lunedì 23 dicembre 2013

Tre parole per il Natale

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(Riccardo Burigana)
Gioia, pace e speranza: sono queste le tre parole fondamentali del messaggio per il Natale firmato dai responsabili delle Chiese e delle comunità ecclesiali di Gerusalemme. Tredici firme: dal patriarca greco ortodosso, Theophilos III, al patriarca di Gerusalemme dei Latini, Fouad Twal, al custode di Terra Santa, il francescano Pierbattista Pizzaballa, al vescovo episcopaliano per Gerusalemme e il Medio Oriente, Suheil Dawani, al presule luterano Munib Younan, fino al vescovo armeno Joseph Antoine Kelekian, che manifestano una comunione sempre più visibile dei cristiani nella terra dove Gesù è nato. Si tratta di una comunione che è tanto più importante in un momento particolarmente difficile per la vita delle comunità cristiane che vedono il numero dei fedeli ridursi progressivamente per le condizioni economiche e politiche del Medio Oriente.
La nascita del Signore «porta gioia a coloro che sono nella sofferenza e nel dolore, pace agli oppressi, che vivono l’occupazione e l’ingiustizia, speranza a coloro che sono nella disperazione e amore là dove c’è odio e inimicizia, soprattutto nei confronti degli stranieri». Questa preghiera, rivolta a tutto il mondo, assume un significato particolare per il Medio Oriente: i capi delle Chiese e delle comunità ecclesiali scrivono di pensare alla Siria, dove si chiede che cessi la violenza e lo spargimento di sangue, e alla Terra Santa dove israeliani e palestinesi devono trovare pace e riconciliazione. Nel giorno del Natale i cristiani sono chiamati a pregare affinché tutti possano «vedere l’amore di Dio nel volto dell’altro».
Questo messaggio è uno dei tanti che gli organismi ecumenici, a vario livello, hanno redatto in occasione del Natale per riaffermare cosa i cristiani sono chiamati a fare insieme, leggendo la nascita del Signore in una prospettiva comune per farsi testimoni della pace, della condanna della violenza, dell’accoglienza dello straniero, del povero, dell’emarginato. Proprio il tema della pace è centrale nel messaggio del pastore Olav Fykse Tveit, segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese, che, poche settimane fa, a Busan, nell’assemblea generale, ha discusso di come i cristiani, insieme, devono costruire la pace nel mondo secondo quanto è stato chiesto loro da Gesù. Si devono abbattere «i tanti muri di ostilità che dividono nazioni, culture, classi e famiglie». Per Fykse Tveit i cristiani devono farsi carico dei profughi delle guerre, nel Medio Oriente come nella regione dei Grandi Laghi in Africa, rinnovando la condanna di ogni parola e ogni atto con i quali si vuole giustificare la violenza in nome della religione.
L’accoglienza di coloro che fuggono dalla guerra, dalla persecuzione, dalla povertà, da un futuro senza domani è stato affrontato nel messaggio del Consiglio delle Chiese cristiane in Australia, che comprende anche la Chiesa cattolica. La nascita e i primi anni della vita di Gesù, così come sono narrati dal Vangelo, mostrano chiaramente come il Salvatore conoscesse «l’esperienza di coloro che cercano rifugio in un altro Paese» .
A un impegno per l’accoglienza di coloro che vivono nella sofferenza è dedicato il messaggio del Consiglio delle Chiese delle Filippine. I cristiani devono operare per testimoniare la fedeltà alla Parola di Dio, per porre termine a violenze, pregiudizi, sperequazioni, persecuzioni e ingiustizie. I battezzati devono portare con loro la speranza per la realizzazione di un mondo migliore. Su questo stesso piano si pone anche il messaggio, firmato da Godfrey O’Donnell, presidente del Consiglio delle Chiese d’Irlanda, che richiamandosi a Papa Francesco, rivolge un appello per individuare le priorità pastorali, cioè l’accoglienza dei poveri ai quali va donata la speranza così come Cristo ha fatto per l’umanità con la sua nascita. Proprio la speranza, come si legge nel messaggio del Consiglio delle Chiese cristiane di Francia, deve guidare i cristiani in un mondo dominato dalla violenza e dall’indifferenza; la nascita di Cristo ricorda che per tutti gli uomini e per tutte le donne «una speranza è stata offerta, un futuro si è aperto e un Salvatore è stato donato».
L'Osservatore Romano