giovedì 15 febbraio 2018

Messaggio del patriarca Bartolomeo in preparazione alla Pasqua.





Come il figliol prodigo


Come il figliol prodigo o il pubblicano dei vangeli il cristiano è chiamato in questo tempo «a vivere in modo più profondo l’economia creativa e salvifica di Dio». Anche perché «colui che ama veramente Dio, ama anche il prossimo e il lontano e l’intera creazione». È quanto sottolinea il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo, nel messaggio diffuso in vista della santa e grande quaresima. Un tempo forte — per il mondo ortodosso la quaresima avrà inizio lunedì 19, con il cosiddetto “lunedì puro” — nel quale ogni battezzato è sollecitato a «combattere la buona lotta dell’ascetismo, per volgerci alla “sola cosa, di cui c’è bisogno” (Luca, 10, 42)».
In un mondo che sembra rifiutare ogni forma di ascetismo e sacrificio, «davanti all’attuale profanazione della vita e al predominio delle forme individualistiche ed eudemonistiche», Bartolomeo ricorda che la Chiesa ortodossa «insiste sul periodo di quaranta giorni di lotte spirituali e “di venerabile temperanza” per i propri figli, quale preparazione alla santa e grande settimana, alla passione e alla croce di Cristo, per divenire contemplatori e partecipi della sua gloriosa risurrezione».

La quaresima è dunque un tempo di scelte. Da una parte, infatti, rileva il patriarca ortodosso, «ci rendiamo conto del tragico vicolo cieco della magniloquenza autosalvifica del fariseo, della durezza di cuore del figlio maggiore della parabola del figliol prodigo, del crudele disinteresse per la fame, la sete, la nudità, la malattia, l’abbandono del prossimo, in accordo con la narrazione evangelica sul giudizio finale». Dall’altra, «veniamo esortati a imitare la conversione e l’umiltà del pubblicano, il ritorno del figliol prodigo alla casa del Padre e la fiducia della sua grazia, a imitare coloro che fanno misericordia ai bisognosi, la vita di preghiera di Gregorio Palamas, l’ascesi di Giovanni il Sinaita e di Maria Egiziaca, e fortificati attraverso la venerazione della sacre icone e la venerata Croce, a giungere all’incontro personale con Cristo risorto dai morti e datore di vita». 
Non si tratta comunque di un’ascesi che il cristiano è chiamato a svolgere in solitudine. Per Bartolomeo, «durante questo periodo benedetto, si rivela con particolare enfasi il carattere comunitario e sociale della vita spirituale». Infatti, «non siamo soli, non stiamo soli davanti a Dio. Non siamo una somma di individui, ma una comunione di persone, per le quali “essere” significa “essere insieme”. L’ascesi non è individuale, ma un atto ecclesiastico e una impresa, partecipazione del fedele al mistero e ai misteri della Chiesa, lotta contro la filautia, esercizio della filantropia, uso eucaristico della creazione, contributo alla trasfigurazione del mondo». In questo senso, «è libertà comune, virtù comune, bene comune, comune obbedienza alla regola della Chiesa». Infatti, «non digiuniamo come desideriamo individualmente, ma come la Chiesa stabilisce. Il nostro sforzo ascetico è operativo nell’ambito delle nostre relazioni con gli altri membri del corpo ecclesiastico, come partecipazione ai fatti e alle vicende, che formano la Chiesa come comunità di vita, come “vivere la verità nella carità” (cfr. Efesini, 4, 15)». Anche perché, viene ricordato, «la spiritualità ortodossa è inscindibilmente connessa con la partecipazione all’intera liturgia della vita della Chiesa, che ha il culmine nella Divina Eucaristia, è devozione che viene nutrita e che acquisisce dimensione nella o mediante la Chiesa».
Tuttavia, mette in guardia Bartolomeo, la grande quaresima «non è un periodo di esaltazione religiosa psicologica e di emozioni superficiali». Infatti, secondo il punto di vista ortodosso, la spiritualità non nutre «un deprezzamento dualistico della materia e del corpo». Al contrario «spiritualità è l’impregnarsi dell’intera nostra esistenza, spirito, mente e volontà, dell’anima e del nostro corpo, dell’intera nostra vita, di Spirito santo, che è spirito di comunione». E, ancora, «spiritualità significa l’ecclesiasticalizzazione della nostra vita, una vita ispirata e diretta dal Paraclito, essere veramente portatori dello Spirito, che presuppone la nostra personale libera collaborazione, la partecipazione alla vita sacramentale della Chiesa e una vita divinamente ispirata».

L'Osservatore Romano