giovedì 23 giugno 2011

Il Testimone dell'Agnello (2)

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CAPITOLO QUINTO
IL BATTISTA

La vocazione e la preparazione di Giovanni Battista costituiscono un primo periodo della sua vita : quello della vita nascosta. Il secondo periodo è rappresentato dal compimento della sua missione. Non durerà che pochi mesi, ma è quello al quale era ol'dinato tutto quanto avveniva in precedenza. Come già abbiamo detto, nessun uomo si è mai tanto identificato alla sua missione quanto Giovanni. A tale missione egli è stato chiamato fin da prima della sua nascita. Per essa è stato preparato durante la sua infanzia e la sua adolescenza. A:d essa si darà interamente nel breve periodo che ricopre il suo messaggio: il periodo della preparazione immediata della venuta del Signore. In seguito, si immerge nuovamente nel silenzio, dopo aver compiuto l'annunzio della parola che gli era stata affidata.

La predicazione.

La predicazione di Giovanni appare, nei quattro Vangeli, come un avvenimento della massima importanza nella storia della salvezza. Essa è, prima dell'avvenimento escatologico del Cristo, l'ultimo grande intervento di Dio. Innanzitutto essa si colloca nel prolungamento della missione dei grandi profeti. Nel corso dell'Antico Testamento i profeti sono stati gli eletti da Dio, e da Dio inviati al suo popolo per trasmettergli il suo messaggio. La loro missione ha un carattere ufficiale. Essa non è frutto dell'ispirazione personale. Si rivolge all'intero popolo di Dio nella persona dei suoi rappresentanti autorizzati.
Tale ci appare, in modo eminente, la missione di Giovanni. Egli è inviato da Dio e non predica per sua propria ispirazione. Luca è il più esplicito su questo punto: «la parola di Dio fu sopra Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto» (3, 2). Allo stesso modo, la parola di Dio era stata sopra Isaia ed Ezechiele, impadronendosi di loro per fame i suoi strumenti. Allo stesso modo, si impadronisce di Giovanni nel cuore del deserto per affidargli una .missione presso il popolo di Dio. A sua vblta, il Vangelo di Giovanni ci dice del Battista che «è inviato da Dio» (1, 6). Anche gli Ebrei riconoscono in lu
Questo carattere ufficiale della missione di Giovanni viene sottolineato dal fatto che Giovanni si rivolge all 'intero popolo d'Israele: « Allora gli abitanti di Gerusalemme, di tutta la Giudea e di tutto il paese intorno al Giordano, accorrevano a lui» (Mt. 3, 5). In un capitolo precedente, abbiamo notato che Giovanni presentava delle affinità con i pii Esseni, ritirati nel deserto del Mar Morto. Ma questo faceva parte del tempo delle sue preparazioni. Con la sua missione, scaturisce qualche cosa di totalmente nuovo, un atto divino che viene a prelevarlo nel suo deserto, nel suo ambiente, per una missione unica e personale, attraverso la quale è incaricato da Dio di trasmettere un messaggio - l'ultimo dei messaggi profetici - ad Israele. Come tali messaggi profetici erano sempre stati messaggi di conversione in preparazione del Giudizio che sarebbe un giorno venuto, cosi il messaggio di Giovanni è un ultimo messaggio di conversione in preparazione del Giudizio ormai imminente.
Ma benché la predicazione di Giovanni si ponga nella continuazione del profetismo di Israele, benché ne presenti i medesimi caratteri essenziali, essa è anche qualche cosa di unico, e costituisce in sé stessa un proprio universo. Ed è questo significato che gli evangelisti mettono in luce quando indicano, nella predicazione di Giovanni, il compimento di un avvenimento annunciato dagli stessi profeti. In tal modo, la missione di Giovanni si presenta come un momento particolare della storia della salvezza. Il primo testo è quello di Isaia che annuncia la venuta di colui che avrà la missione di preparare il cammino del Signore nel deserto: « Ogni valle sarà innalzata ed ogni monte ed ogni collina saranno abbassati... ed ogni carne vedrà la salvezza di Dio » (Is. 40, 4).
Un secondo testo profetico è pure applicato a Giovanni sia da Marco (1, 2) sia da Luca (7, 27). È il testo di Malachia: « Ecco, io manderò un messaggero a preparare le vie davanti a me}) (3, 1). Abbiamo già spiegato precedentemente come il testo di Malachia venga adattato dalla tradizione apostolica alla rivelazione cristiana in modo che si presenti come un dialogo del Padre e del Figlio. Qui si tratta ,direttamente della venuta del Signore: « Chi sosterrà il Giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire?» (Mal. 3, 2). Ora, questa venuta sarà preparata da un messaggero che predisporrà la via. L'invio del messaggero, dell'araldo, che annunci !'imminenza della venuta, che la preceda immediatamente, che ad essa predisponga i cuori, costituisce un momento degli avvenimenti escatologici il cui annuncio è l'essenza della profezia. Gli evangelisti designano Giovanni 'Come colui nel quale è compiuto questo aspetto degli avvenimenti escatologici.
Così, la predicazione di Giovanni appartiene agli avvenimenti escatologici annunziati dai profeti, alla Storia sacra in quanto svolgimento del disegno di Dio; ma essa si inserisce anche nella trama della Storia profana, in un contesto politico determinato. Luca, in questo senso, tiene a datarla con una precisione da storiografo: «L'anno quindicesimo del regno di Tiberio Cesare, quando Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca di Iturea e del territorio della Traconitide e Lisania tetrarca dell'Abilene, sotto i sommi sacerdoti Caifa e Anna, la parola di Dio fu rivolta a Giovanni» (Le. 3, 1). Personaggi, ql!-esti, che ci sono tutti assai noti. Svetonio e Tacito ci hanno descritto il regno di Tiberio; Ponzio Pilato è un funzionario romano sul quale ci documenta Tacito; Erode e Filippo appartengono alla dinastia degli Erodi che a quest'epoca hanno una parte considerevole nel Vicino Oriente.
È strano, tuttavia, che noi abbiamo l'impressione di passare da un universo all'altro. Giovanni appariva, nel contesto della profezia, il precursore dell'avvenimento escatologico, dell'intervento decisivo di Dio; ci appare nel contesto della storiografia, il contemporaneo del successore d'Augusto e del predecessore di Caligola, il suddito di un piccolo principe orientale sottomesso all'egemonia romana. Importante è precisamente che appartenga con, temporaneamente a questi due universi, poiché in tal modo testimonia che questi due universi non sono estranei l'uno all'altro. Il ché significa che la Storia sacra non è estranea alla Storia profana, ma che essa ne è la dimensione ultima, quella che fa sì che non esista storia puramente profana, ma che tutti i personaggi i quali si alternano sulla scena della storia politica, imperatori e governanti, re e sacerdoti, sono alla fine gli attori di un dramma divino.
Ci appare allora nella sua pienezza !'importanza del testo di Luca. Egli conferisce alla predicazione di Giovanni la sua dimensione totale. Ciò che Giovanni annunzia è il sorgere in seno alla storia dell'avvenimento a cui, alla fine, ogni storia si riferisce. A questo avvenimento, che è il Giudizio di Dio, saranno dunque un giorno tutti chiamati a confronto. Tiberio e Pilato, Erode e Caifa, attori apparenti degli avvenimenti politici e religiosi che gravitano intorno alla predicazione di Giovanni, sono in realtà, alla fine, tutti interessati a questa predicazione. Anche se, nella sua risonanza storica immediata, essa non oltrepassa i confini della Palestina, in realtà essa raggiunge, per il suo significato, i limiti estremi dell'universo, riecheggia presso gli uomini e presso gli angeli, introduce una nuova età. Sotto l'apparente continuità del succedersi degli avvenimenti storici, essa è annunciatrice di un mutamento essenziale della Storia, il passaggio dall'attesa alla presenza della Gloria di Dio fra gli uomini.

L'imminenza della Parusia.

Già si può intravedere qual è l'oggetto proprio della predicazione di Giovanni. Il suo contenuto è uguale a quello della predicazione di tutti i profeti e cioè il Giudizio di Dio che deve venire. Ma ciò che segna questo contenuto di un carattere proprio è !'imminenza di tale Giudizio. Non si tratta più di una preparazione lontana. L'avvenimento per il quale è stato costituito Israele, al fine di esserne testimone fra le nazioni, questo avvenimento a cui tutte le genti sono interessate, è ormai vicinissimo. Per Israele dunque, non è più tempo di annunziarlo, ma di prepararvisi. In realtà il suo compito è terminato in quanto non era stato eletto che in funzione di questa ora. Bisogna quindi che sia presente e pronto quando questa ora, che gli spettava soltanto di preparare, sarà giunta.
Giovanni descrive l'avvenimento con un succedersi di espressioni di una forza stupenda, che danno al suo messaggio un'impronta in cui si scorge insieme alla forza profetica, la sua propria personalità. Si noterà la prima forma di tale annuncio: « Il regno dei cieli è vicino» (Mt. 3, 2). L'espressione « regno dei cieli» non deve indurci ad una prospettiva « celeste ». « Cieli» qui è un ebraismo che sostituisce il nome stesso di « Dio ». È il regno di Dio che è prossimo. E Giovanni concepisce tale regno come l'affermazione da parte di Dio del proprio potere, inaugurato da un intervento decisivo con il quale vincerà i suoi nemici e costituirà un mondo nel quale Dio sarà conosciuto e servito dai suoi.
Dunque, il messaggio di cui Giovanni è depositario, innanzi tutto, è un messaggio di speranza. Poiché, come dirà Luca, « egli annuncia la Buona Novella », il Vangelo (3, 18). Il Vangelo è l'annuncio ufficiale dell'inizio di un'era di misericordia e di pace. Ma questa manifestazione di Dio è pure manifestazione di gloria e di santità. Il Dio che viene è il Dio santo. La sua venuta è un giudizio sul mondo peccatore. La predicazione di Giovanni pone l'accento principalmente su questo punto; ogni creatura sarà chiamata davanti al tribunale di Dio e dovrà rispondere della sua intenzione profonda. Non è !più tempo di apparenze di giustizia, di false sicurezze. Ciò che conta è soltanto il fondo del cuore dell'uomo. La predicazione di Giovanni pone di fronte ad ogni creatura questa verità del giudizio di Dio, davanti al quale non è possibile alcuna finzione.
Ora, è proprio a tali finzioni che si attaccano ancora gli uomini ai quali si rivolge Giovanni. Ciò che egli denuncia non sono tanto i loro peccati, bensì le illusioni di cui essi si circondano per evitare di riconoscersi peccatori e di aprirsi alla conversione: « Razza di vipere, chi vi ha insegnato a fuggire la collera che vi sovrasta?» (Lc. 3, 7). La collera di Dio non è principalmente la sua incompatibilità con il male. Essa è prima di tutto !'intensità stessa della sua presenza, quando si manifesta e ricorda all'uomo, facile all'oblio, che nulla è più reale di Dio. Ma essa è pure l'intensità del suo valore, questa radicale incompatibilità con il male, grazie al quale la santità di Dio è la garanzia ed il fondamento di ogni valore. È a questo spietato confronto che il Fariseo tenta di sottrarsi con miserabili garanzie. Così, il messaggio di Giovanni viene innanzitutto .a far saltare il mondo dei pretesti e delle scuse, delle agevolazioni e dei conformismi, delle garanzie e delle sicurezze.
La grande tentazione per Israele sarebbe di riposarsi sulla elezione di Abramo e sulla sicurezza di essere, quale discendente di Abramo, l'erede delle promesse. Non ha forse diritto di valersi di questa sua discendenza per pretendere al regno? È proprio questa pretesa che Giovanni denuncia: «non cominciate a . dire dentro di voi: noi abbiamo Abramo come padre !perché io vi dico che Dio può suscitare .degli figli ad Abramo anche da queste pietre» (Lc. 3, 8). Il discendere da Abramo non ha nessuna importanza se il fondo del cuore è corrotto. Paolo condanna ancor più spietatamente questa pretesa nella sua Lettera ai Romani: « Tutti hanno peccato e sono privi della Gloria di Dio» (Rom. 3, 23). Forse, affermando di avere Abramo come padre, i Giudei pensavano al testo di Isaia: «Volgete lo sguardo verso la roccia dalla quale foste tagliati... volgete lo sguardo verso Abramo, vostro padre» (Is. 51, 1). A questo risponde Giovanni affermando che il Dio che ha fatto sorgere da A!bramo non soltanto la generazione carnale d'Israele, ma anche la sua filiazione in virtù della fede, può far sorgere questa fili azione della fede anche al di fuori della stiI1pe carnale di Abramo.
Ed è precisamente quello che accade. Un nuovo popolo sta per nascere o piuttosto sta per sorgere il vero popolo di Dio. Il tempo di Israele è terminato. Con la venuta del Regno sta per sorgere la realtà. E per entrare nel Regno non servono più i privilegi della stiI1pe o della tradizione, la sola cosa che vale è la conversione dei cuori. È la medesima conversione che Abramo aveva compiuto ad un'altra tappa della Storia sacra, quando aveva lasciato Ur di Caldea per incamminarsi nella sola fede. Oggi, è proprio questa fede di Abramo che viene chiesta ai figli di Abramo: « Noi siamo la progenie di Abramo» (Giov. 8, 33) dicono i Giudei a Gesù, e Gesù risponderà loro: «Se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo» (Giov. 8, 33).
Ma ora «Già la scure è messa alla radice degli alberi; ogni albero, dunque che non produce buon frutto, sarà tagliato e gettato nel fuoco» (Lc. 3, 9). Il diaframma fra Dio e l'uomo, non è soltanto la cattiva volontà individuale. È fatto anche di quella specie di sedimentazione sociologica formata da un insieme di abitudini e di compromessi, e che è tanta più difficile da scalzare in quanta ha un carattere collettivo. E questa fa sì che ogni società, per quanto ispirata passa essere stata nella sua primissima origine ha sempre bisogno di riforme. Giovanni denuncia un insieme di abitudini: inuguale ripartizione di beni, contraria all'Alleanza ma così ben assimilata nelle abitudini che nessuna se ne accorge se non coloro che ne sono le vittime; piccole disonestà, ma divenute così consuete che fanno persino parte dei costumi; abusi di potere, ma che risultano addirittura inseparabili dal potere stesso.
La venuta della Gloria di Dio verrà a denunciare questo peccato collettivo riconducendo i cuori alla fedeltà totale verso l'Alleanza. Una volta di più, il profeta è un riformatore. Ma questa volta la riforma deve essere totale,: «Colui che ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha... che il Pubblicano non esiga nulla di più di quanto è stato fissato... che i soldati non facciano violenza a nessuna né
calunnino... »(Lc.3, 11-14); la denuncia di Giovanni è diretta contro un'intera società che si è mediocrizzata ed è per questo che i suoi rimproveri la colpiscono più profondamente. Ciò che il profeta pone in discussione, è tutto un ordine falso che è in realtà, secondo 1'espressione di Mounier, un disordine legalizzato.
Anche a questa proposito appare, l'impor
tanza ed il valore della parola di Giovanni.  Essa mette a confronto, brutalmente, l'esistenza comune, consueta, che sembra continuare senza fine, con le sue piccole vigliaccherie e  le sue piccole generosità, all'irruzione terribile  della Gloria splendente di Dio i cui raggi penetrano fin negli abissi dei cuori, il cui fuoco divorante consuma la paglia a cui, resiste soltanto ciò che è stato trasfigurato nella sostanza incorruttibile dell'amore. È questo fuoco bruciante che è presente. È Spirito Santo è fuoco nel quale tutto sarà battezzato, cioè immerso. Brucerà la paglia ad un fuoco che mai si spegnerà ed ammasserà il frumento nel granaio (cfr. Lc. 3, 16 , 17). Giovanni lancia un appello che riecheggia come un grido d'allarme alla vista di questa immensa folla ignara che si trascina, in un'esistenza mediocre proprio alla vigilia della visione abbagliante, estasiante, della Gloria.

Il battesimo di Giovanni.

Resta infine un'ultima questione. La missione di Giovanni non è consistita soltanto nel predicare ma anche, nel battezzare. Ed è tanto importante questo aspetto della sua missione che ad esso si riferisce il nome che propriamente, lo definisce: Giovanni il Battista. Infatti, ai suoi contemporanei è apparso soprattutto come colui che battezza «e venne a predicare il battesimo di penitenza per la remissione dei peccati» (Lc. 3, 3). E le folle accorrevano per farsi battezzare. Essenziale è quindi il capire a che cosa corrisponda questo battesimo, che significato abbia nella missione di Giovanni e nella preparazione della Parusia. Allora soltanto la missione di Giovanni ci apparirà nella sua totalità.
Il Battesimo, cioè il rito religioso dell'immersione in un'acqua corrente, non è stato inventato da Giovanni. Come la maggior parte dei riti, anche questo fa già parte della religione naturale e si trova in una gran parte delle religioni con significati diversi, dei quali il più comune è quello della purificazione. In particolare, il battesimo sembra legato alla tradizione dei popoli che abitavano le rive del Giordano. Non era un rito ebraico. Inoltre il Giordano non occupa molta parte nella Bibbia. Tuttavia esiste un episodio significativo. Sappiamo che il generale siriano Naaman, per ordine di Eliseo, si immerge tre volte nel fiume ed è guarito dalla lebbra. L'esistenza di battesimi nel fiume Giordano al tempo di Giovanni è confermata dal fatto che questo rito viene praticato in numerose sette. J. Thomas è stato in grado di scrivere un importante libro sul movimento battista al tempo di Cristo in Galilea e in Giudea.
Ciò che importa, quindi, non è tanto il rito dell'immersione nel Giordano, ma il significato che ad esso attribuisce Giovanni.
Ora, assai evidente è il suo legame alla conversione, alla penitenza. Giovanni predica « un battesimo di penitenza ». L'immersione nel Giordano esprime ed insieme ratifica tale conversione. Essa vuol significare la volontà di rottura con l'esistenza passata e la nascita ad un'esistenza. nuova. In questo senso, il significato del battesimo giovanneo, antic1pa quello del battesimo cristiano. Del resto, è evidente che il battesimo cristiano si colloca nel prolungamento del battesimo di Giovanni e non in quello di altri riti quali il battesimo dei proseliti ebrei o le abluzioni dei monaci esseni.
Tuttavia vi è ancora un abisso fra il battesimo di Giovanni ed il battesimo cristiano. Lo dichiara lo stesso Giovanni quando dice: «lo vi ho battezzati nell'acqua ma Egli vi battezzerà nello Spirito Santo» (Mc. 1, 8). Il battesimo cristiano farà seguito alla Parusia, alla venuta della Gloria del Signore, all'effusione dello Spirito alla Pentecoste. Appartiene al mondo della nuova creazione, già realizzato nella Gloria del Cristo risorto. Sarà il segno visibile ed efficace, il sacramento della partecipazione alla vita del Cristo risorto. Questo fiume d'acqua viva che sgorga dal trono di Dio e dell'Agnello e che è lo Spirito Santo medesimo effuso sopra gli uomini con il battesimo, trasforma questi uomini in creature nuove, il nuovo Paradiso fatto di alberi vivi, il nuovo Tempio fatto di pietre vive.
Non così il battesimo di Giovanni. Egli non,' può donare lo Spirito, perché lo Spirito non è ancora stato donato. Ma predispone al dono di esso. Appartiene all'ordine delle preparazioni e tuttavia segna un percorso decisivo. Sancisce la conversione ,dei cuori attraverso un procedimento visibile, costituito una rottura con il passato.
Attesta l'insufficienza di appartenere all'an
tico Israele. Aggrega ad una comunità nuova, la comunità di coloro che si predispongono alla venuta del Signore. E questo è così vero che anche dopo la venuta della Gloria di Dio nel Cristo i discepoli di Giovanni continueranno a formare: un gruppo a sé. Li incontriamo nel Vangelo dove vediamo che Giovanni li orienta verso il Cristo, ma li incontriamo anche negli Atti degli Apostoli che riferiscono, che ad Efeso vi sono uomini che conoscono soltanto il battesimo di Giovanni (19, 3). E Paolo dice loro: « Giovanni ha battezzato con, il battesimo di penitenza dicendo al popolo di credere in Colui che sarebbe venuto dopo di lui, cioè Gesù» (19, 4).
Il ruolo di Giovanni nella storia assume qui una consistenza nuova. Egli non è soltanto predicatore di un messaggio, ma creatore di una comunità. Benché lo spazio che occupa tale comunità sia molto ristretto, ciò nondimeno essa costituisce un passaggio intermedio fra il popolo dell'Antico Testamento e la Chiesa della Nuova Alleanza. I discepoli di Giovanni non sono più semplicemente i figli di Abramo, sono la comunità di coloro che si sono convertiti negli ultimi tempi, sono coloro che si preparano al compimento delle promesse profetiche; essi appartengono ancora ai tempi della preparazione, non sono ancora la Chiesa dei risorti. Tuttavia, quale fondatore di una comunità, il ruolo di Precursore di Giovanni ci appare sotto una luce nuova. Egli non prepara soltanto il Cristo ma anche abbozza già la struttura (1) della Chiesa come comunità e del battesimo come rito di aggregazione a questa comunità.
La predicazione della conversione in vista del Giudizio che viene è dunque il contenuto essenziale della missione di Giovanni, rimarrà una parte essenziale della missione della Chiesa, ed era già stata in precedenza una parte essenziale della missione dei profeti. Sono queste le stesse realtà fondamentali che incontriamo via via nelle diverse epoche della Storia sacra. Le loro modificazioni dipendono dall'essere situate a tappe diverse di tale Storia. Altro è la tappa profetica altro la tappa giovannea, altro quella della Chiesa. Ma poiché gli atteggiamenti sono pur sempre i medesimi, quanto appartiene ad un'età resta valido anche per le altre. Così è per il messaggio di Giovanni. Anche se, storicamente, corrisponde al periodo che precede la prima Parusia, questo messaggio di conversione del cuore in vista della venuta del Signore, resta vivo e valido durante tutto il tempo della Chiesa, nel quale la Chiesa tutta intera è ufficialmente inviata dalla Trinità a predicare all'umanità la conversione del cuore in vista della seconda Parusia, la venuta definitiva della Gloria.
[1] Giovanni insegnava pure ai suoi discepoli una forma di preghiera, come ci riferisce Lc. 11, 1.

CAPITOLO SESTO
GESÙ BATTEZZATO DA GIOVANNI
La missione di Giovanni, la sua funzione particolare nella storia della salvezza, comprende innanzitutto due momenti importanti. Da un lato, egli annunzia l'imminenza della Parusia e la costituzione, attraverso il battesimo, della comunità di coloro che vi si preparano; dall'altro, egli testimonia che la Parusia è già arrivata, designando in Gesù colui sul quale lo Spirito è disceso nel Giordano. Questo duplice aspetto della sua missione dimostra che egli appartiene al con tempo al mondo che precede ed a quello che segue la Parusia, quale anello di congiunzione di due tappe vitali della storia della salvezza.
Fra questi due momenti dei quali abbiamo studiato il primo nel capitolo precedente e vedremo il secondo più avanti, ve n'è un terzo, particolarmente difficile da capire, tanto difficile che neppure Giovanni lo ha capito agevolmente e che alcuni cristiani l'hanno ignorato ritenendolo quasi imbarazzante. È riportato dai tre sinottici, ma non dal Vangelo giovanneo. Si tratta del battesimo di Gesù da parte di Giovanni. Ed è tanto più importante il capirne il significato quanto più esso appare ad un primo momento misterioso. Saremmo tutti, portati a condividere lo stupore di Giovanni Battista quando dice: « Sono io che devo essere battezzato da te,e tu vieni invece da me? » (Mt. 3, 14).
È anche importante considerare l'episodio in se stesso perché rappresenta, da solo, un momento della storia della salvezza, un mistero. Ed ogni mistero è una fonte inesauribile di contemplazione.

Il compimento della giustizia.

Il fatto che Gesù chieda a Giovanni di battezzarlo sembra ad un primo momento, innegabilmente, un paradosso. Si può capire come abbia scandalizzato. Bisogna tuttavia scartare, delle interpretazioni che in realtà sarebbero assurde. Per noi il battesimo resta, indissolubilmente legato al concetto della remissione dei peccati e di conseguenza la richiesta di Gesù di essere battezzato ci sembra scandalosa. Infatti, se è senza peccato, non ha bisogno di esserne liberato. Oppure il suo gesto appare privo di senso il che è ugualmente inaccettabile. Ma noi diamo al battesimo di Giovanni,un significato troppo limitato. Come abbiamo detto, esso è innanzi tutto in relazione con l'attesa, della venuta del Giudizio ed introduce nella comunità di coloro che vivono, nell'attesa di tale venuta. Raccoglie coloro che sono entrati in quest'ultima tappa della storia della salvezza, rappresentata dalla preparazione immediata della Parusia.
Ma lo scartare le interpretazioni errate non elimina l'esistenza del problema, ci facilita soltanto la sua reale identificazione. E il mistero è questo. Il battesimo di Giovanni appartiene all'ordine delle preparazioni. Precisamente, esso prepara quanto è già stato sostan
zialmente compiuto ma che sta per essere manifestato visibilmente in Gesù. Allora, non è un sovvertimento dell'ordine delle cose, il vedere Gesù che chiede di ricevere un battesimo il cui unico scopo ,è quello di disporre a ricevere lui stesso? Giovanni l'aveva, già detto: «Io vi battezzo con acqua per indurvi, al pentimento; ma Colui che viene dopo di me, è più potente di me, ed io non son degno di portare i suoi sandali ;  Egli vi battezzerà nello Spirito Santo e nel fuoco» (Mt. 3, 11). Qui tutto è chiaro: il battesimo di Giovanni è semplicemente un battesimo di penitenza; il vero battesimo è quello che sarà dato, da Gesù.
È quindi comprensibile la reazione di  Giovanni alla richiesta di Gesù di avere il battesimo. La sua risposta tocca il fondo della questione e sottolinea innanzitutto l'apparente rovesciamento delle parti: «Sono io che devo essere battezzato da te e tu invece, vieni da, me?» (Mt. 3, 14). Ciò che stupisce Giovanni, è che Gesù domandi di essere introdotto nell'ordine delle preparazioni, quando già appartiene a quello del compimento. Quando egli dice di essere lui ad aver bisogno del battesimo, non vuol contrapporre il suo stato di peccatore alla santità di Gesù, ma vuol paragonare l'imperfezione del sua battesimo con la perfezione del battesimo che potrà dare Gesù. La sua stessa fede è messa alla prova. Se Gesù domanda il battesimo, non significa forse che Gesù non è colui che deve venire ad istituire il vero battesimo? « Sei tu colui che deve venire a ne dobbiamo attendere un altro? » (Mt. 11, 3) dirà più tardi. Questo interrogativo nasce quindi già nel suo animo.
Forse mai sentiamo tanto la realtà della fede come nei momenti in cui essa sembra posta in questione. O piuttosto posto in questione è il nostro modo di pensare che viene sconcertato dai modi di agire di Dio. Ed è in questi frangenti che, superando la smentita delle apparenze, noi ci inoltriamo nella fede pura. Così fu per Abramo al quale Dio aveva promesso di essere padre di una grande stirpe ed al quale questo stesso Dio domanda il sacrificio dell'unico figlio dal quale soltanto poteva attendersi la realizzazione della promessa. Così fu per Maria, alla quale l'angelo annuncia che sarà madre del re messianica, quando ella è vergine consacrata a Dio. Così per Giovanni che si sente chiedere da Gesù di essere introdotto nella comunità di coloro che si preparano alla venuta della Gloria di Dio quando sa bene che in Gesù questa venuta è già compiuta.
C'è quasi un senso di disperazione nella protesta di Giovanni: «Che bisogna hai del mia battesimo quando sona io che avrei tanto bisogno del tuo? ». Non vi è quasi una derisione nel chiedere qualche cosa di cui non si ha bisogna? Perché venire a mendicare il pane dei poveri, quando si hanno a disposizione le ricchezze di Dio? A che scopo farti infelice con noi, condividere la nostra miseria, invece di rendere noi felici con te, partecipi della tua gloria? Una tale protesta traspare lunga tutto il Vangelo. I suoi fratelli rimproverano a Gesù di non manifestarsi agli Ebrei. I figli di Zebedeo gli chiederanno di colpire con il fulmine gli increduli. Ancora sul Calvario, i Sadducei la provocheranno a scendere dalla croce, se è veramente il Figlio di Dio. Perché mai il Figlio di Dio ha valuto assumere fina a tal punta la condizione miserabile dell'uomo?
A queste domande risponde Gesù can una frase al sua precursore, frase che convince quest'ultima: «Lascia fare, per ora, poiché conviene che adempiamo così ogni giustizia» (Mt. 3, 15). Per capire il significata della risposta di Gesù, bisogna rifarci al concetto di giustizia nell'Antico e nel Nuovo Testamento. La parola esprime sempre relazione e conformità ad una norma. Nel linguaggio profano,
è giusto ciò che è conforme ai diritti di una persona. Ma per la Bibbia, la norma che rende un'azione giusta, non è la sua conformità al diritto dell'uomo ma al disegno di Dio. Giusto è colui che adegua la sua condotta alla legge di Dio. « Avere fame e sete di giustizia »; "significa avere fame e Sete che «sia fatta la volontà di Dio, »: «Cercare il regno di Dio e la sua giustizia» significa fare della volontà di Dio, la norma della propria esistenza ed operare affinché ogni esistenza si adegui alla volontà divina.
Il motivo indiscutibile, quindi, al quale ricorre Gesù per decidere Giovanni a battezzarlo, è che questa è l'espressione di una misteriosa volontà divina. Da questo momento
le obiezioni di Giovanni cadono. Aveva avuto ragione di porle poiché fare la volontà di Dio non significa, rinunciare ad esercitare quella ragione che è dono di Dio. Ma resta ben fermo che le ragioni di Dio oltrepassano infinitamente la ragione dell'uomo. « Le mie vie non sono le vostre ». E quando l'uomo ha esposto le sue ragioni, deve ancora fidarsi di questa saggezza divina di cui non può scorgere 1'intima giustificazione ma alla quale sa di potersi affidare senza riserve poiché le sue vie sono vie di misericordia.
La successione dei tempi
Possiamo noi intravedere qualche cosa di questa giustizia, ,di questo disegno di Dio? Corrisponde questo battesimo di Gesù, ad opera di Giovanni, a qualche cosa che abbia un senso intelligibile? Vi è una parola, nella risposta di Gesù, che può metterci sulla buona strada. «Lascia fare, per ora (arti)». Il battesimo di Gesù per opera di Giovanni corrisponde dunque ad una data situazione. Non ha valore definitivo. Anche il battesimo che dava era, per Giovanni stesso, soltanto una tappa provvisoria. Così è, ancor più particolarmente, del battesimo che gli domanda Gesù. Tale battesimo corrisponde alla volontà di Dio, in questo momento preciso della vita di Gesù. Fa parte dell'economia del disegno divino. Ed è in funzione di tale prospettiva che noi possiamo scoprirne il significato.
Un aspetto essenziale del disegno di Dio è
che le cose abbiano un loro tempo e che ogni cosa avvenga a suo tempo. E la giustizia, la giustezza, è precisamente di non essere né in ritardo né in anticipo sul tempo, ma di compiere ciò che Dio vuole nel momento che Egli vuole. Poiché i tempi sono stabiliti da Dio, e da Dio solo conosciuti : « Non sta voi conoscere i tempi o i momenti che il Padre ha riservato in suo potere » (Act.1, 7). Questo scrupolo di compiere ogni cosa al suo tempo è evidente nella vita di Gesù. Egli sa, al momento di Cana, che la sua ora, il tempo stabilito dal Padre per la sua Passione e la sua Resurrezione, non è ancora giunto.
Dio procede, in effetti, a tappe. Dispone
ogni cosa con forza e saggezza, senza far violenza alle circostanze. Entra nel tempo e ne rispetta le leggi. Non è forse anche il tempo una sua opera e non fa parte della sua creazione? Il tempo non è soltanto una misura dell'esistenza che si ripete incessantemente. Esso è la realtà positiva di una crescita, nella quale ogni cosa ha un inizio, uno sviluppo ed un completamento. Esso è, nell'ordine dell'uomo, quello di un'educazione in cui la libertà progressivamente si risveglia, si cimenta, si consolida. Esso è, nell'ordine della storia umana, quella pedagogia descritta da sant'Ireneo, in cui l'umanità doveva essere progressivamente abituata alla vita dello Spirito, esercitata alla libertà prima di poter ricevere totalmente il dono dello Spirito e di poter disporre pienamente della propria libertà.
Allora potremo capire perché l'essere battezzato da Giovanni, significava per Gesù compiere la giustizia. In effetti voleva dire corrispondere ad un momento eminente del disegno di Dio. Il battesimo di Giovanni definisce un'età del mondo, 'una sfera d'esistenza. Introduce un periodo della Storia sacra la cui brevità non ne esclude l'importanza. In questo senso, Giovanni si pone sullo stesso piano di Noè e di Abramo, ad uno dei nodi più importanti della Storia sacra. Egli forma un nuovo popolo di Dio che non è più soltanto il popolo d'Israele ma che non è ancora il popolo della Chiesa. La comunità che egli
istituisce avrà una vita breve. Continuerà dopo il battesimo di Gesù, ma allo stesso modo che la scorza vuota pende ancora dall'albero quando il frutto maturo è già caduto.
Questa età del mondo ha la sua caratteristica particolare: è quella che precede immediatamente la Parusia, quella in cui sta per sorgere la Parusia. In essa, il battesimo di Gesù da parte di Giovanni assume il suo significato esemplare. Poiché esso rappresenta àl con tempo e la conferma e la condanna del battesimo di Giovanni. Lo ratifica riconoscendolo una tappa del disegno di Dio, conforme alla giustizia. E con questo sconfessa la posizione ebraica che non riconosce il messaggio di Giovanni. Fra l'antico Israele ed il nuovo, l'alleanza giovannea ricopre uno spazio che il Vangelo sancirà mentre la Legge continua ad ignorarlo. Il battesimo che Gesù gli chiede è dunque per Giovanni la suprema conferma alla sua missione. Egli introduce la comunità che ha fondato, nella storia del popolo di Dio del quale essa costituisce un momento autentico. Come Giovanni porta a termine l'Antico Testamento, Gesù porta a compimento la missione di Giovanni. Si situa nel suo prolungamento, o meglio egli la riconosce come la preparazione alla sua venuta.
Ma contemporaneamente il battesimo di Gesù da parte di Giovanni è la condanna del battesimo di Giovanni, poiché facendosi da lui battezzare, Gesù pone un termine alla missione di Giovanni. Fedele in effetti alla giustizia, cioè alla successione dei tempi stabiliti dal Padre, Gesù ha compiuto questi tempi. Egli è entrato nel disegno del Padre percorrendone le tappe successive. San Luca, nella sua genealogia, le enumera. Figlio di Adamo, figlio di Abramo, figlio di Davide; egli è il continuatore di Elia, il compimento di Giona, lo Sposo del Cantico. Dopo di ché non resta che una tappa da percorrere, l'ultima, quella rappresentata da Giovanni. Dopo che egli è battezzato da Giovanni, anche quest'ultima tappa è conclusa. È per questo che, subito dopo il battesimo, non appena egli sarà uscito dalle acque del Giordano, lo Spirito si poserà sopra di Lui e risuonerà la voce del Padre. I tempi messianici saranno così inaugurati.
Ciò che muore e ciò che nasce.

Il battesimo di Gesù da parte di Giovanni appare così un cardine della storia della salvezza. Esso segna la fine della vita nascosta, il termine di quella parte di vita di Gesù che aveva avuto inizio con l'Annunciazione e sulla quale vegliano due grandi precursori che nell'iconostasi bizantina affiancano sempre la presenza della Gloria: Giovanni e Maria. Fino al battesimo, Gesù appartiene soprattutto a Maria, in seguito, a Giovanni. Dopo il battesimo non ha più per madre o per fratello, se non colui che fa la volontà del Padre. Il battesimo di Gesù da parte di Giovanni rientra così nell'ordine degli abbassamenti di Gesù. Esso è uno dei modi di comportamento del Figlio che annienta se stesso, spogliandosi della gloria dovuta alla sua umanità. Per un momento egli figura come discepolo di Giovanni, Lui che è il Signore di Giovanni. Ed è ciò che riempie di stupore Giovanni. Egli adora con gli angeli il mistero degli abbassamenti del Verbo.
Ma all'abbassamento del Figlio, che si fa obbediente ad ogni giustizia, corrisponderà subito un'esaltazione da parte del Padre. Il battèsimo segnerà il termine della sua vita nascosta e sarà immediatamente seguito dalla inaugurazione della vita pubblica. Di colui che si è tanto umiliato fino a farsi battezzare da chi non è degno neppure di sfilare i suoi sandali, la voce del Padre proclamerà che è il Figlio amatissimo nel quale il Padre ripone tutte le sue compiacenze. E lo Spirito inaugurerà in Lui, nello stesso Giordano, il nuovo battesimo; il battesimo nello Spirito di cui Gesù è il principio e che succede al battesimo di Giovanni. Di questo dittico non abbiamo considerato che un aspetto, quello che ci rappresenta il suo abbassamento. Ci resterà ora da vedere la seconda parte.
Ma già siamo in grado d'intuire perché l'episodio del battesimo assume un tale significato. Esso rappresenta un primo delinearsi, in questo momento vitale della vita di Gesù, del
mistero della morte e della resurrezione. E se il battesimo cristiano sarà, secondo l'insegnamento di Paolo, la configurazione alla morte ed alla resurrezione del Cristo dopo il loro compimento, il battesimo di Gesù da parte di Giovanni e la manifestazione che ne segue, appaiono la prefigurazione di questa morte e di questa resurrezione. Che il battesimo di Giovanni avesse avuto un simbolismo di morte, è cosa possibile, anche se non certa. Ma che il ricevere questo battesimo sia stato per Gesù l'espressione della più misteriosa delle sue umiliazioni, questo appare con evidenza.
Di tale mistero, Giovanni è lo strumento. Qui egli appare non più soltanto nell'ordine della preparazione, ma in quello del compimento stesso. .È lo strumento della realizzazione della giustizia di Dio. Perciò Gesù gli dice: «Non dobbiamo noi compiere ogni giustizia? ». Non è soltanto Gesù che compie la giustizia, anche Giovanni è accomunato al suo compimento. Egli è introdotto nelle vie del Signore e ne rappresenta il docile strumento. È il servo totalmente obbediente, che agisce secondo la sola volontà divina e che proprio per questo ha ingresso, oltre le vie della saggezza umana, nei consigli e nelle opere divini. Da allora il suo gesto battesimale comincia ad essere introdotto in un ordine nuovo, quello di prefigurare e di anticipare il gesto sacramentale con il quale i catecumeni saranno iniziati agli atti di abbassamento di Gesù prima di essere partecipi della sua esaltazione.
Giovanni diviene così il testimone della verità dell'umanità di Gesù. Poiché il battesimo che Gesù riceve da Giovanni porta in sé il segno di una verità incontestabile. Il gesto sconcertante con il quale Gesù sembra abdicare alla sua sovranità facendosi aggregare alle file della comunità di Giovanni, è cosi contrario a quanto gli apostoli avrebbero voluto affermare, che non può essere stato in alcun modo inventato da loro. È in contraddizione con tutta la loro apologetica e si capisce come essi non vi abbiano insistito. Ma il ricordo di esso perdura irriducibilmente come uno dei dati della vita di Gesù in cui noi urtiamo maggiormente contro la roccia, contro il fondo più solido della sua verità storica.
Il momento del battesimo di Gesù è per Giovanni il più solenne di tutta la sua vita. In esso egli è ufficialmente riconosciuto da Gesù come il suo precursore, ricevendo in tal modo la conferma dell'autenticità della sua missione. Prima ancora che Giovanni renda testimonianza a Gesù, è Gesù che la rende a Giovanni. Lo conferma in quel ruolo unico che è il suo e lo colloca anche in rapporto alla sua missione.
E la grandezza del Battista ci appare in questa fedeltà alla sua missione personale, qualunque sia l'oscurità delle sue vie, in quèsto rispetto dei tempi prestabiliti dal Padre,
in cui ogni cosa deve accadere nel momento desiderato, in questa totale adesione alla volontà di Dio, che fa di lui lo strumento fedele del disegno dell'Amore.

CAPITOLO SETTIMO
LA TRINITÀ
Il gesto con il quale Giovanni battezza Gesù nel Giordano segna il momento supremo della sua missione di precursore. Facendosi battezzare da Giovanni, Gesù gli rende testimonianza e riconosce il carattere divino della sua missione. Ma questo gesto segna anche il termine di tale missione: in effetti, esso è seguito immediatamente dalla teofania, in cui la voce del Padre e la discesa dello Spirito designeranno in Gesù, colui del quale Giovanni era precursore. Da questo istante, Giovanni non ha più da annunziare colui che deve venire, ma da testimoniare colui che è venuto. Da profeta diviene testimone.

Precursore e testimone.

Questo nuovo mistero significa per Giovanni una tappa ed una promozione decisive. L'episodio del Giordano è il fulcro della storia della salvezza e lo è pure della vita di Giovanni. Come fulcro della storia della salvezza, se ne rileva l'importanza dal fatto che costituisce l'esordio del Vangelo di Marco e di Giovanni. Con esso ha inizio la manifestazione dell'avvenimento decisivo compiuto in Gesù, cioè l'Evangelo, la manifestazione pubblica. Tutto quanto precede questo episodio appartiene alla vita nascosta. È il fulcro della vita di Giovanni, perché il rapporto fra questi e Gesù si capovolge. Fino ad ora, il ruolo principale appartiene a Giovanni, da ora in poi questo ruolo passa a Gesù ed è Giovanni che entra nella vita nascosta. Egli era la voce (phoné) ed ora risuona la parola (Logos); era il lume ed ora brilla il sole. Per quanto splendente sia la gloria del più grande dei figli di donna, secondo l'espressione di Gesù stesso, questa gloria è oscurata dalla gloria infinitamente piùsplendente del Figlio di Dio. Poiché Giovanni « non era la luce, ma colui che testimonia la luce» (Giov. 1, 8).
Giovanni appartiene così a due ordini, ed in essi egli è unico. Da principio, la sua missione è stata di annunziare l'imminenza dell'avvenimento escatologico. Egli si colloca qui. nella linea dell'attesa; egli è l'ultimo dei profeti. Ma è anche più grande dei profeti, come
attesta Gesù (Mt. 11, 9). I profeti avevano annunziato la venuta del Verbo e l'effusione dello Spirito. Il Maestro di Giustizia aveva testimoniato l'inaugurazione della fine dei tempi. Ma Giovanni precede immediatamente l'avvenimento decisivo. Rappresenta quella parte dell'Antico Testamento così contigua al Nuovo che essa vi è quasi incorporata, è come la sua introduzione, come l'anello che le congiunge.
Ma Giovanni è anche colui che, dopo aver sentito la voce del Padre, ed avere contemplato . la discesa dello Spirito, testimonia che l'avvenimento escatologico è giunto. Si pone nella linea del compimento, è il primo degli Evangelisti. Anche in questo egli è unico e forma un ordine proprio. Infatti, come apostolo, è più piccolo degli Apostoli: non appartiene al loro ordine. Contempla la discesa dello Spirito sopra Gesù ma non riceve l'effusione dello Spirito alla Pentecoste. Come dirà Gesù: «Il più piccolo nel Regno dei Cieli è più grande di lui» (Mt. 11, 11). Ma l'essere più piccolo del più piccolo del Regno dei Cieli, è tuttavia essere molto più grande del maggiore dei profeti. Giovanni è più grande quando scompare davanti a Gesù di quando Gesù scompariva davanti a lui chiedendo il suo battesimo.
È per questo, che il nuovo aspetto della missione di Giovanni che ora affrontiamo, è più importante di tutto quanto abbiamo detto finora. Il ruolo unico di Giovanni è quello di essere stato eletto fra tutti quale primo testimone di quanto esiste di più grande al mondo, di ciò grazie a cui il mondo realizza il fine che il Padre aveva stabilito nei suoi disegni eterni. Come il compimento è più importante della preparazione, così la funzione di Giovanni che designa Gesù come 1'Agnello di Dio è più essenziale dell'essere stato «la voce che grida nel deserto: preparate le vie del Signore ». Noi vedremo prima il significato vero e proprio dell'avvenimento, del quale Giovanni è testimone, poi, il carattere della sua testimonianza.

La colomba ed il tuono.

Qual è il significato di questo episodio? Esaminiamone gli elementi: il primo è la discesa dello Spirito sopra Gesù nelle sembianze di una colomba. L'effusione dello Spirito è annunziata dai profeti come la realizzazione delle promesse. Così Ezechiele: «Porrò il mio spirito dentro di voi» (36, 27; cfr. anche Is. 44, 3-4). Giovanni stesso aveva annunziato questa venuta dello Spirito. « Ma Egli vi battezzerà nello Spirito Santo» (Mc. 1, 8). Secondo la analogia dei mores di Dio, questa effusione dello Spirito è la ripresa, in modo più perfetto, di quanto già era avvenuto nell'Antico Testamento. Feuillet ha giustamente ricordato che in Isaia, Dio è descritto nell'atto di porre il suo Spirito in mezzo al suo popolo, al tempo dell'Esodo, per guidarlo fino al luogo del riposo (63, 11-14). Il testo continua: «O se tu fendessi i cieli e scendessi! » (63, 19). Ora, è proprio questa «discesa» dello Spirito attraverso «i cieli squarciati» che descrive il nostro episodio, sembrando indicare l'inaugurazione del nuovo Esodo. Lo Spirito discende sopra Gesù perché Gesù è il nuovo Israele.
Ma perché mai lo Spirito discende sotto forma di colomba? Molti accostamenti sono stati suggeriti; il :più probabile è che sia questa un'allusione al racconto della creazione del mondo. Sta scritto, infatti, che «Lo Spirito di Dio volava sulle acque ». L'espressione richiama il paragone dello Spirito ad un uccello che agiti le ali per incitare i suoi piccoli ad uscire dal nido, secondo la descrizione del Deuteronomio (32, 11). Come lo Spirito di Dio ha suscitato la prima creazione dalle acque primordiali, così suscita la seconda creazione nelle acque del Giordano. Nuovo Esodo, l'avvenimento che ci viene descritto è anche la nuova creazione. Giovanni aggiunge che lo Spirito discende e « si ferma» su Gesù (1, 33). Ci è così suggerito un altro tema biblico, quello della permanenza di Dio in mezzo al suo popolo. Gesù è come il nuovo Tempio nel quale ormai dimora lo Spirito. Non è da escludere, infine, che la colomba contenga un richiamo simbolico all'episodio del diluvio, poiché è soltanto in questo testo che lo Spirito si manifesta in questo simbolo.
Cosi la discesa dello Spirito nelle sembianze di una colomba esprime la realizzazione dell'avvenimento escatologico. Nel passato, Dio aveva creato il mondo per mezzo della potenza dello Spirito, aveva giudicato il mondo con l'invio dello Spirito, aveva liberato il suo popolo con la forza dello Spirito, era rimasto in mezzo al suo popolo mediante la presenza dello Spirito. I profeti avevano annunziato che Dio avrebbe compiuto alla fine dei tempi, opere ancor più straordinarie. «Non ricordatevi più delle cose antiche, alle cose passate non ponete mente. Ecco che io faccio una cosa nuova» (Is. 43, 18-19). Questa nuova meraviglia che è insieme creazione, giudizio, redenzione, presenza, è inaugurata con l'effusione dello Spirito al Giordano.
A questa discesa dello Spirito si aggiunge un'altra manifestazione: è la voce del Padre che viene dal cielo dicendo: «Tu sei il mio figlio diletto» (Lc. 3, 22). Anche nell'Antico Testamento, l'espressione è associata alle grandi manifestazioni della potenza divina. In particolare il Salmo 29 l'accomuna al diluvio: « La voce del Signore è sopra le acque. Iddio di maestà tuona, il Signore è sopra !'immensità delle acque» (29, 3). La voce di Jahvé ha così per simbolo il tuono. Si ricorderà un altro passaggio del Nuovo Testamento in cui risuona la voce del Padre, e che va collegato all'episodio del Giordano. È alla vigilia della Passione, in un momento nuovamente decisivo: «Padre, dice Gesù, glorifica il tuo Nome! ». Allora dal cielo venne una voce: L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò. La folla che era presente e che aveva udito, diceva che era stato un tuono (Giov. 12, 28-29). E Gesù continuerà dicendo: «Ora si fa il giudizio di questo mondo» (12, 31). Così l'avvenimento del Giordano è soprattutto una teofania, la teofania per eccellenza, la manifestazione di Dio in potenza alla fine dei tempi.

Trinità e incarnazione.

Ma la caratteristica di questa manifestazione di Dio è di avere per oggetto Gesù. È sopra Gesù che discende lo Spirito, è a Lui che si rivolge la voce del Padre. Alcuni eretici dei primi secoli hanno visto in questo episodio il dono dello Spirito che trasforma Gesù - che sarebbe stato soltanto un uomo - in profeta. Ma allora si tratterebbe di una effusione dello Spirito del tutto simile a quella di cui i profeti sarebbero stati oggetto già nel passato. L'effusione dello Spirito sopra Gesù contiene tutt'altro significato. Prima di tutto dimostra che lo Spirito appartiene a Gesù in -quanto Figlio eterno del Padre; inoltre sottolinea che lo Spirito procede eternamente da Lui e dal Padre. In questo senso, essa attesta la divinità di Gesù, alla quale fa fede anche la voce del Padre. Certo, nell'antico Testamento, l'antico Israele è chiamato figlio di Dio, e Gesù potrebbe essere chiamato da Dio con il nome di Figlio in quanto egli è il nuovo Israele. Ma la voce che risuona è indicata non come la voce di Dio ma del Padre, e la stessa espressione: «Tu sei il mio Figlio diletto» cioè figlio unico, ben dimostra che si tratta qui di una testimonianza resa dal Padre a colui che è eternamente generato da lui.
La discesa dello Spirito e la voce del Padre
fanno della scena del Giordano, come l'ha giustamente capita la tradizione liturgica orientale, una teofania della Trinità. È così che la intenderà anche Giovanni. Illuminato dallo Spirito, egli riconosce, nella discesa dello Spirito e nella voce del Padre, i segni della divinità del Cristo: « Ora, io ho veduto ed ho attestato che egli è il Figlio di Dio» (Giov. 1, 34). In tal modo Giovanni è introdotto nel segreto della vita eterna di Dio. Il cielo che si squarcia rappresenta il velo che nascondeva alla ragione umana gli abissi dell'Essere. Squarciandosi, lascia apparire il mistero nascosto. Esso rivela che il fondo dell'Essere è amore, poiché l'Assoluto sussiste in tre Persone. Giovanni è il primo ad essere partecipe di tali segreti. Si può considerare il primo dei contemplativi ed il primo dei missionari perché per primo ha visto l'oggetto di ogni contemplazione e di ogni missione, e per primo ne ha reso testimonianza.
La discesa dello Spirito sopra Gesù non è soltanto la manifestazione dell'unità del Figlio e dello Spirito, manifesta anche che lo Spirito è diffuso sopra l'umanità di Gesù. In effetti, l'umanità di Gesù non è ripiena di Spirito Santo soltanto sulle rive del Giordano, essa lo è fin dall'incarnazione perché, a partire da quell'istante, l'ha avvolta nella sua ombra. Fin dall'origine, l'umanità di Gesù in quanto umanità del Figlio eterno, è ripiena dello Spirito che procede dal Figlio, totalmente consacrata e santificata. Essa è il Paradiso pieno delle energie dello Spirito, il Tempio in cui abita lo Spirito, la terra promessa sulla quale egli è inviato. È in essa che, fin dall'origine e nella maturità, le promesse di Dio alla razza di Adamo ed a quella di Abramo, sono compiute.
Ciò che Giovanni comprende, quindi, in secondo luogo - e ciò fa esultare il suo animo - è che le promesse fatte ai Padri sono realizzate. «Il tempo di potare è già venuto,. e il tubar della tortora si sente nella nostra terra» (Cant. 2, 12). Dopo il lungo fidanzamento dell'antica Alleanza, le nozze sono ormai celebrate. Lo Sposo si è unito a questa natura umana, alla quale egli vuole comunicare tutti i suoi doni. Ora, questo mistero è già compiuto. Lo Sposo è già venuto. Le nozze sono state celebrate al momento dell'incarnazione. La liturgia dell'Epifania che unisce la triplice manifestazione della venuta dei Magi, della discesa della colomba, delle nozze di Cana, è densa di questo tema nuziale: Hodie coelesti Sponso juncta est Ecclesia, canta l'antifona del Benedictus (l). Perciò, l'amico dello Sposo si rallegra: «ma l'amico dello Sposo, che gli sta vicino e l'ascolta, si riempie di
gioia alla voce dello Sposo. Questo gaudio, dunque, che è il mio, si è compiuto» (Giov. 3, 29). Così pure Giovanni esulta contemplando queste nozze eterne.
La voce del Padre assume anche per lui un significato nuovo.
Poiché non è soltanto nel Figlio che il Padre pone le sue compiacenze: è anche, ormai, nell'umanità alla quale il Figlio si è unito. In questa umanità l1ipiena dello Spirito, totalmente santa, che gli rende pienamente gloria, il Padre può finalmente compiacersi. Il diaframma del peccato è caduto. Anche qui il velo si è squarciato, la terra ed il cielo sono comunicanti: O admirabile commercium, canteremo alla vigilia dell'Epifania. Fra la terra ed il cielo gli angeli s'aggirano nuovamente diffondendo sopra l'umanità di Gesù, quali primizie di ogni umanità riscattata, le benedizioni del Padre, portando in offerta al Padre la lode perfetta che la natura umana gli rende attraverso l'umanità ,di Gesù. Luca ci dice che Gesù stava pregando (3, 21) ,quando, dopo essere stato battezzato da Giovanni, la voce del Padre gli rese testimonianza confermando in tal modo che la preghiera era già esaudita.
L'inaugurazione della missione.
Infine, vi è un terzo aspetto nella discesa dello Spirito sopra Gesù: non più manifestazione di quello che già è Gesù ma nuovo dono offerto alla sua umanità. In effetti, lo Spirito, mediante l'umanità di Gesù, compie quelle opere divine per realizzare le quali il Figlio unico ha assunto la natura umana e si è unito ad essa. Così lo Spirito, presente in Gesù, ha compiuto tramite suo la santificazione di Giovanni Battista, al momento della visita di Maria ad Elisabetta. Così, lo Spirito condurrà Gesù nel deserto perché quivi sia tentato. Così lo Spirito sarà comunicato dal Padre all'umanità di Gesù, esaltata alla sua destra, per essere diffuso sopra ogni carne. Considerata sotto questo aspetto, la discesa dello Spirito sopra Gesù sulle rive del Giordano, assume un significato nuovo. Essa costituisce l'unzione dell'umanità di Gesù, per opera dello Spirito in funzione della sua missione profetica. Essa inaugura così quell'età della storia sacra che comprende la vita pubblica di Gesù, durante la quale Gesù insegnerà quelle dottrine ed inaugurerà quelle istituzioni alle quali la sua morte e la sua risurrezione apporteranno il loro contenuto salvifico.
Ognuna delle effusioni dello Spirito ha i suoi testimoni. Maria è testimone delle sue prime origini, della venuta dello Spirito che suscita il nuovo Adamo come il Verbo e lo Spirito avevano modellato il primo Adamo. Gli Apostoli saranno testimoni delle consumazioni che attestano le grandi opere compiute dallo Spirito nella risurrezione del Cristo. Ma
vi è un'opera dello Spirito in Gesù della quale Giovanni è testimone ed alla quale resta associato. Essa rappresenta ,la sua parte privilegiata ed è quella per la quale era stato chiamato: essere il testimone dell'inaugurazione della vita terrena di Gesù. Come gli Apostoli saranno i testimoni della sua gloria celeste, egli è il testimone della sua vita terrestre. Come Maria sta alla soglia dei Vangeli del!'infanzia, come gli Apostoli stanno alla soglia della vita della Chiesa, Giovanni sta alla soglia della vita pubblica, egli pure teste fedele, sia della realtà dell'umanità di Cristo, sia dell'avvenimento divino che con essa si compie. Per questo, quella di Giovanni, è una delle testimonianze sulle quali poggia la nostra fede. 
Da questo momento appare quale sia, per Giovanni, l'importanza della discesa dello Spirito e della voce del Padre. È così che egli ha potuto riconoscere che in Gesù si erano realizzati gli avvenimenti escatologici, che l'atto dell'amore divino, di venire a compiere la salvezza del mondo, era inaugurato. Fino a quell'istante, secondo le sue stesse affermazioni, egli non conosceva Gesù, cioè non lo conosceva per quello che Egli era (Giov. 1, 33). Ma « chi m'inviò a battezzare nell'acqua, disse: Colui sul quale 'vedrai scendere e fermarsi lo Spirito, è quello che battezza nello Spirito Santo» (Giov. 1, 33). La discesa dello Spirito gli dimostra quindi che il dono dello
Spirito è ormai compiuto proprio mediante Gesù. Ora sa che Gesù è il Figlio di Dio. La sua missione sarà di rendere testimonianza di ciò che ha visto.

Battesimo di acqua e battesimo di spirito.

Resta da fare un'ultima osservazione. Noi abbiamo ben distinto il battesimo di Gesù per opera di Giovanni e l'effusione dello Spirito sopra Gesù. Si tratta, infatti, di due atti con significati totalmente diversi. Il passaggio dall'uno all'altro, indica il passaggio da un'epoca all'altra. Tuttavia, è certo che queste due azioni non sono senza rapporto. La liturgia le unisce quando vede nel battesimo di Gesù, seguito dall'effusione dello Spirito, l'istituzione del Battesimo cristiano. Grazie all'effusione dello Spirito, il battesimo giovanneo, che era soltanto un rito di preparazione all'effusione dello Spirito, diviene il battesimo cristiano che comunica la vita dello Spirito. Visione questa che pone dei problemi. Nell'episodio che abbiamo descritto, non è sopra il Giordano, ma sopra Cristo che lo Spirito viene effuso. Quale legame possiamo scorgervi con il battesimo cristiano?
È evidente che il Nuovo Testamento stabilisce un rapporto fra l'episodio del battesimo di Gesù nell'acqua e quello della discesa dello Spirito in Gesù. E questo legame risale proprio al Battista. Secondo Matteo è lui che
dichiara: «lo poi vi battezzo nell'acqua per indurvi al pentimento; ma colui che viene dopo di me... vi battezzerà nello Spirito Santo» (3, 11). Marco riprende la medesima formula, ma per parlare soltanto del « battesimo nello Spirito Santo» (1, 8). La stessa contrapposizione si trova in Giovanni: «Chi m'inviò a battezzare nell'acqua mi disse: Colui sul quale vedrai scendere e fermarsi lo Spirito, è quello che battezza nello Spirito Santo» (1, 33). Così Giovanni pensa il suo rapporto a Gesù come il rapporto dei due battesimi; egli dà il battesimo di acqua per la penitenza; Gesù darà quello di Spirito per donare la vita.
Precisiamo, però, il senso di questo paragone. Esso non rappresenta un parallelismo fra il battesimo d'acqua giovanneo ed il battesimo d'acqua cristiano. La parola battesimo che significa per gli Ebrei ellenizzati immersione rituale, sembra usata da Giovanni, nel senso materiale, quando l'applica al battesimo dato da lui, e nel senso spirituale quando si riferisce al battesimo dato da Gesù. In realtà il battesimo dato da Gesù è designato come battesimo nello Spirito Santo. Vuol significare che Gesù infonderà lo Spirito come una specie di elemento vitale che bagnerà colui che lo riceverà. Il Vangelo contiene altri esempi di uso metaforico della parola battesimo. Così quando, parlando della sua morte, Gesù esprimerà il desiderio di «essere battezzato con un battesimo» (Lc. 12, 50), l'espressione qui,
sembra riferirsi ad un altro pensiero ed alludere alle acque della morte. D'altra parte è da notare che sia in Matteo che in Luca, l'elemento che è associato al battesimo di Gesù non è l'acqua ma il fuoco (2). E si pensa preferibilmente alla Pentecoste in cui lo Spirito discende sopra gli Apostoli sotto forma di lingue di fuoco.
È chiaro, dunque, che Giovanni ha voluto contrapporre il battesimo d'acqua, che fa parte della preparazione all'avvenimento escatologico, al battesimo dello Spirito che è l'avvenimento escatologico stesso. Non vuol riferirsi al battesimo sacramentale cristiano. Ciò che vede, è che lo Spirito sarà donato per mezzo di Gesù. Dono dello Spirito che sarà fatto dal Cristo risorto allorché, ricevuto lo Spirito dal Padre, lo spargerà sopra gli Apostoli riuniti attorno a Maria alla Pentecoste. Gli  Atti degli Apostoli saranno pervasi di questa azione dello Spirito. Esso sarà diffuso sopra il centurione Cornelio (10, 44). La sua effusione indica che sono iniziati i tempi messianici. Pietro mostrerà nella Pentecoste il compimento della Profezia -di Gioele: « E dopo questo, avverrà che io diffonderò il mio spirito sopra ogni carne» (3, 1).
Questa effusione dello Spidto avrà un carattere sacramentale. Gli Apostoli lo comunicheranno con !'imposizione delle mani. Così i Samaritani: ({ perché lo Spirito Santo ancora non era disceso su nessuno di loro; ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora Pietro e Giovanni imposero loro le mani e ricevettero lo Spirito Santo» (Att. 8, 16-17). Questa comunicazione sacramentale dello Spirito sopravviverà nel cristianesimo e sarà effettuata sia con l'imposizione delle mani che con l'unzione. Essa costituisce il sacramento di conferma che conferisce propriamente il dono dello Spirito e i doni dello Spirito Santo. Si può constatare la straordinaria importanza che ha assunto nel cristianesimo primitivo dalle esagerazioni stesse di cui è stato oggetto. Tertulliano vedeva nel battesimo d'acqua soltanto la remissione dei peccati; gli gnostici vi vedevano il sacramento dei principianti e, nell'unzione, il sacramento dei perfetti.
Ma queste osservazioni non spiegano un altro .fatto evangelico ugualmente certo e che ricostituisce un anello di congiunzione che fino ad ora mancava. Gesù ha stabilito che la nuova nascita che Egli comunica a coloro che hanno fede in Lui, facendoli partecipi della gloria della sua risurrezione, si sarebbe fatta con il segno di un battesimo di acqua: « Chi non rinascerà per acqua e Spirito Santo, non entrerà nel Regno di Dio» (Giov. 3, 5). Ed egli manderà i suoi Apostoli a battezzare tutte le genti con un battesimo di acqua. Ciò significa che prima che discenda il dono dello Spirito ad operare la conferma, vi è un'azione dello Spirito che distrugge l'uomo peccatore e compie la risurrezione dell'uomo nuovo. « Lo Spirito - come dice sant'Ireneo - ci dà al Verbo» ed a sua volta il Verbo « ci distribuisce lo Spirito» (Adv. Haer. 4, 27). Così l'uomo sale di gloria in gloria.
Una relazione sicura appare dunque fra il battesimo di Giovanni ed il Battesimo sacramentale cristiano. In effetti, il segno con il quale lo Spirito ci dà al Verbo, comunicandoci la vita del Figlio unico («ma avete ricevuto uno Spirito di figli adottivi per cui gridiamo: Abba, Padre» [Rom. 8, 15]), è un battesimo d'acqua. Ora, l'origine di questo rito è certamente il battesimo di Giovanni. Gesù l'ha preso da Giovanni e gli ha infuso un contenuto nuovo rendendolo apportatore dello Spirito.
Il battesimo di Gesù è infinitamente superiore
al battesimo di Giovanni, ma è il battesimo di Giovanni che diventa il simbolo dell'effusione dello Spirito. Il Cristo è venuto non a distruggere ma a perfezionare; come ha ripreso le realtà dell'antica Alleanza per conferire loro un valore nuovo, così ha ripreso il battesimo di Giovanni per fame il segno della comunicazione della sua vita confermando con tale atto che questi veniva proprio da Dio. Così l'effusione dello Spirito sopra Gesù, dopo il suo battesimo nel Giordano, manifesta chiaramente una relazione fra i due avvenimenti; ponendo fine al ruolo del precursore, Gesù sottolinea però la sua continuità con lui riprendendo, quale segno del compimento, il medesimo segno con il quale Giovanni l'aveva preparato.
[1] Cfr. O. CASEL, Le Bain nuptial de l'Église,. «Dieu Vivant» n. 4, 1945, pp. 44-49.
[2] Vedi su questo argomento: J. YSEBAERT, Greek Baptismal Terminology, Nijmegen, 1963, pp. 40-64.

CAPITOLO OTTAVO
LA TESTIMONIANZA

Il battesimo di Gesù e la teofania che lo segue sono il fulcro della vita di Giovanni e nello stesso tempo segnano l'inizio di una nuova epoca della storia della salvezza. Fino a quel momento, Giovanni è stato il profeta di colui che doveva venire. Era il precursore. Ora, è il testimonio di colui che è venuto. Egli stesso, rendendo testimonianza a Gesù, esprimerà questo misterioso mutamento in un testo molto significativo: «Lui era quello del quale io dicevo: Colui che viene dopo di me è stato anteposto a me, perché era prima di me» (Giov. 1, 15). Avremo occasione più avanti di ritornare sull'ultima parte di questa frase, prima dobbiamo precisare questo nuovo aspetto della missione di Giovanni.

La testimonianza di Giovanni nell'Evangelo giovanneo.

È un fatto significativo che gli evangeli sinottici ci parlino di Giovanni come precursore. L'Evangelo giovanneo è l'unico a mostrarcelo come testimone. Ciò dipende da un lato dal fatto che Giovanni l'Evangelista, discepolo del Battista, ha completato e non ripetuto, su questo punto come su molti altri, la tradizione sinottica. Dall'altro lato, dal fatto che, come diremo poi, la dottrina delle testimonianze (marturion) è uno dei tratti più caratteristici del Vangelo di Giovanni. Con questo studio della testimonianza di Giovanni Battista noi affrontiamo un ordine nuovo di testi del Nuovo Testamento che sono tra i più importanti.
Citiamo questi testi cominciando dal primo: il Prologo: «Ci fu un uomo mandato da Dio il cui nome era Giovanni. Egli venne, come testimone, per rendere testimonianza alla luce affinché tutti vedessero per mezzo di lui. Non era la luce, ma il testimane della luce» (Giov. 1, 6-8). Noteremo qui che per l'evangelista la missione di Giovanni Battista, ciò per cui è stato mandato, non è di preparare Gesù ma di rendergli testimonianza. Più avanti, il Prologo ritorna sulla testimonianza di Giovanni: « Giovanni gli ha reso testimonianza e gridò dicendo: Lui era quello del quale io vi dicevo: Colui che viene dopo di me, è stato anteposto a me, perché era prima di me» (1, 15). Si noterà che queste parole sono state pronunziate da Giovanni prima del battesimo di Gesù ed appartengono al suo mistero di precursore, come lo conferma Matteo (3, 11). Ma, dopo il battesimo, la sua testimonianza consiste precisamente nel designare Gesù come colui per il quale egli aveva pronunziato queste parole, senza averlo ancora riconosciuto.
Il contenuto della testimonianza di Giovanni è infatti di dichiarare che l'avvenimento precedentemente annunziato come prossimo è già presente. Ed è quanto appare nel testo fondamentale di cui il Prologo è soltanto una ripresa: «Il giorno dopo, Giovanni vide Gesù venire verso di lui ed esclamò: Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: Dopo di me, viene uno che è stato anteposto a me, perché era prima di me. Ed io non lo conoscevo, ma, affinché egli sia manifestato ad Israele, io venni a battezzare nell'acqua. E Giovanni ,rese la sua testimanianza dicendo: Ho veduto lo Spirito che scendeva dal cielo a guisa di colomba, e posarsi su di lui. Ed io non lo conoscevo, ma chi mi inviò a battezzare nell'acqua mi disse: Colui sul quale vedrai scendere e fermarsi lo Spirito è quello che battezza nello Spirito Santo. Ora, io ho veduto ed ho attestato che egli è il Figlio di Dio» (Giov. 1, 29-34).

La teologia della testimonianza.

Questo testo ci mostra Giovanni Battista come uno dei testimoni per eccellenza, uno di coloro sulla testimonianza dei quali poggia la nostra fede. Noi avvertiamo qui di accostarci a qualche cosa di eccezionalmente grave. Poiché è in gioco il problema stesso della fede. n campo della fede, quello cioè che riguarda l'intervento di Dio nella nostra esistenza, ed in particolare quell'intervento eminente che è il gesto del Figlio di Dio che viene a prendere l'uomo per ricondurlo al Padre, è un campo nel quale né la ragione né l'esperienza sono in grado di introdurci. È follia per la sapienza dei filosofi, è scandalo per la giustizia dei Farisei. L'oggetto della fede appare inverosimile, ed è normale che la nostra ragione lo rifiuti. Direi che è bene che la nostra ragione lo rifiuti perché questo ci obbliga a non fare della nostra fede una questione di sentimento o di tradizione. Ci costringe a scoprirne il fondamento, a cercare se un fondamento esiste. Forse essa ci fa sentire crudelmente che non vi è fondamento e che quindi, noi in fondo non crediamo, o che per noi la fede è soltanto una scommessa, vale a dire una possibilità, forse anche una probabilità, non una certezza assoluta nella quale la nostra intelligenza sia impegnata totalmente, senza riserve e sulla quale noi giochiamo scopertamente la totalità del nostro destino. In questo senso, la maggior parte dei cristiani d'oggi non hanno la fede. Per questo, il loro cristianesimo è tanto fragile. Non appena esso non è più sostenuto dal conformismo di un ambiente, non appena si scontra con il conformismo di un ambiente diverso, esso crolla
Allora, la fede, non sarebbe altro che un rifiuto a separarci da Gesù Cristo, rifiuto scaturito da un istinto segreto che porta in sé una segreta evidenza? Essa è questo, in parte. Kierkegaard ha mirabilmente dimostrato che essa è, in questo senso, una passione, non nel senso di un atteggiamento affettivo, ma nel senso della convinzione appassionata che tutti i ragionamenti dei filosofi, tutte le dimostrazioni della scienza non sarebbero in grado di vincere su di lei. Sotto questo aspetto
essa è qualche cosa di magnifico, la denunzia da parte degli umili e dei piccoli della pretesa dei sapienti e dei dotti di farsi giudici di una parola dalla quale essi stessi verranno giudicati. Ma essa costituirebbe allora qualche cosa di incomunicabile e non avrebbe altro fondamento che se stessa. Sarebbe un grido di disperazione, o forse di speranza, ma non sarebbe quella «vittoria sul mondo », di cui parla la prima lettera di Giovanni (1 Giov. 5, 4). Ora, tale fondamento della fede esiste. Vi è una roccia incrollabile sopra cui essa si fonda. Questa roccia è la testimonianza, in particolare quella di Giovanni il Battista.
Nel Vangelo giovanneo, la testimonianza di
Giovanni fa parte di tutto un complesso di testimonianze. Ha già un valore straordinario, considerata l'autorità del testimone. E tuttavia Gesù dirà: «Voi avete mandato ad interrogare Giovanni ed egli ha reso testimonianza alla verità. lo però non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico questo per la vostra salvezza. Egli era la lampada che arde ed illumina, ma voi avete potuto godere per poco della sua luce. Ora, io ho una testimonianza maggiore di quella di Giovanni. Perché le opere che il Padre mi ha dato da compiere; quelle stesse opere, che io faccio, attestano di me che il Padre mi ha mandato» (Giov. 5, 33-36). Gesù riconosce in Giovanni un testimone autentico della verità e ciononostante dichiara che vi sono, della sua divinità, testimonianze ancor più qualificate.
Ma prima di arrivare a queste supreme affermazioni, va considerata un'altra testimonianza che presenta il Vangelo di Giovanni, quella dell'evangelista stesso: « È lui il discepolo che attesta queste cose e le ha scritte e sappiamo che la sua testimonianza è verace» (Giov. 20, 31; 21, 24). E riprende questa affermazione all'inizio della sua prima Epistola: «Quel che abbiamo veduto, quel che abbiamo udito, quel che abbiamo veduto con i nostri occhi, quel che abbiamo contemplato, e le nostre mani hanno toccato a riguardo della Parola della vita; la vita si è manifestata e noi abbiamo veduto e rendiamo testimonianza» (1 Giov. 1, 1-2). Giovanni l'Evangelista è forse un mentitore ?
Ma allora anche Paolo mente? Egli stesso
ci suggerisce la domanda: «Ora, se il Cristo non è risuscitato, vana è dunque la nostra predicazione e vana è pure la nostra fede.
Anzi, noi risultiamo falsi testimoni d'Iddio, perché abbiamo testimoniato per Iddio che Egli ha risuscitato il Cristo, mentre non lo avrebbe risuscitato
» (1 Cor. 15, 14-15). Bisogna essere logici: se la testimonianza di Paolo non è vera egli è un falso testimone. Giovanni Battista è un falso testimone. Giovanni l'Evangelista è un falso testimone. E falsi testimoni sono pure Agostino e Tommaso, Francesco e Domenico, il curato d'Ars e Padre de Foucauld, essi, che hanno impegnato tutta la loro autorità di uomini a rendere testimonianza alla risurrezione di Gesù, sarebbero degli impostori. Se essi sono degli impostori, non vi sono che impostori; se essi sono dei falsi testimoni, non esistono testimoni veri. E nulla al mondo merita rispetto. Infatti, non credere alla loro parola significa tacciarli di falsa testimonianza. 
E tuttavia, questa non è la testimonianza massima. Lo ha detto Gesù: «Ora io ho una
testimonianza maggiore di quella di Giovanni» (Giov. 5, 36). Tale testimonianza è innanzitutto quella che il Padre rende al Figlio mediante le opere compiute dal Figlio. La testimonianza della verità di Gesù, è prima di tutto Gesù stesso nelle opere che compie, opere di potenza e di amore, opere di saggezza e di santità che superano le possibilità umane. È con tali opere che il Padre rende fede a Gesù, lo indica cioè alla nostra fiducia. E se noi gli rifiutiamo questa fiducia ne consegue che mettiamo in discussione la testimonianza stessa del Padre e che lo stesso Dio ci inganna. San Giovanni non ha esitato a portare al limite questa conseguenza: « Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza d'Iddio è maggiore, poiché questa è la testimonianza d'Iddio: l'aver Egli reso testimonianza al Figlio suo. Colui che crede al Figlio di Dio, ha questa testimonianza in sé. Colui che non crede a Dio, lo fa bugiardo, perché non crede alla testimonianza che Iddio ha reso al proprio Figlio ». (1 Giov. 5, 9-10).
Questa testimonianza è anche quella che il Cristo rende a Se stesso. Testimonia con le sue parole e rivendica con il suo comportamento un'autorità divina (Giov. 8, 14) (1). Questo potrebbe essere l'espressione di un folle orgoglio, di una enorme impostura, di una pazzia delirante - ma tutti gli uomini riconoscono che Gesù è quantomeno una del1e più alte figure religiose dell'umanità. Ora, quando un uomo la cui statura morale è incontestata, impegna tutta la sua autorità in una testimonianza, questa testimonianza deve essere presa sul serio. E se Gesù è preso sul serio, deve esserlo fino in fondo. Non vi sono dunque alternative. O Egli è un mentitore,
oppure noi dobbiamo credergli quando si manifesta come Figlio di Dio. Non vi sono scappatoie.
Ed infine, vi è la testimonianza dello Spirito. « È lo Spirito che rende testimonianza
perché lo Spirito è la verità» (1 Giov. 5, 6). Lo Spirito rende testimonianza anche con le opere che realizza in noi, nei nostri fratelli, nella Chiesa. Perché, quando noi che siamo fatti di carne e di sangue, sentiamo in noi stessi la presenza di un amore che non viene dalla carne e dal sangue, di una speranza che va oltre la smentita delle speranze, di una fede che affronta l'impossibile, queste opere che non provengono da noi sono la testimonianza che rende lo Spirito a colui nel quale noi abbiamo creduto, e grazie al quale unicamente noi possiamo accedere alla fede, alla speranza, alla carità. Per questo Giovanni dice che «sono tre a rendere testimonianza: lo Spirito, l'acqua ed il sangue, e i tre sono per l'unità» (1 Giov. 5, 7).
Così, nel corso dell'intera sua opera, Giovanni l'evangelista cita tutti i testimoni. Alcuni fanno fede sulla terra: la testimonianza
delle Scritture (Giov. 5, 39), del Battista, degli Apostoli, la testimonianza di Maria. Altri testimoniano in cielo: la testimonianza delPadre, quella del Figlio e dello Spirito. Si può respingere tutto questo? Ecco la grave domanda che si pone a noi. E bisognava porla in tutta la sua estensione. Fra tutte queste testimonianze quella di Giovanni è la più umile ma essa ci è particolarmente cara ed è per questo che ora ne riparleremo. Attraverso lui 'raggiungeremo ciò che forma la sostanza della testimonianza ed esamineremo così ciò che ne costituisce l'oggetto proprio.

Il testimone della luce.

Giovanni attesta quanto ha veduto: « E io ho visto e ho reso testimonianza» (1, 34). E questa è, in effetti, la caratteristica della testimonianza: l'attestazione della realtà di un fatto. È già vero anche nel senso profano: per esempio per i testi di un processo. Ma l'avvenimento del quale Giovanni è testimone non è soltanto un fatto materiale. È un av,venimento della Storia della salvezza. Qui, vedere non significa soltanto vedere con gli occhi della carne. Molti hanno visto, ma non avendo creduto, non hanno reso testimonianza. Molti hanno conosciuto il Cristo secondo la carne e tuttavia non ne sono i testimoni perché si sono fermati alle apparenze della carne. A Giovanni, invece, è stata concessa questa grazia, di essere il primo a vedere Gesù, a riconoscere cioè, in Lui, attraverso i segni con i quali si manifestava, la realtà divina della sua persona. Egli è soprattutto il testimone della luce (Giov. 1, 7-8); questa luce è forse la stessa che ha brillato sopra il Giordano. Gli evangelisti non ne parlano, ma una tradizione, che deve essere autentica, raccolta nel Vangelo degli Ebioniti, ci dice che dopo la discesa dello Spirito « una grande luce si irradiò tutto intorno ». Questa espressione si trova nel Diatessaron di Taziano. Ed è molto probabile che il testo di Giovanni alluda a questa tradizione. Anche nel racconto della Trasfigurazione si trova l'associazione della voce e della luce ma questa luce non è che l'irradiazione visibile della gloria invisibile della divinità di Gesù.
Ogni testimone è un testimone della gloria, testimonia cioè il carattere divino di quello che viene compiuto nell'umanità di Gesù.
È quanto, a sua volta, dirà Giovanni: « Abbiamo visto la sua gloria» (1, 14). Vedere significa qui aprirsi, al di là di ogni apparenza, alla realtà divina. Ciò che attesta Giovanni è la divinità di Gesù: « Ora, io ho veduto e ho attestato che egli è il Figlio di Dio» (1, 34). Certo egli ha visto anche con gli occhi l'avvenimento di cui fa fede, ma non è soltanto la sua realtà esteriore che egli testimonia. Lo stesso Spirito che discendeva e si fermava sopra Gesù, ha illuminato gli occhi del suo spirito per fargli contemplare in Gesù la persona del Figlio di Dio. La medesima voce che rendeva testimonianza a Gesù, ha reso testimonianza anche al suo spirito suscitando in lui la conoscenza di quanto essa annunziava.
Proprio grazie alla testimonianza del Padre ed a quella dello Spirito, Giovanni può, a sua volta, rendere testimonianza al Figlio. Il cielo si squarcia. La Trinità intera è misteriosamente resa presente ed in questa vita della Trinità è introdotto Giovanni. Poiché la luce è la Trinità stessa, Giovanni non era che la lampada, Gesù è la luce. Ma Giovanni viene illuminato da questa luce e la Trini>tà opera in lui. Cosicché la duplice testimonianza di cui parlavamo più sopra, - quella nel cielo e quella sulla terra - non è in realtà una duplice testimonianza. Perché vi è un unico testimone che è lo Spirito. Questo Spirito rende testimonianza al nostro spirito. Giovanni renderà dunque testimonianza non in virtù della sua autorità ma in virtù dell'autorità dello Spirito, come pure ogni autorità, nella Chiesa, esprimerà la presenza dello Spirito.
Che il Battista sia il testimone della luce, ce lo dice il Vangelo di Giovanni. La testimonianza vera e propria di Giovanni sulla divinità di Gesù viene espressa in un'altra forma, con una formula che è certamente originaria perché essa ritorna come un leitmativ, con qualche piccola variante, in tutti i testi che .parlano della sua testimonianza. In Matteo si presenta così: « ma Colui che viene dopo di me è più forte di me» (3, 11). Negli Atti si legge: « lo non sono quello che voi credete; ma ecco, dopo di me viene colui del quale io non son degno di sciogliere i sandali
dei piedi» (13, 25). Infine, in Giovanni, la formula ritorna tre volte: Prima, in una forma quasi identica a quella degli Atti: «Questi è colui che verrà dopo di me, a cui io non son degno di sciogliere neppure il laccio dei calzari » (1, 27). Infine, a due riprese, nella forma più completa: « Lui era quello del quale io dicevo: colui che viene dopo di me è stato anteposto a me, perché era prima di me» (1, 15; 1, 30).
L'importanza di questa frase consiste nel fatto che essa rende testimonianza a Gesù nella sua relazione con Giovanni Battista. Con essa, Giovanni designa innanzi tutto Gesù come colui che viene dopo di lui, cioè come colui del quale egli era il precursore. Ora, ciò
di cui Giovanni era precursore, r abbiamo! detto, è la gloria di Dio che viene nel deserto. Indicare Gesù come colui che viene dopo di lui è dunque indicare Gesù come la gloria di' Dio venuta nel deserto, come quella presenza escatologica della gloria di Dio che egli aveva il compito di preparare. Per questo, colui che viene dopo di lui è passato davanti a lui; la sua venuta ha posto fine alla missione di precursore di Giovanni ed ha fatto ormai di lui il testimone della realizzazione delle promesse. Tutta l'importanza della testimonianza di Giovanni sta nella parola: «Ecco» cioè nell'affermazione della presenza dell'avvenimento che aveva precedentemente annunziato. Ma Se colui che viene dopo di lui è passato davanti a lui, è perché esisteva prima di lui. E qui la testimonianza di Giovanni acquista tutta la sua importanza. Poiché, egli avrebbe potuto essere il precursore di un altro che, pur essendo più grande di lui non fosse prima di lui, che fosse cioè più grande ma dello stesso ordine di grandezza. Ma affermare che colui che viene dopo di lui era già prima di lui, vuol dire affermare che questi è lo stesso che l'ha inviato, che è il solo che esista prima di lui, che è dunque quel Verbo di Dio mediante il quale tutto è stato fatto e che viene in mezzo ai suoi. Vuol dire indicare in Gesù colui che esisteva prima dei tempi e che è venuto alla fine dei tempi, che è insieme l'alfa e l'omega, il primo e l'ultimo; il primo perché è il Figlio eterno di Dio, l'ultimo perché è la venuta escatologica del Figlio eterno nel tempo e nel mondo, per ritrovare ciò che era perduto.
Precisamente quest'ultimo aspetto, riguarda, nella testimonianza di Giovanni, non soltanto la divinità di Gesù ma anche la sua azione redentrice, espressa nell'ultima forma della sua testimonianza, fra tutte eminente: «Ecco l'agnello di Dio» (Giov. 1, 36). Questa formula del Battista resterà per sempre come la testimonianza resa a Gesù. Sempre con essa, il sacerdote, nella liturgia della messa, rinnovando il gesto di Giovanni, indica Gesù, presente nell'Eucarestia, alla fede dei credenti. Come Agnello di Dio, Giovanni indica Gesù
sulla croce quando gli applica le parole dello Esodo sull'Agnello Pasquale: « Non gli si spezzerà nessun osso» (Giov. 19, 36). Ed è ancora nella figura dell'Agnello di Dio che tutta la Apocalisse mostra Gesù che ci svela e ci scioglie il mistero del destino dell'uomo, spezzando i sigilli che lo racchiudevano. E questo è tanto vero, che le parole con le quali il Battista ha designato Gesù al futuro evangelista, sono rimaste per quest'ultimo l'espressione privilegiata di ciò che Gesù rappresenta.
Designando Gesù come l'agnello che prende su di sé il peccato del mondo, Giovanni si riferiva evidentemente all'agnello immolato al tempo dell'uscita dall'Egitto. L'ira di Dio avrebbe dovuto colpire tutta l'umanità peccatrice, perché Dio è il Dio santo. Ma poiché Dio è il Dio d'amore, il Figlio suo prende il posto dell'uomo peccatore per portare sopra di sé il peso dell'ira; in tal modo, tutti coloro che avranno fede in lui e saranno segnati
con il suo sangue al battesimo, verranno risparmiati. È così che l'Agnello di Dio prende su di sé il peccato del mondo. È così che la passione di Gesù riunisce e concilia misteriosamente questi due aspetti di Dio, senza i quali Dio non sarebbe Dio: la sua infinita santità e la sua infinita misericordia. È così che l'Agnello di Dio rivela e risolve il mistero dell'uomo nella sua duplice dimensione: di miseria e di grandezza.
La testimonianza della vita.
Questo è ciò che Giovanni ha visto e riconosciuto, istruito dalla voce del Padre, dalla luce del Figlio, dall'unzione dello Spirito. La importanza della sua testimonianza è evidente. Essa contiene già tutto quello a cui noi crediamo, sulla testimonianza di lui e di coloro che lo seguiranno; cioè che Dio è eternamente amore nella Trinità delle Persone, che Dio è temporalmente amore nella Missione delle Persone. Il testimone della verità è colui che ha visto, visto con uno sguardo illuminato dalla luce, che penetra la realtà nella sua totalità, oltre le apparenze esterne, fino alle sue profondità più riposte. Perché vedere è proprio questo: penetrare la realtà nella sua dimensione totale. Egli ha visto ciò che gli altri non vedevano non perché non vi fosse nulla da vedere, ma perché, come dirà san Paolo, «un velo era steso sul loro cuore» (2 Cor. 3, 15). E quello che ha visto, ha testimoniato.
Il mondo della testimonianza non è soltanto quello della conoscenza della realtà ma anche 'della sua manifestazione. Tutto, nel mistero della testimonianza di Giovanni, è manifestazione di Gesù: è uno dei tre misteri del1'« Epifania ». Fino a quel momento, la gloria di Dio è perfettamente presente in Gesù, ma nascosta; ma ora essa si manifesta esternamente, si irradia nella persona divina di
Gesù sopra la sua umanità visibile, come alla Trasfigurazione. Così, la divinità di Gesù è manifestata a Giovanni. E a sua volta, Giovanni manifesta, rende pubblico ciò che gli è stato manifestato.
Qui la missione di Giovanni è dunque di suscitare la fede. E nuovamente comprendiamo di toccare un problema assai grave. Infatti, se ci è già talvolta difficile il credere, ci è ancor più difficile il suscitare la fede. Anche qui l'esempio di Giovanni è essenziale per noi. Poiché egli aggiunge alla dimensione contemplativa la dimensione missionaria. Dopo aver fatto comprendere che cosa sia contemplare, ci insegna che cos'è annunciare. O meglio ancora, egli ci fa vedere il legame fra la contemplazione e la missione poiché il carattere proprio del testimone è precisamente di unire questi due momenti. Egli è colui che annunzia soltanto e proprio perché è colui che ha contemplato. Tale testimonianza si esprime innanzi tutto nella testimonianza esterna della parola; la parola in ciò che essa contiene di più serio, la parola nella quale un uomo si dà nella sua totalità, il solo mezzo che l'uomo possiede per darsi in ciò che ha di essenziale, la «parola data », in modo che rifiutare questa parola sia un po' come rifiutare chi per essa si impegna totalmente. Non si può separare l'uomo dalla sua testimonianza, e la testimonianza ha lo stesso peso del teste che la pronunzia. Giovanni getta tutto
il peso di ciò che egli è in ciò che egli dice. In un mondo diventato quello delle parole senza senso, che non impegnano su nulla, egli ci ricorda quale sia la densità di una parola nella quale l'uomo impegni tutto se stesso.
Ma la testimonianza di Giovanni non è soltanto la testimonianza esterna della parola. Il testimone della Trinità è colui che introduce gli altri in un nuovo ordine di realtà alla quale non si accede né per la carne né per il sangue. Ora, non può introdurre gli altri se non nella misura in cui egli stesso vi è entrato. Giovanni può darei ingresso alla vita della Trinità nella misura in cui egli è stato precedentemente introdotto presso il Padre dal Figlio e dallo Spirito, nella misura in cui egli stesso è stato conquistato dalla vita della Trinità. Perché nessuno può invocare Dio Padre se non nello Spirito Santo (cfr. Rom. 8, 15). Giovanni rende così testimonianza alla Trinità non solo con il valore delle sue parole ma perché la Trinità si manifesta nella sua persona attraverso le opere che essa compie in lui e che permettono agli uomini di riconoscere in lui la presenza della Trinità. È questo che conferisce alla sua testimonianza la vera dimensione. Perché, a questo livello, non è più soltanto colui che rende testimonianza a Gesù, egli diventa lo strumento con il quale lo Spirito rende testimonianza al Figlio. La testimonianza di Giovanni non ha soltanto !'immenso valore della
sua testimonianza d'uomo, essa ha il valore infinito dell'autorità di Dio.
Così la testimonianza di Giovanni ci insegna anche che cosa è la testimonianza e quello che deve essere la nostra. Ci fa innanzitutto capire che quanto più la nostra fede è
totale, quanto più cioè la nostra intelligenza, la nostra volontà, e tutta la nostra persona sono totalmente impegnate sulla parola di Dio, tanto più avviene che la nostra parola pesi quanto la nostra stessa persona. Ci insegna inoltre che ciò che fa sì che la nostra vita testimoni della verità di Gesù è che, quando essa è consacrata senza riserva a Gesù, Gesù si manifesta attraverso le opere che compie in noi. Tutto si riconduce dunque alla fede. E nella misura in cui noi sappiamo vive re nel mondo della fede, risvegliamo anche gli altri al mondo della fede. Esseri pieni di imperfezioni e di difetti ma che vivono di fede, possono risvegliare altri esseri all'universo della fede. La sua luce splendente brilla già sul cimitero delle nostre decisioni. Quanto più brilla in chi è già stato conquistato e trasformato dallo Spirito.
[1] Cfr. J. DANIÉLOU, Approches du Christ, ed. Grasset, 1960.