gesù di Nazareth.
Un marchio, appunto. Imposto dalle milizie dell'autoproclamatosi califfo al-Baghdadi agli infedeli per i quali non c'è posto nello Stato islamico dell'Iraq e del Levante a meno che si convertano, soggiacciano a una speciale tassazione, subiscano la devastazione dei loro antichi luoghi di culto e la confisca dei beni. Evoca involontariamente un segno salvifico, la striscia di sangue tracciata sulle case degli ebrei schiavi in Egitto al fine di proteggerli dalla strage dei primogeniti. Ma non è certo il libro dell'Esodo a essere richiamato da questa odiosa schedatura. Semmai torna alla mente la stella di Davide imposta dai nazisti agli innocenti perseguitati per la loro origine etnica. 
È stata una giornalista irachena di fede musulmana, Dalia al-Aqidi, a denunciare per prima l'abominio di Mosul. Dando vita a una campagna di solidarietà, "Siamo tutti Nun", di cui si è fatta capofila la tv libanese Lbci. Un'altra donna coraggiosa, Dima Sadek, è apparsa in video indossando una maglietta recante quel simbolo. Il segno di una maledizione che dilaga a macchia d'olio là dove si dissolvono gli Stati-nazione mediorientali; e il fanatismo religioso ritorna a essere uno strumento di dominazione violenta. I guerrieri islamisti che si sono impossessati della rivolta popolare siriana contro la dittatura di Assad — anche per la colpevole inerzia delle democrazie occidentali che non hanno sostenuto per tempo le sacrosante istanze di libertà della primavera araba — manovrano cinicamente la leva del terrore. Hanno diffuso video crudeli di esecuzioni sommarie e crocifissioni, prima di questa vergognosa schedatura delle case. Ma non è certo la fede religiosa a muoverli. Sono miserabili saccheggiatori e violentatori di donne. Il loro è né più né meno un disegno di potere. La loro propaganda dell’Isis contempla remote minacce di sottomettere Roma, ma la loro strategia mira alla conquista delle capitali arabe, a cominciare da Bagdad e Damasco, scommettendo che subito dopo possano cadere nelle loro mani anche la fragile Giordania e la ricca Beirut. Vogliono portare a termine il disegno egemonico in cui ha fallito Al Qaeda. Sono crudeli ma realisti: la sfida a Israele non rientra nei loro piani immediati di conquista del mondo arabo. 
Così la sfida lanciata contro le comunità cristiane dell’Iraq, costrette a una tragica fuga con cui viene recisa una convivenza millenaria, diviene il simbolo della volontà iconoclasta di fare tabula rasa della storia e della civiltà della regione. Se non venissero fermati in tempo, infine marcerebbero sulla Mecca e magari su Teheran. In un assetto mondiale sempre più pluralista e cosmopolita, l’Isis che perseguita i cristiani sembra rappresentare un anacronismo. Ma è invece il frutto avvelenato della fragilità delle democrazie, incapaci di presentarsi come modello realizzabile anche sulla sponda sud del Mediterraneo; riproposta come terra di califfati e emirati, dalla irachena Mosul alla libica Bengasi. Gioca a loro favore il sostegno di cui troppo a lungo hanno goduto dittature spietate, proprio ora che, dopo il fallimento delle rivolte arabe, serpeggia fra gli Stati Uniti e l’Europa il miraggio della restaurazione: affidare di nuovo ai raìs, come il generale egiziano Al Sisi, la compromessa stabilità di tutta l’area. 
Oggi il marchio Nun impresso sulle case dei cristiani offende la nostra coscienza e ci impone di non ignorare più a lungo il pericolo imminente. Viene da pensare alle nostre due giovani volontarie cattoliche, Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, trascinate a Aleppo dal nobile impulso di fare del bene, di soccorrere i bambini siriani. Forse chi le ha sequestrate pretende di dirci che per i cristiani laggiù non c’è più posto, neanche quando si presentano con un ramoscello d’ulivo e con un sorriso disarmato. 
L’idea che come al tempo delle crociate il mondo debba essere spartito per appartenenze territoriali conquistate con le armi — la terra dei musulmani, la terra dei cristiani, e nessuna terra per gli ebrei — è antistorica. Vuole indurre anche noi a cedere alla tentazione delle democrazie blindate declinanti sulla via dell’apartheid. Magari a marchiare per ritorsione le case dei musulmani. Ma questo non può essere il nostro futuro, questa sarebbe la nostra fine. Mi auguro che si levi forte, stavolta, e per prima, una voce civile dell’Islam, deturpato da quella lettera Nun.

*

Iraq, le armi della diplomazia vaticana   
Il Foglio
 
(Matteo Matzuzzi) Dopo il comunicato con cui giovedì il Papa s’appellava alla comunità internazionale perché ponesse fine al “dramma umanitario” in corso in Iraq, Francesco ha deciso di prendere in mano l’iniziativa diplomatica della Santa Sede. Entro qualche giorno, fa sapere il direttore della Sala stampa, padre Federico Lombardi, il prefetto della congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, il cardinale Fernando Filoni, si recherà in Iraq, raggiungendo con ogni probabilità anche le zone curde. E’ lui che il Papa ha nominato “inviato personale” con l’incarico di portare “vicinanza spirituale alle popolazioni che soffrono e la solidarietà della chiesa”. 
Profondo conoscitore della realtà irachena, diplomatico di rango, il cardinale Filoni è stato nunzio in Iraq dal 2001 al 2006, non abbandonando Baghdad neppure durante l’ultima guerra del Golfo. “Spero di poter venire incontro alle esigenze di tanta gente, e non solo manifestando la sollecitudine del Papa, ma anche cercando di vedere con il Patriarcato cosa noi possiamo fare come chiesa universale”, ha detto il porporato alla Radio Vaticana. Un ruolo cruciale nel determinare la linea della Santa Sede pare destinato ad averlo proprio la chiesa caldea, con il suo massimo rappresentante, il patriarca Louis Sako, poco propenso a sedersi attorno a un tavolo con chi ha già fatto sapere che tra musulmani e cristiani non v’è che la spada. “Il patriarca Sako è sul posto e quindi conosce molto bene tanti aspetti che purtroppo a noi possono sfuggire”, ha detto Filoni commentando le parole di Sako sul genocidio in atto. Oltretevere s’insiste sul dramma umanitario, sulla sofferenza dei cristiani costretti a mettersi in marcia scalzi senza nulla al seguito, mentre poco viene detto su cosa ha causato una delle più massicce emigrazioni forzate della storia recente. Anche il comunicato diffuso giovedì sera dalla congregazione per le Chiese orientali, il dicastero guidato dal cardinale Leonardo Sandri, non conteneva alcun accenno ai responsabili dell’esodo in corso, e cioè ai miliziani dell’Isis. Sul campo, invece, lo spazio per la diplomazia è assai ridotto, e il clero invoca un aiuto concreto dalla comunità internazionale, che non può più limitarsi a dirsi inorridita dalle N di nazara (cristiano) dipinte sulle case o dagli episcopi dati alle fiamme insieme alle statue della Madonna: “Vediamo la morte e ciò che fanno i terroristi. I villaggi sono vuoti ma il mondo non sente e non vede. Non basta dare il pane per aiutare”, ha detto alla Radio Vaticana il vescovo di Amadiya, Kurdistan, mons. Rabban al Qas. Intanto, con un comunicato diffuso al termine di una riunione tenutasi a Ed Dimane, in Libano, i patriarchi delle chiese orientali cattoliche e ortodosse hanno chiesto che “gli arabi e i musulmani adottino un atteggiamento fermo su quello che sta avvenendo nella piana di Ninive”, esortando i leader islamici a pubblicare delle fatwa affinché la persecuzione abbia termine. I patriarchi, inoltre, sottolineano “le timide e insufficienti” prese di posizione da parte “islamica, araba e internazionale” e si appellano all’Onu perché adotti in tempi brevi una risoluzione che ordini la restituzione delle case e di tutti i beni requisiti agli iracheni, “con tutti i mezzi possibili”. Anche con la forza, come diceva ieri alla Stampa il vescovo di Erbil, mons. Bashar Matti Warda, per il quale “se l’unico modo è rispondere con la forza alla forza, mi sembra proprio il caso di farlo”. Anche per porre argine alla distruzione di Qaraqosh, la principale città cristiana dell’Iraq, occupata due giorni fa dai miliziani: “Saccheggiano, devastano, rubano nelle case, non risparmiano nemmeno le chiese”, ha detto ieri mons. Yousif Thoma, vescovo di Kirkuk. 
Da Roma fanno sapere che si sta lavorando per organizzare nelle prime settimane di settembre un incontro tra tutti i nunzi apostolici in vicino e medio oriente e il Pontefice. L’obiettivo, ha detto padre Lombardi, è di “studiare la situazione, scambiare idee e possibili iniziative e manifestare anche in questo modo la vicinanza del Papa e della chiesa universale ai problemi che sono in corso”. A ogni modo, dice al Servizio di informazione religiosa mons. Emil Shimoun Nona, vescovo di Mosul, non c’è altro tempo da perdere: “Ben vengano acqua, medicine, vestiti, kit sanitari e cibo ma ci sono anche altre urgenze e la prima è quella di fermare queste milizie. Se non saranno bloccate sarà dura anche per il Kurdistan. Sono jihadisti ben addestrati, più numerosi dei peshmerga, ben equipaggiati e pronti a tutto. Bisogna fermarli il prima possibile. Abbiamo bisogno di aiuto internazionale e di essere difesi. Quella che doveva essere una enclave protetta per i cristiani sta diventando il nostro inferno”.