Riporto da "Il Foglio" del 4 agosto scorso, a firma di Paolo Rodari.
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Oggi, anche per i cardinali di Santa romana chiesa, è tempo di vacanze: clergyman d’ordinanza su pantaloni scuri, perché va bene vestire casual ma senza esagerare. Certo, c’è anche chi osa di più, soprattutto dopo i travolgenti anni del pontificato di Karol Wojtyla.
Fu Giovanni Paolo II a sdoganare, anche per i porporati, il look da montanaro: camicia a scacchi, pantaloni alla zuava e scarponi chiodati. Un look spaventevole per i monsignori che si erano a mala pena abituati alla buriana post conciliare, ma un portamento che ha fatto scuola tanto che ancora oggi sono diversi i principi della chiesa di passaggio sulle montagne italiane che accettano il rischio di farlo proprio.
Certo, i tempi sono cambiati. Gli anni Ottanta, anni da bere non soltanto a Milano, anni di champagne come mai più, sono un ricordo sbiadito anche entro le mura leonine. Le vacanze di Wojtyla erano un evento, giorni spumeggianti in anni di brindisi.
I giornalisti lo rincorrevano in ogni dove, lui scappava e improvvisava parecchio. Joaquín Navarro-Valls, il suo portavoce, ci costruì sopra una leggenda: il Papa saluta una mucca? Ecco i giornalisti chiamati per fotografare, riprendere, contribuire a creare una certa immagine dell’uomo vestito di bianco. Insomma: erano anni di abbondanza, in ogni senso, anche papale. E i cardinali, vescovi e monsignori che in qualche modo si adeguavano: non stupiva nessuno, allora, che il banchiere di Dio Paul Casimir Marcinkus organizzasse le sue vacanze lontano dal Vaticano muovendosi come un ministro o un capo di una grande “corporation”, uomini e soprattutto mezzi a propria disposizione.
Quest’anno, invece, la regola d’oro è un’altra: austerity. I cardinali in vacanza sanno bene che anche per loro mala tempora currunt. Le casse sono piene, certo, ma non come una volta.
Gli stipendi sono garantiti, ci mancherebbe, ma le parole pronunciate il 16 febbraio scorso alla riunione cardinalizia dedicata al bilancio preventivo del 2012 da monsignor Lucio Angel Vallejo Balda, segretario della Prefettura degli affari economici – ha parlato della “necessità di adottare ulteriori riflessioni e approfondimenti” sulle previsioni di spesa della Santa Sede dell’anno in corso – hanno fatto venire il fiato corto a più d’una porpora.
E, allora, largo alle vacanze a basso costo, più morigerate, in perfetto stile Ratzinger. E senza, ovviamente, dimenticare di portarsi dietro il proprio portadocumenti, perché il lavoro oggi non deve mai cessare del tutto. Anche Benedetto XVI a Castel Gandolfo si è portato il suo. E’ una vecchia borsa di pelle nera che usava anche quando era prefetto dell’ex Sant’Uffizio. Ancora oggi la porta con sé appena lascia le sue stanze, nonostante da quest’anno abbia a disposizione pure un iPad regalatogli da monsignor Claudio Maria Celli, capo delle Comunicazioni sociali. Vi può scaricare i giornali italiani, in lingua inglese e soprattutto quelli tedeschi.
Ma è difficile dire se questo iPad davvero lo usi. Il professor Ratzinger ama ancora la carta stampata, montagne di libri su scaffali di legno duro fatti incastonare appositamente nelle pregiate mura del suo appartamento privato al terzo piano del palazzo apostolico. Altro che digitale e nuove tecnologie, insomma. Tanto che c’è chi è pronto a giurare che anche quest’anno sono stati visti entrare nella residenza estiva due bauli molto pesanti: le “cassaforti” contenenti i libri del Pontefice. E quanto ai giornali valgono anche le immagini che un’estate fa vennero girate entro il suo studio di Castel Gandolfo: il Papa sfogliava sulla sua scrivania di legno le pagine dell’Osservatore Romano, carta canta.
Che i tempi siano cambiati l’ha confermato anche il direttore dello stesso Osservatore, Gian Maria Vian. Alla Stampa ha detto che “Benedetto XVI approfitta del periodo estivo per concentrarsi maggiormente sui dossier, riducendo al minimo gli impegni pubblici e lavorando a quello che lui stesso considera il suo opus magnum: l’opera su Gesù di Nazaret”.
Insomma una “estate operosa” nella quale il Pontefice, precisa Vian, “prepara i discorsi per il viaggio apostolico in Libano e quelli per il sinodo ordinario dei vescovi che a ottobre precederà di quattro giorni l’apertura dell’anno della fede”. Un appuntamento convocato “sul modello del suo predecessore Giovanni Battista Montini che nel diciannovesimo centenario del martirio dei patroni di Roma Pietro e Paolo inaugurò l’anno della fede poi concluso con la proclamazione del Credo del popolo di Dio”. E poi – l’ha detto nelle scorse ore il segretario di stato, il cardinale Tarcisio Bertone – un’enciclica sulla fede a completare la trilogia delle virtù riguardanti Dio, teologali appunto. Ma non solo: gli occhi sono puntati anche sul dossier Vatileaks: l’ex aiutante di camera Paolo Gabriele presto probabilmente rinviato a giudizio per un processo che il Vaticano vuole veloce ma senza sconti per lui ed eventuali complici.
Quanto è distante l’era Wojtyla dall’attuale stile vaticano nessuno lo sa dire. Il Papa polacco non amava più di tanto il “castello”, come è chiamata in Vaticano la residenza papale sui colli albani. “Si stufava”, conferma Bruno Bartoloni, vaticanista di pregio e fresco autore del libro “Le orecchie del Vaticano” (Mauro Pagliai Editore). “Gli regalarono una piscina, tutt’ora esistente all’interno dei giardini del castello. Vi nuotava coi suoi amici polacchi. Si racconta venissero in tanti, anche intere famiglie. I Rizzoli riuscirono a fornirsi di alcune foto di lui che sguazzava in costume. Le offrirono al Vaticano che le comperò subito per non si sa quale cifra. Nessuno le vide mai, le foto, ma esistono da qualche parte, a meno che qualche monsignore particolarmente scrupoloso non le abbia distrutte”.
Di certo c’è un fatto: Ratzinger, nella piscina “Wojtyla” non si è mai tuffato. Lo si è visto soltanto due estati fa dirigersi, cappellino da baseball bianco sul capo, verso un laghetto dei giardini dotato di pesci rossi ai quali ha offerto un po’ di pane. Ma nulla di più.
“A vederlo lì a castello” dice oggi il decano dei vaticanisti Benny Lai, “viene in mente per forza di cose Pio XII. Papa Pacelli amava Castel Gandolfo tanto quanto Papa Ratzinger. Un giorno si prodigò in una breve passeggiata, fuori dall’orario consueto. Sentì un fischio prolungato in lontananza, si affacciò da un muraglione dei giardini e vide, più sotto, un treno. Era la tratta che dai colli portava a Roma e il treno, forse in onore del Papa, ogni volta che passava sotto la sua residenza era solito farsi sentire. Pio XII fu elettrizzato dalla cosa tanto che da qual giorno volle fare la sua passeggiata sempre a quella stessa ora, per dirigersi al muraglione e affacciarsi giù. Voleva vedere il ‘suo’ treno passare. Era il suo diversivo estivo. Le estati di Pacelli mi ricordano molto quelle di Ratzinger. Ma va anche detto che pure Wojtyla, una volta avanti con l’età, dovette gioco forza rallentare, seppure Castel Gandolfo non credo sia stato mai nel suo cuore”.
Già, Wojtyla in piscina. Cosa inusuale, anche per lui. Perché più che il nuoto, amava scalare. Amava le montagne. Seppure pochi mesi prima del conclave che il 16 ottobre 1978 lo fece salire al soglio di Pietro, venne ancora pizzicato in acqua. Dove? A Palidoro, in località Passoscuro, zona per nulla di grido a nord di Roma, poco sopra Fregene.
Nello stabilimento dove gli ombrelloni sono bianchi e gialli in onore del Vaticano e dove una cappella per pregare sorge a pochi metri dalla spiaggia, nello stesso stabilimento dove qualche anno fa venne fotografato in mutandoni balneari l’attuale arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia, Wojtyla nuotava ignaro di ciò che di lì a poco gli sarebbe accaduto: l’elezione appunto. Ma una volta eletto abbandonò il mare per sempre.
Dice Bartoloni: “Scelse le montagne. Amava le scalate, passeggiare, mangiare sulle cime più alte con un coltellino una scatoletta di sardine… Un giorno gli regalarono degli sci. L’artigiano che glieli consegnò gli chiese: ‘Tornerà presto a sciare?’. Rispose: ‘Prego ogni giorno per evitare le tentazioni’. Ma non erano tentazioni. Era semplicemente ciò di cui la sua mente necessitava. Lui aveva bisogno di queste cose, di queste uscite, di una certa libertà. Noi giornalisti potevamo parlargli senza particolari problemi. Ricordo che gli sci li presi in consegna io. Mi incamminai verso la seggiovia convinto di dovergli fare il favore di portarli a valle. Ma una guardia mi chiamò e mi disse: ‘Dove crede di andare con gli sci del Papa?’ Se li prese in consegna lui, e nessuno però li vide più. Secondo me stanno ancora, lindi e nuovi, in qualche scantinato del Vaticano”.
Altri anni, altri tempi, un altro pontificato. Ma la montagna è rimasta la meta preferita per gli uomini di chiesa. Seppure oggi sia di fatto vigente la “linea Benedetto XVI”, vacanze low cost, di studio e anche di lavoro. Una linea che ha fatto sua il segretario di stato Tarcisio Bertone seppure la casa che lo ospita nel periodo estivo – Bertone alloggia per qualche giorno nella “papale” Les Combes, a Introd, nella casa che, appunto, ha già accolto non soltanto Papa Ratzinger ma prima di lui anche Giovanni Paolo II – ha al suo interno confort importanti: c’è perfino una sorta di montacarichi adibito al trasporto di una persona, che sale al primo piano, dove è situata la camera dove sua eminenza dorme. Sullo stesso piano un’altra stanza, quella che ospitò per più volte il segretario particolare del Papa, e un piccolo studio. Al piano terra, la sala da pranzo, la cucina e le stanze destinate alle altre persone eventualmente al servizio del cardinale. Infine, davanti allo chalet, un giardino dotato di un barbecue sotto un grande ombrellone, che sfocia direttamente nei boschi circostanti. Che farà Bertone durante le vacanze? Rispondono in segreteria di stato: “Non mancherà di seguire a distanza l’attività ordinaria del governo della chiesa, come sempre del resto, e si concederà, speriamo, qualche passeggiata”.
Le vacanze del cardinale Gianfranco Ravasi, invece, sono solitamente sempre dedicate alla scrittura. Un fiume di scritti escono dalla casa con giardino dove si ritira per riposare vicino al lago di Como. Non lontano dalla sua Milano, ma in diocesi “straniera”, dunque, Ravasi scrive aiutato dalle sue due sorelle. Ma questa estate deve anche pensare al padiglione col quale il prossimo anno per la prima volta il Vaticano sbarcherà alla Biennale. Meno di dieci artisti si confronteranno sui primi undici capitoli della Genesi, la creazione e la coppia, l’amore e la salvaguardia del creato, la caduta del peccato originale e il male, la violenza, il diluvio universale e infine il pellegrinaggio verso la fede di Abramo. Con Ravasi è già al lavoro un Comitato scientifico composto dal critico dell’Osservatore Romano Sandro Barbagallo, dal direttore della Collezione d’arte contemporanea dei musei vaticani Micol Forti, dal segretario della Pontificia commissione per i beni culturali della chiesa Francesco Buranelli e da padre Andrea Dall’Asta, direttore della Raccolta Lercaro di Bologna e della Galleria San Fedele di Milano.
Chi non ha una casa, sceglie solitamente piccoli alberghi, luoghi ritirati spesso vicino a santuari amici. Così l’ex prefetto della Congregazione dei vescovi, il cardinale Giovanni Battista Re, che è in Valcamonica, il cardinale Achille Silvestrini che passerà parte delle vacanze accompagnando, come fa da anni, i ragazzi di Villa Nazareth a Dobbiaco, il prefetto del clero, il cardinale Mauro Piacenza, che ha scelto soltanto per pochi giorni l’alta Val di Non dove c’è il santuario della Madonna del Senale. Mentre il prefetto di Cor Unum, il cardinale guineano Robert Sarah, ha scelto il sud Italia e precisamente Padula, la cittadina della grande Certosa dove tra l’altro è nato il suo segretario particolare. In controtendenza, invece, il cardinale oggi novantaseienne Fiorenzo Angelini. Come ogni anni prenderà l’aereo per il cuore dell’Africa, Butembo, nella Repubblica Democratica del Congo, in una casa delle suore benedettine riparatrici del Santo volto di nostro Signore Gesù Cristo, congregazione religiosa fondata dal servo di Dio Abate Ildebrando Gregori, di cui Angelini è stato figlio spirituale.
Un caso a parte è quello del cardinale Roberto Tucci. Napoletano, di madre anglicana, ha diretto dal 1985 al 2001 la Radio vaticana, radio nella quale torna ancora oggi, ogni mattina, per una visita di cortesia. Tucci è sempre andato in vacanza in un piccolo paese della Toscana. A fare? A sostituire un parroco. Un cardinale parroco per qualche giorno, dunque. Una scelta pastorale che piace molto ai fedeli.
Torna invece come ogni anno in Abruzzo il cardinale Angelo Sodano, ex segretario di stato. La sua meta è sempre la medesima: Rocca di Mezzo. Vacanze di lavoro anche per lui: a mezzogiorno si dice abbia già letto tutti i giornali. Alloggia in una casa chiamata “Casa dei Papi”, un’abitazione a un piano che il prelato rocchigiano Vittorio Di Paola donò al vicariato di Roma. La casa guarda il Gran Sasso e Terranera da una parte e Rocca di Mezzo dall’altra. Fu nel 2009 che Sodano offrì simbolicamente questa casa a Benedetto XVI. Disse: “Ci sono le case degli uomini, poi ci sono le chiese, tante e belle, delle città e dei paesi. Poi c’è questa piccola casa che, se il Papa vorrà, potrà essere un luogo di residenza per brevi periodi, tipo Castel Gandolfo. Bisogna adattarsi, ma ci si sta bene”. Bisogna adattarsi, come stanno facendo la maggior parte degli uomini di chiesa in queste vacanze dal profilo basso, in stile Joseph Ratzinger.