mercoledì 6 agosto 2014

Occasioni mancate e omicidi sospetti




Per due volte fallì il progetto di evangelizzare la Corea. 

(Cristian Martini Grimaldi*) Quando il primo sacerdote mise piede in Corea sul finire del XVIII secolo il cristianesimo era già una realtà negli altri due grandi Paesi asiatici, Cina e Giappone. Se le svolte storiche importanti seguono non di rado l’esito di violenti conflitti armati, si sa che anche la sorte può a volte giocare un ruolo determinante. È questo il caso della diffusione del cristianesimo nell’antico regno di Choson, dove sarebbe potuto arrivare in Corea oltre un secolo prima della formazione del primo nucleo di fedeli, come appunto avvenne verso la fine del Settecento. Due in particolare furono gli eventi che avrebbero potuto aprire il Paese all’evangelizzazione. Si tratta di due scontri militari: l’invasione giapponese di Hideyoshi del 1592 e quella dei cinesi Qing trent’anni più tardi.
L’esercito giapponese che invase la Corea era composto dalle truppe di vari signorotti militari, tra questi il daimyo cristiano Konishi Yukinaga. Figlio di un ricco mercante Konishi era stato battezzato con il nome di Agostino. Durante la lunga permanenza in Corea l’esercito di Yukinaga stabilì una roccaforte nella provincia di Kyongsang, nella parte sudorientale della penisola coreana, e per assistere il suo contingente Yukinaga fece arrivare dal Giappone un gesuita spagnolo, Gregorio de Céspedes, e un confratello giapponese, Foucan Eion. Furono loro i primi religiosi cristiani a mettere ufficialmente piede nella penisola coreana, duecento anni prima dell’arrivo del sacerdote cinese Choe Wen-moe. I due svolsero il loro apostolato tra i soldati giapponesi, ma nessun documento attesta un diretto contatto con la popolazione locale.
Contatto che invece è certamente avvenuto con i prigionieri di guerra coreani. Migliaia infatti furono i coreani deportati in Giappone come schiavi e qui molti si convertirono al cristianesimo. Non si hanno dati sul numero esatto dei convertiti, ma certo è che alcuni di costoro tornarono poi in Corea, forse trasmisero la fede a conoscenti e familiari, anche se è più probabile che, nel loro totale isolamento, senza luoghi sacri né sacerdoti, la loro pratica religiosa cristiana si sia progressivamente dissolta.
Appena trent’anni dopo l’invasione di Hideyoshi, fu un altro scontro militare ad avvicinare il cristianesimo ai coreani. I Qing nel 1637 presero in ostaggio l’erede al trono del regno di Choson, il principe Sohyeon e il fratello minore Pongnim. I due principi passarono quasi otto anni nella capitale della dinastia Qing, Shenyang. Solo nel 1644, quando i Qing trasferirono la corte imperiale a Pechino, il principe Sohyeon ebbe modo di incontrare i missionari gesuiti che già da quasi mezzo secolo risiedevano nella capitale cinese. Un rapporto speciale si instaurò immediatamente tra il gesuita tedesco Johann Adam Schall von Bell, capo dell’osservatorio astronomico di Pechino, e il principe ereditario.
È attraverso questa amicizia con Schall che il principe cominciò a interessarsi del cattolicesimo e della cultura occidentale. Il loro rapporto non durò però a lungo: dopo soli settanta giorni, infatti, il principe fece ritorno in Corea, insieme a cinque eunuchi e a una cortigiana. In realtà, il principe aveva richiesto di essere accompagnato da un gesuita nel suo viaggio di ritorno, ma in quel momento non c’erano missionari disponibili. Prima del ritorno in Corea, però, il principe ricevette in regalo dall’amico gesuita testi della dottrina cattolica, vari strumenti di calcolo scientifico e immagini sacre.
Il principe Sohyeon non fece però in tempo a divulgare queste nuove conoscenze, perché morì improvvisamente, poco tempo dopo il suo ritorno: fu trovato morto nella stanza del re Injo, mostrando segni di grave sanguinamento dalla testa. Alcuni sostengono che fu il sovrano stesso ad assassinare il proprio figlio con una lastra che il principe ereditario aveva riportato dalla Cina. Altri storici, constatando che quando il corpo venne ritrovato era cosparso di macchie nere, suggeriscono che la morte fu dovuta ad avvelenamento. Su un dato però tutte le fonti sembrano concordare: re Injo e alcuni suoi stretti collaboratori giudicarono la condotta di Sohyeon troppo amichevole nei confronti degli odiati Qing. Molti, tra cui la moglie di Sohyeon, cercarono di far luce sulla morte del principe, ma il sovrano ordinò l’immediata sepoltura del corpo del figlio. La tomba si trova oggi nella provincia di Goyang, a nord di Seoul.
Dopo la morte del principe gli eunuchi e la cortigiana furono rimandati in Cina e i regali che Sohyeon aveva ricevuto dal gesuita tedesco vennero bruciati o gettati nel mare: questo nel rispetto di un’antica pratica sciamanica secondo la quale, nell’eventualità di una morte causata da “cattivi spiriti” come quella del principe, era bene disfarsi degli oggetti posseduti dal defunto, perché questi potevano continuare a esercitare potere malefico.
Fu così che per la seconda volta in pochi anni il cristianesimo non riuscì ad arrivare in Corea. Dovette passare oltre un secolo prima che uno studioso confuciano di nome Yi Seung-hun tornasse da Pechino, questa volta per essere battezzato col nome di Pietro. Fu il primo battesimo di un coreano.

*****

*Bergoglio in coreano
Nell’imminenza della visita di Papa Francesco, la Sala della stampa estera in Corea ha organizzato per l’11 agosto una conferenza stampa a Seoul durante la quale sarà presentata la traduzione in coreano del libro di Cristian Martini Grimaldi, Ero Bergoglio, sono Francesco (Venezia, Marsilio, 2013, pagine 112, euro 12). Con l’autore sarà presente, tra gli altri, padre Vincenzo Bordo.

L'Osservatore Romano