giovedì 23 giugno 2011

Il Testimone dell'Agnello (1)

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Giovanni Battista è l'unico santo di cui la Chiesa celebra non solo la nascita al Cielo (la morte, appunto), ma anche (e con il tono liturgico più elevato) quella  su questa terra. Per l'occasione propongo la lettura di un testo del compianto card. Jean Danielou, accademico di Francia e teologo tra i più grandi del secolo scorso. Buona lettura.

* * *

JEAN DANIÉLOU
GIOVANNI BATTISTA
TESTIMONE DELL'AGNELLO
MORCELLIANA 1965
Titolo originale dell'opera: Jean Baptiste témoin de l'Agneau,
Trad. di Velleda Minelli Meneghetti


PREFAZIONE
I manoscritti del Mar Morto hanno portato un rinnovato interesse sulla figura di Giovanni, chiamato il Battista. In questa prospettiva Jean Steinman ha consacrato al Precursore un volumetto ed il professor Flusser gli ha dedicato recentemente un'opera notevole. Ma Giovanni Battista si pone anche nella prospettiva della Storia sacra e ne rappresenta un momento culminante. È quanta ha dimostrato Sergej Bulgakov nell'Ami de l'époux ed è su questa linea che anche noi ci collochiamo.
Queste due dimensioni sono ugualmente legittime ed ugualmente rigorose. La Storia è contemporaneamente Storia scientifica, alla quale si accede attraverso i documenti, e Storia sacra, in cui penetra la sguardo profetico. L'importante è di muoversi su entrambi i toni, senza separarne gli oggetti ma rispettandone i metodi. Si tratta di livelli differenti all'interno di una realtà che è una. Sono modi di procedere complementari, che si giustificano l'un l'altro, ben lungi dal contraddirsi.
Dunque, in questa libro, si tratta essenzialmente di teologia della Storia. Ho tentata già altrove di reinquadrare Giovanni nel sua contesto di Storia delle civiltà. Questa teologia della Storia si propone come oggetto le grandi opere di Dio nei diversi momenti della Storia della salvezza. Storia della salvezza che inizia con la creazione del cosmo, come ci insegna sant'Agostino nel De catechizandis rudibus. Segue il periodo più lungo che va da Adamo ad Abramo e che ci viene riassunto dai capitoli della Genesi compresi fra il III e l'XI. Ne ho spiegato il contenuto specifico ne Les Saints païens de l'ancien Testament. L'età successiva è quella che va da Abramo a Giovanni Battista.
Giovanni Battista rappresenta da solo una età del mondo. Ecco perché era opportuno consacrargli un libro. Di breve durata nel tempo, questa età non per questo manca di un suo particolare contenuto ed è soprattutto tale contenuto che ho tentato di mettere in luce. Riprendo così, sviluppandoli, i temi di un capitolo del Mystère de l'Avent. Il presente volume viene in tal modo ad inserirsi in quella prospettiva di teologia della Storia che si sta elaborando.

Jean Daniélou
CAPITOLO PRIMO
LA VOCAZIONE
Ogni vocazione si definisce in rapporto al disegno di Dio e costituisce una cooperazione all'opera di salvezza. Ogni vocazione ha, in questo senso, un significato storico e presente, qualche cosa di unico, un compito personale, insostituibile da realizzare. Generalmente, però, questi compiti personali rientrano nella trama comune della Storia della salvezza. Essi sono l'inserimento, in un dato tempo e luogo, di una missione collettiva. Tuttavia, a determinati momenti decisivi, a determinate articolazioni della Storia, Dio fa sorgere degli uomini che devono inaugurare un'epoca nuova. La vocazione assume allora un carattere esemplare. Tale fu la vocazione di Abramo che Dio chiama dal mondo pagano per essere l'origine assoluta di un popolo nuovo che Egli si costituisce. Tale fu la vocazione di Mosè al quale Dio si rivela nel Roveto Ardente sotto un nome nuovo che segna una nuova tappa della Rivelazione. Viene alla mente il testo di Pascal: « Le sei età; i sei padri delle sei età; le sei meraviglie all'inizio delle sei età; i sei orienti all'inizio de1!e sei età» (1).
La vocazione come missione.
Giovanni Battista si colloca in questa linea. E non soltanto si colloca su questa linea ma è insieme colui con il quale essa culmina e nel quale essa raggiunge il suo compimento. Nella sua persona sono ricapitolate tutte le tappe della preparazione della fine dei tempi che erano state segnate dal succedersi delle vocazioni dei patriarchi e dei profeti; ma egli è l'ultimo, secondo la parola stessa del Cristo: «tutti i profeti e la Legge hanno profetato fino a Giovanni» (Mt. 11, 13) (2). In effetti, da questo momento ha inizio un mondo nuovo che non si aggiunge più alla successione dei profeti, come credeva Maometto, ma che è il compimento stesso di quanto i profeti avevano annunciato, la venuta della gloria di Dio che rimane corporalmente fra gli uomini, il Verbo che si è fatto carne. Il gesto del Verbo di Dio che introduce il primo Adamo nel Paradiso può trovare il suo parallelo, non più nelle vocazioni profetiche, bensì nel gesto del Verbo di Dio che riafferra Adamo per reintrodurlo irrevocabilmente nel Paradiso.
Quindi la vocazione di Giovanni non si pone ad un punto di congiunzione dell'Antico Testamento, come quella dei suoi predecessori,
essa si pone al cardine stesso fra l'Antico Testamento ed il Nuovo. Questo appare in modo evidente nel Vangelo di san Luca. Quando Zaccaria, padre di Giovanni, sacerdote della classe di Abìa, si trovava nell'Hekal, il Santo, al momento della preghiera per offrirvi l'incenso «l'angelo del Signore gli apparve in piedi alla destra dell'altare dell'incenso» (Lc. 1,11). L'annuncio della vocazione di Giovanni si pone dunque nel quadro della liturgia del Tempio, di quel Tempio in cui abitava il Dio vivente ma che prefigurava un altro Tempio. Ma con Cristo si inaugurerà il Tempio nuovo ed il Tempio prefigurativo sarà abbandonato dalla Presenza. L'angelo che lo custodiva lo lascerà, come dice sant'Ilario (3); ed è nel Tempio cèleste che offrirà non più !'incenso figurativo ma !'incenso vero: la preghiera dei Santi (Apoc. 8, 3).
Ancora più esplicita è la parola dell'angelo: « Giovanni camminerà davanti al Signore con lo spirito e la potenza di Elia» (Lc. 1, 17). Nella tradizione giudaica Elia era considerato il profeta per eccellenza, colui che aveva predicato la conversione all'infedele Israele per prepararlo al giudizio di Dio, sempre imminente. Ma era egli stesso la prefigurazione dell'ultimo dei profeti, colui la cui venuta avrebbe immediatamente preceduto il Giudizio. Gli Ebrei, alla vigilia del Vangelo, erano stati misteriosamente preavvertiti dell'imminenza dell'avvenimento escatologico, come confermano i manoscritti del Mar Morto. È a questo momento che Dio fa sorgere Giovanni Battista, come il nuovo ed ultimo Elia, colui nel quale si compie e si esaurisce la lunga discendenza del profetismo. Questo non era che preparazione alla venuta di Dio. Ora Dio visiterà il suo popolo «come un sole che sorge dagli abissi », come il settimo oriente alla fine delle sei età, oriens ex alto (Lc. 1, 78).
È proprio quello che Zaccaria, non più incredulo come alla prima visita dell'angelo, ma illuminato dallo Spirito Santo (Lc. 1, 67) e ripieno dello spirito di profezia - cioè penetrante i segreti del disegno divino che si compie sotto i suoi occhi - riconoscerà in questo figlio, uscito dalla sua carne, del quale contempla con stupore la missione nello spirito: «e tu, bambino, sarai chiamato profeta dell'Altissimo» (Lc. 1, 76). In virtù dello sguardo profetko che penetra, oltre le apparenze sensibili, nel contenuto divino della Storia sacra, Zaccaria vede nel bambino quel profeta per eccellenza - non soltanto profeta ma «più di un profeta» (Mt. 11, 9) - che « camminerà davanti al volto di Dio» cioè che precederà il manifestarsi di Dio per «preparare le vie» di questa manifestazione « mediante la remissione dei peccati ». E questa manifestazione non sarà il giudizio terribile portato su di un'umanità schiava della morte e del peccato, ma l'espressione della «tenera misericordia» che si alzerà come un'aurora dalla profondità degli abissi, come una luce in sperata nel cuore delle ineluttabili tenebre.
Si vede dunque quanto la vocazione di Giovanni si definisca innanzi tutto in rapporto al disegno di Dio. Egli sta all'estremo limite della discendenza dei profeti, alla soglia della fine dei tempi, di fronte all'imminenza dell'avvenimento decisivo. In questa prospettiva si comprende l'urgenza dell'appello che egli lancerà, il modo con il quale scuoterà formalismi e connivenze. Egli è pronto a cogliere i segni annunciati dalla parusia: il sole che si oscura, la luna che non riflette più la luce, gli astri che cadono dal cielo, le potenze ce" lesti che si scuotono (cfr. Mt. 24, 29). E tuttavia, già nella prima testimonianza che gli è data, quando ancora vagisce in una culla, qualche cosa risplende sul suo viso: l'alba del sole che sta per apparire all'orizzonte e che oscurerà quello della prima creazione, qualche cosa che è già un primo riflesso del Vangelo e che lascia presagire che l'avvenimento annunciato non sarà il trionfo del leone di Giuda sopra i nemici di Dio, ma il sacrificio dell'Agnello che toglie i peccati del mondo.

La vocazione come elezione.
La vocazione di Giovanni ci appare così esemplare di ogni vocazione, in quanto ogni vocazione è una missione. Ci appare inoltre esemplare di ogni vocazione in quanto ogni vocazione è elezione. Ciò spiega innanzi tutto il carattere assolutamente gratuito della vocazione. Dio sceglie come e quando vuole, senza essere condizionato da nulla, in piena e sovrana libertà. Libertà, tuttavia, che non è arbitrio; se la libertà divina non. è condizionata da nulla di esterno, essa è però l'espressione dei misteriosi consigli della Saggezza e dell'Amore. Questo appare eminentemente in Giovanni. Egli è scelto da Dio per una missione che Dio stesso gli destina, non in virtù di qualche merito precedente ma fin da prima che nascesse. {( Egli sarà ripieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre» dice Zaccaria all'angelo (Le. 1, 15). La Chiesa non esiterà ad applicargli, nell'introito della sua Messa, le parole con le quali il profeta Isaia designa l'eletto per eccellenza, il servo di Jahvé: «Jahvé mi ha chiamato fin dal seno materno, fin dalle viscere di mia madre ha pronunciato il mio nome» (49, 1). Anche qui Giovanni Battista appare nella successione di tutti coloro che Dio aveva eletto nel corso della Storia Sacra per fame i propri strumenti. Poiché l'elezione è sempre in funzione di una missione. Così, Dio sceglie Giacobbe e lascia da parte Esaù; così, fra i sette figli di Jesse è il più giovane, colui al quale nessuno pensava e che stava pascolando il gregge quegli che Dio si era riservato per fame il suo servo Davide e che Samuele designò e segnò con l'unzione (1 Sam. 16, 10-13). Così, nonostante le proteste che gli oppone, Dio chiama Geremia. E quando questi dichiara di non saper parlare, Dio gli risponde: « Metterò le mie parole sulla tua bocca» (1, 10). Non solo l'elezione non è condizionata da meriti precedenti ma neppure ostacolata da limiti umani. PeI1ciò essa è sempre al di sopra delle forze umane. È la grazia di colui che chiama che dà anche la possibilità di compiere ciò che egli chiede: « lo mi glorifico della mia miseria» dirà san Paolo.
L'elezione appare così uno di quegli aspetti dei mores divini che si manifestano attraverso la Storia sacra e che sono l'oggetto della contemplazione profetica. Come Maria ammirerà nell'Incarnazione del Verbo la manifestazione della suprema potenza di Dio, così già Zaccaria ammira nell'elezione di Giovanni una meraviglia compiuta da Dio solo. Il Benedictus è quasi una profezia del Magnificat. Perciò tutto questo esordio del Vangelo si svolge come una liturgia in cui i misteri si susseguono ai misteri, riempiendo di stupore gli angeli e gli uomini. L'elezione è opera prettamente divina poiché crea qualche cosa senza bisogno di preparazione o condizionamento alcuno. Ora, tale è la caratteristica delle opere di Dio. Questo si verifica per la creazione nell'ordine della natura; Dio crea dal nulla questo cosmo del quale noi non riusciamo a raggiungere i limiti. Questo si verifica nell'ordine della Storia: l'elezione è un cominciamento totale. Per questa la Bibbia usa un unica termine bara' per designare queste opere propriamente divine nella natura e nella Storia.
Ma tali scelte di Dio non sono forse l'espressione dell'arbitrio? Qui noi ci accostiamo ai misteri più profondi del disegno di Dio. Appunto a proposito di Giacobbe ed Esaù san Paola, nell'Epistola ai Romani, ribadisce la libertà delle elezioni divine: «no erano ancor nati i figli e non avevano ancora fatto né bene né male, affinché il disegno elettivo di Dio rimanesse fermo, scelto con libera elezione senza riguardo alle opere, ma per voler di Colui che chiama, le fu detto: (a Rebecca) il maggiore sarà soggetto al più giovane» ( Rom. 9, 11-12). Questo arbitrio può scandalizzare e Paola pone a se stesso l'obiezione: « Che diremo allora? C'è ingiustizia in Dio?» (Rom. 9, 14). No, poiché non si tratta del destino eterno dell'uomo ma delle circostanze della sua vita temporale. In questo campo Dio non ammette che gli si chiedano dei rendiconti che vorrebbero limitargli la libertà del suo amore con calcoli di una saggezza meschina. L'essenziale non è di avere una maggiore a minor quantità di talenti ma di farli fruttare. Vi è diversità di carismi, ma ciò che vale è soltanto la carità.
Espressione della gratuità della vocazione, l'elezione è pure espressione del sua carattere personale. E senza dubbio è questo che le conferisce il suo aspetto specifico. Essa è un appello fatta da un Dio personale a una persona umana ed esprime, in questa senso, quel carattere essenziale della visione cristiana delle cose, che è quella di un universo dominato dalla realtà e dal valore della persona. Valore che ha le sue radici in Dio stesso, rivelatosi esistente in tre Persone unite dall'amore. E la creazione è essenzialmente quella di persone che Dio chiama a condividere beni che sono suoi ed a trovare in essi la gioia infinita e la beatitudine. Resta fermo tuttavia che nel rapporto fra creatura e Dio vi sono aspetti che hanno carattere di generalità. È una medesima legge divina che esprime per tutti gli uomini la volontà di Dio, una medesima Alleanza nella quale essi sono chiamati a partecipare dei beni divini.
La vocazione invece ha un carattere assolutamente personale. Essa non è ciò che fa di un uomo un uomo, assoggettato alle leggi generali della natura umana; essa fa si che un uomo porti un nome particolare, unico, che esprime la particolare chiamata di cui è stato oggetto. In questo senso, l'imposizione del nome da parte di Dio, è l'espressione della vocazione. Così Iahvé cambia il nome di Abramo in Abraham, così Simone si chiamerà d'ora innanzi Pietro. Vi è anche un mistero nel nome di Giovanni: «Nell'ottavo giorno poi, vennero a circoncidere il bambino e stavano per chiamarlo Zaccaria, col nome cioè di suo padre. Allora sua madre Elisabetta prese la parola e disse: "No, avrà nome Giovanni", Ed essi le fecero osservare: "Non vi è alcuno della tua parentela che porti quel nome!" Fecero quindi cenno al padre per sapere come volesse chiamarlo. Ed egli, chiesta una tavoletta, vi scrisse: Il suo nome è Giovanni! E tutti ne restarono meravigliati ». (Lc. 1, 59-63).
Perché l'evangelista ritenesse di mettere in luce questo episodio bisognava che fosse ricco di significato. Ed effettivamente sottolinea bene il carattere personale dell'elezione. Giovanni non porterà soltanto il nome patronimico, che esprimerebbe semplicemente la sua appartenenza ad una famiglia; Dio gli assegna un nome personale che è l'espressione della sua vocazione unica. Ed è mediante quel nome che Dio lo designa. «Mi ha chiamato con il mio nome» (Is. 49, 1). Questo nome esprime una realtà unica, insostituibile, non confusa nell'anonimato della stirpe ma amata di un amore personale. Il nome esprime così quell'elemento unico che Dio ha voluto in ogni creatura umana, quel risultato spirituale che in essa Egli persegue. Questo nome è il simbolo di ciò che vi è di più interiore, di quel segreto intimo che solo Dio conosce e che solo Dio rivela. «Gli darò una pietra bianca e su questa pietra sta scritto un nome nuovo che nessuno conosce all'infuori di chi lo riceve »(Apoc. 2, 17).
Ma tale relazione con Dio di ogni animo umano si esprime su due piani distinti. Essa è prima ,di tutto costitutiva dell'esistenza stessa. lo esisto in quanto Dio mi chiama, mi suscita ad ogni istante all'esistenza, mi dona a me stesso. Questa relazione personale con Dio non rappresenta un momento successivo, ma fa parte essenziale del mio essere. Ad ogni istante io mi ricevo tutto intero da Lui. Riconoscere questo dono, rispondere alla grazia mediante azione di grazie, riferire a Dio in ogni momento non soltanto tutto quanto mi appartiene ma tutto quello che sono, questo è l'espressione stessa della religione. Ed in tal senso, essere religioso è una dimensione essenziale del mio essere. Se per me, esistere significa essere in relazione con Dio, riconoscere questa relazione significa semplicemente avere coscienza di quello che io sono. Significa, fuori di me e dentro di me, espandermi o raccogliermi in Colui che vive in me e nel quale io vivo.
Ma vi è una seconda relazione con Dio, relazione che non è più soltanto al (livello dell'essere ma è al livello dell'agire. Ed è propriamente questa la vocazione. Il mio nome esprime non soltanto quello che sono ma anche quello che devo compiere. Forse è un altro nome; Dio ne aggiunge allora al primo un secondo che esprima la vocazione. Ma per Giovanni i due nomi sono imposti contemporaneamente. Giovanni non ha necessità di cambiare nome perché la sua vocazione lo coglie ancor prima di nascere, non viene a cercarlo nel cuore di una vita, che dapprima si sarebbe svolta prescindendo da essa. Ed anche da questo punto di vista la sua vocazione è esemplare. Dio non mi chiama soltanto all'esistenza, mi chiama anche al servizio della sua opera. Per questo mi recluta. Ed allo stesso modo che il mio essere è un essere unico, così unica è la mia vocazione alla quale Dio mi chiama personalmente ed alla quale personalmente io rispondo.
In tal modo, la vocazione rappresenta una nuova forma di intimità con Dio. Dio non si fa conoscere soltanto come sorgente di ogni esistenza. Egli introduce nel segreto del suo disegno redentore, spalanca le porte dell'anima oltre se stessa verso la salvezza del mondo. Dio cerca quindi dei cuori liberi, che si affidino a lui per poterli rendere partecipi dei suoi consigli e delle sue decisioni. Ciò è sommamente vero di Giovanni. Egli è colui che « deve preparare le vie del Signore », « istruire i popoli a riconoscere la salvezza» (Lc. l, 76). È dunque prima di tutto colui che deve apprendere egli stesso le vie del Signore per poter riconoscere lui medesimo la salvezza. L'intimità dell'anima con il suo Dio si manifesta qui ad un nuovo livello. Ed il nome assume il valore di un appello, talvolta di un rimprovero, ma rimane sempre l'espressione di un legame ineffabile. Maria riconosce che il suo Signore vive quando Gesù risorto la chiama con il suo nome.

Vocazione e comunione.
Noteremo che per due volte la vocazione di Giovanni è presentata in rapporto con il popolo di Dio. Sua missione sarà di ricondurre i figli d'Israele al Signore loro Dio e di preparare al Signore un popolo ben disposto (cfr. Lc. 1, 16-17). Sullo sfondo della missione di Giovanni, appare qui il mistero centrale dell'Alleanza. Non è soltanto con individui che Dio ha stretto alleanza. È un popolo che Dio ha scelto e con il quale ha stretto alleanza. Tutto l'Antico Testamento ci descrive Israele come questo popolo prescelto da Dio. E la funzione degli inviati da Dio, a cominciare da Mosè fino ad Elia e a Giovanni, è sempre quella di ricondurre al suo Signore questo popolo che se n'è allontanato e di prepararlo a ricevere le visite del suo Dio.
Più avanti Zaccaria, a proposito di Giovanni, profetizza che « egli insegnerà al popolo di Dio a riconoscere la salvezza ». (1, 77). Anche qui la sollecitudine di Dio si rivolge innanzitutto al suo popolo. E per aiutare il suo popolo Dio chiama Giovanni. Nelle parole di Zaccaria si ritrova l'eco degli antichi profeti che avevano annunciato il giorno in cui il popolo di Dio avrebbe riconosciuto il suo Signore, in cui cioè sarebbe entrato con lui in un'Alleanza nuova e definitiva. «Ma questo sarà il patto che io stringerò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore, porrò la mia legge dentro di loro e la scriverò nei loro cuori. lo sarò il loro Dio e loro saranno il mio popolo. E tutti mi riconosceranno, dal più piccolo al più grande» (Ger. 31, 33-34). Abramo, Mosè, Elia, erano stati gli strumenti con i quali Jahvé aveva sigillato una prima alleanza con Israele. In tal modo, un popolo di Dio si era costituito.

Ma essi avevano annunziato che Dio, alla fine dei tempi, avrebbe formato una nuova alleanza, che cioè avrebbe chiamato il suo popolo ad una più perfetta comunione di vita con Lui. Questa nuova alleanza è ora vicinissima ed essa sarà quella perfetta poiché vi saranno chiamate a partecipare tutte le nazioni, «coloro che vivevano nelle tenebre e all'ombra ,della morte ». Alleanza che non distruggerà ma completerà quella antica. Questa, in effetti, era interamente preordinata a quell'accrescimento nel quale tutti i popoli sarebbero stati chiamati a condividere ciò che da principio era stato soltanto il privilegio di Israele, nel quale i rami selvatici sarebbero stati innestati sull'ulivo buono, nel quale il fratello maggiore avrebbe visto rientrare al focolare domestico il fratello smarrito in una terra senza acqua e senza sentieri, nel quale il gregge perduto si sarebbe ricongiunto al gregge, nuovamente completo, del pastore celeste.
Giovanni è chiamato a preparare il popolo antico a questa misteriosa crescita del Regno. Perché i cuori possano dilatarsi fino ai confini dell'umanità, è necessario che rinuncino alla loro meschinità ed alla loro sufficienza. La Storia, nel suo insieme, è la Storia di questo popolo di Dio in cammino verso la Gerusalemme celeste e che ad ogni tappa accoglie popoli nuovi fino a che il Regno non raggiungerà i più lontani confini del mondo. Il momento che Giovanni rappresenta è particolarmente importante in questa crescita. Egli ne indica la principale articolazione. Deve preparare il popolo antico a questo ampliamento decisivo. Così Giovanni ci appare impegnata nel più profondo della vita del suo popolo. Egli ne prolunga le ispirazioni. Già il Maestro di Giustizia aveva annunciato che gli ultimi tempi erano cominciati. Il popolo di Israele era diviso in molteplici correnti; tutti si aspettavano grandi eventi, non tutti li immaginavano nel medesimo modo. Stava per sorgere Giovanni, per orientare questa attesa del popolo secondo le vie e i disegni di Dio.
Così, sotto quest'ultimo aspetto, la sua vocazione ci appare un servizio, una funzione in rapporto al popolo. È il popolo che Giovanni vuole strappare alla sua apatia, alla sua illusione per aprirlo ai disegni di Dio. Ed al di là di Israele, è questo popolo che si sta preparando e del quale egli è il precursore. Se non è lui stesso il missionario delle nazioni, egli ha la missione di preparare coloro che, giunta l'ora di Dio, saranno i missionari .delle nazioni. Ed in quel giorno, proprio i .suoi discepoli, avendo riconosciuto la luce salita dalla profondità degli abissi, ne saranno i testimoni fino ai confini della terra. Giovanni occupa, nella Storia del popolo di Dio, un posto incomparabile. Si colloca nella lunga ascendenza che, da Abramo a Gesù, costituisce l'asse della Storia e che, dopo Gesù, pr().. seguirà da Pietro alla Chiesa d'oggi, dal Concilio di Gerusalemme al Concilio Vaticano.
Anche per questo la vocazione di Giovanni -ci appare esemplare. Essa si inserisce nella comunità per svolgervi una funzione insostituibile. Ora, anche questa è una caratteristica della. vocazione. Essa è ciò per cui un'esistenza realizza la sua necessità, si scopre cioè necessaria .agli altri, corrispondente ad un'esigenza vitale. Una vita infelice è una vita che non serve a nulla, che si sente isolata, « vagante ed in halìa dei venti », dirà san Paolo, leggera di quella spaventosa leggerezza di ciò che non è trasportato dal peso dell'amore verso il suo posto, verso il posto assegnatogli da Dio. La felicità di una vita è invece l'aver trovato la propria sede, la sede in cui Dio la vuole, qualunque essa sia. Certuni non la troveranno mai - o piuttosto crederanno di non averla mai trovata, perché vi si trovavano senza saperlo, se almeno erano trascinati dal peso dell'amore - poiché l'amore non trova sempre dove posarsi prima di aver trovato il riposo del cielo.
Poiché la vocazione di Giovanni non ha molto in comune con la necessità che muove la ruota di un ingranaggio in una società bene organizzata o con il compimento di una funzione all'interno del corpo sociale. Essa esprime, invece, la libertà di Dio e si pone in un mondo in piena crisi. Essa appare in opposizione, appunto, con un Israele che vorrebbe sottrarsi all'irruzione dello Spirito e si rifiuta di essere messo in questione. Da questo essa ci fa scoprire il popolo di Dio non simile ad una società chiusa, in mezzo ad altre società chiuse, come lo erano le sette giudaiche, ma come un popolo in cammino, aperto a tutti gli sviluppi e che non conosce altri limiti all'infuori della creazione stessa di Dio. E proprio perché è comunione con l'intero popolo di Dio nel movimento che lo trasporta verso la Città eterna, ogni vocazione autentica porta in sé la propria certezza sp,lendente e si ricongiunge alla totalità attraverso la particolarità stessa del suo servizio.
Nella Sacra Scrittura si troverebbero pochi personaggi come Giovanni Battista nei quali la vita e la missione siano così strettamente legate. È in questo che egli ci offre un esempio altissimo di ogni vocazione. Ma è anche vero che la sua vocazione appare quasi determinata, in quanto presenta alcune caratteristiche proprie. Sono queste caratteristiche proprie che interessano in particolare modo, nella misura in cui tentiamo di mettere in luce una spiritualità del Battista. Ed ora dobbiamo cercare di approfondire in modo più completò la natura di tali caratteristiche.

[1] Ed. Lafuma, n. 283 (ed. Brunschvicg, n. 655).
[2] La traduzione italiana dei testi del Vecchio e del Nuovo Testamento è tratta da «La Sacra Bibbia» a cura di Fulvio Nardoni, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1960.
[3] Vedi JEAN DANIÉLOU, Les Anges et leur Mission, Chevetogne, 2 ed., pp. 18-19.


CAPITOLO SECONDO
LA SANTIFICAZIONE
Fino ad ora abbiamo cercato di collocare Giovanni Battista nel suo ordine proprio, a questa soglia misteriosa che separa ed unisce i due Testamenti, in questo momento unico della storia della salvezza. Abbiamo detto come il significato di tale vocazione personale era di essere la preparazione ultima all'avvenimento escatologico, definitivo, della venuta del Verbo di Dio. L'Antico Testamento designava spesso questo avvenimento escatologico con il termine di «visita» del Signore. Giovanni deve predisporre i cuori ad accogliere tale visita, dopo essere stato a sua volta visitato da Colui che egli deve preparare. Per uno scambio misterioso, è Colui di cui prepara la venuta che lo prepara a compiere questa missione.
La visita.
La storia di Giovanni Battista non è soltanto una preparazione alle meraviglie che Dio deve compiere in Gesù; essa stessa fa parte delle meraviglie ,di Dio, cioè delle grandi opere che Dio compie e che costituiscono la Storia sacra. Giovanni appartiene a questa Storia che s'inizia colla creazione del mondo e dell'uomo. È un medesimo disegno che svolgono davanti a noi l'Antico ed il Nuovo Testamento; è un medesimo Verbo di Dio che ha creato l'uomo all'inizio e che l'ha introdotto nel Paradiso, il che significa alla partecipazione della vita divina e che verrà a prenderlo alla fine dei tempi per reinsediarlo definitivamente nel Paradiso che gli era stato precluso dal suo stesso peccato.
L'episodio della Visitazione ci colloca nel movimento stesso di questa Storia sacra. Come già abbiamo notato a proposito dell'annunciazione a Zaccaria nel Tempio, le circostanze stesse della vita di Giovanni segnano contemporaneamente la continuità con l'Antico Testamento ed il suo orientamento verso il Nuovo. Ora, anche l'episodio della Visitazione ci manifesta questa continuità, e sempre in relazione con il Tempio. Gli esegeti hanno notato che Luca, narrandoci l'episodio della visita di Maria a Elisabetta, si è ispirato ad un testo dell'Antico Testamento che ci descrive il cammino dell'arca dell'alleanza verso il Tempio di Gerusalemme (2 Sam. 6, 1-13). L'arca in cui abita Jahvé è trasportata alla volta di Gerusalemme. Davide, al suo passaggio, danza e salta di gioia. Prima che l'arca giunga da Obed-Edom nelle montagne della Palestina, Davide esclama: « Com'è possibile che l'arca del Signore venga verso di me? ».
Il raffronto con la scena della Visitazione è sorprendente. Le parole sono le stesse. Qui, come là, si parla delle montagne della Palestina. Come Davide salta (skirtai) davanti all'arca, Giovanni salta (skirtai) davanti a Maria; e le parole ,di saluto che Elisabetta rivolge a Maria sono le stesse con le quali Davide saluta l'arca. È facile scorgere la profondità teologale che questo collegamento fatto da Luca fra i due episodi, conferisce alla Visitazione. Quello che era l'arca nell'Antica Alleanza, il luogo dove Jahvé abitava in mezzo al suo popolo, lo è Maria nella Nuova Alleanza poiché in Lei ha preso dimora il Verbo. L'episodio della Visitazione è così quasi sottratto all'aneddoto ed acquista la sua dimensione divina. Questo stesso movimento della Storia sacra continua. Lo stesso Dio è in cammino attraverso la Storia «operando meraviglie» e suscitando la gioia messianica.
Ma se vi è in tal modo un'analogia fra l'Antico ed il Nuovo Testamento, fra la presenza di Dio nel tabernacolo e la presenza di Dio in Maria, essa non deve nasconderci l'abisso che separa i due momenti. La presenza nell'arca appartiene ancora all'ordine dei simboli. La presenza in Maria è già nell'ordine del compimento. Ed è qui che appare il carattere unico dell'ordine di Giovanni poiché è pur vero che egli appartiene ancora all'Antica Alleanza ed al tempo delle preparazioni e delle prefigurazioni. E tuttavia, quando Maria visita Elisabetta, le promesse sono state adempiute e Dio ha visitato il sua popola. È già il Verbo incarnato che, presente Maria, fa balzare di gioia Giovanni come un novello Davide, nel seno di sua madre. La Visitazione e la santificazione di Giovanni sono le prime manifestazioni dell'Incarnazione. È già opera del Verbo; sono già le prime manifestazioni della Grazia.
Giovanni, che un giorno sarà il prima testimone della Trinità nella teofania del battesimo, è introdotto nella vita trinitaria fin dalla soglia della sua esistenza. La Presenza del Figlia di Dia inviata dal Padre, la fa esultare di gioia, di quella gioia data soltanto dalla presenza della Sposa, come egli dirà un giorno. Segnato fin dal principia da questa gioia, non vorrà mai conoscerne altre. Lo Spirito Santo, mandato dal Padre e comunicato dal Figlio, riempie Elisabetta e santifica Giovanni, inaugurando così le sue opere meravigliose e preludendo a quell'effusione della Spirito che, il giorno della Pentecoste, ricolmerà l'intero universo. Ma queste opere della Spirito sono innanzi tutto compiute nel silenzio e nel segreto dove vengono introdotte soltanto le anime nascoste.
Così, la Spirito è comunicato già attraverso Maria nella quale abita il Verbo, come sarà un giorno comunicato attraverso la Chiesa, dove abita il Verbo. Poiché appartiene al modo di Dio di servirsi degli strumenti che Egli si sceglie per farne i dispensatori dei suoi doni. Così, la Spirito è comunicato a Giovanni proprio attraversa Maria, inaugurando un procedimento che non cesserà più poiché gli atti di Dio sono irreversibili. Ed in questo episodio si vede effettivamente come Dio, dopo la preparazione dell'Antico Testamento; prepari il Nuovo, facendo di quella parte del Nuovo che precede la Natività - e benché il Verbo di Dio sia già venuto - un Avvento, come appunto bene indica la liturgia.
La consacrazione.
Le infanzie di Giovanni e di Gesù sono un tesoro regale e nascosto. Per molti resta inaccessibile. Altri, si accontentano di vederne alcuni episodi commoventi e si inteneriscono su questi bambini come ci si deve intenerire su ogni altro bambino. Ma in tal modo, ci si ferma al livella dell'apparenza umana delle cose. Al di là di questa apparenza, la fede deve introdurci entro il contenuta divina che vi è nascosto, entro le opere compiute da Dio. A Natale, non si tratta di un bambino avvolto nella paglia, si tratta di un bambino che è Figlio di Dio e Verbo creatore. Al tempo della Visitazione, non si tratta soltanto di una giovane donna che porta in seno il sua bimbo e che va a visitare una cugina che si trova nelle sue stesse condizioni; si tratta, dietro questa visitazione umana, di una Visitazione divina, il Verbo che, visita il suo precursore.
Altri, mettendo esclusivamente l'accento, fra gli avvenimenti della storia di Gesù, su ciò che costituiva l'oggetto della prima predicazione ai pagani, finiscono col trascurare tutto quanto nel Vangelo, esula da questa predicazione. Ed 'è vero, in effetti, che annunciando al mondo il Vangelo l'accento va posto prin
cipalmente sugli 'avvenimenti fondamentali, Incarnazione e Resurrezione. Ma significherebbe ridurre stranamente la storia della, salvezza che si svolge attraverso l'intera vita del Cristo, se non si desse l'importanza, dovuta a tutti i misteri che sono riferiti, negli Evangeli. Questi sono il tesoro della comunità cristiana. Del resto è possibile che essi siano stati scritti per essere letti all'assemblea domenicale. La preoccupazione di andare direttamente all'essenziale, quando si deve, presentare il Vangelo ai non credenti, non deve impedire al credente di usare della pienezza delle ricchezze che la Scrittura ,gli trasmette intorno alla vita del Signore.
Certuni, infine, si accostano con una specie , di timore a questa parte del Vangelo, come se essa non presentasse le stesse garanzie di storicità di quella parte che riguarda: la vita, pubblica e la Passione di Gesù. Male utilizzando o male intendendo gli studi letterari fatti dagli esegeti contemporanei, essi ne traggono l'impressione che, per il fatto stesso che il modo di scrivere la storia degli Evangelisti non è uguale a quello che userebbe, uno studioso del nostro tempo, la verità dei fatti riportati ne risulti altrettanto sospetta. Ciò significa dimenticare che per gli Evangelisti, e prima di loro per coloro che hanno annunciato il Vangelo, il vero problema non era quello di soddisfare la curiosità con precisazioni aneddotiche, poiché i fatti della vita del Cristo erano conosciuti, ma di mostrare di tali avvenimenti il contenuto divino. Il fatto che Luca. descriva la Visitazione rifacendosi a delle espressioni di 2 Sam. è, in questo senso, tipico. Egli ricava il significato teologale dall'episodio storico.
Così, la Visitazione è un episodio storico ed un'opera divina. Qual è il suo contenuto , teologale? Quanto abbiamo detto finora ci permette di metterlo in evidenza. Giovanni si colloca nel prolungamento degli uomini dell'Antico' Testamento di cui Dio si è servito per farne i suoi strumenti. Questi uomini erano degli «unti », profeti, sacerdoti o re che Jahvé ritirava dall'esistenza profana per riservarli e consacrarli a sé. Giovanni appartiene alla loro discendenza, ma vi appartiene in modo eminente. Come la sua missione è superiore alla loro, così pure lo è la sua consacrazione. Egli, non è scelto ad un dato momento, della vita e richiamato da una vita profana precedente, come abitualmente avviene. Ma è fin dall'origine della sua esistenza che egli è tolto dalla vita profana e fin d'allora Dio lo consacra a sé. Tale consacrazione la compie il Verbo stesso riempiendolo dello Spirito. Egli è consacrato dalla Trinità ed è consacrato alla Trinità.
Nell'Antico Testamento la santità indica l'ordine propriamente divino, in quanto esso è radicalmente distinto da tutto quanto non è lui. Essa è il termine biblico e concreto di ciò che i Greci chiameranno trascendenza. Se si parla di bontà, di verità, di bellezza, si esprime qualche cosa che è comune a Dio e all'uomo, che Dio possiede in sommo grado e l'uomo per partecipazione. Ma la santità designa ciò che è proprio soltanto di Dio. Lo stesso nome ebraico, kodesh, sembra derivare da una radice che indica la separazione. Dio è colui che è separato, da tutto ciò che non è Lui, da un abisso insuperabile; è il Dio tre volte santo che adorano i serafini. Di conseguenza, si diranno santi quegli oggetti o quelle persone che Dio separa a sua volta dalla vita profana per farli suoi, per consacrarli al suo uso o per impiegarli al suo servizio. Vi è così nell'Antico Testamento un codice di santità che tratta di tutto ciò che appartiene al culto di Jahvé. Nel popolo d'Israele, un'intera tribù, quella di Levi, era riservata al servizio di Jahvé. Così la santità è prima di tutto una determinazione oggettiva. San Paolo chiamerà « santi» tutti i cristiani; ed in effetti, grazie al loro battesimo, essi sono un popolo sacerdotale che Dio si è riservato. Questa determinazione, si noti, non è un elemento puramente esteriore. Essa comunica all'essere consacrato una precisa qualità, lo abilita a compiere funzioni sante: lo santifica.
Così il mistero della Visitazione è quello della consacrazione di Giovanni Battista. Per mezzo dello Spirito che gli comunicano, il Padre ed il Figlio lo separano dal mondo profano, lo rendono un essere santo, consacrato a Dio. Tale consacrazione esprime innanzitutto una appartenenza a Dio ed essa è fin dall'inizio totale, senza riserve. Giovanni è come collocato in una sfera di grazia, introdotto nel santuario dove Dio dimora. Ed in questa sfera di grazia a poco a poco le sue facoltà sbocceranno.
Questo Spirito che consacra è uno Spirito attivo, esso suscita la vita, quella dello Spirito, che introduce alla conoscenza e all'amore delle cose divine. Così, lo stesso Spirito che compie la Storia sacra attraverso i profeti dà anche a questi profeti la comprensione del contenuto di tale Storia. Esso crea cuori e spiriti nuovi, capaci di gustare le cose divine. «Coloro infatti che sono secondo la carne, pensano cose della carne, coloro che sono secondo lo spirito pensano quelle dello Spirito» (Rom. 8, 5). Anche i profeti dell'Antico Testamento avevano ricevuto il dono dello Spirito, ma in una forma imperfetta; gli Apostoli lo riceveranno a Pentecoste in forma perfetta; anche in questo, Giovanni rappresenta un ordine a parte: introdotto alla vita dello Spirito dal Verbo incarnato più di quanto lo fossero i profeti, e tuttavia non ancora partecipe della pienezza del dono che il Cristo risorto e seduto alla destra: del Padre, effonderà sopra i suoi.
Soltanto lo Spirito può darci l'intelligenza delle opere dello Spirito, soltanto lo Spirito può far vibrare i nostri cuori e far loro conoscere le meraviglie di Dio. Solo lo Spirito ci fa scoprire, attraverso l'episodio oscuro del villaggio sperduto della Palestina, qualche cosa che è più importante di tutti i più grandi avvenimenti della storia di quei tempi. Solo lo Spirito ci mostra il disegno mirabile che, fra i profeti dell'Antico Testamento e gli Apostoli del Nuovo, pone Giovanni come un anello di congiunzione unico ed insostituibile, e fa della visita di Gesù che effonde sopra di lui lo Spirito, la continuazione delle visite di Dio al suo popolo eletto e la preparazione delle visite del Verbo ai santi della Nuova Alleanza.
La gioia dei poveri.
Fra i misteri nascosti nessuno è più nascosto della santificazione di Giovanni Battista da parte del Verbo incarnato.. E tuttavia, questa è un'opera mirabile della potenza divina. Essa fa parte dei magnalia Dei, di quella serie di gesta divine che costituiscono la Storia sacra. Lo stesso racconto di Luca ce lo conferma. Infatti, proprio in occasione di questo avvenimento, Maria, presa d'ammirazione davanti alle grandi cose compiute, e di cui Ella è testimone, esclama: Magnificat, che significa: « Com'è. grande ciò che Dio compie! ». Illuminata dallo Spirito Santo, essa vede svolgersi davanti ai suoi occhi Te prime manifestazioni dell'azione del Verbo incarnato. Ed il suo animo esulta di quella gioia che i profeti avevano annunciato per i tempi della Visita, che ormai è compiuta, e manifesta i suoi  effetti.
Ma qui noi proviamo un senso di stupore. Come si spiega che avvenimenti così grandi, più grandi di tutto ciò che avveniva nel mondo in quel momento, siano a tal punto nascosti? Gli uomini sono portati a gridare come un tempo fecero i cugini di Gesù: «Se tu sei il Figlio di Dio, dimostralo ». È ancora quanto vorrebbero gli uomini del nostro tempo. Vorrebbero, per credere alla presenza del Verbo nel mondo, nella Chiesa, nell'Eucaristia, che questa presenza prorompesse in manifestazioni prodigiose. Ora, il problema è lo stesso per gli avvenimenti della vita nascosta e per i primissimi esordi dell'azione del Verbo incarnato. Essi sono stati compiuti in un profondo silenzio. Le, sole testimoni della santificazione del Battista sono state Maria ed Elisabetta.
Ora, il Magnificat risponde proprio a questo interrogativo. Ciò che riempie Maria di ammirazione e di stupore è insieme la grandezza dell'avvenimento che si compie ed il fatto che si sia manifestato proprio a lei. E Maria ne spiega la ragione: è che Dio esalta i poveri. Ciò che è straordinario, è questo capovolgimento dei valori apparenti, che mostra la nullità delle false grandezze e svela le grandezze autentiche. Dio si è manifestato non ai grandi della terra, non ai principi dell'Impero o ai principi della Sapienza e neppure agli angeli. Persino agli angeli sono nascosti questi misteri. Ma sono i poveri e gli umili ad esserne testimoni: « Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai dotti ed ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt. 11, 25).
Il Vangelo dell'infanzia è il Vangelo dei poveri. I poveri, per la Bibbia, sono coloro che non ripongono le loro speranze nei beni di questa terra, che non si aspettano denaro, successo o piaceri, ma coloro che ripongono la loro speranza nel Signore. I poveri erano coloro che attendevano la Visita. Simone era un povero e « i suoi occhi hanno visto la salvezza » (Lc. 2, 30); Zaccaria pure era un povero ed ha capito che il Signore « aveva visitato il suo popolo come la stella del mattino che si alza dagli abissi ». Tutto l'inizio del Vangelo di Luca è il Vangelo dei poveri, ci descrive i misteri ai quali soltanto i poveri sono stati ammessi. Origene diceva che per capire il Vangelo di Giovanni si doveva aver riposato sul petto di Gesù ed aver avuto in madre Maria. Ugualmente si potrebbe dire che per capire il Vangelo di Luca bisogna aver ricevuto lo Spirito di Gesù ed aver sposato la povertà.
I dotti si burlano dei semplici ed i potenti disprezzano gli umili. Ma se Gesù denuncia i dotti e se Maria denuncia i potenti, non è perché Gesù disprezzi quell'intelligenza che è una sua creazione meravigliosa, e Maria quelle grandezze che sono creazione di Dio. È che l'intelligenza, la quale non sia quella dei poveri, l'intelligenza che si fonda solo su se stessa, non è più intelligenza, ma follia. È che la potenza accecata dal proprio prestigio, non è più potenza, ma debolezza. La sapienza vera è quella che lo Spirito dona ai poveri e che permette loro di conoscere le realtà autentiche. La vera potenza è queI1a di Dio che compie grandi meraviglie e che fa sì che i poveri si glorifichino della loro debolezza perché allora prorompe in loro la forza di Dio.
Così, venendo in questo mondo, il Verbo di Dio, Lui che era la potenza e la sapienza del Padre, si è avvolto d'oscurità come di un mantello. Si è sottratto agli sguardi dei sapienti e dei potenti della terra per dimostrare che né la sapienza né la potenza terrena avevano ingresso alle vere grandezze e ai veri misteri. Ma Egli ha introdotto i poveri e i piccoli nel segreto dei suoi impenetrabili disegni facendo di essi i testimoni ammirati e gioiosi di quanto di più grande al mondo stava compiendosi. Egli ha rivelato i misteri nascosti alle anime nascoste. Ed è attraverso la, testimonianza di queste anime che noi entriamo tremanti nella conoscenza di tali meraviglie, nella misura in cui sappiamo: entrare, sulla loro scia, nella povertà disfacendoci, non delle nostre intelligenze e delle loro esigenze, ma delle false pretese di esse. Così Francesco d'Assisi e Charles de Foucauld fanno parte di questi poveri introdotti ai misteri nascosti dell'infanzia di Gesù e di Giovanni.
Il mistero della Visitazione è un mistero nascosto, uno di quei misteri di cui sant'Ignazio di Antiochia diceva che erano misteri  splendenti di luce compiuti nel silenzio di Dio. Ed esso ci invita al silenzio. Compiuto nel silenzio, viene capito nel silenzio. Quando si acquetano tutti i frastuoni del mondo, quando trova pace il tumulto del cuore,allora soltanto l'anima comincia ad entrare nei misteri nascosti. Essa scopre la loro immensità, è presa dall'ammirazione, sussulta di gioia. Le stesse parole che sono sgorgate dalle labbra di Maria, sgorgano dall'anima il mistero di Giovanni Battista si fa immensamente reale ,ed afferra il cuore. La contemplazione è questo.

CAPITOLO TERZO
LE CRESCITE
Tutto ciò che il Vangelo ci riferisce della vita di Giovanni Battista, nel periodo che va dalla sua nascita alla sua missione, è contenuto in un versetto di san Luca: «Intanto il fanciullo cresceva e si fortificava nello spirito ed abitava nel deserto fino al giorno della sua manifestazione» (1, 80). Di questo versetto considereremo per ora l'affermazione della crescita di Giovanni. Affermazione di una tale genericità che a prima vista sembrerebbe non potersene ricavare nulla. Di quale fanciullo non si potrebbe dire la stessa cosa? Ma precisamente questa crescita non è una crescita qualsiasi. È la crescita di un bambino ebreo che viveva ih un tempo in cui l'ebraismo presentava una situazione unica.
Perché, se il Vangelo non contiene che una frase sull'infanzia di Giovanni, non ne contiene di più neppure sull'infanzia di Gesù: vi sono due versetti che ne parlano e poi vi è l'episodio del bambino perduto e ritrovato al Tempio. Questa carenza di notizie non ha impedito Robert Aron che è uno storico, di scrivere un intero libro, un libro di storia, sopra Gli anni oscuri di Gesù. Infatti, pur non conoscendo che un solo episodio di questi anni oscuri, noi conosciamo tuttavia con certezza qual era l'esistenza di ogni bambino ebreo di quel tempo, e perciò quella che certamente è stata anche l'infanzia di Gesù. Ciò che è vero di Gesù, lo è per uguale ragione di Giovanni. Possiamo quindi seguire le crescite successive attraverso le quali è avvenuta la formazione della sua intelligenza, a cui si riferisce il nostro testo nell'espressione: « si fortificava nello spirito».

La comunità tradizionale.
Giovanni è nato in una famiglia di grande fervore religioso. Accanto a sua madre, Elisabetta, cugina di Maria, è stato istruito alla fede e alle speranze del suo popolo ed è stato iniziato alla sua preghiera. Poi, ancora fanciullo, ha frequentato la Sinagoga. La Sinagoga non è luogo di culto. Esiste in Israele un solo luogo di culto che è il Tempio. La Sinagoga è luogo di insegnamento e di preghiera. Giovanni ha così ascoltato la lettura dei testi della Sacra Scrittura di cui la sua fede si è nutrita. Ha ascoltato quei testi di Isaia dei quali capirà un giorno il riferimento alla sua persona. Forse ha amato il Cantico dei Cantici, la cui eco risuonerà nelle sue parole quando egli stesso si paragonerà all'amico dello Sposo. Senza dubbio, a dodici o tredici anni, come Gesù a Gerusalemme, sarà stato interrogato dai dottori prima di essere ammesso alla comunità degli adulti.
Infine, Giovanni ha partecipato, in una sfera più ampia, alla vita dell'intera comunità ebraica frequentando il Tempio di Gerusalemme. Non dimentichiamo che suo padre, Zaccaria, era sacerdote del Tempio. Questo ha dovuto incidere profondamente sul suo spirito e sul suo cuore. Noi conosciamo che cosa era lo splendore del culto di questi tempi dalle descrizioni che ci sono pervenute. La piùnota è quella di un ebreo d'Egitto, Aristea, che ha descritto quanto ha visto in una celebre lettera (l): « Vi è un silenzio assoluto, tanto da credere che non vi sia nessuno, mentre gli officianti sono circa settecento... Chiunque assisterà a questo spettacolo, sarà colpito da un'ammirazione indicibile, commosso intimamente per quanto di sacro si sprigiona nell'ordinamento di ogni particolare» (96-100).
Il Tempio era il centro della vita d'Israele. Era il centro della sua vita religiosa perché nel Santuario, il Santo dei Santi, il Dio che aveva stretto alleanza con Abramo era sempre misteriosamente presente in mezzo al suo popolo. Nella geografia mistica, che era quella dei popoli antichi, Gerusalemme figurava così come il centro della terra. Il midrash riferiva che il Golgota, il «luogo del teschio », era il luogo di sepoltura di Adamo. I Padri della Chiesa lo ricorderanno quando spiegheranno che in questo medesimo luogo è risuscitato il Nuovo Adamo. Il Tempio era inoltre il centro della vita cultuale e politica di Israele. Sotto i suoi portici i dottori insegnavano e tenevano. discussioni. Il gran sacerdote presièdeva il sinedrio, il senato di questo stato teocratico, la costituzione del quale era la stessa Tora.
Soprattutto in occasione delle feste, Gerusalemme ed il Tempio diventavano il centro della vita di Israele. Gli Ebrei vi affluivano da ogni parte del mondo e qui rivivevano insieme le grandi tappe del loro passato. La Pasqua ricordava loro come Jahvé li avesse liberati dalla tirannia egiziana; la Pentecoste, come fosse stata data loro la Legge sul monte Sinai; i Tabernacoli, come essi avessero attraversato il deserto dormendo sotto la tenda, prima di giungere alla terra promessa. Ma queste feste, mentre ricordavano il passato, suscitavano anche la speranza. Speranze politiche, spesso; la rivolta ribolliva nella folla contro la dominazione romana, quando si . ricordava come ci si fosse liberati dal giogo della dominazione egiziana. Ma negli animi più profondi, nell'anima di Giovanni, sorgeva una più elevata e più santa speranza: quella di veder sorgere il re messianico che avrebbe costituito il regno di Dio, quella di vedere Dio stesso venire a giudicare il mondo e a glori
ficare il suo popolo.
Gli Esseni.
Quest'ultima riflessione ci porta ad mi quesito: se cioè Giovanni, nella complessità che è propria del giudaismo di quest'epoca, si ricolleghi, con le sue origini, ad un ambiente particolare. Infatti,noi fino ad ora abbiamo parlato soltanto di giudaismo in generale, di ciò che era comune ad ogni bambino ebreo. Ma d'altro lato noi sappiamo che ai tempi dell'infanzia di Giovanni il giudaismo era diviso in partiti differenti ed attraversato da correnti molteplici. Il Vangelo ci parla dei Farisei, dei Sadducei, degli Zeloti, degli Erodiani, dei Samaritani. Difensori fanatici dell'osservanza della legge, i primi; politici conservatori i secondi; patrioti nazionalisti, i terzi; partigiani di un giudaismo ellenizzato, i quarti; ed infine gli ultimi, scismatici tanto politici che religiosi.
Nulla ci autorizza ad affiliare Giovanni a qualcuno di tali gruppi mentre sappiamo che Paolo era fariseo, Simone zelota. Esisteva invece un'altra corrente nell'Israele di quel tempo, con la quale è incontestabile che quanto noi conosciamo di Giovanni presenta delle analogie. Questa corrente è quella degli Esseni. Era formata da famiglie sacerdotali che si erano separate dal sacerdozio ufficiale al quale esse rimproveravano le sue compromissioni. Il loro centro principale si trovava a Qumràn, sulle sponde del Mar Morto, nei pressi della foce del Giordano dove abbiamo ritrovato la loro sala di riunione, le loro piscine sacre, i loro libri santi nascosti nelle anfrattuosità della scogliera. Ma essi erano anche disseminati nei villaggi della Giudea. Costituivano un ambiente particolarmente fervente, ispirato alla venuta imminente del giudizio di Dio. Essi si preparavano nella penitenza a questa venuta e con numerose opere rendevano partecipi di questa speranza i loro contemporanei.
Ora, molti elementi ci autorizzano a pensare che Giovanni, adolescente, sia vissuto in questo ambiente animato da un profondo fervore mistico e messianico. Già la sua appartenenza ad una famiglia sacerdotale rende la cosa possibile. Ma crea anche una difficoltà, poiché sappiamo che le famiglie sacerdotali che si erano riunite a Qumran erano in rotta con il sacerdozio ufficiale - mentre Zaccaria, padre di Giovanni, faceva proprio parte di questo sacerdozio perché officiava nel Tempio. Ma non dobbiamo irrigidire i confini di questi diversi ambienti alquanto simili a sette. È verosimile che Zaccaria non facesse parte degli Esseni propriamente detti, ma poteva simpatizzare con essi e condividerne gli ideali.
È comunque significativo che il cantico che Luca gli pone sulle labbra (1, 68-69) appare ripieno dello spirito degli Esseni. A diverse riprese si allude alla « visita» del Signore. Questa attesa dell'imminenza della « visita» è l'elemento più caratteristico che distingue gli Esseni dagli altri gruppi. Egli descrive l'ideale di « santità e di giustizia» che è proprio quello della fervente comunità di Qumran. Parla della luce che sorgerà per illuminare coloro che sono nelle tenebre. Il riferimento ai Numeri 24, 27: « Una stella sorgerà in Giacobbe»ci ricorda che questo testo era caro a tutti nell'ambiente degli Esseni. Così Zaccaria ci appare vicinissimo allo spirito dei sacerdoti di Qumràn, molto lontano, invece, dall'alto sacerdozio politico dei Sadducei.
Giovanni ha dunque già incontrato, nel suo ambiente familiare, questo fervore spirituale, questo ideale di santità, questa ardente speranza. Ma sembra che egli stesso, durante gli anni della sua formazione, sia stato in contatto diretto con i devoti Esseni. Il versetto di Luca 1, 80 che stiamo interpretando, dice appunto che Giovanni « abitava nel deserto ». Ora noi sappiamo che il centro della comunità essena era situato vicino al Mar Morto, in un luogo che gli Esseni indicavano con il nome de « il deserto ». È il medesimo « deserto », nel quale più tardi Gesù stesso sarà tentato. Si tratta di una regione precisa, che confina con la parte nord del Mar Morto. È quindi assai verosimile che Giovanni sia vissuto in questa regione, partecipando direttamente alla vita degli Esseni o, quantomeno, tenendosi in contatto con loro.
Sembra d'altronde che questa regione eserciterà sulla sua vita una specie di fascino. Il fulcro della sua vita non sono la Galilea e le sponde del suo lago, non sono Gerusalemme e la sua collina sacra: è questa regione nei pressi di Gerico che comprende il basso corso del Giordano e l'inizio del Mar Morto con le sue aride sponde. È là che egli vivrà da adolescente in un intenso fervore religioso. È là che ritornerà, quando Dio gli farà sentire il suo appello definitivo, per battezzare nel Giordano. Lo stesso rito del battesimo, la cui origine è tanto misteriosa, questa immersione nel fiume sacro, non è senza riferimento a quei bagni sacri che tanto posto occupavano nella vita degli Esseni, ansiosi di purezza. Infine è là, sulle rive del Mar Morto, di fronte a Qumran che egli verrà a morire quando Erode lo farà decapitare nel suo palazzo di Macheronte.
Così, come ci è consentito di ispirarci a ciò che era il giudaismo in generale per immaginare l'infanzia di Giovanni, così ci è consentito di ispirarci a quanto sappiamo della vita degli Esseni per intravedere quella che è stata la sua ardente adolescenza. Già misteriosamente animato dal fervore di Jahvé, di quello spirito di Elia che il Vangelo ci dirà che è il suo, sconvolto al pari di Elia, nel suo amore per Jahvé, nel vedere l'infedeltà del popolo d'Israele, egli si sentiva a suo agio in questo ambiente innamorato di assoluto, senza compromessi. E qualche cosa della violenza dei monaci di Qumran contro i sacerdoti prevaricatori risuonerà nelle sue invettive, quando dirà ai Sadducei, ai sacerdoti di Gerusalemme che gli venivano incontro: « Razza di vipere, chi vi ha insegnato a salvarvi dall'ira che sta per venire?» (Mt. 3, 7).
Egli abbraccerà con ardore anche la vita santa ed austera dei sacerdoti di Qumran. Filone e Giuseppe ci hanno descritto la semplicità dei loro pasti. Il Documento di Damasco accenna persino alle locuste che erano uno dei cibi della loro mensa. Quando vediamo Giovanni, alle soglie della sua vita pubblica, sorgere dal deserto per iniziare la sua missione, egli appare proprio in questa vita ascetica «con una veste di peli di cammello ed una cintura di cuoio sui fianchi» (Mt. 3, 4). Vicinissima a Qumran era Gerico, la città delle rose, dove i ricchi di Gerusalemme venivano a divertirsi. Là Erode conduceva una vita sfarzosa. Fra questi due mondi esiste quella opposizione totale che troverà la sua suprema espressione ed epilogo nel contrasto di Erodiade che danza nelle sale delle feste mentre Giovanni viene decapitato nel suo carcere.
Ma ciò che sopratutto Giovanni ha acquisito nel suo contatto con i « penitenti d'Israele », come si chiamavano gli stessi Esseni, è quella certezza dell'imminenza del giudizio di cui sarà penetrata tutta la sua predicazione. E questa affinità è così straordinaria, così particolare, da costituire una rivelazione. La più grande personalità religiosa, infatti, il Maestro di Giustizia, secondo un commento al profeta Abacuc aveva dichiarato che Dio gli aveva fatto conoscere non nuove profezie, ma l'imminenza del compimento stesso delle profezie. Con la formazione della comunità dei « penitenti », già erano cominciati gli ultimi tempi, quelli che precedevano immediatamente la venuta della gloria di Dio nel deserto, come diceva il testo d'Isaia caro al gruppo. E la comunità stessa si era recata nel deserto per preparare la venuta del Signore.
Dato che questi stessi temi si ritrovano testualmente nella predicazione di Giovanni, sarebbe impensabile che egli non li avesse ricevuti, direttamente o indirettamente, dai devoti Israeliti di Qumran. La sua adolescenza si è entusiasmata dell'attesa dell'avvenimento escatologico, della venuta del Messia d'Aronne e d'Israele e della visita di Jahvé che veniva a giudicare le nazioni e l'Israele del peccato. Egli era conscio di appartenere alla piccola comunità di coloro che vivevano unicamente dell'attesa di questo avvenimento e che erano andati nel deserto per prepararsi ad esso. Quando, esattamente, ha capito che egli avrebbe avuto una parte eminente in questa preparazione dell'avvenimento escatologico, che era stato eletto ed era chiamato per predicare a tutto Israele la penitenza, perché l'avvenimento escatologico era imminente? Luca ci dice che « l'anno quindicesimo del regno di Tiberio Cesare... la parola di Dio fu rivolta à Giovanni... nel deserto» (3, 1-2).
Così, grazie a questa straordinaria scoperta dei manoscritti di Qumran, possiamo dare una base storica e sicura a quanto soltanto intuivamo e cioè che tutta l'adolescenza di Giovanni era stata penetrata da questo spirito d'Avvento, interamente protesa verso ,la venuta della gloria di Dio. Noi possiamo ricostruire, dietro il breve accenno che il Vangelo ci dà della crescita del suo spirito e del suo soggiorno nel deserto, tutto un contesto che ci permette di intravedere ciò che è stata questa crescita nel deserto. Possiamo così collocare l'infanzia di Giovanni non soltanto nel contesto storico di ogni bambino ebreo di quel tempo, ma anche nel contesto particolare di questo preciso momento della storia d'Israele e della corrente spirituale che l'attraversava. In tal modo l'infanzia. di Giovanni assume ai nostri occhi una concreta, intensa realtà.

Il deserto.
Abbiamo situato nel suo quadro storico, geografico, spirituale, la partenza di Giovanni per il deserto. Ma ora ci resta da illuminarne il significato. Si potrebbe interpretare il deserto nel senso di un appello alla solitudine. E questo senso è valido ma non contiene nulla di specificamente ebreo o cristiano. L'India ha avuto degli eremiti che sono andati a cercare nella solitudine le condizioni del raccoglimento lontano dall'agitazione delle città. Ma si tratterebbe pur sempre di una ricerca di se stessi. Ad un livello più alto, si potrebbe andare nel deserto per cercare Dio.
Si è detto, il deserto è monoteista. Questo non riguarderebbe più il deserto indiano ma quello arabo. Ma non è ancora il deserto biblico. C'è infatti un deserto biblico. Il tema del deserto, come il tema del Tempio, o il tema della Città, si incontra ad ogni tappa della Storia sacra e ne ispira qualcuna tra le pagine più straordinarie. Vi è il deserto del Sinai, dove il popolo di Dio, uscito dall'Egitto, resta quarant'anni prima di attraversare il Giordano ed entrare nella terra promessa. Vi è il deserto dove si sprofonda Elia, disperando del popolo d'Israele e dove è poi ristorato da un angelo. Vi è il deserto in cui lo sposo del Libro di Osea attira la sposa infedele e pentita per parlare al suo cuore. Vi è il deserto in cui Gesù è. tentato per quaranta giornì e quaranta notti. Vi è il deserto nel quale fugge la Donna dell' Apocalisse per essere nutrita da Dio duecentosessanta giorni. Vi è il deserto in cui l'esempio di Antonio attirerà eremiti e cenobiti.
Tutta la storia del salvezza è come costellata di partenze per il deserto. Che significato hanno queste partenze? Esse sono sempre la espressione di una rottura. Precisiamo meglio: esse corrispondono sempre ad una incompatibilità fra le vie di Dio e le vie degli uomini che si concretizza con la impossibilità, da parte di chi vuol vivere secondo le vie del Signore, di appartenere ad un mondo che vive secondo le vie degli uomini. Già Abramo, forse, era partito da Ur di Caldea perseguitato da un popolo idolatra. Almeno così spiega il Corano la sua partenza. Ed il fatto che non si sappia se egli se ne va spontaneamente o se è cacciato, sottolinea che ciò che importa è qui l'incompatibilità stessa, come di un oggetto espulso da un luogo dove non ha posto.
La grande partenza per il deserto sarà quella di Mosé. Anche in questo caso, il popolo di Dio vive in seno ad un mondo idolatra che gli impedisce di realizzare il disegno che Dio ha sopra di lui. Mosé lo libera dalla schiavitù e lo conduce, oltre il Mar Rosso, nel deserto, dove Jahvé gli darà la sua Legge e gli indicherà il cammino restando in mezzo a lui. Dal momento della sua partenza, egli può veramente diventare lo strumento del disegno di Dio e realizzare la sua vocazione. E quando Elia partirà a sua volta per il deserto, nel popolo di Dio ridiventato prigioniero degli idoli cananei, non si troveranno quasi più adoratori del vero Dio. Ed è alla fine del suo lungo cammino, durato quaranta giorni e quaranta notti, nell'arrivare a Horeb, che egli sente la voce di Dio. Di qui ancora fugge via, perseguitato da Gezabele, tanto respinto dal suo popolo quanto volontariamente in rotta con esso.
Sarà una rottura analoga a provocare la partenza per Qumran di un gruppo di sacerdoti sadochiti che Giovanni quivi incontrerà. Il caso è lampante. Israele si è lasciato ancora mondanizzare. Durante l'occupazione dei Seleucidi, i costumi greci si erano introdotti, l'alto clero gerosolimitano veniva a patti con i Romani. È questo che non poterono sopportare i sadochiti. L'Israele ufficiale aveva tradito. Bisognava andare nel deserto per inaugurare una nuova Alleanza, per vivere secondo le esigenze integrali della Legge, per ritrovare lo spirito dell'Israele del deserto, per preparare nel deserto il cammino di Jahvé che ben presto sarebbe venuto per giudicare, per discernere la paglia dal grano buono.
La partenza di Gesù per il deserto, commemorata nella prima domenica di Quaresima, è così chiaramente collegata con il soggiorno d'Israele nel deserto dell'Esodo che quasi non v'è il bisogno di sottolineare ciò. Come il popolo aveva trascorso quarant'anni nel deserto, così Gesù vi passa quaranta giorni e quaranta notti; come il popolo aveva avuto fame ed ed aveva dubitato di Dio, così Gesù, novello Israele, sente fame ma rifiuta di trasformare le pietre in pane perché ha fede nella parola di Dio. Come Israele era inciampato nella roccia, divenuta pietra di scandalo, così Gesù era stato preservato dagli angeli dal precipitare dall'alto del Tempio. Come Israele aveva adorato il vitello d'oro al Sinai, così Gesù rifiuta di adorare Satana in cima alla montagna. E la partenza di Gesù per il deserto dopo il suo battesimo è l'inaugurazione della sua missione, è l'inizio di un mondo nuovo e la frattura con il vecchio.
E quando nell' epoca cristiana i monaci di Egitto si rifugeranno nel deserto, non sarà per dare inizio, nel cristianesimo, alla vita ascetica. Questa è esistita fin dalle origini. La loro fuga avrà di nuovo un significato storico. Significato storico che è sempre il medesimo. Esso è in corrispondenza con un momento in cui, dopo l'avvento di Costantino, il cristianesimo rischia di perdere il suo vigore ed il suo sapore evangelico. La partenza per il deserto significa la rottura con questo tipo di mondo cristiano nel quale non sembra più possibile la vita evangelica, per realizzare le condizioni della vita cristiana autentica. Basilio non volle mai fondare un ordine religioso; era l'intero cristianesimo che pensava di ricondurre al suo spirito più vero, quando si ritirava nella solitudine di Annesi in Cappadocia cercando senza successo di portarvi anche il suo amico Gregorio Nazianzeno.
La partenza di Giovanni rappresenta proprio un anello di questa catena. Come Abramo, anche lui « lascia la sua famiglia, la sua patria, la casa di suo padre ». Anche lui ha come già udito l'appello che, dalle labbra di Gesù, riecheggerà fino alla fine dei tempi. « Se qualcuno non lascia il proprio padre, la propria madre, i fratelli, la sposa, le sorelle, la propria casa... ». Nel caso di Giovanni, come in molti altri, non si tratta che la sua famiglia sia infedele a Dio; ma la realizzazione dell'appello di Dio su di lui, che farà di lui il principio di qualche cosa di nuovo, esige che egli non rimanga semplicemente nella continuità della sua famiglia e della sua patria. Questo distacco aveva avuto inizio quando, illuminato dallo Spirito, suo padre gli aveva imposto il nome di Giovanni .fra lo stupore dei vicini i quali dicevano: «Nessuno della tua parentela porta questo nome ». Da allora, Giovanni non sarà più semplicemente il continuatore delle tradizioni familiari. La grazia di Dio l'ha scelto per inaugurare una nuova via. E la sua partenza per il deserto è l'espressione di questa vocazione straordinaria.

 [1] Lettre d'Aristée à Philocrate, Introduction, texte critique et notes par A. Pelletier, S. J., Le Cerf, Paris, 1962 (« Sources chrétiennes », 89).

CAPITOLO QUARTO
L'AVVENTO
Abbiamo spiegato nel primo capitolo che la vocazione di Giovanni Battista rappresenta il tipo stesso della vocazione, nel senso biblico della parola. Resta ora da chiederci quale sia il contenuto di essa. La liturgia della seconda domenica di Avvento ci mostra Giovanni nel tempo che precede immediatamente Natale. Già il Vangelo fa, della sua storia, quasi una introduzione a quella del Cristo. La vocazione di Giovanni è legata intimamente alla venuta del Verbo, al suo avvento. Essa è interamente destinata a preannunciare, a precedere, a preparare tale venuta del Verbo. E se questa si rinnova continuamente nel tempo della Chiesa, se il Verbo è sempre «Colui che viene », si capisce come la vocazione di Giovanni resti sempre una vocazione attuale.
Il profeta.
Dio chiama Giovanni in primo luogo per annunciare la sua venuta. Egli sarà chiamato «profeta dell'Altissimo» (Lc. 1, 76). In tal modo si colloca nella successione dei profeti che erano stati chiamati da Dio prima di lui. E sotto un dato aspetto, il suo messaggio non è diverso dal loro. La profezia, infatti, contiene sempre l'annunzio della venuta del Signore. L'Antico Testamento è pieno di profezie. Il profeta Malachia parla proprio di questo giorno della venuta, Dies adventus (Mal. 3, 1), quello nel quale il Signore visiterà gli uomini, li chiamerà al suo tribunale, libererà il suo popolo e creerà Gerusalemme per la gioia. Tutto l'Antico Testamento è come trasportato da questa grande corrente della profezia ed è ciò che lo distingue da tutti i libri sacri dei popoli e che gli conferisce quel suo carattere unico. È il libro delle promesse di Dio, non quello delle nostalgie degli uomini. I profeti sono coloro che Dio ha inviato per annunciare queste promesse.
Ma fra i profeti, Giovanni è tuttavia unico. È « più di un profeta », dirà di lui Gesù (Lc. 7, 26) ed aggiungerà: «Fra i nati da donna non vi è nessuno più grande di Giovanni» (Lc. 7, 28). Infatti, egli non è soltanto un profeta ma già fa parte degli avvenimenti escatologici che i profeti avevano annunziato. Questi avevano predetto che Ia venuta di Dio sarebbe stata preparata da un Inviato. Isaia aveva parlato di una voce che grida: «Nel deserto appianate le strade del Signore» (40, 3). In Malachia Jahvé dice: «Ecco, io manderò il mio messaggero a preparare le vie davanti a me » (3, 1).
Questi due testi sono ripresi nel Nuovo Testamento a proposito di Giovanni Battista. Giovanni si applica il primo egli stesso (Giov. 1, 23) Cristo gli applica il secondo con una considerevole modifica: «Ecco ti mando il mio messaggero davanti alla tua faccia, per preparare la tua via dinanzi a te» (Le. 7, 27). Qui è il Padre che parla e che annuncia al Figlio di inviare un messaggero davanti a lui per preparare le vie. Questo è un esempio notevole di quelle interpretazioni dell'Antico Testamento fatte dal Nuovo, che costituiscono una delle forme più primitive di letteratura cristiana.
Il carattere eccezionale della figura di Giovanni era apparso anche agli stessi Ebrei, tanto che essi si sono chiesti se egli non fosse il Messia in persona. Ed effettivamente noi vediamo alcuni sacerdoti e leviti interrogarlo e domandargli se egli sia il Cristo o il Profeta (Giov. 1, 20). L'equivoco era del tutto possibile per gli Ebrei che non potevano immaginare che la venuta di Dio e quella del Messia costituissero un unico avvenimento, essendo il Verbo di Dio ed il Messia uniti in una sola persona, e che vedevano nel Messia o nel Profeta il precursore della visita escatologica di Dio.
Ciò che conferisce a Giovanni questo carattere unico è la sua prossimità con il Nuovo Testamento. Da solo, egli rappresenta un'età se è vero che le epoche della storia della salvezza non si misurano secondo ,la loro durata nel tempo, ma secondo il valore particolare dei loro contenuti. Egli è interamente riferito al Cristo, vive nella sua luce, e non vive che di questa luce. È già la grazia di Cristo che vive in Maria, che lo santifica nel seno di sua madre il giorno della Visitazione, anticipando i tempi e disponendo d'essi in assoluta sovranità. Così egli è situato nel suo ordine particolare, unico, infinitamente superiore a tutto quanto l'ha preceduto, ma nello stesso tempo indegno di slegare la calzatura di Colui che viene dopo di lui, perché questi è il Dio che viene.
La differenza fra Giovanni e gli antichi profeti - e ,la sua vicinanza con Gesù - appariva anche nel contenuto della sua profezia. Nei profeti, il Giorno di Jahvé, quello della,sua venuta sulla terra, appariva innanzi tutto come la manifestazione della sua collera sul mondo peccatore. Certo, la misericordia di Dio, sempre pronta al perdono, non era assente, ma la conciliazione di queste due esigenze non si vedeva: essa esisterà solo nella passione di Cristo. Perciò vediamo che negli Ebrei contemporanei al Cristo, come l'autore di IV Esdra, la paura e la disperazione avranno il sopravvento di fronte alle esigenze della giustizia di Dio.
Ora, il contenuto del messaggio di Giovanni è «di far conoscere la salvezza e la remissione dei peccati a coloro che giacciono nelle tenebre e nell'ombra della morte» (Lc. 1, 79). Isaia aveva annunciato che una luce sarebbe sorta per « coloro che dimorano nella terra tenebrosa» (9, 1). Il messaggio di Giovanni si rivolge ad un mondo prigioniero del peccato e della morte ed impotente a liberarsene, ad un mondo votato alla morte ed incapace di giustizia, ad un mondo senza speranza. E la sua santa e luminosa vocazione è di annunziare a tutti che i vincoli saranno spezzati, che l'amore vincerà. Questo è già il messaggio della grazia.
Il precursore.
Ma dire che Giovanni annuncia l'imminenza della grazia non è sufficiente. Essa è inaugurata già con lui. In questo senso egli èil precursore, è colui che cammina davanti ma che fa già parte del corteo. «Egli camminerà davanti a Lui con lo spirito e la fortezza di Elia» (Lc. 1, 17). Difatti, se prendiamo il Vangelo di Luca, vediamo che gli avvenimenti della nascita di Giovanni sono quasi un abbozzo di quelli della nascita di Gesù. Il parallelismo è straordinario. Come la nascita di Gesù sarà annunciata a Maria, la nascita di Giovanni è annunciata a Zaccaria - e negli stessi :identici termini. In tutti e due i casi, appare l'angelo Gabriele, l'angelo degli annunci. Zaccaria è turbato e preso da timore come lo sarà Maria. Nel medesimo modo, l'angelo rassicura Zaccaria dicendo: «Non temere ». Ancor più notevole è il parallelismo fra la nascita di Giovanni e quella di Gesù. La nascita di Giovanni è opera della potenza di Dio. Elisabetta, sua madre, era sterile ma la preghiera di Zaccaria fu esaudita. E proprio a proposito della nascita di Giovanni, Gabriele dirà a Maria: «perché nulla è impossibile davanti a Dio }} (Le. 1, 37). Certamente, la nascita di Gesù sarà un'opera della potenza divina infinitamente più grande. Il Verbo creatore che aveva formato Adamo dalla terra vergine del Paradiso, verrà mediante una vergine a riprendere la razza di Adamo per introdurla definitivamente nel Paradiso. Ciò nondimeno, la nascita di Giovanni resta un'opera della potenza di Dio, essa inaugura i mirabilia Dei, di cui armai sarà piena la storia della salvezza.
Il significato di questa preparazione ci è dato dallo stesso Vangelo. Per dare sostegno all'atto di fede esso domanda a Maria che l'angelo le annunci ciò che Dio ha già compiuto in Elisabetta. Così quanto in lei si campirà non è senza precedenti. La storia di Giovanni predispone i cuori alla storia di Gesù abituandoli ai costumi di Dio. Giovanni prepara Gesù non soltanto attraverso le sue parale, come profeta, ma soprattutto con la sua stessa vita, come precursore. Egli appartiene allo stesso ordine di realtà, quello dell'azione di Dio nella storia, ed abitua gli uomini a riconoscerla.
L'Avvento ci appare così una pedagogia della fede. La fede non consiste nel credere che Dia esiste, ma che Dio interviene nella storia. Ed è questo che sembra inverosimile all'uomo. Che nel cuore della tessitura degli avvenimenti consueti, nel mezzo dei determinismi dei fatti fisici e del concatenamento dei fatti sociologici, vi siano delle irruzioni di Dio, degli atti propriamente divini, con i quali Dio crea, visita, salva, ecco ciò che gli uomini non possano ammettere. Ed è vero che nessuna religione è in grado di giustificarlo. Ma tuttavia è in questo mO'do che si svela il Dio vivente, colui che viene, che entra in rapporto personale con noi - e che respinge lontana il Dio astratto dei deisti - colui che la sola ragione raggiungerebbe.
L'oggetto stesso della fede è che il Verbo che si è fatto carne, il Verbo, per il quale ogni cosa è stata creata e dal quale tutto dipende, in ogni istante, sia nato da una donna ed abbia preso ,dimora in mezzo a noi. È il credo cristiano in tutto il suo paradosso. Affinché gli uomini possano aderirvi come alla certezza più incrollabile, Dio dispone i loro cuori dimostrando loro che questa azione decisiva non è isolata, ma rappresenta il culmine di tutta una storia sacra che la precede e nella quale il Verbo è già venuto fra i suoi.
Non soltanto attraverso la parola di Giovanni, Dia si manifesta, ma attraverso tutta la sua vita. Egli testimonia la luce poiché quanto in lui è compiuto non proviene da lui ma da qualche cosa che sta sopra di lui, in modo che, vedendolo, gli uomini rendano gloria a Dio. Quando la potenza di Dio che aveva punito Zaccaria del suo dubbio, rendendolo muto, gli restituisce la parola, Zaccaria benedice Dio e «gli abitanti del vicinato furono presi da timore» (Lc. 1, 65). E tutti coloro che sentono parlare dell'avvenimento pensano: «che cosa dunque diventerà questo fanciullo? Infatti la mano del Signore era con lui» (Lc. 1, 66).
Così, la potenza del Signore si manifesta in Giovanni - e questo fin dalla sua nascita; essa non è quindi la risposta a qualche cosa di precedente: al contrario, suscita gli avvenimenti. Come egli è concepito da una donna sterile per mezzo della potenza di Dio, cosi egli è santificato fin da quando si trovava nel seno di sua madre, dalla potenza del Verbo presente in Maria. In questo fanciullo sembra agire soltanto la potenza di Dio. E Zaccaria esprime il suo stupore davanti a ciò che Dio ha operato in questo figlio della sua carne, rendendo ogni gloria a Dio: «Benedetto il Signore Dio d'Israele perché ha visitato il suo popolo e ne ha effettuato il riscatto» (Lc. 1,68).
Con Giovanni - ed è senza dubbio la nota più stupefacente - si manifesta già la gioia, non quella umana, ma la gioia messianica, quella che Simone chiamava: «la consolazione d'Israele ». L'angelo dice a Zaccaria: «Egli sarà di gioia e d'allegrezza per te, e molti gioiranno per la sua nascita» (Lc. 1, 14). Ed egli stesso è ripieno ,di questa gioia che a sua volta donerà. Al momento della Visitazione di Maria, Giovanni è ripieno dello spirito ed esulta nel seno di sua madre. È la vicinanza di Gesù a suscitare in lui la gioia, quella gioia che solo il Verbo sa dare, quando Egli tocca il cuore degli uomini al di là delle cose create e fa loro sentire la beatitudine che è Lui stesso e che Egli stesso comunica.
Ancora, la gioia di Giovanni non è una conseguenza secondaria ma la sostanza stessa del suo essere, toccato dalla gioia divina, testimone di questa gioia, nascosto in questa gioia. Egli già esulta per l'avvenimento che deve venire. Poiché Colui che viene e la cui venuta egli prepara, è Colui che donerà ai suoi quella gioia che il mondo è incapace di dare e che va al di là di ogni sentimento. Come predisponeva i cuori all'atto eroico della fede, così li predispone anche a portare il peso quasi :troppo greve della gioia, abitua i 'cuori, assuefatti alla disperazione, a schiudersi alla felicità che Dio ci dona. E non senza ragione la preghiera della sua festa ci farà chiedere la gioia spirituale.
Questa gioia prorompe innanzi tutto nella sua natività. Essa è simile ad un'aurora. In seguito, resterà quasi nascosta quando egli si ritirerà nell'ombra nel timore che il suo splendore inibisca i cuori e li trattenga dall'aprirsi a Colui che solo apporta la gioia e dal quale l'ha egli stesso ricevuta come per un dono anticipato.
Anche questa è una testimonianza ch'egli rende a Colui che viene, senza nulla attribuire a sé « che non è la luce ma colui che fa fede della luce ». Ma egli fa fede della luce solo nella misura in cui egli stesso ne è illuminato ed è esultante di salutarla al suo sorgere.
Il predicatore.
Profeta, precursore, Giovanni compie infine la sua missione: preparare le vie alla gloria di Colui che viene nel deserto. L'avvenimento escatologico è prossimo. Il Verbo di Dio sta per giungere di fronte all'uomo sua creatura. È il Verbo onnipotente: « Ecco che i popoli sono come goccia che cade nel secchio» (I s. 40, 15). Verrà come un pastore per pascolare il suo gregge, radunare le pecore, tenendo in braccio gli agnelli (Is. 40, 11). Egli viene a visitare i suoi. E questa ora decisiva della Storia, il Kairos per eccellenza, è ormai imminente. Giovanni è inviato per predisporre i cuori ad accogliere il Signore.
Il suo messaggio sarà messaggio di conversione: « Egli camminerà davanti al Signore... per ricondurre i cuori dei padri verso i figli ed i ribelli ai sentimenti dei giusti» (Le. 1, 17). Poiché gli uomini si sono allontanati da Dio. L'antico peccato di Adamo continua a riprodursi in essi. Il peccato di Adamo era la presunzione dell'uomo di essere autosufficiente: « Noi non abbiamo bisogno di Dio ». Era la presunzione dell'umanità di essere ar
tefice del proprio destino e garante della propria salvezza. Ma, in tal modo, l'uomo si autodistruggeva poiché egli non esiste e non agisce che in relazione alla sorgente divina dalla quale prende vita ed alla quale si riferisce.
È in questo mondo peccatore che Dio viene.
Questo mondo, Giovanni, non può salvarlo. Persino lui, il maggiore dei profeti, conosce la vanità di qualsiasi predicazione. Egli non sarà l'apportatore di una vita di saggezza, ma l'annunciatore di un avvenimento. A questo mondo peccatore sta per essere offerta una salvezza. La liberazione è prossima. Il Verbo di Dio redimerà Adamo e lo riporterà al Padre. In Lui verrà restaurata la comunicazione tra Dio e l'uomo. Il regno di Dio è prossimo. Dio regnerà sovranamente, anzitutto nell'umanità di Gesù Cristo, tutta quanta riferita a Lui; in ogni uomo poi, che potrà partecipare a questa salvezza realizzata in Gesù Cristo.
Ma è necessario però accogliere questa sal
vezza. Giovanni non chiede al peccatore di non esserlo, poiché è stato « concepito nell'iniquità ». Ciò che gli chiede è di riconoscersi peccatore, di detestare il suo peccato e di desiderare ardentemente di esserne liberato. Ecco la prima conversione che apre il cuore e lo mette in una buona disposizione. Certo, questa conversione è già una grazia ed, in questo senso, Giovanni è strumento di grazia. Ma questa prima grazia condiziona il ricevimento della grazia. Bisogna che essa tocchi i cuori per disporli a ricevere il Signore della grazia. Ma il cuore degli uomini è duro; essi sono tutti presi dai loro odii e dalle loro cupidigie. Abituati come sono alle loro miserie non pensano che vi possa essere dell'altro. Hanno persino paura di essere disturbati, rifuggono le esigenze dell'amore. S'infossano nelle loro tane come Adamo si nascondeva sotto gli alberi quando vedeva giungere la gloria di Dio. Preferiscono le tenebre alla luce.
Giovanni deve scuotere questa apatia. È questo il lato tragico della sua missione. Egli è tutto proteso verso Colui che deve venire ma deve sollevare l'immenso manto d'indifferenza che lo circonda. Il testimone della luce si trova alle prese con le tenebre. Il Vangelo di Giovanni è tutto costruito intorno a questo tema, e comincia con Giovanni il Battista. Colui che testimonia la luce è insopportabile agli uomini delle tenebre perché crea in essi un distuI1bo. Essi sono così soddisfatti di questo mondo di peccato che non amano affatto di essere disturbati. Qui Giovanni è spietato, spietato perché parla in nome delle esigenze dell'amore, spietato perché non si rassegna all'illusione nella quale il mondo vive imprigionato e nella quale lo tiene imprigionato il Principe di questo mondo, come in una magica prigione.
Così bisogna abbassare le colline, colmare gli avvallamenti. Bisogna ravvivare quella piccola speranza che sopravvive ancora forse nel cuore più indurito. Bisogna abbattere gli ostacoli, ma risvegliare le attese. L'abitudine al male non è tale da lasciare il cuore indenne dalla ferita di un disperato amore per il bene. Ma a forza di non potervi arrivare, si è come rivolto contro di lui. Ecco che questo bene, questa salvezza, questa gioia, così lungamente amati, così a lungo inseguiti, ci sono ara offerti come un dono regale da Colui che li possiede nella loro pienezza e che, per comunicarli, non chiederà che la fede nella sua potenza e nel suo amore.
Dopo questo lungo letargo, dopo questo lungo inverno, questo torpore, ecco si ode il canto della colomba che annuncia la primavera. I fiori ricompaiono e la speranza rinasce nel cuore degli uomini. « Ormai è tempo di destarsi ». L'impostura degli uomini è di suscitare speranze alle quali essi non possono rispondere. Ed ogni uomo è mentitore. Ma Giovanni sa bene che egli ha il diritto di risve
gliare la speranza perché è consapevole che la speranza non sarà delusa. È ciò che gli dà questa straordinaria sicurezza. Egli ha il diritto di annunciare la salvezza. « Se il Cristo - dirà san Paolo - non è risorto, noi siamo dei menti tori ». Giovanni sa che la speranza che egli suscita non sarà delusa.