Nel battesimo c'era una forza stupenda,
in questa vita dei primi cristiani c'era una forza
che poteva in un periodo avverso, del tutto contrario, come quello delle persecuzioni,
del paganesimo, di una cultura pagana e molto mondana direi
(sappiamo bene quale fosse la vita della Roma dei primi anni dell'era cristiana),
poteva animare una cristianizzazione profonda
che si diffondeva non solo tra le persone, tra le famiglie,
ma si allargava alle nazioni intere.
Giovanni Paolo II, Visita alla Parrocchia Santa Maria Goretti di Roma, 31 gennaio 1988
Dal Vangelo secondo Matteo 15,1-2.10-14.
In quel tempo vennero a Gesù da Gerusalemme alcuni farisei e alcuni scribi e gli dissero:
«Perché i tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli antichi? Poiché non si lavano le mani quando prendono cibo!».
Poi riunita la folla disse: «Ascoltate e intendete!
Non quello che entra nella bocca rende impuro l'uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l'uomo!».
Allora i discepoli gli si accostarono per dirgli: «Sai che i farisei si sono scandalizzati nel sentire queste parole?».
Ed egli rispose: «Ogni pianta che non è stata piantata dal mio Padre celeste sarà sradicata.
Lasciateli! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!».
«Perché i tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli antichi? Poiché non si lavano le mani quando prendono cibo!».
Poi riunita la folla disse: «Ascoltate e intendete!
Non quello che entra nella bocca rende impuro l'uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l'uomo!».
Allora i discepoli gli si accostarono per dirgli: «Sai che i farisei si sono scandalizzati nel sentire queste parole?».
Ed egli rispose: «Ogni pianta che non è stata piantata dal mio Padre celeste sarà sradicata.
Lasciateli! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!».
IL COMMENTO
Che cosa mi rende oggi impuro? Che cosa mi impedisce di presentarmi al cospetto di Dio per celebrare la liturgia di lode che a Lui conviene? In che cosa disperdo la mia vita tentando di dare senso e giustizia al mio operare? Sono le domande che scaturiscono dal Vangelo di oggi, che punta diritto al fondo del cuore. E' lì la fonte d'ogni mio agire. Le tradizioni e i precetti esteriori, che Gesù non condanna assolutamente, sono segni che rendono visibile una realtà interiore, esplicitano un contenuto. Se esso non c'è, qualsiasi rito resta un'ipocrisia, una menzogna che afferma qualcosa che non esiste. Le abluzioni che servono a delimitare l'ambito del sacro manifestano un'elezione, una chiamata e una consacrazione, un essere messo da parte per una missione. E tutto ciò è opera di Dio. E' vero per Israele, è altrettanto vero per i discepoli di Gesù.
La chiamata è divina, la vocazione è celeste, l'elezione è gratuita. Non si compra, non si acquisisce. Si accoglie. Umilmente. Lo stesso battesimo sigilla un miracolo che si è "già" dato: la fede ricevuta, accolta, maturata che si esprime in frutti che hanno il sapore della vita eterna. Senza la fragranza dell'amore al nemico, della libertà dai beni di questo mondo, senza la carità visibile nella vita, la Chiesa primitiva non amministrava il battesimo. San Paolo esortava i cristiani di Roma ad offrire i propri corpi come sacrificio vivente santo e gradito a Dio. La vita come un'oblazione. La vita crocifissa con Cristo. Una vita diversa, santa, separata dai lacci del mondo, della carne e del demonio. S. Ignazio d’Antiochia scriveva ai Romani: “Il mio amore è stato crocifisso e non c’è in me fuoco di passione…non mi attirano il nutrimento di corruzione e i piaceri di questa vita”. Si tratta di un cuore nuovo, nel quale è scritta la Parola viva e operante in un corpo preparato per essere offerto. "Entrando nel mondo, Cristo dice: ‘Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo — poiché di me sta scritto nel rotolo del libro — per fare, o Dio, la tua volontà’ (cfr. Salmo 40,7-9). Dopo aver detto prima, non hai voluto e non hai gradito né offerte né olocausti né sacrifici per il peccato, cose tutte che vengono offerte secondo la legge, soggiunge: Ecco, io vengo a fare la tua volontà. Con ciò stesso egli abolisce il primo sacrificio per stabilirne uno nuovo. Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre" (Eb, 10).
Vi è dunque un sacrificio nuovo, un culto nuovo, in Spirito e verità. La nuova liturgia di lode che Cristo ha inaugurato nell'offerta del suo corpo. E' in esso che ogni nostro pensiero ed azione acquistano senso, e autenticità; in Cristo ogni istante della nostra vita diviene un'oblazione d'amore. E' il compimento dell'amore umano nell'amore celeste: "È proprio della maturità dell'amore coinvolgere tutte le potenzialità dell'uomo ed includere, per così dire, l'uomo nella sua interezza. L'incontro con... l'amore di Dio... chiama in causa anche la nostra volontà e il nostro intelletto. Il riconoscimento del Dio vivente è una via verso l'amore, e il sì della nostra volontà alla sua unisce intelletto, volontà e sentimento nell'atto totalizzante dell'amore. Questo però è un processo che rimane continuamente in cammino: l'amore non è mai « concluso » e completato; si trasforma nel corso della vita, matura e proprio per questo rimane fedele a se stesso. Idem velle atque idem nolle — volere la stessa cosa e rifiutare la stessa cosa, è quanto gli antichi hanno riconosciuto come autentico contenuto dell'amore: il diventare l'uno simile all'altro, che conduce alla comunanza del volere e del pensare. La storia d'amore tra Dio e l'uomo consiste appunto nel fatto che questa comunione di volontà cresce in comunione di pensiero e di sentimento e, così, il nostro volere e la volontà di Dio coincidono sempre di più: la volontà di Dio non è più per me una volontà estranea, che i comandamenti mi impongono dall'esterno, ma è la mia stessa volontà, in base all'esperienza che, di fatto, Dio è più intimo a me di quanto lo sia io stesso. Allora cresce l'abbandono in Dio e Dio diventa la nostra gioia" (Benedetto XVI, Deus caritas est, 17).
Santi nel Santo. Un popolo celeste che cammina sulla terra facendo visibile la vita eterna, l'amore e l'unità. Le abluzioni ed ogni altra tradizione, ogni precetto aiuta chi li compie a ricordare la propria appartenenza, ma non la realizza. Essa è un fatto di cuore, mente e corpo. E' la Parola dello Shemà che si compie, per Grazia, nella vita concreta di ogni giorno: amore con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze. Un'appartenenza che non disperde un istante, un pensiero, uno sguardo, una parola. Essere completamente immersi nel mistero Pasquale di Cristo, come in un battesimo che si rinnova ad ogni centimetro del cammino. E' questo il cuore della Legge, del desiderio di totalità e assolutezza che gli stessi Farisei tentavano di esprimere con le abluzioni e i precetti con i quali speravano imbrigliare la carne purificandola in una rigida disciplina. Ma la malizia non è al di fuori dell'uomo, è un veleno che porta dentro. E' il segreto del nostro intimo che ha bisogno di purificazione. Per questo il Signore è venuto per compiere il miracolo di togliere da noi il cuore di pietra per darci un cuore di carne, colmato del suo Spirito, l'amore che vince e brucia la malizia del peccato. L'appartenenza quindi è sigillata dall'amore di Dio riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo.
E chi non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. Ha un altro spirito, per quante abluzioni compia. Lo spirito del mondo e del padre della menzogna. E compie le opere del suo padre. Rivestire di tradizioni e riti che annunciano la santità un cuore malato e perverso è quanto di peggio possa accadere. L'ipocrisia che cela e imbriglia la verità. Si tratta invece di un vestito nuovo, di indossare la bianca tunica della Grazia, la vita divina donata per pura misericordia. Altro che le toppe di qualche regola, che invece di significare il Cielo mostrano l'orgoglio della carne. Un cuore circonciso, il cuore di Cristo. Lo abbiamo oggi? Oppure il nostro cuore è malato, avvelenato da pensieri e criteri mondani che cerchiamo, senza costrutto, di mitigare con alcune pratiche più o meno religiose, con un po' di volontariato che ammansisca la coscienza? Guardiamoci e convertiamoci. Affidiamo al Signore le nostre tante impurità, lasciamoci amare, e perdonare. Che ci faccia santi, suoi, oggi e in ogni giorno. Che trasformi il nostro cuore nel Suo cuore grondante d'amore. Per fare della nostra vita una liturgia di lode, un'abluzione per noi e per il mondo. Per questo ci ha eletti, per questo ci ha donato la Sua vita.
LA PUREZZA DEL CUORE
Eloi Leclerque, LA SAPIENZA DI UN POVERO
"....Essi erano soliti camminare in silenzio dentro la grande natura. Scesero lungo il pendio d'un burrone, in fondo al quale s'udiva gemere un torrente. Il luogo era solitario e bello d'una bellezza selvaggia e pura. L'acqua schiumeggiava sulle rocce, ilare e chiara, piena di fugaci riflessi azzurrini. Se ne diffondeva un gran senso di fresco, che s'insinuava nel sottobosco circostante. Alcuni ginepri erano fioriti qua e là fra le rocce al di sopra dell'acqua tumultuosa.
- Nostra sorella acqua! - esclamò Francesco avvicinandosi al torrente. - La tua purezza canta l'innocenza di Dio!
Saltando dall'una all'altra pietra, Leone si affrettò ad attraversare il torrente. Francesco gli tenne dietro, ma ci impiegò più tempo. Leone, che lo aspettava in piedi sull’altra riva, guardava l'acqua limpida che scorreva veloce sulla sabbia dorata dal sole fra le rocce grigie. Quando Francesco l'ebbe raggiunto, Leone stava ancora nella sua attitudine contemplativa. Pareva che non potesse più distaccarsi da quello spettacolo. Francesco lo guardò e lo sorprese triste.
- Hai l'aria pensosa - gli disse Francesco.
- Se noi potessimo disporre di un po' di questa purezza - rispose Leone - potremmo conoscere anche noi la gioia folle ed esuberante della nostra sorella acqua, nonché il suo slancio irresistibile.
Traspariva in queste parole una profonda nostalgia. E lo sguardo di Leone fissava, colmo di tristezza, il ruscello che continuava a scorrere nella sua inafferrabile purezza.
- Vieni - disse Francesco, tirandolo per un braccio.
E ripresero entrambi il cammino. Dopo una pausa di silenzio, Francesco chiese a Leone:
- Sai tu, fratello, in che cosa consiste la purezza del cuore?
- Nel non aver nessuna colpa da rimproverarsi - ribatte Leone senza esitare.
- Allora comprendo la tua tristezza - soggiunse Francesco - giacché abbiamo sempre qualcosa da rimproverarci.
- Si - soggiunse Leone - ed è questo pensiero che mi fa disperare d'attingere un giorno la purezza del cuore.
- Ah, frate Leone, credimi - ribatté Francesco; - non ti preoccupare tanto della purezza dell'anima tua. Volgi lo sguardo a Dio. Ammiralo. Rallegrati di Lui che è tutto e soltanto santità. Rendigli grazie per Lui stesso. Questo, appunto, significa avere il cuore puro.
- E quando ti rivolgi a Dio così, guardati bene dal tornare a ripiegarti su te stesso. Non chiederti mai a che punto sei con Dio. La tristezza che provi nel sentirti imperfetto e peccatore è un sentimento ancora umano, troppo umano. Bisogna guardare più in alto, molto più in alto. C'è Dio, l'immensità di Dio ed il suo inalterabile splendore. Il cuore puro è quel cuore che non cessa di adorare il Signore vivo e vero. Il cuore puro non si interessa che alla esistenza stessa di Dio, ed è capace, pur in mezzo alle sue miserie, di vibrare al pensiero dell'eterna innocenza e dell'eterna gioia di Dio. Un cuore siffatto è al tempo stesso sgombro e ricolmo. Gli basta che Dio sia Dio. In questo pensiero il cuore trova tutta la sua pace, e tutta la sua gioia. E Dio stesso diventa allora tutta la sua santità.
- Dio, nondimeno, esige da noi che ci si sforzi d'essergli fedeli - fece osservare Leone.
- Sì, senza dubbio - soggiunse Francesco. - Ma la santità non consiste in un compimento del proprio essere, né in uno stato di pienezza. La santità consiste, innanzitutto, in un vuoto che si scopre in noi e si accetta, e che Dio ricolma di sé nella misura in cui noi ci si apre alla sua pienezza.
«La nostra miseria, allorché viene accettata, diventa lo spazio libero dove Dio può ancora creare. Il Signore non consente a nessuno di togliergli la gloria. Egli è il Signore, l'Essere unico, il solo Santo. Ma prende il povero per mano, lo estrae dal suo fango e lo invita a sedere fra i principi del suo popolo, perché prenda visione della sua gloria. Dio diventa in tal modo l'azzurro dell'anima sua.
«Contemplare la gloria di Dio, frate Leone, scoprire che Dio è Dio, e Dio per sempre, ben oltre la nostra condizione umana, rallegrarci di Lui, estasiarci dinanzi alla sua eterna giovinezza, rendergli grazie per Lui stesso e per la sua misericordia che non verrà mai meno, tutto ciò costituisce la più profonda esigenza. di quell'amore che lo Spirito di Dio non cessa di diffondere nei nostri cuori. In ciò, appunto, consiste per noi l'avere il cuore puro.
«Ma questa purezza non si ottiene con la forza dei pugni tesi né con lo spasimo.
- E come, allora? - chiese Leone.
- Bisogna semplicemente spogliarci di tutto. Far piazza pulita. Accettare la nostra povertà. Rinunciare a tutto ciò che pesa, perfino al peso dei nostri peccati. Non veder altro che la gloria del Signore e lasciarcene irradiare. Ci basta che Dio esista. Allora il cuore si fa più leggero e non sente più se stesso, come l'allodola inebriata di spazio e d'azzurro. Libero da ogni cruccio e preoccupazione, il cuore non aspira se non ad una perfezione che coincide con la pura e semplice volontà divina.
Leone ascoltava sopra pensiero, camminando davanti a Francesco. Ma a mano a mano che procedeva, sentiva il suo cuore farsi più leggero e pieno di pace".
« Sono ciechi e guide di ciechi »
Sant'Agostino (354-430), vescovo d'Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa. Commento al vangelo di Giovanni, n° 34
« Io sono la luce del mondo; chi segue me non cammina nella tenebra » (Gv 8,12)? Il Signore illumina i ciechi. Noi veniamo ora illuminati, o fratelli, con il collirio della fede. Egli dapprima mescolò la sua saliva con la terra per ungere colui che era nato cieco (Gv 9, 6). Anche noi siamo nati ciechi da Adamo, e abbiamo bisogno di essere da lui illuminati. Egli mescolò la saliva con la terra: « Il Verbo si è fatto carne, e abitò fra noi » (Gv 1, 14).
Lo vedremo faccia a faccia. Dice l'apostolo Paolo: «Adesso conosco in parte, adesso vedo in modo enigmatico come in uno specchio, allora invece faccia a faccia» (1 Cor 13, 12). E l'apostolo Giovanni nella sua epistola aggiunge: «Carissimi, già adesso noi siamo figli di Dio, ma ancora non si è manifestato ciò che saremo; sappiamo infatti che quando egli si manifesterà, saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è» (1 Gv 3, 2). Che grande promessa è questa! Se lo ami, seguilo!
Io lo amo, - tu dici - ma per quale via debbo seguirlo?... Cerchi la via? Ascolta il Signore; è la prima cosa che egli ti dice. Ti dice: « Io sono la via »; la via per arrivare dove? « e sono la verità e la vita » (Gv 14,8). Non ti è detto: sforzati di cercare la via per giungere alla verità e alla vita; non ti è stato detto questo. Pigro, alzati! la via stessa è venuta a te e ti ha scosso dal sonno; e se è riuscita a scuoterti, « alzati e cammina! » (Mt 9,5)