sabato 21 dicembre 2013

La virtù di perdere tempo




Intervista al cardinale Amato sulla canonizzazione di Pietro Favre. 

Un apostolo semplice e coerente, il cui alto profilo spirituale gli è valso quella fama di santità che già all’indomani della morte ha circondato la sua figura. Così il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le cause dei santi, definisce il gesuita Pietro Favre (1506-1546), per il quale Papa Francesco ha firmato lo scorso 17 dicembre — giorno del suo settantasettesimo compleanno — il decreto di canonizzazione equipollente. In questa intervista rilasciata al nostro giornale il porporato spiega, tra l’altro, i motivi della decisione del Pontefice e sottolinea l’attualità della figura del nuovo santo.
Che cos’è la canonizzazione equipollente e cosa si richiede per tale procedura?
Le canonizzazioni equipollenti, sebbene non frequenti, non sono rare nella Chiesa. Sono una quarantina i santi che hanno usufruito di questa procedura canonica. I più noti sono Gregorio VII, Gertrude di Helfta, Pier Damiani, Cirillo e Metodio, Giovanni Damasceno, Beda il Venerabile, Alberto Magno, Tommaso Moro, Giovanni d’Avila. Ricordiamo che lo stesso Papa Francesco ha già celebrato una canonizzazione equipollente, quella di santa Angela da Foligno, il 9 ottobre scorso. Tale procedura si basa su tre elementi necessari. Anzitutto il possesso antico di culto. E Favre da secoli era venerato come efficace intercessore presso Dio. In secondo luogo si richiede la costante e comune attestazione di storici degni di fede sulle virtù del beato. Per Favre c’è una abbondante documentazione al riguardo. Infine, è necessaria una ininterrotta fama di prodigi, attestata per Pietro Favre da una serie di miracoli che arrivano fino ai giorni nostri. Soddisfatte queste condizioni, il Pontefice, di sua autorità, ha proceduto alla canonizzazione equipollente, e cioè all’estensione alla Chiesa universale del culto del santo, in concreto della recita dell’ufficio divino e della celebrazione della messa, «senza alcuna sentenza formale definitiva, senza aver premesso alcun processo giuridico, senza aver compiuto le consuete cerimonie», come precisa Papa Benedetto XIV nel primo tomo della sua opera, De servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione.
Perché si è giunti ora a tale canonizzazione?
In realtà già all’indomani della sua morte si era richiesto il riconoscimento ufficiale della santità del savoiardo Pietro Favre. Ricordo, per esempio, che Francesco di Sales, in una lettera del 1612, insisteva presso i gesuiti perché anche a Favre fosse riservata la stessa attenzione data a sant’Ignazio di Loyola e a san Francesco Saverio. Pietro Favre, invece, sarebbe stato beatificato solo il 5 settembre 1872 da Pio IX. In questi ultimi tempi, è andata intensificandosi per lui la richiesta di canonizzazione. Sono giunte al Papa lettere postulatorie sia dal preposito generale della Compagnia di Gesù, sia da vescovi, che chiedevano appunto un tale riconoscimento. Il Pontefice, che nutre una profonda ammirazione per questo suo confratello dall’alto profilo spirituale, ha accolto questo desiderio, incaricando la Congregazione delle cause dei santi di preparare il relativo dossier, comprendente la vita, le virtù, la fama di santità e di miracoli e il significato per oggi di tale canonizzazione.
Quali sono i momenti salienti della vita di Favre?
Intanto egli fu tra i primi compagni di Ignazio di Loyola, e, come primo sacerdote della Compagnia, fu lui a celebrare, il 15 agosto 1534, la messa e a ricevere i voti dei primi gesuiti. Si può dire che la sua relativamente breve esistenza — morì a quarant’anni — fu un continuo pellegrinaggio, come testimonia il suo Memoriale, che è uno dei documenti principali della spiritualità degli inizi della Compagnia di Gesù. Per obbedienza, egli si trova e agisce là dove si operano i grandi cambiamenti storici: è presente alle Diete di Worms e di Ratisbona, dove dà gli esercizi al teologo Giovanni Cocleo; lo troviamo a insegnare catechismo ai bambini di Galapagar; fonda collegi a Valladolid, Alcalá e Colonia, e un noviziato a Lovanio; dopo aver visitato a Lisbona la corte di Giovanni III di Portogallo, predica alla corte di Filippo ii a Valladolid; nello stesso tempo è il teologo insigne che impartisce lezioni sulla sacra scrittura alla Sapienza di Roma e a Magonza. Infine, viene invitato dal Papa a partecipare al concilio di Trento, insieme ai confratelli Laínez e Salmerón. Non vi poté prendere parte a causa della morte avvenuta a Roma il 1° agosto 1546.
Quali sono le peculiarità della sua spiritualità?
La prima grande virtù che riassume tutte le altre è l’obbedienza. I continui spostamenti sono fatti in nome della santa obbedienza e per la maggior gloria di Dio. L’obbedienza lo sposta come una pedina sulla scacchiera da un posto all’altro, da un incarico all’altro, da una nazione all’altra. Durante i viaggi intrapresi prega, medita, contempla, ringrazia il Signore per la bellezza della natura, per la munificenza dei suoi doni, per la compagnia degli angeli. In tal modo egli ha modo di sperimentare doni mistici straordinari.
Oltre all’obbedienza, quale altra virtù emerge in questo nuovo santo?
L’umiltà, come dicono i testimoni. Era obbediente e umile. Era obbediente perché umile. Egli è convinto dell’importanza di dover offrire agli altri l’esempio edificante dell’umiltà e della pazienza, come Gesù: «Per imitare — egli dice — più concretamente Cristo nostro Signore, ed essergli più simile, voglio e scelgo la povertà con Cristo povero piuttosto che la ricchezza, le umiliazioni con Cristo umiliato piuttosto che gli onori; inoltre preferisco essere considerato stolto e pazzo per Cristo, che per primo fu ritenuto tale, piuttosto che saggio e accorto secondo il giudizio del mondo». L’umiltà di Pietro Favre si manifesta anche nel suo comportamento esteriore, sia nei servizi più umili, sia nella disponibilità di aspettare e di “perdere tempo” per gli altri.
Qual è il significato della canonizzazione di Pietro Favre nella Chiesa oggi?
Sono molteplici i risvolti esemplari della sua figura. In primo luogo la santità, una realtà che non tramonta mai nella Chiesa e che è sempre più richiesta oggi anche dalla società. In secondo luogo l’esemplarità sacerdotale. Pietro Favre fu sacerdote zelante, religioso puro, uomo di preghiera. Tutto ciò è di grande attualità. Negli ultimi tempi i Pontefici hanno esortato i sacerdoti a prendere più profondamente coscienza del fatto che non sono funzionari della Chiesa ma “pastori”. Non pastori qualunque, ma rappresentanti del buon Pastore, Gesù Cristo, per continuare il suo ministero di salvezza e santificazione degli uomini.
Può precisare meglio questa caratteristica?
L’esempio di Favre può spingere ogni apostolo, e non solo i gesuiti, all’esercizio eroico e costante della carità pastorale. Il gesuita Manuel Ruiz Jurado così precisa questa caratteristica: «Il Favre seppe utilizzare, in modo non comune, le sue facoltà umane ben coltivate ed eccellenti, come non è facile vedere in altri, e gli aiuti umani e soprannaturali per promuovere costantemente, con il sacrificio della propria vita e le pene interiori, il regno di Cristo nelle diverse regioni dell’Europa. Egli lo fece secondo l’esempio di Cristo: itinerante per obbedienza, sempre attento a compiere la volontà di Dio e non la propria. Lo realizzò vivendo in pienezza lo spirito ecclesiale, stabilendo una relazione fraterna ed amichevole con laici, consacrati, poveri e ricchi. Visse la gratuità del sacerdozio ricevuto in dono donando se stesso senza sperare in alcuna ricompensa umana. La sua eredità è il Signore».
Quale impulso può dare il suo esempio al cammino ecumenico della Chiesa?
Si può dire che il suo sia stato un ecumenismo che definirei spirituale, fatto di preghiera, di riconciliazione, di fraternità. Negli anni della sua formazione teologica parigina era venuto in contatto con le idee luterane, vivendo il travaglio della teologia controversistica, fatta di dibattiti e di opposizioni frontali. Ma egli evitò questo atteggiamento.
Quale altro insegnamento specifico si può trarre dalla sua esemplarità ?
Oltre alla sua enfasi sul discernimento spirituale e sul vissuto comunitario dei gesuiti, inteso come dinamica per diventare amici e compagni del Signore e nel Signore, egli si distingueva per una straordinaria devozione agli angeli custodi. Non si trattava di una semplice espressione di pietà popolare, ma di una vera e propria attività apostolica. Nelle vicende della sua vita, nei viaggi, negli incontri con persone di ogni ceto egli si affidava agli angeli. NelMemoriale annota che, avvicinandosi a una località, era solito domandare che l’arcangelo soprintendente a tale regione gli fosse propizio con tutti gli angeli custodi dei suoi abitanti. Pregava per gli angeli custodi dei suoi amici, dei suoi avversari e dei suoi interlocutori. Invocava il suo angelo perché difendesse della insidie del nemico la sua casa e quella dei suoi vicini. Si rivolgeva agli angeli per i propri fratelli nella Compagnia di Gesù, chiedendo al Signore di degnarsi di circondarla e di porvi, come bastione, una guardia di spiriti angelici, che la proteggessero come cinta fortissima. Chiedeva agli angeli la protezione sulla Chiesa. Per lui si trattava di una autentica devozione apostolica. San Pietro Favre è di una eccezionale modernità, come sacerdote, come religioso e come evangelizzatore. In lui pulsa il cuore di un apostolo semplice e coerente, che vibra per amore divino e spirito soprannaturale, che antepone ogni cosa all’annunzio del regno di Dio, mettendo tutto se stesso al servizio dell’azione santificante dello Spirito Santo. Infine ci ricorda di fare affidamento alla presenza discreta e sommamente amorevole del nostro angelo custode.
L'Osservatore Romano