martedì 19 agosto 2014

Con lo stile di chi serve.



Celebrazioni a Riese. In occasione del centenario della morte di Papa Pio X, sabato 23 agosto, alle 20, il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, presiederà la messa nel parco del santuario delle Cendrole a Riese. La celebrazione, preceduta da una processione che partirà dalla chiesa parrocchiale, sarà il momento culminante delle numerose iniziative promosse dalla diocesi di Treviso per ricordare Papa Sarto. Durante il rito si pregherà per la pace, specialmente in Medio oriente.
(Carlo Fantappié) Da almeno mezzo secolo il pontificato di Pio X ha diviso e continua a dividere non solo la Chiesa ma anche gli studiosi. Tuttavia sarebbe errato imputare la responsabilità del contrasto di giudizi e di valutazioni agli storici di diverso orientamento oppure alle strumentalizzazioni dei lefebvriani. Bisogna prendere atto che siamo di fronte a una figura complessa di Papa, la cui azione di governo e, prima ancora, i reali propositi e i tratti psicologici pongono difficoltà interpretative non ancora del tutto superate. 
È dunque opportuna e meritevole l’intenzione di Gianpaolo Romanato di tracciare un profilo a tutto tondo di Pio X. Vi si era cimentato già nel 1992; lo rifà adesso, in occasione del centenario della morte del Pontefice, con Pio X. Alle origini del cattolicesimo contemporaneo (Torino, Lindau, 2014, pagine 584, euro 32), opera aggiornata sulla base delle più recenti indagini. 
Uno dei pregi maggiori di questa indagine è l’aver unito la compiutezza e la finezza della ricostruzione biografica con un’immagine unitaria ed equilibrata di Sarto. Facendo ricorso a una costante correlazione tra ricostruzione analitica e quadro generale, Romanato ha valicato l’interpretazione sezionale e polemica cui questa figura è andata soggetta. In un tempo in cui prevale, nella storia del papato, un impianto storico-politico o di carattere sociale, a detrimento degli aspetti culturali, teologici e religiosi, questa scelta metodologica non può che essere salutata positivamente.
Ma quel che è da apprezzare maggiormente in Romanato è il coraggio intellettuale di contrastare i dominanti clichés storiografici che, a seconda dei punti prospettici, hanno dipinto Pio X ora come «il buon parroco mite e ingenuo», ora come «l’arcigno conservatore nemico di ogni riforma», ora — ed è lo stereotipo oggi più diffuso — come «il cieco martellatore della cultura». 
Credo sia pienamente da condividere la tesi di fondo che sorregge l’interpretazione di Romanato, e cioè che la «cifra vera del suo pontificato» sia rappresentata dalla «riforma della Chiesa» e non dalle preoccupazioni politiche. Un pontificato, dunque, che si discostava dalle priorità diplomatiche del suo predecessore Leone XIII e del segretario di Stato Rampolla, anche se la difesa a oltranza della sovranità e dell’autonomia della Chiesa dalle ingerenze degli Stati-nazione in Europa e in America Latina sarà uno dei tratti salienti del nuovo pontificato e una delle ragioni del recupero di prestigio internazionale della Santa Sede.
A partire da questo assunto centrale, mi sembra debbano venire reinterpretati tanto i nuovi rapporti ad extra (messa in sordina della questione romana, rifiuto delle associazioni cultuali in Francia, opposizione al partito cattolico e a ogni ideologia sociale autosufficiente), quanto le numerose riforme ad intra (dalla musica sacra alla codificazione canonica, dal nuovo assetto dei seminari italiani alla riorganizzazione della Curia Romana, dal Catechismo per i fanciulli alla pietà eucaristica). Non si tratta di provvedimenti slegati: c’è una circolarità sostanziale tra le riforme istituzionali e organizzative, quelle strettamente giuridiche e quelle pastorali. Il tutto è raccordato a un disegno di rinnovamento centrato sulla missione spirituale della Chiesa con connotati fortemente cristocentrici.
Tuttavia la volontà di riforma di Papa Sarto era destinata, per un lato, a scontrarsi con la sorda resistenza del centro e della periferia della Chiesa, àncorati per tanti versi alle tradizioni di antico regime, e, per un altro lato, a entrare in rotta di collisione con le istanze di revisione dogmatica, disciplinare e istituzionale avanzate, in sintonia con la cultura liberale, dal movimento modernista. Bene fa quindi Romanato a richiamare frequentemente il tema delle resistenze interne (ancora da studiare) e, al tempo stesso, a evocare lo spettro del modernismo come l’antitesi del programma di rinnovamento papale. 
D’altra parte va considerato che questo rinnovamento delle strutture e delle regole interne alla vita della Chiesa viene concepito da Pio X secondo modalità assolutamente centralistiche, per quanto attuato con la collaborazione di una squadra di esperti. Dunque il peso dell’ideazione delle grandi riforme, così come la loro attuazione o fallimento, proveniva e gravava interamente sulla persona papae. In questo senso l’azione di governo di Pio X va posta in relazione anche con il grado di autocoscienza papale e con la peculiare consapevolezza del proprio officium. Un intellettuale filomodernista come Luigi Salvatorelli parlava di lui come di «un individuo ripieno di una forza e di una virtù divina, un individuo contenente del sacro». 
Alla luce del ruolo speciale rivestito dal Papa nella riforma della Chiesa, si comprende la necessità di riferirsi alla psicologia del pontefice. Romanato la tratteggia acutamente, vagliando e comparando le numerose testimonianze raccolte per il processo di beatificazione. La personalità di Pio X si presenta prima di tutto fortemente determinata. Da qui la tendenza a pianificare e a organizzare le varie riforme adottando il metodo burocratico-amministrativo in uso presso lo Stato liberale. Ogni riforma papale segue un iter comune: parte da un’idea-base, espressa in un piano generale; questo viene poi affidato, per essere specificato, a esperti cui il Pontefice non fa mai mancare, mediante comunicazione scritta, direttive tassative; i dubbi eventualmente insorti nelle commissioni così come le fasi di avanzamento della riforma, infine, sono oggetto di intervento e controllo costante da parte del Papa e della sua segreteria privata.
Questo modo autocratico di concepire il governo della Chiesa è accompagnato in Pio X da un atteggiamento tendenzialmente difensivo nei confronti dell’establishment e diffidente nei riguardi degli stessi collaboratori, della cui fedeltà e obbedienza non di rado dubitava. Ciò permette di inquadrare meglio certe decisioni papali come la creazione della «Segretariola», un organismo agile, efficiente e sicuro al servizio delle riforme, che però scavalcava spesso il filtro della Segreteria di Stato e le inerzie della Curia. Ma ci fa comprendere anche come sia stato possibile che il Papa abbia sconfinato in pratiche dissimulatorie o esercitato una particolare sospettosità e durezza nei confronti di taluni cardinali, vescovi e chierici. Avvalendosi delle indagini recenti sulle carte vaticane, Romanato elimina definitivamente quelle ipotesi apologetiche che cercavano di addebitare le responsabilità delle misure poliziesche agli stretti collaboratori anziché direttamente al Papa.
A mio avviso i metodi repressivi del modernismo si spiegano solo facendo riferimento a un complesso di fattori. Il modernismo si scontrava con una determinata visione dell’ortodossia e della Chiesa che era propria della teologia della Restaurazione, secondo cui il dogma era una dimensione connessa più alla disciplina che alla ragione teologica. Il fondamento della Chiesa istituzione era poi identificato nel principio di autorità e di sovranità assoluta del Papa, come l’aveva definito il Vaticano I. 
Inoltre per Papa Sarto — formatosi nella cultura intrasigente veneta e assiduo lettore di monsignor Pie — l’errore nelle materie dottrinali rivestiva una rilevanza superiore a qualunque deviazione pratica. Dunque era assente dal suo orizzonte l’idea che le componenti filosofiche e ideologiche avessero una loro consistenza autonoma nella società contemporanea e potessero condizionare le scelte indipendentemente dalle intenzioni individuali.
Ma su Pio X influiva specialmente una visione del potere e dell’obbedienza nella Chiesa analoga per tanti aspetti all’esecuzione dei comandi nell’apparato centrale degli Stati liberali. Nella concezione del ius publicum ecclesiasticum l’uso del potere coercitivo da parte della Chiesa era giustificato dalla corrispondenza con i poteri dello Stato sovrano, per cui era preciso dovere dell’autorità competente ricorrere a sanzioni per evitare non solo comportamenti antigiuridici ma anche deviazioni dottrinali «sempre perniciosi ma deleteri al sommo se riguardino la religione» scriveva il suo segretario di Stato Merry del Val ancora nel 1929.
Questi diversi aspetti sono sufficienti per capire che il modernismo metteva in crisi, oltre il patrimonio dogmatico, la stessa autorità e costituzione della Chiesa: sulla base di queste coordinate dottrinali e giuridiche esso era percepito come l’elemento disgregatore dell’intera compagine ecclesiastica. Non poteva non attivare una grande reazione oppositiva.
Tuttavia — nota Romanato — il problema di fondo non è quello del metodo con cui fu represso il modernismo, bensì quello della opportunità e validità della sua condanna. Non c’è dubbio che Pio X avesse una chiara consapevolezza del carattere decisivo della posta in gioco. Appena tre anni fa, il maggiore storico del modernismo, Émile Poulat, osservava che «il merito, troppo dimenticato, dell’enciclica Pascendi, è di avere compreso e indicato che si trattava d’una rivoluzione culturale totale, che non si limitava all’esegesi, ma inglobava ogni aspetto della vita intellettuale». Da questo punto di vista lo scontro tra ortodossia romana e modernismo teologico assumeva un carattere ultimativo. Era in discussione la definizione dei dogmi fondanti il cristianesimo, il valore del deposito della fede e della tradizione dogmatica, ossia l’essere stesso del cattolicesimo. È mia convinzione che il modernismo si sia posto come il più grosso intralcio al disegno riformatore della Chiesa di Papa Sarto e, nella coscienza dei decenni successivi alla sua morte, abbia oscurato il suo eccezionale apporto al cattolicesimo del Novecento. 
Pio X ereditò una Curia Romana e una Chiesa italiana ancora immersa nell’atmosfera della Restaurazione. Nonostante la rivoluzione francese, la soppressione dello Stato pontificio e il consolidamento degli Stati nazione, la Curia manteneva la struttura, i metodi e lo stile che Sisto V le aveva dato nel 1588. La volontà di Pio X era di trasformarla radicalmente da organismo di antico regime qual era, in un organismo amministrativo e burocratico al servizio del governo pastorale del papato. Quanto alla Chiesa italiana, nessun Papa prima del Sarto aveva avuto il coraggio di indagarne a fondo la pulviscolare organizzazione delle diocesi e la carente formazione e condotta morale del clero mediante un piano sistematico di visite apostoliche. È evidente che l’impegno profuso da Pio X doveva avere carattere esemplare.
Opportunamente Romanato ha aggiunto quale sottotitolo alla nuova biografia di Papa Sarto la frase «alle origini del cattolicesimo contemporaneo». 
Se dovessi sintetizzare il legato storico del pontificato di Pio X indicherei almeno quattro punti: il pieno recupero di una sovranità spirituale della Chiesa nei confronti degli Stati, la codificazione canonica, la modernizzazione della Curia romana e la riforma pastorale morale e intellettuale della Chiesa. Il che è sufficiente per assicurare un ruolo unico a Pio X nel traghettare il cattolicesimo dalle strutture e dalla mentalità della Restaurazione alla modernità istituzionale, giuridica e pastorale.


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 Il segretario di Stato ricorda la figura di Papa Sarto

Sono molte «le somiglianze», soprattutto nello «stile del servizio», fra Pio X e Papa Francesco, accomunati anche dalla circostanza di aver esercitato «il ministero diretto in una diocesi, tra sacerdoti e fedeli». A proporre questo parallelo è il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, nell’intervista pubblicata dal settimanale della diocesi di Treviso «La Vita del popolo» nell’edizione del 10 agosto, dedicata al centenario della morte di Papa Sarto. 
«Sono convinto — afferma — che Papa Pio X e Papa Francesco ci possono ispirare una profonda gioia di appartenere a Cristo e alla Chiesa, una sincera adesione al Vangelo da testimoniare in qualsiasi ambiente di vita e una fervorosa ansia missionaria». 
Del resto, tiene a precisare, ciò che davvero conta è che «ogni Papa ha ricevuto da Cristo il mandato di pascere il suo gregge ed è chiamato a rivivere in se stesso la figura e i sentimenti del buon Pastore e di spendersi nella custodia e per la crescita della Chiesa che il Signore gli ha affidato». Perciò «le sensibilità e i modi possono essere diversi, ma il Papa, che si chiami Pietro, Pio, Clemente o con qualsiasi altro nome, che sia italiano o non italiano, deve risvegliare sempre nel cuore dei cattolici un profondo affetto e un grande senso di comunione con lui».
Ed è precisamente ciò che ha saputo fare Pio X, «il quale — secondo il cardinale — ha mantenuto per tutta la vita i lineamenti dell’umile e laborioso prete delle nostre diocesi venete di fine ‘800: la modestia e la bonomia; la battuta spontanea e benevola; la preparazione e lo studio teologico e giuridico che coltivò con assiduità, anche da parroco; la profonda fedeltà alla Chiesa e ai pastori; la capacità di essere guida di anime con la confessione, la predicazione e la direzione spirituale; la sincera condivisione delle misere condizioni di vita di gran parte del popolo a lui affidato; il senso concreto e realista (il buon senso!) delle cose e delle situazioni, e delle soluzioni da adottare». E, in proposito, il cardinale ricorda «lo stupore e l’entusiasmo dei romani nei primi anni del suo pontificato, quando videro il Papa accogliere tutti in Vaticano per spiegare il catechismo o il vangelo della domenica».
Questo stile pastorale, spiega, ha fatto sì che «molte dimensioni del ministero di Pio X» siano valide ancor oggi. Tra queste, il porporato indica «la liturgia; poi il catechismo per piccoli e adulti, come luogo di conoscenza delle verità della fede e di maturazione delle convinzioni interiori dei battezzati e della vita cristiana». E, ancora, «altre scelte pastorali di Pio X che mantengono intatta la loro attualità», ha proseguito, sono «la precisa teologia cui ispirare la proposta cristiana e la testimonianza evangelica; la creatività nell’annuncio della fede e nella pratica dell’amore fraterno; la comunione con i pastori della Chiesa; la partecipazione dei fedeli alle associazioni ecclesiali (si veda, ad esempio, la grande riforma dell’Azione cattolica da lui voluta); l’esemplare sollecitudine per i poveri e i diseredati».
Nella formazione del Papa, fa notare il segretario di Stato, hanno inciso anche le radici venete, a cominciare dalla famiglia e dalla parrocchia: «Da qui la sua insistenza sulla santità dei vescovi e dei preti e sui loro doveri nella cura delle anime; sul catechismo, che nel Veneto era ormai da secoli entrato a far parte del patrimonio parrocchiale; sull’articolazione delle parrocchie, in specie per quanto concerne l’apostolato dei laici, la valorizzazione della donna, la viva attenzione all’emigrazione».
Proprio questi elementi hanno portato i fedeli ad amare Papa Sarto e a riconoscere in lui la santità. Non c’è dunque da stupirsi se «da diversi anni prolificano studi, volumi e convegni su Pio X», rileva il cardinale, che rimarca come la figura di Pio X non sia «più vincolata al solo problema del modernismo. È piuttosto sulla ventata “pastorale” da lui introdotta nella Chiesa del primo ‘900 che si sta concentrando l’attenzione». Del resto, conclude, egli «effettivamente fu un pastore, un parroco anche da Pontefice, un riformatore, un creativo, un uomo che accolse i fedeli e allargò le braccia per abbracciare tutti (e così lo si volle rappresentare nella statua nella basilica di San Pietro), un sacerdote consapevole della grandezza del ministero sacro e totalmente consacrato al bene dei fedeli, soprattutto di quelli più umili e poveri».


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Sono nelle mani di Dio   

Pubblichiamo una pagina dal libro «Il santo pontefice romano Pio X» di Nello Vian (con fotografie di Leonard von Matt) uscito sessant’anni fa alla vigilia della canonizzazione
(Nello Vian) Quattro giorni dopo l’undicesimo anniversario della sua elezione, l’8 agosto 1914, avvertì i primi segni di malessere, ma fino alla festa dell’Assunta, che cadde di sabato, seguitò a celebrare mes- sa e a dare udienza. La domenica 16 e i due giorni che seguirono, li passò tra il letto e il tavolo, la sera conversando con le sorelle Anna e Maria e due sue nipoti Parolin, presente anche il medico Amici, che egli chiamava «il beato Andrea». 
Il 18 sera, suonate le otto e mezzo, congedò le donne e si raccomandò per un’avemaria, con la fede semplice di un vecchio prete di campagna. In quella notte, l’ultima passata in piena conoscenza, tra pensieri che furono gli estremi colloqui del Papa con Dio, peggiorò. Alla mattina la crisi, salita la febbre fino a quaranta gradi, apparve mortale. 
Erano le dieci del mercoledì 19 agosto, e circa le undici Pio X era in agonia. Un crocifisso e due candele sopra una tavola rappresentarono tutto l’apparato dei riti supremi. Egli disse solo: «Sono nelle mani di Dio, fate come vi pare», ma sopra il suo volto splendeva una luce strana. Ricevette il Corpo di Cristo come viatico, e per l’estrema Unzione rivoltò egli stesso le mani. Nell’unzione dei piedi, uscì di conoscenza e non si riscosse al toccargli la pupilla. Ma poco dopo riaprì gli o cchi. 
Durante il pomeriggio, senza parlare più, strinse per un’ora la mano del cardinale segretario di Stato e altrettanto a lungo quella dell’aiutante di camera, il grande prelato e il servitore. Con il moto degli occhi, in silenzio, salutò gli altri e le povere donne della sua famiglia, che mescolavano i loro abiti neri alle porpore cardinalizie. Levava ancora la mano a benedire e a segnarsi con larghi gesti. 
All’improvviso, i cupi rintocchi del campanone di San Pietro per l’agonizzante Pontefice percorsero l’aria pesante immota di quella sera d’estate. Tutte le campane di Roma echeggiarono, e nel mondo desolato dalla guerra la cristianità si raccolse in preghiera per il Pa- dre che consumava il sacrificio. La bella testa candida posava sul biancore del guanciale. Il Papa sentiva avvicinare la morte, con fermezza. La camera era quasi deserta. Verso la mezzanotte Pio X perdette la conoscenza, e all’1 e 16 del 20 agosto, spirò senza un trasalimento, come il lavoratore della sua terra si abbandona nel sonno dopo la lunga giornata di fatica.
L'Osservatore Romano