venerdì 3 marzo 2017

Dalla metropoli alla cattedrale.



(Gianfranco Ravasi) Pubblichiamo parte della prefazione del prefetto del Pontificio consiglio della cultura a Un cardinale si confessa (Città del Vaticano, Libreria editrice vaticana, 2017, pagine 244, euro 15), che raccoglie le conversazioni tra il cardinale Martínez Sistach e il giornalista Jordi Piquer Quintina. 


La trama si apre con un atto capitale della cattolicità e della stessa storia mondiale, il Conclave del 2013 che ci vide accanto, nella mirabile cornice della Cappella Sistina, per l’elezione di Papa Francesco, sotto lo sguardo non solo dell’umanità intera ma soprattutto di quel Cristo michelangiolesco che incombeva su di noi elettori quando deponevamo le nostre schede sull’altare posto sotto il «Giudizio universale». Il cardinale traccia in modo limpido la spiritualità e la personalità del predecessore Benedetto xvi, che era stato in visita come pellegrino all’interno della basilica della Sagrada Familia e che aveva «aperto un nuovo modo di porre fine all’esercizio del ministero del Papa». Ma la sua analisi vuole dipingere soprattutto un ritratto suggestivo del successore, e del suo magistero.
La “confessione” del cardinale, perciò, si svolge quasi come in un flashback ricco di scene intense e vivaci e, quindi, si muove dal suo attuale presente, quello di un “pensionato attivo” che si impegna ancora su alcuni nodi tematici attorno ai quali si era svolta la sua precedente missione pastorale. Uno di questi nuclei fondamentali è costituito dalla realtà della metropoli, divenuta ai nostri giorni la meta di addensamento della popolazione di intere nazioni (questo accade già ora per oltre la metà degli abitanti del nostro pianeta, collocati in centri urbani spesso imponenti). «I credenti devono guardare la città con uno sguardo contemplativo, uno sguardo di fede in questa presenza di Dio», senza per questo ignorare che nelle grandi città operano oltre agli angeli anche i demoni. Questi ultimi sono più visibili nella loro opera (disintegrazione del tessuto sociale, violenza urbana, cultura della paura, speculazione e corruzione, consumismo e caduta dei valori etici comuni). Ma non si deve dimenticare che questo “segno dei tempi” è popolato anche di straordinarie occasioni “angeliche” di fede, di carità, di annuncio cristiano. Non per nulla nel 2012 Barcellona fu una delle dodici grandi città europee scelte per la “Missione Metropoli”. Entra, così, in scena un altro soggetto caro al cardinale fin dagli esordi dei suoi studi teologici, la presenza viva e operosa del laicato nella Chiesa: il suo testo più noto al riguardo, riedito più volte, Le associazioni di fedeli, centra proprio questo tema, che verrà spesso ripreso in molti altri scritti, anche di natura giuridica, tenendo conto delle competenze accademiche del cardinale. Il principio è netto: per i laici è necessario «passare dalla collaborazione alla corresponsabilità», anche perché in una società secolarizzata la loro è una voce efficace. Ma per attuare questa prospettiva di fondo bisogna rivedere certe dinamiche cristallizzate per cui — usando l’immagine della “piramide rovesciata” di Papa Francesco — si deve riconoscere che «il sacerdozio ministeriale è al servizio del sacerdozio comune di tutti i battezzati». In questo contesto ecclesiale un ampio spazio è riservato alla famiglia. Ricordo gli interventi appassionati del cardinale Martínez Sistach agli ultimi due sinodi ai quali abbiamo insieme partecipato.
Le pagine che in questo volume vengono dedicate al tema in tutte le sue complesse articolazioni — comprese quelle giuridico-canoniche — e l’attenzione riservata a un documento importante come l’esortazione Amoris laetitia possono costituire una preziosa testimonianza sia dell’esperienza sinodale, sia dell’impegno pastorale dell’arcivescovo di Barcellona in questo ambito. Non si dimentichi, infatti, che nella sua ampia bibliografia si incontra un titolo emblematico: Requisitos para que el matrimonio sea una “íntima” comunidad de vida y amor (2008). Da questo nucleo germinale della società il discorso s’allarga spontaneamente a un orizzonte più vasto, quello dell’intera comunità civile. Calorosa è la sua professione di amore per la città di Barcellona «“cap i casal” di Catalunya, la capitale politica, culturale, religiosa ed economica del Principato». Egli, orgoglioso della «Medaglia d’Oro della Generalitat de Catalunya» di cui è stato insignito, affronta con discrezione anche la dialettica politica molto accesa che pervade la società catalana riguardo al tema della nazionalità, consapevole però sempre della distinzione evangelica tra fede e politica. Il dibattito aperto è evidentemente complesso perché «la questione di fondo è se si accetta o meno che la Catalunya sia una nazione, dato che una nazione, alla luce della dottrina sociale della Chiesa, ha dei diritti e dei doveri che deve poter esercitare». Certo è che, al di là dei termini specifici politici della questione, dai quali l’arcivescovo si astiene, «c’è il desiderio di assicurare che siano rispettati in modo efficace la propria lingua, la cultura, l’istruzione e il benessere sociale». Il progetto generale che anima la mente dell’arcivescovo è comunque quello, più culturale e pastorale, di «una Catalunya dove si rispettano le differenti opzioni religiose e che, senza pregiudizi ideologici, si riconosca il bene che offrono le religioni alla realizzazione delle persone e del bene comune, rispettando pienamente il diritto civile e la libertà religiosa». Si entra, così, nel tema più generale della secolarità, una qualità che ha la sua matrice nel cristianesimo stesso con la celebre affermazione di Gesù riguardo al duplice rispetto per Dio e per Cesare (Matteo 22,15-22). La storia nazionale, con l’esperienza del franchismo e la successiva secolarizzazione (ben diversa dalla “secolarità” legittima perché esclude dimensioni religiose al vivere sociale), ha reso la Spagna «un paese di contrasti drammatici», come ha affermato Benedetto xvi nell’intervista a Peter Seewald. Proprio per questo è indispensabile ribadire che “laicità” non è uguale a “laicismo”, come appunto la “secolarità” non lo è rispetto al “secolarismo”. L’aconfessionalità dello Stato non esclude, perciò, la presenza della Chiesa e delle religioni nella società con un proprio contributo allo sviluppo civile in un dialogo fecondo interculturale.
Il simbolo di questo intreccio armonico tra comunità civica e religiosa è per Barcellona la Sagrada Familia, il “gran tempio” non solo della Catalunya ma cattedrale dell’intera Europa, monumento ideale della nuova evangelizzazione e dell’incontro tra fede e cultura, come recita appunto il titolo di un saggio del cardinale pubblicato nel 2012 (La Sagrada Familia, un dialogo tra fede e cultura). Era, per altro, questo il progetto ideale del suo grande artefice, Antonio Gaudí che aveva voluto comporre in armonia le tre vie della Rivelazione divina: il «Libro della Natura», il «Libro della Sacra Scrittura» e il «Libro della Liturgia». La visita a questo straordinario monumento, simile a una creatura vivente ancora in crescita, è per tutti emozionante e lo è stata anche per me durante una memorabile conclusione del Cortile dei Gentili con un imponente concerto vocale in cui quattro cori distribuiti nei punti cardinali della basilica si accordavano in un unico inno di fede e di bellezza. Giustamente Sistach dichiara che «la Sagrada Familia è per molti dei suoi visitatori non credenti un autentico “cortile dei Gentili” per il dialogo tra la fede e la cultura, tra la credenza e la non credenza».
Da questo spazio simbolico, che è contemporaneamente sacrale, civile e artistico, deve procedere la Chiesa nella sua uscita missionaria, un altro soggetto tematico che appassiona l’arcivescovo.

L'Osservatore Romano