lunedì 2 dicembre 2013

Papa Francesco: Noi come cittadini, noi come popolo




E’ quanto insegnava Bergoglio in un discorso da cardinale ora tradotto dalla “Libreria Editrice Vaticana”

GIUSEPPE BRIENZAROMA

 
In questi primi 9 mesi del pontificato abbiamo visto quanto sia importante per Papa Francesco l’idea di popolo ed il dovere dei fedeli di partecipare alla vita politica. Per comprendere a fondo questo punto centrale del Magistero di Bergoglio è ora disponibile il testo di un discorso pronunciato quando era cardinale, pubblicato in lingua italiana dalla “Libreria Editrice Vaticana” in collaborazione con la “Jaca Book”.

Il discorso che l’allora arcivescovo di Buenos Aires tenne il 16 ottobre 2010 per i duecento anni dell’indipendenza argentina, che esce in questa traduzione con una accurata prefazione di monsignor Mario Toso, segretario del “Pontificio consiglio della giustizia e della pace”, s’intitola "Noi come cittadini. Noi come popolo" (Milano 2013, 96 pagine, 9 euro), e si segnala per la valorizzazione che, nel discorso pubblico di Bergolio, il popolo riceve oltre che sul piano teologico, e quindi pastorale, anche su quello sociale e politico.


Il contesto, naturalmente, è quello argentino ma, la riflessione dell’attuale Papa supera sicuramente i confini del suo paese natale. Così, quando sviluppa la seguente provocatoria riflessione sul significato della parola “cittadino”: «Essere cittadini significa essere convocati per una scelta, chiamati a una lotta, a questa lotta di appartenenza a una società e a un popolo. […] La lotta ha due nemici: il “menefreghismo”, mi lavo le mani davanti al problema e non faccio niente, ma così non sono cittadino. O la lamentela, quello che Gesù diceva alla gente del suo tempo: non li capisco. Sono come i fanciulli che quando suoniamo danze allegre non ballano e quando cantiamo lamenti funebri non piangono (Mt 11,16-17; Lc 7, 32). Vivono lamentadosi. Fanno della loro vita una continua mormorazione [tr. originale: palinodia]».


Poi quando l’allora arcivescovo di Buenos Aires punta il dito contro i fautori della c.d. “morale laica”, i propalatori cioè di quell’“eticismo senza bontà” che conduce all’ipocrisia e sul quale Bergoglio è ritornato da Papa nell’omelia della Messa celebrata alla Casa S. Marta il 20 giugno scorso. Nel 2010 ai fedeli argentini Francesco denunciava: «Una cosa è la bontà, altra cosa è l’etica. Può addirittura esistere un’etica senza bontà. Sono tipici di un “esistenzialismo mediocre” l’intelligenza senza talento e un “eticismo” senza bontà».

Divenuto Pontefice e riflettendo a Santa Marta sul celebre brano di Matteo che presenta il contrasto tra il comportamento di scribi e farisei che si pavoneggiano in pubblico quando fanno l’elemosina, la preghiera e il digiuno e quello che invece Gesù indica ai discepoli come il giusto atteggiamento da assumere nelle medesime circostanze, e cioè il “segreto”, la discrezione gradita e premiata da Dio, Papa Francesco ha stigmatizzato i primi con queste parole: «Gesù lo dice: “Non entrate voi e non lasciate entrare gli altri”. Sono eticisti senza bontà, non sanno cosa sia la bontà. Ma sì, sono eticisti, eh? “Si deve far questo, questo, questo...” Ti riempiono di precetti, ma senza bontà. E quelli delle filatterie che si addossano tanti drappi, tante cose, per fare un po’ finta di essere maestosi, perfetti, non hanno il senso della bellezza. Non hanno il senso della bellezza. Arrivano soltanto ad una bellezza da museo. Intellettuali senza talento, eticisti senza bontà, portatori di bellezze da museo. Questi sono gli ipocriti, ai quali Gesù rimprovera tanto».

L’obiettivo del discorso di Bergoglio a Buenos Aires è quello di favorire la “rinascita” della politica e della vita democratica, in Argentina, coinvolgendo tutte le classi sociali e in particolare i gruppi dirigenti. Lo sottolinea anche Mons. Toso nella sua “Presentazione” al volume: «Rispetto all’odierno deficit di politica e di democrazia, la via di uscita, segnalata dal Cardinale di Buenos Aires, è quella del recupero di una vita democratica, intesa soprattutto come vita intensamente partecipata di un popolo, che si pensa e si costruisce entro un quadro istituzionale preciso, inteso come luogo di impegno e di discussione per superare gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento del bene comune; inteso come vivere assieme nella fraternità ed elaborare un progetto condiviso fondato su quei beni-valori che in definitiva traggono la loro origine da Dio».