mercoledì 6 agosto 2014

Tra i banchi della chiesa al salmodiare dei monaci




L’anniversario della morte di Giovanni Battista Montini. 

(Giovanni Battista Re) Papa Paolo VI resterà nella storia per il ruolo che ha avuto nel concilio Vaticano II. Se, infatti, è di Papa Giovanni XXIII il merito di averlo indetto e aperto, si deve a Paolo VI l’averlo condotto avanti con mano sicura, rispettando in tutto la piena libertà dei padri conciliari, ma intervenendo opportunamente come Papa là dove era necessario intervenire. Egli fu il vero timoniere del concilio.
Anche se non sempre fu compreso, Paolo VI resterà anche come il Papa che ha amato il mondo moderno, ne ha ammirato la ricchezza culturale e scientifica ed ha operato perché aprisse il cuore a Cristo, Redentore dell’uomo.
La grande ansia di Paolo VI è stata quella di servire l’uomo di oggi, sostenendolo nel cammino sulla terra e indicandogli al tempo stesso la meta eterna, nella quale soltanto può trovare pienezza di significato e di valore lo sforzo che egli quotidianamente esprime quaggiù.
La sensibilità alle attese e alle inquietudini dell’uomo moderno, portò Papa Paolo VI a cercare il dialogo con tutti, non chiudendo mai le porte all’incontro.
Per Paolo VI il dialogo fu l’espressione dello spirito evangelico che cerca di avvicinarsi a tutti, che cerca di capire tutti e di farsi capire da tutti, così da instaurare uno stile di convivenza umana caratterizzato da apertura reciproca e pieno rispetto nella giustizia, nella solidarietà e nell’amore. Dialogo anche con l’errante, al fine di ottenerne il ravvedimento.
In questo incontro di preghiera, mi è caro rilevare che egli non è stato soltanto un Papa grande, che ha saputo compiere scelte coraggiose anche se impopolari, ma fu anche un uomo di una spiritualità genuina e profonda, che rimane un esempio a cui ispirarsi.
Al fondo del pensiero e dell’azione di Paolo VI c’è una vera spiritualità, fatta di preghiera, di meditazione, di sconfinato amore a Cristo, alla Madonna, alla Chiesa. L’attrattiva che egli aveva per la preghiera liturgica lo portò a curare e facilitare la partecipazione dei fedeli, impegnandosi nella riforma liturgica che porta il suo nome. Egli era una persona apparentemente fragile, fisicamente esile e con continui problemi di salute, ma dotato di una straordinaria intelligenza, di una singolare forza di volontà e di una alta tensione spirituale, caratterizzata dall’inclinazione al raccoglimento, alla vita interiore e alla riflessione. Vi era in lui una tendenza mistica, che lo portava ad immergersi nel mistero di Dio contemplato e gustato. Questa si manifestò in lui già negli anni dell’adolescenza quando, recandosi a Chiari, saliva al monastero dei benedettini e vi restava a lungo, affascinato dalle liturgie dei monaci. A volte egli era l’unica persona nei banchi della chiesa mentre i monaci benedettini erano in coro a salmodiare.
Fin dai primi anni di sacerdozio, monsignor Montini si rivelò un appassionato educatore che provava un particolare trasporto nel dedicarsi alla formazione e alla maturazione degli studenti e degli universitari. Negli anni in cui, oltre a lavorare in Segreteria di Stato, fu assistente ecclesiastico della Fuci, egli mirò a formare le coscienze, rendendole capaci di offrire poi una forte testimonianza cristiana, che aiutasse ad avvicinare l’uomo moderno al messaggio di Cristo. Cercò di coinvolgere i giovani nella ricerca della verità, nella fatica del pensare, nell’autonomia di giudizio e nel senso di responsabilità. Si sforzò di formare dei laici che fossero dei protagonisti nell’evangelizzazione della società e nell’impegno di apostolato, oltre che essere coerenti nelle scelte con la propria appartenenza cristiana. Anche quando, dopo un decennio, lasciò l’incarico di assistente generale della Fuci, continuò i contatti personali con i fucini e con i laureati cattolici. In tal modo egli diede un valido contributo alla formazione di quella che diventerà la classe dirigente cattolica italiana al termine della seconda guerra mondiale.
Monsignor Montini lavorò anche a sanare la divaricazione tra fede e cultura e ristabilire un ponte fra la Chiesa e il mondo moderno. Fu questo un impegno che lo accompagnò nell’intera vita.
In un mondo povero di amore e solcato da problemi e violenze di ogni genere, egli lavorò per instaurare una civiltà ispirata dall’amore, in cui la solidarietà e la collaborazione giungessero là dove la giustizia sociale, pur tanto importante, non poteva arrivare.
La “civiltà dell’amore” da costruire nei cuori e nelle coscienze è stata per Papa Montini più di un’idea o di un progetto: è stata la guida e lo sforzo di tutta la sua vita.
Nell’orizzonte della civiltà dell’amore va compreso il suo alto magistero sociale, mediante il quale si fece avvocato dei poveri e denunciò le situazioni di ingiustizia. Fu vicino agli operai e fu molto sensibile al problema della fame nel mondo, al grido di angoscia dei poveri, alle gravi disuguaglianze sociali e alle sperequazioni nell’accesso ai beni della terra.
Il pontificato di Paolo VI fu caratterizzato, inoltre, da alcune iniziative e da taluni gesti che meritano di essere ricordati.
Egli fu il primo Papa a volare in aereo e il primo Papa a tornare in Palestina, da dove san Pietro era venuto. Fu un viaggio di alto valore simbolico, che esprimeva il suo mondo interiore, la sua spiritualità e la sua teologia. Compiendolo appena sei mesi dopo l’elezione al pontificato e mentre era in corso il concilio, egli volle indicare alla Chiesa la strada per ritrovare pienamente se stessa ed orientarsi nella grande transizione in atto nella convivenza umana. La Chiesa, infatti, può essere autentica e compiere la sua missione soltanto se ricalca le orme di Cristo.
Fu il primo Papa che, con gesto certamente significativo, volle rinunciare alla tiara, togliendosela pubblicamente dal capo il 13 novembre 1964 e donandola ai poveri. Voleva, con questo gesto, far intendere che l’autorità del Papa non va confusa con un potere di tipo politico-umano.
Poche settimane dopo avrebbe intrapreso il viaggio apostolico in India, che tanto influenzò il suo magistero sociale. La rinuncia alla tiara acquistava il valore di un gesto programmatico di umiltà e di condivisione, simbolo di una Chiesa che mette i poveri al centro della sua attenzione e li accosta con rispetto ed amore, vedendo in loro il Cristo.
Fu il primo Papa a recarsi all’Onu, dove si presentò come un pellegrino che da duemila anni aveva un messaggio da consegnare a tutti i popoli, il Vangelo dell’amore e della pace, e finalmente poteva incontrare i rappresentanti di tutte le nazioni e consegnare loro questo messaggio. Fu il primo Papa a recarsi in Africa, in America latina e in estremo Oriente.
Paolo VI è anche il Papa che ha abolito la corte pontificia e che ha voluto che il Vaticano e la Curia romana avessero uno stile di vita più semplice e una impostazione più pastorale e più internazionale, affinché la Chiesa fosse più che mai al servizio dell’intera umanità.
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Il binomio dei mistici
(Marcello Semeraro) In questo giorno del 6 agosto non soltanto ricordiamo l’anniversario del passaggio da questa terra alla casa del Padre del venerabile servo di Dio Paolo VI, ma vogliamo pure commemorare i cinquant’anni della pubblicazione della sua prima lettera enciclica dal titolo Ecclesiam suam.
Per un piano misterioso della Provvidenza questi due avvenimenti si compirono nello stesso giorno del 6 agosto e nello stesso luogo, qui a Castel Gandolfo, nel palazzo apostolico. Ricordiamo con gratitudine questi momenti, che appartengono sì alla storia di tutta la Chiesa, ma pure in modo speciale alla storia di questa nostra terra.
Giovanni Battista Montini l’ha davvero prediletta: ai primi del maggio 1923 — aveva venticinque anni — scrisse ai familiari di una gita fatta qui ai Castelli «fra l’intenso verde delle nuove foglie e l’oscuro bosco di lecci, fino ai laghi di Albano e Nemi» (5 maggio 1923, Lettere ai familiari I, p. 204). È uno dei tanti ricordi che egli conservò di questa terra e anche noi ricordiamo lui con grande affetto, proiettandoci già verso il prossimo rito di beatificazione, che Papa Francesco presiederà il prossimo 19 ottobre.
Ora, in questa santa messa della Trasfigurazione vorrei almeno fare un accenno all’enciclica Ecclesiam suam, che è ricordata come l’enciclica del dialogo. Distinta dal mondo, ma immersa nel mondo per vivere in esso come un fermento, «la Chiesa — scriveva Paolo VI — deve farsi parola, messaggio, conversazione». Ma perché? Anzitutto per imitare il dialogo di Dio con gli uomini.
Dell’enciclica cito solo queste altre parole, che vogliamo riascoltare quasi eco al racconto della Trasfigurazione: «La storia della salvezza narra del lungo e vario dialogo che parte da Dio, e intesse con l’uomo varia e mirabile conversazione. È in questa conversazione di Cristo fra gli uomini che Dio lascia capire qualche cosa di Sé, il mistero della sua vita, unicissima nell’essenza, trinitaria nelle Persone; e dice finalmente come vuol essere conosciuto; Amore Egli è e come amore vuole da noi essere onorato e servito. Amore è il nostro comandamento supremo. Il dialogo si fa pieno e confidente; il fanciullo vi è invitato, il mistico vi si sazia».
In questo breve passo noi troviamo un binomio fondamentale: conoscere e amare. È il binomio di Agostino; il binomio dei mistici.
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Nella basilica vaticana e a Castel Gandolfo

Nel trentaseiesimo anniversario della morte, come è ormai consuetudine da diversi anni, all’altare della Cattedra nella basilica di San Pietro si celebra la messa in ricordo di Paolo VI. L’iniziativa dell’associazione Studium fidei di Trieste, presieduta da monsignor Ettore Malnati, è in continuità con l’impegno iniziato dall’arcivescovo Pasquale Macchi, a lungo segretario particolare di Giovanni Battista Montini. Nel pomeriggio di oggi, mercoledì 6 agosto, il cardinale bresciano prefetto emerito della Congregazione per i vescovi presiede l’Eucaristia alla presenza di una delegazione di Concesio, paese natale del Pontefice, guidata dal sindaco e dal parroco. Partecipano inoltre sacerdoti, religiose, consacrati e laici legati a vario titolo al ricordo di Paolo VI. Nello stesso giorno, anche il vescovo di Albano celebra la messa di suffragio nella parrocchia pontificia di San Tommaso da Villanova a Castel Gandolfo, dove Papa Montini si trovava al momento della morte.